SENTENZA N.559
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA Presidente,
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana (n. 2 ricorsi) notificati, rispettivamente, il 18 agosto, l'8 settembre, il 6 settembre, l'8 settembre 1978 e il 3 marzo 1983, depositati in cancelleria il 1o, il 18, il 23, il 26 settembre 1978 e il 17 marzo 1983 ed iscritti ai nn. 24, 26, 27 e 28 del registro ricorsi 1978 e n. 9 del registro ricorsi 1983, per conflitti di attribuzione sorti a seguito: a) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 1978, recante: <Direttive alle Regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti>; b) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 31 dicembre 1982 avente ad oggetto: <Aggiornamento delle direttive alle Regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione>.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi gli avvocati Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia, Sergio Panunzio per la Regione Lazio, Giulio Cevolotto per la Regione Veneto, Calogero Narese per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.-I giudizi per conflitto di attribuzione promossi con i cinque ricorsi elencati in epigrafe e riferiti nella parte in fatto vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza, in quanto riguardano lo stesso atto e, in un caso, un provvedimento analogo e connesso con il precedente.
2.-Prima di ogni altra, va esaminata la questione pregiudiziale se i conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe, i quali attengono a funzioni amministrative delegate alle regioni a norma dell'art. 118, secondo comma, Cost., siano ammissibili.
Con riferimento al caso di specie, la questione va risolta in senso positivo.
2.1.-Quello della delega amministrativa é un fenomeno estremamente vario e complesso, per il quale non sembra possibile fornire soluzioni interpretative generali valide per ciascuna delle ipotesi che il diritto positivo disciplina come delegazione di funzioni amministrative.
E' sufficiente considerare a tal fine che ipotesi di delegazione intervengono tanto nell'ambito di rapporti interorganici quanto in quello di rapporti intersubiettivi e, in quest'ultimo caso, tanto fra soggetti dotati di autonomia costituzionale quanto fra soggetti che non lo sono. Inoltre, oggetto di delegazione é talora la titolarità di funzioni o, addirittura, di attribuzioni (cioé di un complesso di funzioni unitariamente considerato), talaltra il mero esercizio di determinate funzioni o il compimento di determinati atti o attività. La delega, poi, può essere frutto di una libera scelta del titolare di determinate funzioni ovvero può dipendere dal ricorrere di condizioni obiettive discrezionalmente valutabili dallo stesso soggetto o, ancora, può esser configurata come un atto necessario o dovuto da parte del titolare per l'esercizio di determinate funzioni.
Nè quelle considerate sono le sole alternative rilevanti ai fini della caratterizzazione giuridica della delegazione amministrativa. Nel diritto positivo, infatti, si riscontrano deleghe che comportano trasferimento di uffici (mezzi e personale) e deleghe che non lo comportano, ve ne sono alcune conferibili (o revocabili) solo esplicitamente e altre anche implicitamente, alcune che prevedono in capo al delegante un potere di supremazia (se pure impropria) o di direttiva e altre che non lo prevedono, alcune che autorizzano il delegante ad adottare istruzioni vincolanti ed altre sulla cui base possono essere adottate istruzioni aventi un'efficacia meramente direttiva, alcune che conservano al delegante un potere di intervento <concorrente> sulla materia delegata e altre che lo escludono, alcune su oggetti determinati e altre su oggetti generici o indeterminati, alcune a tempo prestabilito e altre a tempo indeterminato.
Si tratta, come appare evidente, di alternative in grado di caratterizzare il fenomeno della delega amministrativa in modo di volta in volta diverso e che, se si rimane legati al diritto positivo attualmente vigente, é molto difficile, se non impossibile, razionalizzare secondo tipologie omogenee.
Le alternative ricordate, infatti, non coincidono per nulla con la distinzione tra deleghe interorganiche e deleghe intersoggettive, ma si rinvengono, nella loro totalita, tanto all'interno dell'una ipotesi quanto all'interno dell'altra. Alcune di loro anzi - e non certo quelle di importanza secondaria ai fini della caratterizzazione giuridica del fenomeno - si rinvengono persino nell'ambito di uno stesso atto legislativo, come nel caso qui considerato del d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che si impone comunque l'esigenza logica di procedere a un esame caso per caso allo scopo di enucleare, attraverso un'analisi empirica, i caratteri propri della particolare fattispecie di delegazione amministrativa dedotta in giudizio e di verificare, quindi, se i poteri oggetto della delega stessa vadano ad integrare, o meno, la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni.
2.2.-Il problema dell'ammissibilità dei conflitti di attribuzione fra Stato e regioni vertenti su funzioni delegate e già pervenuto alla cognizione di questa Corte. In un primo caso, che riguardava la delega alle regioni dell'esercizio delle funzioni amministrative in ordine alle opere di ricostruzione nei territori colpiti da calamita naturali, le quali erano residuate alla competenza statale dopo il trasferimento delle attribuzioni proprie degli uffici del genio civile e dei provveditorati regionali (art. 13, d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8), la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del conflitto. A base di questa decisione stava l'argomento che, poichè si trattava di una delega che lo Stato poteva conferire, o non, alle regioni (c.d. delega libera), non era minimamente possibile configurare tanto le norme che concretamente la prevedevano, quanto le competenze che da essa derivavano, come dirette a integrare la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, la cui lesione soltanto legittima queste ultime a tutelarsi mediante lo strumento processuale del conflitto di attribuzione, previsto dall'art. 134 Cost. (sent. n. 97 del 1977).
In una serie di casi successivi, vertenti tutti sulla particolare disciplina prevista dalla delega di funzioni in materia di paesaggio (art. 82, d.P.R. n. 616 del 1977), la Corte é giunta alla medesima conclusione (sentt. nn. 359 del 1985, 152 e 153 del 1986). Tuttavia, in queste pronunzie, pur riaffermando il principio precedentemente enunciato, la Corte ha posto a base delle sue decisioni una massima differente, la quale si confaceva alla diversa ipotesi di delega dedotta nei giudizi in questione.
Per riprendere le stesse parole allora usate, si é affermato, più precisamente, <che le attribuzioni soltanto delegate alla Regione non sono, in linea di principio, defendibili col rimedio del conflitto di attribuzione (sent. n. 97 del 1977), e che, in particolare, non lo sono le attribuzioni devolute alla Regione con l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto caratterizzate dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti> (sentt. nn. 152 e 153 del 1986, nonchè già prima n. 359 del 1985). E, a chiarimento della stessa massima, si é aggiunto subito dopo che <la previsione di questi ultimi (poteri concorrenti), a fini di estensione e di effettività della tutela del paesaggio, esclude infatti la garanzia costituzionale delle competenze delegate> (v. spec. sent. n. 152 del 1986, che cita sul punto la sent. n. 359 del 1985).
In altri termini, nel primo caso la Corte ha escluso che le competenze delegate rientrassero nell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, in quanto la loro assegnazione a queste ultime, dipendendo da una libera scelta del legislatore statale (che, nel caso del d.P.R. n. 8 del 1972, era giustificata soltanto dall'opportunità di non conservare allo Stato le funzioni residuali svolte da uffici periferici trasferiti alle regioni), mancava di qualsiasi aggancio logico con le norme costituzionali concernenti la ripartizione di competenze fra Stato e regioni.
Negli altri casi, invece, trovandosi di fronte a una disciplina che, come questa Corte ha ribadito anche in una recente pronunzia (sent. n. 302 del 1988), prevede sulla medesima materia la compresenza di poteri regionali e di poteri statali aventi lo stesso contenuto e oggetto (pur se i secondi previsti in posizione di supremazia, a estrema difesa del vincolo paesaggistico), la Corte ha dedotto da ciò che, non essendosi lo Stato privato della piena titolarità della relativa funzione, i poteri delegati attenessero al mero esercizio della funzione stessa (come, del resto, in altri casi precedenti: v. sentt. nn. 39 del 1957, 11 del 1959, 36 del 1960, 40 del 1972) o, se si preferisce, allo svolgimento di attività rispetto alle quali non era stata nel contempo negata la competenza dello Stato, e che, pertanto, non potevano integrare in alcun modo la sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnata alle regioni.
2.3. - Il caso oggetto dei presenti giudizi, relativo alla delegazione alle regioni delle funzioni amministrative concernenti i distributori di carburante (art. 52, lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977), attiene a un'ipotesi di delega diversa dalle precedenti.
Innanzitutto, si tratta di una delegazione mediante la quale la titolarità di una determinata funzione viene (temporaneamente) tolta dalla sfera di competenza dello Stato e assegnata nel contempo a quella regionale, con la conservazione in capo al primo del solo potere di indirizzo. Si tratta, in altre parole, di quella che in dottrina é chiamata <delega devolutiva o traslativa>, la quale, come é noto, costituisce l'ipotesi di delegazione più prossima al trasferimento di funzioni, in quanto in essa l'accrescimento di competenza del delegato e consequenziale a una correlativa diminuzione della stessa nel soggetto delegante.
Tuttavia, la circostanza che la funzione delegata di cui si tratta sia entrata a far parte del patrimonio di competenze delle regioni, a seguito dell'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977, é una condizione necessaria, ma non sufficiente, perchè i conflitti oggetto dei presenti giudizi siano ritenuti ammissibili. Infatti, come questa Corte ha costantemente ribadito (cfr., ad es., sentt. nn. 111 del 1976, 97 del 1977, 359 del 1985, 152 e 153 del 1986), appartengono alla competenza del giudice costituzionale, e soltanto ad essa, unicamente quei conflitti nei quali si controverte di lesioni prodotte sulla sfera di competenze dello Stato o delle regioni, semprechè tale sfera risulti costituzionalmente garantita. E perchè questa garanzia ricorra nel caso delle funzioni delegate non e sufficiente, pur se é ovviamente necessario, che l'atto legislativo contenente la delega medesima (nel caso il d.P.R. n. 616 del 1977) sia da considerare, secondo la consolidata e costante giurisprudenza costituzionale (cfr., ad es., sentt. nn. 223 del 1984 e 217 del 1985), come esecutivo o integrativo di disposizioni formalmente costituzionali, per il fatto che, nell'ipotesi di funzioni delegate, l'astratta idoneità della norma che le dispone a fungere da parametro dei giudizi sui conflitti potrebbe esser neutralizzata in concreto, come ha già riconosciuto questa Corte (sent. n. 97 del 1977), dal carattere puramente volontario o possibilistico della delega stessa (c.d. delega libera).
Perchè le funzioni delegate possano esser considerate parte integrante della sfera di competenze costituzionalmente garantita alle regioni c'é bisogno di un ulteriore e decisivo elemento: che le competenze delegate, per il modo in cui sono disciplinate e per il fine in vista del quale sono conferite, costituiscano un'integrazione necessaria delle competenze <proprie>, di modo che la lesione delle prime comporti anche una menomazione delle seconde.
2.4. - Nell'interpretare il sistema costituzionale relativo alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni e nel dare ad esso attuazione positiva, il legislatore, attraverso la legge 22 luglio 1975 n. 382 e il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, ha previsto, tra l'altro, un particolare tipo di delega amministrativa, diretto essenzialmente a un duplice scopo: innanzitutto, costituire un modello organizzatorio dei rapporti fra Stato e regioni più flessibile delle altre forme di separazione di competenze e tale da permettere indirizzi statali in grado di assicurare una maggiore uniformità su tutto il territorio nazionale, nonchè una maggiore unitarietà tra momento direttivo e momento attuativo; in secondo luogo, istituire uno strumento di ricomposizione delle competenze in capo alle regioni in grado di garantire loro un <esercizio organico> delle funzioni trasferite.
Sotto quest'ultimo profilo, sulla base di un preciso criterio dettato dalla legge n. 382 del 1975 (art. 1, lett. c), il d.P.R. n. 616 del 1977, nell'ambito di una disciplina diretta ad assi curare alle regioni un'amministrazione per programmi, ha provveduto a delegare alle stesse le funzioni amministrative ritenute necessarie per rendere loro possibile l'<esercizio organico> delle competenze trasferite. Si é stabilita, così, una saldatura funzionale fra le competenze delegate e quelle trasferite, che, sebbene smentita in alcune delle fattispecie previste (come il ricordato art. 82 o, per fare altri esempi, gli artt. 77, lett. b), e 111 secondo comma), può tuttavia ritenersi affermata per la maggioranza delle deleghe conferite alle regioni con il d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che, ove tale legame non risulti contraddetto dalla particolare disciplina positiva prevista per ogni singola delega, si deve concludere che l'eventuale limitazione o invasione delle competenze delegate alle regioni finisca per impedire o contraddire quell'esercizio <organico> che si é voluto garantire alle funzioni <proprie> delle regioni e menomarne così la consistenza costituzionale, come interpretata e attuata dalla legge n. 382 del 1975 e dal d.P.R. n. 616 del 1977.
Del resto, e essenzialmente con riguardo a questa loro funzione di completamento organico delle materie trasferite alle regioni che si giustifica la relativa stabilita assicurata alle deleghe qui considerate, stabilita che, oltre a ricavarsi dal loro carattere di deleghe a tempo indeterminato, può agevolmente dedursi da una serie di elementi della loro disciplina positiva.
Innanzitutto, dal potere riconosciuto alle regioni di adottare nelle materie sulle quali sono state conferite funzioni delegate non solo provvedimenti amministrativi, ma anche <norme legislative di organizzazione e di spesa>, nonchè <norme di attuazione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione> (art. 7, primo comma, d.P.R. n. 616 del 1977). In secondo luogo, dal fatto che, con il conferimento delle funzioni delegate, sono contestualmente trasferiti gli uffici, il personale e i beni strumentali necessari allo svolgimento delle medesime funzioni (art. 1, lett. c), l. n. 382 del 1975). In terzo luogo, dalla possibilità conferita alle regioni di subdelegare, con proprie leggi, ai comuni e agli altri enti locali le funzioni derivanti dalla delega statale e di stabilire i relativi indirizzi (art. 7, secondo comma, d.P.R. n. 616 del 1977). Infine, dal carattere non derogatorio dell'ordine delle competenze generalmente riconosciuto alle funzioni delegate (d.P.R. n. 616 del 1977), il quale evidenzia la prevalente natura devolutiva o traslativa propria delle deleghe qui considerate: in una parola, la loro preponderante finalizzazione all'6organico" esercizio delle competenze trasferite.
2.5. - La delega di funzioni amministrative in materia di distributori di carburanti, prevista dall'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977, si iscrive perfettamente nei caratteri propri delle deleghe volte al completamento organico delle competenze trasferite, che si sono appena ricordati. Si tratta, infatti, di funzioni conferite alle regioni nell'ambito di una competenza più generale, relativa a un complesso di attività commerciali, che, come riconoscono tutte le parti dei presenti giudizi, integrano sostanzialmente la materia <fiere e mercati> attribuita alle regioni dall'art. 117 della Costituzione.
Inoltre, poichè il suddetto art. 52 non prevede che lo Stato possa esercitare in materia <poteri concorrenti> o altri poteri (di annullamento, di integrazione, di inibitoria, e simili) comunque interferenti nei confronti degli atti adottati nello svolgimento delle funzioni delegate, ma conserva allo Stato (o, più precisamente, al Governo) soltanto poteri di indirizzo, si deve supporre che l'ipotesi di delega amministrativa oggetto dei presenti giudizi comporti una devoluzione piena delle funzioni interessate e, quindi, una cessione alle regioni della titolarità delle funzioni stesse, che il legislatore ha operato nella misura e nei limiti necessari per l'esercizio organico delle competenze <proprie>.
E poichè, su tali basi, si prospetta la violazione di parametri formalmente costituzionali o, comunque, di norme integrative o attuative di disposizioni formalmente costituzionali (il d.P.R. n. 616 del 1977), con riferimento a funzioni che, come s'é detto, sono state delegate alle regioni, non già per una libera scelta dello Stato, ma in base alla ricorrenza di condizioni, di limiti ed obiettivi costituzionalmente rilevanti (necessita di integrazione organica delle attribuzioni regionali trasferite), sembra a questa Corte che sussistano i requisiti essenziali perchè sia dichiarata l'ammissibilità dei conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe.
3. - Entrando nel merito delle questioni, va peraltro dichiarata l'inammissibilità di alcune censure contenute nel ricorso proposto dalla Regione Lazio: più precisamente, quelle relative al penultimo comma del punto 4, nonchè ai punti 6 e 7 del d.P.C.M. 8 luglio 1978.
Secondo la ricorrente, le direttive contenute nei punti anzidetti prevedono contributi a carico dei concessionari degli impianti più remunerativi (punti 4, penultimo comma, e 6) ovvero conferiscono al Ministro dell'industria poteri relativi alla determinazione del numero massimo degli impianti nell'ambito nazionale e all'imposizione di altri limiti all'esercizio della libertà d'impresa (punto 7, che peraltro e stato soppresso dall'art. 5 del successivo decreto emesso sulla stessa materia nel 1982), ponendo così in essere una disciplina amministrativa in violazione della riserva di legge garantita dagli artt. 23 e 41, secondo comma, della Costituzione.
Tuttavia, poichè questa Corte, con giurisprudenza costante e consolidata (cfr., ad es., sentt. nn. 72 del 1961, 18 del 1970, 157 del 1975, 191 del 1976, 152 del 1986), ha affermato che le regioni possono sollevare conflitto di attribuzione soltanto in relazione a norme dalla cui violazione consegua una lesione delle competenze ad esse costituzionalmente garantite e poichè le disposizioni che nel caso si assumono violate non hanno alcuna incidenza sulla ripartizione di competenze fra Stato e regioni, deve concludersi che nessuna delle censure qui considerate appare sorretta da quell'interesse a ricorrere in mancanza del quale non possono esser sottoposte alla cognizione di questa Corte.
4. -Vanno, invece, respinti i ricorsi per tutti i restanti profili in base ai quali le regioni hanno sollevato conflitto di attribuzione nei presenti giudizi.
4.1. - Le Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana impugnano i punti 8 e 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, riconoscendo che le competenze ivi contemplate siano esercitate da organi statali, non porrebbero in essere direttive concernenti l'esercizio di funzioni delegate alle regioni, ma disporrebbero sulla spettanza delle relative funzioni, ripristinando, in un caso, la competenza statale (punto 8) e non distinguendo, nell'altro, fra le competenze riconosciute al prefetto quelle che devono intendersi delegate alle regioni (punto 9). In ambedue i casi, comunque, le disposizioni impugnate conterrebbero, secondo le ricorrenti, una revoca implicita della delegazione di funzioni effettuata con l'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977 a favore delle regioni, che, essendo compiuta con atto amministrativo, sarebbe in contrasto con l'art. 118, secondo comma, Cost., il quale prevede che le deleghe in questione siano conferite, e quindi revocate, in modo esplicito e soltanto con atto di natura legislativa (riserva di legge).
Le censure prospettate dalle ricorrenti, semprechè accompagnate dai requisiti di ammissibilità precedentemente esposti, sarebbero fondate se fosse vera la premessa di fatto da esse posta a base delle proprie argomentazioni: che si tratti, cioé, di competenze delegate alle regioni anteriormente al decreto in cui sono contenute le disposizioni impugnate. Ma così non é.
4.1.1. - In realtà, il punto 8 contiene una disposizione interpretativa dell'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977, con la quale, in ordine alle incertezze manifestatesi riguardo al significato da attribuire al predetto art. 52, si precisa che <le funzioni amministrative relative agli impianti ubicati lungo le autostrade e sui raccordi con caratteristiche autostradali continuano ad essere esercitate dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, presidente dell'A.N.A.S., e sentito il Ministro delle Finanze>.
Questa disposizione non é chiaramente una direttiva rivolta alle regioni perchè esercitino in un certo modo le funzioni loro delegate in materia di distributori di carburanti. Si può dire, tutt'al più, che lo é in senso improprio, in quanto indica alle regioni che le loro competenze non si estendono agli impianti ubicati lungo le autostrade e i raccordi di tipo autostradale. Ma questo fatto non concreta, certo, un illegittimo uso di un potere statale ridondante in menomazione di competenze regionali, poichè la disposizione impugnata e sostanzialmente corrispondente all'art. 16, secondo comma (ultimo periodo), del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, che, per la parte interessata, non e stato assorbito e abrogato dall'art. 52, lett. a), del d.P.R. 616 del 1977, correttamente interpretato.
Quest'ultimo, infatti, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative in materia di distributori di carburanti, non ha inteso ricomprendere in tale materia gli impianti situati lungo le autostrade, per il semplice fatto che le funzioni amministrative concernenti siffatti impianti coinvolgono ponderazioni di interessi che vanno compiute su scala nazionale o, comunque, su scala interregionale. Basta considerare, tanto per fare un esempio, che la distribuzione geografica di tali esercizi può essere adeguatamente decisa soltanto attraverso una visione globale della rete autostradale, la quale oltrepassa, ovviamente, l'ambito delle competenze regionali.
Questa interpretazione trova conforto in altri elementi tendenti verso la stessa direzione. Innanzitutto, gli impianti situati lungo le autostrade erano sottratti al comune regime dei distributori di carburanti anche nella legislazione anteriore al d.P.R. n. 616 del 1977, nella quale, mentre si attribuiva ai prefetti le funzioni provvedimentali relative agli impianti comuni, si affidava invece al Ministro dell'industria quelle attinenti ai distributori ubicati lungo le autostrade, con l'evidente giustificazione della dimensione nazionale delle relative funzioni (cfr. il citato art. 16, secondo comma, d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella legge 18 dicembre 1970, n. 1034).
Inoltre, l'art. 54 del d.P.R. n. 616 del 1977, nell'attribuire ai comuni le funzioni amministrative concernenti l'<autorizzazione> all'installazione dei distributori di carburanti nel territorio comunale, esclude espressamente dalla materia gli impianti ubicati lungo le autostrade: e ciò é di particolare significato, dovendosi riconoscere, come ha affermato l'Avvocatura dello Stato, un sostanziale parallelismo tra le competenze di regolazione e di direttiva delle regioni e i poteri provvedimentali dei comuni nella stessa materia.
4.1.2.-Lo Stato ha correttamente esercitato un proprio potere anche quando ha disposto, al punto 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, che <gli impianti di distribuzione di carburanti utilizzati esclusivamente per autoveicoli di proprietà della pubblica amministrazione, rimangono soggetti all'autorizzazione del prefetto>, secondo quanto disposto dall'art. 21 del d.P.R. 27 ottobre 1971, n. 1269.
In base a un elementare canone ermeneutico le disposizioni contenute in atti sottordinati alle leggi devono esser interpretati adeguandone, per quanto possibile, il senso alle norme legislative vigenti. Questa é la conseguenza tanto dell'assioma per il quale l'ordinamento normativo dev'esser postulato, in sede interpretativa e applicativa, come una totalità unitaria, quanto del principio di conservazione dei valori giuridici, il quale induce a presumere che una disposizione non sia dichiarata illegittima fintantochè sia possibile enucleare da essa almeno un significato conforme alle leggi. Su tali premesse, dal momento che l'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977 delega alle regioni le funzioni amministrative sugli impianti di distribuzione dei carburanti nell'ambito dell'ordinamento regionale e dal momento che l'art. 54 dello stesso decreto attribuisce ai comuni l'<autorizzazione> all'installazione degli stessi, si deve ritenere che, quando la disposizione impugnata si riferisce ai distributori assoggettati all'autorizzazione del prefetto, in quanto utilizzati esclusivamente per autoveicoli di proprietà della <pubblica amministrazione>, intende circoscrivere quest'ultima espressione all'amministrazione statale.
Solo se interpretata in tal senso, la disposizione impugnata assume un significato logico e coerente con le ricordate norme legislative, come del resto ha riconosciuto lo stesso Governo allorchè ha aggiornato le <direttive> in questione (v. art. 6 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982). Sicchè, così precisata, la disposizione di cui al punto 9-non potendo esser considerata una direttiva (in senso proprio) nei confronti dell'esercizio di funzioni delegate alle regioni, ma piuttosto una norma regolamentare d'interpretazione avente ad oggetto competenze statali-va comunque ritenuta esercizio legittimo di un potere attribuito allo Stato.
4.2. -La Regione Toscana, con due distinti ricorsi, impugna l'intero punto 4 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 e gli artt. 6 e 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982, in quanto ritiene le direttive ivi contenute troppo dettagliate e concrete, tali da eliminare ogni discrezionalità nello svolgimento delle funzioni delegate alle regioni cui si riferiscono. Analoga censura e prospettata dalla Regione Lazio nei confronti del punto 15 del citato decreto del 1978.
4.2.1 -Va subito detto che i vizi imputati all'art. 6 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 sono del tutto insussistenti in base agli argomenti appena svolti relativamente al punto 9 del decreto del 1978.
Nel precisare, infatti, che <resta di competenza dello Stato il rilascio delle concessioni per gli impianti di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione utilizzati esclusivamente per autoveicoli impiegati per l'esercizio delle funzioni statali>, l'art. 6, con una formulazione molto più perspicua di quella del punto 9 del precedente decreto, contiene, con riferimento agli impianti automatici, una norma analoga a quest'ultima.
Come in quel caso, pertanto, non si tratta propriamente di direttive rivolte alle regioni per l'esercizio di competenze loro delegate, ma di norma interpretativa concernente competenze statali, che, come tale, non può comportare lesione di attribuzioni regionali.
4.2.2.-Al contrario, vere e proprie direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni delegate alle regioni sono quelle contenute nell'art. 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 e nell'art. 15 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 (salvo l'ultimo comma, che, riferendosi agli impianti ubicati sulle autostrade, é assorbito dalle argomentazioni già svolte in relazione al punto 8 dello stesso decreto). Tuttavia, tanto nell'uno, quanto nell'altro caso, il Governo ha esercitato il proprio potere di indirizzo restando nei limiti propri di questo.
E' ben vero, infatti, che, allorchè lo Stato formula direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni da esso delegate alle regioni, non può spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo a un vero e proprio svolgimento diretto delle funzioni delegate. Un tale comportamento, infatti avrebbe il significato di una revoca implicita della delegazione stabilita per via amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perchè, a norma dell'art. 118, secondo comma Cost., la revoca delle predette funzioni potrebbe essere compiuta soltanto con un atto di valore legislativo, sia perchè, data la natura della delega disposta in materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe spazio soltanto per una revoca esplicita.
Tuttavia i limiti appena enunciati non sono certo contraddetti ne dal punto 15 del decreto del 1978, ne dall'art. 7 di quello del 1982. Nel primo caso, infatti, si stabiliscono i livelli minimi degli orari di apertura dei distributori per il periodo invernale (non meno di nove ore e mezzo per ogni giorno feriale); si prevede, inoltre, la percentuale minima, in relazione al territorio regionale, degli esercizi che devono restare aperti nei giorni festivi (non meno del 25(Mo) e durante la notte (non meno del 3%); e, infine, si dispone l'apertura ininterrotta per gli impianti self-service .
Nel secondo caso , invece, si prevede che le regioni possono consentire il rilascio delle concessioni per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato all'interno di stabilimenti, cantieri e simili, purchè si tratti di serbatoi con capacita superiori ai dieci metri cubi e si siano accertate le reali finalità in relazione all'attività svolta dall'impresa e alla consistenza del relativo parco di automezzi. In tutte e due le ipotesi, insomma, l'autonomia delle regioni e indubbiamente salvaguardata, poichè, mentre in un caso sono stabiliti alcuni criteri essenziali perchè le funzioni delegate siano svolte in modo uniforme in tutto il territorio nazionale con la garanzia di un sufficiente margine di discrezionalità a favore delle regioni, nell'altro sono previsti alcuni requisiti minimi perchè il particolare regime ivi contemplato non dia luogo a disfunzioni o ad abusi, trattandosi di direttive rivolte, per un verso, a prevenire un'eccessiva polverizzazione degli impianti e, per un altro, a raccomandare severi controlli sulle effettive finalità delle relative attività.
4.2.3 - Più complesso, ma sostanzialmente analogo, e il giudizio da dare sul punto 4 del d.P.C.M. del 1978, che peraltro é stato integralmente sostituito, con disposizioni molto più stringate, dall'art. 3 del successivo decreto del 1982. E' ben vero, infatti, che la maggioranza delle disposizioni ivi contenute stabiliscono criteri dotati di un basso grado di astrattezza, ma e anche vero che in esse si trovano formulate alcune esigenze relative all'efficacia del servizio, a un'adeguata distribuzione geografica degli impianti, e così via, che lasciano comunque, in sede di attuazione, un sufficiente spazio di discrezionalità alle scelte regionali. Gli unici obblighi previsti sono quelli relativi alla necessita di adottare un piano di azionalizzazione della rete distributiva nel territorio regionale, al dovere di predisporlo entro la data del 31 marzo 1979 e al susseguente obbligo di comunicarlo al Ministro dell'industria entro la stessa data. Ma, com'é evidente, si tratta di comportamenti dovuti, peraltro non sanzionati, diretti a porre alcuni punti fermi essenziali relativi al modo di procedere da parte delle regioni affinchè sia assicurato un coordinamento delle politiche regionali in materia, in mancanza del quale non sarebbe neppure possibile la stessa funzione di indirizzo affidata dall'art. 52, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977 al Governo.
Del resto, affermare che le direttive non possono costituire una forma, ancorchè surrettizia, di esercizio diretto delle funzioni delegate, non significa certo che esse non possano prevedere doveri, come quello di predisporre un piano, ovvero termini temporali per l'adozione o la comunicazione dello stesso. Non si può escludere, infatti, che il carattere concreto e dettagliato o il vincolo puntuale eventualmente connessi a qualche disposizione possano riguardare singoli elementi della funzione interessata, al fine di ricondurla a parametri generali di uniformità e di coordinamento: ciò che non é permesso é che la specifica funzione considerata possa essere complessivamente degradata, attraverso un uso improprio del potere di direttiva, a un'attività vincolata, priva di un sufficiente grado di discrezionalità.
4.3. - La Regione Veneto impugna i punti 10 e 11 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, anzichè prevedere direttive sull'esercizio di competenze delegate, interverrebbero sul riparto di competenze fra comuni e regioni, affidando a queste ultime, con lo strumento improprio dell'atto amministrativo e pertanto in violazione della riserva di legge contenuta nell'art. 118, secondo comma, Cost., competenze che l'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 assegna ai Comuni.
Più in particolare, il punto 10 dispone che le regioni, <per il rilascio delle autorizzazioni (...) per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato, ubicati all'interno di stabilimenti, cantieri e simili>, debbono accertare le reali finalità connesse al tipo di attività svolta dagli operatori. Il punto 11 stabilisce, invece, che <le regioni provvedono anche al rilascio della autorizzazione per l'installazione di impianti di distribuzione di carburanti destinati all'esclusivo rifornimento di natanti, ferme restando le facoltà spettanti alla competente autorità marittima>.
Il problema che ambedue le disposizioni pongono e che ha indotto le ricorrenti a sospettarne l'illegittimità deriva dal fatto che, mentre le statuizioni appena lette sembrano ritenere che l'autorizzazione all'installazione dei distributori di carburanti sia di spettanza delle regioni, al contrario l'art. 54, lett. J), del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuisce ai comuni la competenza a rilasciare, sulla base delle prescrizioni del C.I.P.E. e nell'ambito di criteri generali determinati dalla regione, <l'autorizzazione> all'installazione di distributori di carburanti nel territorio comunale, ad eccezione di quelli ubicati sulle autostrade. In altri termini, poichè le disposizioni impugnate sembrano operare una redistribuzione di competenze difforme tanto dalla norma legislativa appena menzionata, quanto dai principi di cui all'art. 118, secondo comma, Cost., se ne chiede l'annullamento.
Tuttavia, di fronte a una formulazione tutt'altro che chiara, prima di accogliere eventuali censure d'illegittimità, l'interprete deve verificare, come si é precedentemente ricordato ad altro proposito (v. sopra, 4.l.2.), se le disposizioni impugnate possono esprimere almeno un significato non contrastante con le leggi ad esse sopraordinate e, in particolare, con l'art. 54, lett. f) del d.P.R. n. 616 del 1977, che prevede l'<autorizzazione> comunale per l'installazione e l'esercizio dei distributori di carburanti. Ad una considerazione sistematica dell'intero decreto appare chiaro che il Governo, nell'emanare l'atto impugnato, non ha inteso pretermettere il livello comunale con riferimento alla installazione dei distributori di carburante (garantito, per l'appunto, al n. 13 dello stesso decreto).
Pertanto, le ambigue formule contenute nei punti 10 e 11, se non debbono essere interpretate in contraddizione con altre disposizioni del decreto stesso e con le leggi che ne stanno a fondamento, possono essere intese soltanto come un riconoscimento alle regioni di funzioni ulteriori in relazione al rilascio della predetta <autorizzazione>, come quelle di stabilire indirizzi o criteri in ordine a tale provvedimento o, più in generale, alla materia dei distributori oggetto della disciplina contenuta nelle disposizioni impugnate.
Così interpretate, le direttive formulate dal Governo nei punti contestati possono acquistare un senso che altrimenti non avrebbero, o, se lo avessero, sarebbe illegittimo: un senso che, mentre in un caso (punto 10), porta a configurarle come direttive vincolanti le regioni a prevedere severi accertamenti in relazione al rilascio della <autorizzazione> all'installazione dei distributori ad uso privato (v. anche supra 4.2.2), nell'altro (punto 11), invece, come indirizzi volti a esigere un coordinamento fra le competenze regionali in ordine ai distributori adibiti all'esclusivo rifornimento dei natanti e quelle conservate in materia alla competente autorità marittima. In ambo i casi si tratta, comunque, di direttive che rientrano perfettamente nei poteri propri dello Stato nei confronti dell'esercizio di funzioni delegate alle regioni.
4.4. - Anche l'ultima delle questioni proposte, quella relativa al punto 13 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, comporta problemi analoghi.
Le Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana ritengono che la disposizione impugnata, nel prevedere che l'autorizzazione prevista dall'art. 54, lett. J), del d.P.R. n. 616 del 1977 é necessaria per il rilascio delle concessioni per l'installazione di nuovi distributori o di nuove attrezzature presso impianti già esistenti ovvero per il rinnovo delle concessioni in scadenza per il trasferimento degli impianti su nuove ubicazioni, contrasti con il predetto art. 54 e con l'art. 118, secondo comma, Cost. per una duplice e alternativa ragione: in quanto prevede una concessione regionale in luogo di quella comunale oppure in quanto ne subordina illegittimamente il rilascio a una preventiva autorizzazione comunale.
Per questi profili i ricorsi vanno rigettati poichè, anche in tal caso, la pur infelice e oscura formulazione del punto 13 può ricevere un'interpretazione in armonia con le norme di legge e della Costituzione rispetto alle quali si suppone il contrasto. E questa interpretazione é quella che conferisce al punto contestato un valore essenzialmente descrittivo, nel senso che con il punto 13 non si intende affatto introdurre, per via amministrativa, nuove competenze in ordine ai provvedimenti concessori collegati all'installazione o all'esercizio degli impianti di distribuzione dei carburanti, ne subordinare ipotetiche concessioni regionali all'autorizzazione comunale, ma si mira semplicemente a descrivere, per via interpretativa, i casi in cui va adottata l'<autorizzazione> prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977.
Per essere più precisi, va ricordato che, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative sui distributori di carburante (art. 52, lett. a) e, nel contempo, nell'attribuire ai comuni il potere di rilasciare l'<autorizzazione> per l'installazione e l'esercizio dei distributori stessi (art. 54, lett. J), il d.P.R. n. 616 del 1977 ha effettuato una ripartizione di competenze con forme al di segno costituzionale, affidando alle regioni la programmazione e l'indirizzo e ai comuni l'amministrazione attiva e la gestione concreta del settore. Per non apparire in contrasto con tale quadro costituzionale, il punto 13 non può essere interpretato come diretto a prevedere, per via amministrativa, una concessione regionale e, tantomeno, una concessione subordinata a una preventiva autorizzazione comunale (come potrebbe far pensare un'affrettata analogia con il vecchio parere comunale). Al contrario, esso può e deve esser interpretato come una norma svolgente una funzione esplicativa e indicativa dei casi in cui l'<autorizzazione> spettante al comune, in base al ricordato art. 54, va rilasciata.
Nè, in senso contrario, può valere l'argomento letterale per cui il punto 13, al pari dell'art. 54, lett. J), del d.P.R. n. 616 del 1977, parla di <autorizzazione>, ritenendola necessaria per il rilascio di una serie di concessioni (per nuove attrezzature, per il trasferimento di impianti, etc.). Come é unanimemente riconosciuto in dottrina, il provvedimento che l'art. 54 e la disposizione ora impugnata chiamano autorizzazione é, in realtà, una concessione. Di modo che, ove lo si intenda nel suo significato sostanziale, il punto 13 dice semplicemente che il provvedimento concessorio, di cui al predetto art. 54, va necessariamente adottato per tutte le susseguenti ipotesi di concessione ivi menzionate.
E che quel provvedimento, come precisa ancora il richiamato art. 54, sia di spettanza del comune, non può certo venir contraddetto dalla pretesa inidoneità di tale ente a valutare gli interessi sottesi alla materia, i quali non sono del tutto circoscrivibili all'ambito meramente locale. Infatti, contro questa assunzione sta, innanzitutto, il rilievo che il comune e in ogni caso l'autorità pubblica preposta all'adozione dei provvedimenti amministrativi di disposizione e di uso concreto del territorio; in secondo luogo sta il fatto che le concessioni comunali si iscrivono, a norma del citato art. 54, in un tessuto di interessi già delineato sia a livello nazionale (indicazioni del C.I.P.E.), sia a livello regionale (piano di razionalizzazione della rete dei distributori, indirizzi e criteri); e, infine, non si può trascurare il rilievo che, anche coloro che intendono ridurre la competenza del comune a un atto interno al procedimento concessorio (che si assume, in ipotesi, di spettanza regionale), non negano che, comunque, l'espressione di una volontà contraria del comune sia talmente decisiva da impedire il rilascio della concessione stessa.
In definitiva, tanto un'interpretazione adeguatrice e sistematica della disposizione impugnata, quanto la collocazione degli interessi sottesi alla ripartizione di competenze fra regioni e comuni nella materia considerata, portano a conferire al punto 13 un senso meramente descrittivo delle ipotesi in cui appare necessario il provvedimento previsto nell'art. 54, lett. J), del d.P.R. n. 616 del 1977. Anche se si può dubitare dell'efficacia di una disposizione del genere, resta il fatto che, solo se interpretato in tal modo, il punto 13 non appare lesivo delle competenze delegate alle regioni in materia di distributori di carburanti (art. 52, lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
nei riuniti giudizi per conflitto di attribuzione, di cui in epigrafe,
dichiara:
a) inammissibili i conflitti di attribuzione promossi dalle Regioni Lazio e Toscana relativamente ai punti nn. 4, penultimo comma, 6 e 7 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 dal titolo <Direttive alle regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione di carburanti>, proposti con i ricorsi indicati in epigrafe;
b) che spetta allo Stato impartire le direttive alle regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni in materia di distributori di carburanti con i contenuti di cui ai punti nn. 4, nel suo complesso, 8 e 15 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, citato sub a), e nn. 6 e 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 dal titolo <Aggiornamento delle direttive alle regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione>;
c) che spetta allo Stato impartire le direttive alle regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni in materia di distributori di carburanti con i contenuti di cui ai punti nn. 9, 10, 11, 13 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 così come interpretati in motivazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/05/88.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Antonio BALDASSARRE, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 19 Maggio 1988.