Sentenza n. 39 del 1957
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SENTENZA N. 39

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI,

ha pronunziato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, notificato il 24 ottobre 1956, depositato nella cancelleria della Corte il 31 dello stesso mese ed iscritto al n. 62 del Reg. ric. 1956, per dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'intera legge - in particolare degli articoli di essa 1, 2 (in relazione all'art. 5), 3, 4, 7, 8, 9, 10 e 11 - avente per oggetto delega alle Province di Trento e di Bolzano delle funzioni amministrative in materia di agricoltura, foreste, corpo forestale, patrimonio zootecnico e ittico, apicoltura, caccia e pesca, opere di bonifica, approvata dal Consiglio regionale della Regione Trentino - Alto Adige nella seduta 3 ottobre 1956 in reiezione del rinvio governativo del 2 agosto 1956. Il Presidente del Consiglio dei Ministri é rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Visto l'atto di costituzione in giudizio, con deposito nella cancelleria delle proprie deduzioni in data 12 novembre 1956, del Presidente della Giunta regionale della Regione Trentino - Alto Adige, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Guicciardi e Carlo Tinzl;

udita nell'udienza pubblica del 6 febbraio 1957 la relazione del Giudice Gaetano Azzariti;

uditi il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini e i difensori della Regione avvocati Carlo Tinzl e Enrico Guicciardi.

 

Ritenuto in fatto

 

In data 3 ottobre 1956 il Consiglio regionale della Regione Trentino - Alto Adige, dopo che il Governo della Repubblica aveva ad esso rinviato con propri rilievi il disegno di legge precedentemente deliberato, approvò per la seconda volta la legge avente per oggetto "delega alle Province autonome di Trento e di Bolzano di funzioni amministrative nelle materie di agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, apicoltura, caccia e pesca e opere di bonifica".

Con ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale il 24 ottobre 1956, il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, ha promosso davanti a questa Corte il giudizio di legittimità costituzionale della detta legge, della quale la disposizione fondamentale é contenuta nell'art. 2, dove, in termini generali, viene disposto che le funzioni amministrative, di cui in una serie di leggi statali elencate nell'art. 1, spettanti alla Regione in base all'art. 13 dello Statuto, sono delegate, ai sensi dell'art. 14 dello Statuto medesimo, alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Si sostiene nel ricorso la illegittimità costituzionale di questa disposizione fondamentale e, con essa, dell'intera legge, per due ordini di considerazioni.

In primo luogo si osserva che nel sistema dello Statuto speciale per il Trentino - Alto Adige, la Regione, da un lato, e le due Province di Trento e di Bolzano, dall'altro, hanno sfere di competenza legislativa e amministrativa tassativamente stabilite e perciò la Regione non può trasferire alle Province le funzioni amministrative delle quali é titolare, ma potrebbe solo, secondo l'art. 14 dello Statuto, delegarne alle Province il semplice esercizio esecutivo, rimanendo sempre presso di essa la titolarità delle funzioni, il controllo pieno del loro esercizio e il relativo onere di bilancio. Contraria al sistema dello Statuto sarebbe perciò la legge la quale disporrebbe il trasferimento pieno alle Province delle funzioni amministrative della Regione, come l'esame dei singoli articoli pone in evidenza.

In secondo luogo, si sostiene nel ricorso che la delega disposta dalla legge non é ammissibile perché generica e indeterminata, in quanto la legge, per indicare quali siano le funzioni che delega, si limita a richiamare l'art. 13 dello Statuto. In questo vi é bensì la enunciazione del principio che "nelle materie in cui la Regione o la Provincia può emanare norme legislative, le relative potestà amministrative, che in base all'ordinamento preesistente erano attribuite allo Stato, sono esercitate rispettivamente dalla Regione o dalle Province"; ma la enunciazione di questo principio non ha operato un automatico passaggio effettivo dallo Stato alla Regione o alle Province delle funzioni amministrative e degli organi che le esercitano. A tale scopo sono necessarie disposizioni le quali stabiliscano le modalità del trasferimento concreto dei diversi organi e funzioni e definiscano con precisione le competenze regionali e quelle statali, dove le une e le altre sussistono; mentre per molte delle materie indicate dalle leggi statali richiamate nell'art. 1 della legge regionale, non sono state ancora emanate le norme di attuazione dello Statuto. In tale stato di cose una delega generica per funzioni che la Regione ancora non possiede o che norme di attuazione non abbiano ancora ben definite sarebbe in contrasto con l'art. 14 dello Statuto, il quale prevede e consente una delega che deve essere specifica con indicazione precisa delle attività delegate.

A questi due rilievi di carattere generale, che investono, come si é detto, la disposizione fondamentale degli artt. 1 e 2 e la intera legge regionale, segue nel ricorso l'esame particolareggiato di altre disposizioni in questa contenute, che sono anche esse specificamente impugnate.

L'art. 3, dichiarando che i provvedimenti delle Giunte provinciali sono definitivi, contrasterebbe col principio per cui l'atto del delegato é atto del delegante e priverebbe il cittadino del potere di provocare il controllo del delegante, con violazione di un principio generale dell'ordinamento giuridico e dell'art. 14 dello Statuto regionale.

L'art. 7, devolvendo alle Province l'ammontare delle ammende versate dai contravventori delle disposizioni delle leggi elencate nell'art. 1, andrebbe oltre i limiti della competenza legislativa della Regione, la quale competenza non si estende alle norme di carattere finanziario, e specialmente a quelle che disciplinano la destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni pecuniarie.

L'art. 8, relativo alle spese attinenti all'esercizio delle attività delegate, sarebbe illegittimo, in quanto, in luogo del rimborso eventuale di spese effettivamente sostenute, stabilisce un assegno annuale a ciascuna Provincia di un apposito fondo corrispondente al fabbisogno finanziario, fondo che verrebbe a costituire un capitolo di bilancio della Provincia, con libera disponibilità di impiego, mentre le spese relative ad attività delegate dovrebbero essere iscritte nel bilancio dell'ente delegante e contabilmente documentate.

L'art. 9 limita i poteri di controllo e di sostituzione, che la Regione dovrebbe conservare in pieno sugli atti compiuti dalle Province per delegazione. Stabilire che la Regione può impartire direttive solo "nei limiti della potestà regolamentare" ad essa attribuita dallo Statuto e che può sostituirsi alle Province nell'esercizio delle funzioni delegate solo "nel caso di persistente inerzia o violazione di legge o direttive" implica, secondo il ricorrente, attuare in sostanza il trasferimento di autonoma competenza e non già la delegazione dell'esercizio di funzioni che sono proprie della Regione.

Gli artt. 10 e 11 dispongono il trasferimento alle Province di alcuni uffici regionali e del relativo personale. Questo trasferimento - si osserva nel ricorso - non é inerente né conseguenziale alla delega di attività amministrativa ed é poco compatibile con la revocabilità della delega e, dall'altro canto, nessuna norma statutaria consente alla Regione di stabilire uffici provinciali o di costituire rapporti di impiego presso le Province.

Chiede perciò la difesa dello Stato che la Corte dichiari la illegittimità costituzionale della legge denunciata e comunque dei suoi artt. 1, 2, 3, 7, 8, 9, 10 e 11.

Nelle deduzioni della Regione, depositate in cancelleria il 12 novembre 1956, viene innanzi tutto eccepito la inammissibilità del ricorso della Presidenza del Consiglio perché, in ordine ai vari articoli impugnati, per uno di essi (art. 4) nessuna questione di legittimità costituzionale é sollevata, e per tutti gli altri non sono indicate le disposizioni della Costituzione o dello Statuto regionale che si assumono violate: il che - si osserva dalla Regione - ha la sua spiegazione nel fatto che le censure mosse col ricorso alla legge regionale attengono non a violazione di leggi costituzionali, sibbene a contrasti con concezioni giuridiche del tutto soggettive del ricorrente.

Così, in ordine agli artt. 1 e 2, la tesi che la Regione non possa delegare le sue funzioni amministrative prima che siano emanate norme di attuazione costituirebbe una opinione soggettiva del Governo, in contrasto con lo spirito della Costituzione, perché farebbe dipendere esclusivamente dalla solerzia o dal beneplacito del potere esecutivo l'applicabilità di norme costituzionali.

Egualmente l'asserita illegittimità degli artt. 3 e 9 deriverebbe soltanto da una concezione tutta particolare del ricorrente circa la delegazione prevista dall'art. 14 dello Statuto e dalla mancata percezione della sostanziale differenza che passa tra questa e la ordinaria delegazione amministrativa che può aversi nell'interno di un rapporto gerarchico.

Quanto all'art. 7 relativo alla destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni pecuniarie, si osserva dalla Regione che la destinazione di tali proventi, quale é stabilita dalle varie leggi dello Stato, é espressamente mantenuta ferma dal detto articolo, il quale si limiterebbe ad indicare l'autorità che, in seguito alla delegazione, dovrà provvedere a tale destinazione, in luogo di quelle altre autorità che finora vi hanno provveduto.

Nega poi la Regione che con l'art. 10 vi sia una indebita ingerenza nell'organizzazione degli uffici provinciali, perché tale articolo riguarda alcuni uffici che appartenevano allo Stato e da questo furono "passati" alla Regione con l'art. 86 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 754, insieme col trasferimento ad essa dei servizi in materia di agricoltura, foreste e simili. Nell'ulteriore delegazione alla Provincia dei servizi medesimi, i detti uffici (Ispettorati provinciali dell'agricoltura, Ispettorati ripartimentali forestali, Uffici per la sistemazione dei bacini montani) vengono ora "passati" alle due Province autonome.

Con l'art. 11 - osserva la Regione - si é ovviamente provveduto per la sistemazione del personale già in servizio presso gli uffici regionali che si occupavano, fino al momento della delega, dei servizi delegati e si é provveduto col pieno rispetto della volontà così del personale interessato come dell'amministrazione dello Stato e delle Province autonome. Non vi é quindi esorbitanza dai poteri della Regione.

Le censure, infine, mosse con il ricorso alla disposizione dell’ art. 8, riguarderebbero pretesi errori nella impostazione contabile delle spese inerenti alle funzioni delegate: il che, se anche gli errori vi fossero, non costituirebbe illegittimità costituzionale.

In conclusione, pertanto, secondo la difesa della Regione, il ricorso della Presidenza del Consiglio enuncia criteri giuridici amministrativi e tecnici diversi da quelli ai quali la legge impugnata si é ispirata, e non già una difformità delle disposizioni della legge con le norme costituzionali, e perciò il ricorso deve essere respinto, anche se quei criteri fossero - e non lo sono - tutti apprezzabili.

Sono state poi depositate nella cancelleria, in data 24 gennaio, memorie, nelle quali ciascuna delle parti sviluppa le proprie argomentazioni, insistendo entrambe soprattutto sul problema fondamentale di carattere generale della interpretazione dell'art. 14 dello Statuto, al fine di una precisa determinazione dell'istituto della delegazione delle funzioni amministrative quale é nel detto articolo disciplinato, in ordine al quale istituto le opinioni da ciascuna parte sostenute sono tra loro nettamente divergenti.

Nella discussione orale i difensori delle parti hanno illustrato le tesi sostenute negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

La eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa della Regione per mancata indicazione delle norme costituzionali che sarebbero violate non é fondata, perché nel ricorso é precisamente indicata la disposizione dell'art. 14 dello Statuto regionale, con la lettera e lo spirito della quale si assume che la legge sarebbe in contrasto; e tutte le censure relative ai singoli articoli presi in esame dal ricorrente si risolvono, come é espressamente dichiarato nel ricorso, nel dedurre la violazione della detta disposizione statutaria. Del resto negli stessi scritti difensivi della Regione si riconosce e si afferma che la controversia proposta dalla Presidenza del Consiglio ha per oggetto la interpretazione del detto articolo 14 dello Statuto: e perciò non può parlarsi di inosservanza dell'art. 23, lett. b, della legge 11 marzo 1953, n. 87, che renda inammissibile il ricorso.

Quanto poi all'art. 4 della legge impugnata, in ordine al quale nessuna specifica questione di legittimità costituzionale nel testo del ricorso verrebbe dedotta, é da notare che il detto articolo non é nemmeno menzionato, nelle conclusioni del ricorso medesimo, tra quelli, dei quali sia specificamente richiesta la dichiarazione di illegittimità costituzionale, per il caso che la Corte non ritenesse di dichiarare costituzionalmente illegittima l'intera legge, come nel ricorso principalmente é richiesto.

La controversia sottoposta all'esame della Corte costituzionale si impernia sostanzialmente, come si é già accennato, sulla interpretazione dell'art. 14 dello Statuto speciale per il Trentino - Alto Adige, dove é disposto: "La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni e ad altri enti pubblici o valendosi dei loro uffici". É bene ricordare che identica disposizione é dettata nello Statuto speciale per la Sardegna (art. 44) e, in generale per le regioni, nell'ultimo comma dell'art. 118 della Costituzione. Manca invece nello Statuto per la Valle d'Aosta, dove non vi sono province, e manca altresì nello Statuto per la Regione siciliana, probabilmente perché l'art. 15 del detto Statuto, da un lato, dichiara che le circoscrizioni provinciali sono soppresse nell'ambito di quella Regione e, dall'altro lato, affida alla legislazione esclusiva della Regione stessa l'ordinamento degli enti locali nel quadro di alcuni principi generali ivi indicati.

Salvo queste due eccezioni, comune a tutte le Regioni é la delegazione amministrativa da parte della Regione alle Province e ad altri enti pubblici locali, come del resto la simile delegazione da parte dello Stato alle Regioni, prevista egualmente negli statuti speciali delle varie Regioni e nell'art. 118, comma secondo, della Costituzione. Può dirsi quindi un istituto generale del nuovo ordinamento regionale italiano, che non trova precedenti di rilievo nell'ordinamento anteriore, perché la delegazione di funzioni amministrative da un ente pubblico ad un altro ente pubblico, se non proprio sconosciuta al nostro diritto positivo, come nella memoria difensiva della Regione é affermato, era indubbiamente nel passato rarissima e su di essa né dottrina né giurisprudenza si sono formate.

Di questo nuovo istituto giuridico la prima concreta applicazione é stata fatta con la legge della Regione Trentino - Alto Adige, che é oggetto di questo giudizio. Sono perciò spiegabili le perplessità ed incertezze, le quali hanno provocato la impugnazione.

Premessa necessaria per la decisione della Corte, come entrambe le parti concordemente richiedono, sono la determinazione della natura e dei caratteri di questo nuovo tipo di delegazione e la precisazione dell'oggetto stesso di essa.

La disposizione dell'art. 14 sopra trascritta é strettamente collegata con quella del precedente art. 13, il quale, nel primo comma, indica le potestà amministrative che sono attribuite alla Regione, e, nel terzo comma, prevede che lo Stato può inoltre delegare alla Regione (come pure ad altri enti pubblici locali) funzioni proprie della sua amministrazione. Vi sono a dunque funzioni amministrative proprie della Regione e possono esservi anche funzioni amministrative dello Stato da questo delegate alla Regione.

Non tutte queste funzioni amministrative possono formare oggetto di delegazione da parte della Regione, nonostante la generalissima dizione dell'art. 14. Ne sono escluse sicuramente quelle che lo Stato abbia ad essa delegate, non solo per il principio generale e notissimo che il delegato non può a sua volta delegare, ma anche, più specificamente, perché vi osta la menzionata disposizione del comma terzo dell'art. 13, secondo la quale le funzioni proprie dell'amministrazione dello Stato possono essere da questo delegate tanto alla Regione quanto alle Province o ad altri enti pubblici locali; il che rende chiaro che spetta allo Stato scegliere l'ente al quale ritenga di delegare proprie funzioni amministrative. In questa scelta non può evidentemente la Regione sostituirsi allo Stato, come avverrebbe se passasse ad altri enti l'esercizio delle funzioni ad essa delegate dallo Stato.

La delegazione prevista dall'art. 14 dello Statuto si riferisce a dunque solo alle funzioni che sono proprie della Regione, a quelle cioè che sono contemplate nel primo comma dell'art. 13, rispetto alle quali peraltro saranno fatte in seguito alcune distinzioni. Per il momento, interessa mettere in rilievo che dalla disposizione dell'art. 14 sarebbe erroneo dedurre che l'attribuzione di funzioni amministrative fatta alla Regione con l'art. 13, primo comma, dello Statuto sia attribuzione soltanto nominale di una vacua titolarità delle funzioni stesse, rimanendo interdetto l'effettivo esercizio di esse da parte della Regione. Parecchie norme vi sono nella Costituzione - dove, come si é detto, vi é un precetto identico a quello dell' art. 14 dello Statuto per la Regione Trentino - Alto Adige - le quali prevedono l'esercizio diretto di funzioni amministrative da parte della Regione. Così, per esempio, di "provvedimenti amministrativi della Regione" parla l'art. 123; "funzioni amministrative esercitate dalla Regione" sono menzionate nell'art. 124; il "controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione" é regolato nell'art. 125 e via di seguito.

Nessun dubbio può quindi esservi che l'attribuzione alle Regioni delle potestà amministrative, delle quali parla il primo comma dell'art. 13, é attribuzione piena, comprensiva così della titolarità, come dell'esercizio delle funzioni. Sorge così il problema, ampiamente discusso tra le parti nel presente giudizio, se la "delegazione" implichi trasferimento pieno delle potestà amministrative della Regione, come una parte inclina a ritenere, ovvero rifletta solo l'esercizio delle funzioni amministrative che sono esplicazione delle dette potestà, come l'altra parte afferma.

La interpretazione letterale del testo dello Statuto potrebbe lasciare perplessi. Lo stesso termine "delegazione" é generico, perché suole spesso essere usato, anche nelle leggi, in senso non tecnico e potrebbe anche darsi, come la difesa della Regione sostiene, che sia adoperato impropriamente nell'art. 14. É vero anche che tanto nell'art. 13 quanto nell'art. 14 non si parla di delegazione dell'esercizio di funzioni, ma di "delegazione delle funzioni", la quale ultima espressione a rigore potrebbe far pensare ad un trasferimento pieno della potestà amministrativa. Ma non é sicuro che l'espressione sia usata proprio in questo senso. Per ciò che riguarda le simili delegazioni fatte dallo Stato e previste dall'art. 13, vi sono nello Statuto medesimo disposizioni le quali, prevedendo istruzioni del Governo alle quali la Regione deve conformarsi (art. 35) e vigilanza del rappresentante del Governo sull'esercizio delle funzioni delegate dallo Stato (art. 72, n. 2), mostrano chiaramente che si tratta solo di delegazione dell'esercizio delle funzioni e non di trasferimento delle funzioni stesse dallo Stato alla Regione.

Non può essere diversamente per le delegazioni fatte dalla Regione alle Province o ad altri enti, alle quali si riferisce l'art. 14. La formulazione di questo articolo "La Regione esercita le funzioni amministrative, delegandole alle Province. . . " sembra configurare la "delegazione delle funzioni" come modo di esercizio delle funzioni stesse da parte della Regione, tanto più che sullo stesso piano, alternativamente, é posta l'altra facoltà data alla Regione medesima, omettendo ogni delegazione ad altro ente, di valersi degli uffici di questo, come se fossero uffici suoi propri, limitatamente, si intende, all'esercizio delle dette funzioni. Questo sembrerebbe confermare che anche nel caso di delegazione all'ente, non il trasferimento della potestà amministrativa, ma soltanto l'esercizio delle funzioni la norma statutaria prende in considerazione.

L'interpretazione sistematica, più ancora di quella letterale, convince che la delegazione prevista dall'art. 14 dello Statuto non può essere che delegazione di esercizio delle funzioni amministrative delle quali la Regione é titolare. Le potestà amministrative a questa attribuite statutariamente non potrebbero essere trasferite ad un altro ente pubblico, perché questo significherebbe modificare con legge regionale norme costituzionali di competenza, che sono, come é noto, cogenti. L'esercizio effettivo delle funzioni amministrative, che sono esplicazione delle potestà istituzionalmente sue proprie, potrà perciò dalla Regione essere delegato alle Province o ai Comuni o ad altri enti pubblici locali, ma la titolarità delle funzioni stesse deve rimanere alla Regione.

Da ciò deriva che per effetto della delegazione e dei limiti di essa l'ente delegato non esercita funzioni che siano diventate sue proprie, ma esercita funzioni dell'ente delegante e che quest' ultimo, appunto perché rimanendo titolare delle dette funzioni ha sempre il dovere di curare che con esse siano conseguiti i fini di interesse generale ai quali tendono, non può disinteressarsi del modo come le dette funzioni siano effettivamente esercitate per effetto della delegazione. All'ente delegante spettano perciò poteri di vigilanza, di controllo e di sostituzione, ai quali con l'atto di delegazione non potrebbe rinunziare senza alterare l'istituto previsto nell'art. 14 dello Statuto.

Si osserva in contrario dalla difesa della Regione che quei poteri potrebbero trovare fondamento giuridico solo nella preesistenza di un rapporto gerarchico, che non vi é tra enti pubblici i quali sono tra loro in condizione di parità, e perciò al delegante non può spettare alcun potere giuridico nei confronti del delegato o dei suoi atti, salva la facoltà di revocare eventualmente la delegazione: il che dovrebbe essere fatto con legge e per di più su di questa dovrebbe essere preventivamente sentito l'ente delegato.

L'obiezione non é fondata. Nessun dubbio che un rapporto gerarchico vero e proprio tra gli enti non esiste; ma é pure innegabile che la delegazione crea necessariamente un rapporto particolare, il quale, comunque si ritenga di denominarlo, giustifica, per le ragioni esposte, il potere di vigilanza dell'ente delegante, non certo sull'ente delegato, ma solo sugli atti che questo compie per effetto della delegazione.

In contrario non varrebbe nemmeno invocare la particolare autonomia di cui godono le Province di Trento e di Bolzano, alle quali nel caso presente la delegazione é fatta. L'autonomia riflette l'attività che é propria dell'ente pubblico e l'esercizio delle funzioni che rientrano nella sua competenza istituzionale, non già gli atti che esso compie per delegazione. Si consideri che l'autonomia della Regione non é certo inferiore a quella delle Province: ciò nonostante lo Statuto per il Trentino - Alto Adige espressamente dispone, come si é ricordato, che la Regione, per l'esercizio delle funzioni delegatele dallo Stato, deve conformatasi alle istruzioni del Governo (art. 35) ed é soggetta alla vigilanza di organi governativi (art. 76, n. 2). Questa disposizione é dettata anche per le due Province autonome di Trento e di Bolzano per il caso che la delegazione sia ad esse fatta dallo Stato. Nessuna ragione vi sarebbe per escludere che lo stesso si verifichi nelle ipotesi di delegazione da parte della Regione, la quale delegazione, secondo l'art. 14, potrebbe del resto essere fatta indifferentemente così alle due Province autonome, come ai comuni e ad altri enti pubblici locali: il che riprova che il concetto di autonomia é del tutto estraneo e indifferente al fine della delegazione.

Dalla configurazione della delegazione, come innanzi é stata delineata, deriva altresì la conseguenza che non può esservi una delegazione generica e indeterminata, come, per esempio, per funzioni amministrative presenti e future, quali che esse possano essere, in certe materie. La delegazione deve essere specifica con precisa indicazione delle funzioni delle quali l'esercizio viene delegato. Se così non fosse, la Regione non avrebbe la possibilità di dare concrete direttive, alle quali l'ente delegato dovrebbe conformarsi, né di esercitare alcuna vigilanza sull'esercizio effettivo delle funzioni. D'altro canto l'ente delegato non sarebbe in grado di conoscere esattamente l'oggetto della delegazione e dovrebbe perfino sostituirsi all'ente delegante nella determinazione della sfera delle potestà proprie di questo, dalle quali derivano le funzioni che dovrebbe esercitare per delegazione.

Fissati in tal modo i caratteri fondamentali dell'istituto previsto nell'art. 14 dello Statuto, occorre esaminare se nella delegazione concretamente disposta con la legge regionale impugnata tale carattere sia rispettato e bisognerà anche accertare se le funzioni amministrative alle quali la legge si riferisce rientrino tra quelle che possono formare oggetto di delegazione.

In ordine al primo punto, l'esame della disposizione fondamentale della legge, che é dettata nell'art. 2, non offre elementi sicuri di giudizio. Ivi é stabilito: "Le funzioni amministrative. . . sono delegate. . . alle Province. . . ". Si tratta della stessa formula usata negli artt. 13 e 14 dello Statuto, la quale, come si disse, non esprime necessariamente il concetto di un trasferimento pieno di potestà amministrativa. Se la legge regionale abbia inteso disporre un tale trasferimento, piuttosto che delegare soltanto l'esercizio di funzioni amministrative, risulterà meglio dalle altre disposizioni che regolano in modo concreto la delegazione.

Si devono qui prendere specialmente in considerazione le norme degli artt. 3, 7, 8, 9, 10 e 11 che formano oggetto di particolare impugnazione col ricorso del Governo dello Stato.

L'art. 3 dispone che le funzioni delegate alle due Province sono esercitate dalle Giunte provinciali e dai loro Presidenti anche a mezzo dei propri organi ed uffici e che le deliberazioni delle Giunte provinciali, anche su ricorso avverso atti di altri organi delle Province, sono definitivi. La difesa dello Stato osserva che questa disposizione contrasterebbe col principio che l'atto del delegato é atto del delegante e priverebbe il cittadino del potere di provocare il controllo del delegante, con violazione di un principio generale del nostro ordinamento.

In sostanza, la disposizione dell'art. 3 esclude che l'atto amministrativo compiuto per delegazione sia suscettibile di impugnazione con ricorso alla Regione. Naturalmente si tratterebbe di quello che suole essere denominato ricorso gerarchico improprio. Si potrebbe qui osservare che manca nella nostra legislazione una disciplina organica generale di questo istituto, del quale si occupano invece varie leggi con disposizioni particolari. Si potrebbe anche ricordare che dalle decisioni della giurisprudenza non sembra potersi trarre una regola assoluta per affermare in modo reciso che i provvedimenti adottati per delegazione siano in ogni caso impugnabili con ricorso all'autorità delegante, quando tra questa e l'autorità delegata non vi sia un rapporto gerarchico vero e proprio. Tuttavia é innegabile che l'espressa esclusione fatta con l'art. 3 di ogni ricorso alla Regione, messa specialmente in relazione con la contemporanea espressa menzione del ricorso alla Giunta provinciale avverso agli atti delegati, indurrebbe a ritenere che effettivamente, col delegare alla Provincia le funzioni amministrative, la Regione abbia inteso trasferire ad essa tutti i suoi poteri, rinunziando a qualsiasi doverosa vigilanza sull'esercizio delle funzioni delegate.

Nessuna relazione con una delegazione di esercizio di funzioni amministrative può avere la disposizione dell'art. 7 della legge che devolve alle Province l'ammontare delle ammende versate dai contravventori delle disposizioni delle leggi dalle quali derivano le funzioni amministrative che vengono delegate. Vero é che l'art. 7 aggiunge: "a norma di quanto prescrivono le vigenti leggi dello Stato". Ma sfugge il significato di questa aggiunta, perché nessuna legge statale vi é che prescriva la integrale devoluzione dell'importo delle ammende alle Province e, se qualche legge dello Stato esiste che dia una particolare destinazione ad una parte dell'ammontare delle ammende riscosse per infrazioni a determinati precetti legislativi, nessun intervento da parte della Regione, nemmeno in via interpretativa, potrebbe occorrere per mantenere in piena efficacia le leggi dello Stato. É soprattutto da notare che l'ammenda é una pena consistente "nel pagamento allo Stato" di somme determinate (art. 26 Cod. pen. ) e quindi lo Stato é l'ente a cui, in base alla legge penale, che, come questa Corte decise con sentenza n. 6 dell'anno 1956, non rientra in alcun modo nella competenza legislativa della Regione, spetta l'ammontare delle ammende riscosse. La Regione, come non può mai emanare norme relative all'esercizio del magistero punitivo, così non può in nessun modo dare una qualsiasi destinazione ai proventi delle ammende, devolvendole a se stessa o ad altri enti pubblici.

L'art. 8 della legge é pure impugnato dalla difesa dello Stato in quanto il sistema ivi stabilito di assegnazione annuale a ciascuna Provincia di un fondo corrispondente al fabbisogno finanziario per raggiungere le finalità dei compiti ad esse delegati sarebbe qualche cosa di diverso del rimborso delle spese effettivamente sostenute dalle Province per l'esercizio delle funzioni oggetto delle delegazioni. É questo un rilievo che riguarda il lato puramente tecnico del sistema, piuttosto che la sostanza della disposizione, la quale rende chiaro che si tratta di anticipazione di somme, delle quali deve poi essere dato conto alla fine di ogni esercizio finanziario, perché la parte che supera sia trasferita all'esercizio finanziario successivo ed utilizzata secondo la destinazione del relativo bilancio della Regione e non già della Provincia.

Particolarmente notevole é l'art. 9 che si occupa del "controllo della Regione sull'amministrazione delegata", il quale controllo risulta peraltro attenuato in modo tale da svanire quasi del tutto. Vi é bensì nell'art. 9 l'affermazione che la Regione può "stabilire direttive, cui le Province devono attenersi", ma contemporaneamente é spiegato che tale facoltà può essere esercitata solo "nell'esercizio e nei limiti della potestà regolamentare di cui all'art. 38, punto 1, dello Statuto". Si può qui osservare che l'articolo 38 dello Statuto esclude ogni potestà regolamentare della Regione per leggi statali e che le funzioni delegate alle Province derivano proprio da una serie di leggi dello Stato elencate nell'art. 1 della legge. Ma a parte questa considerazione, deve essere riconosciuta l'esattezza del rilievo della difesa dello Stato che, essendo la potestà regolamentare attività normativa, la disposizione in esame esclude ogni possibilità di direttive per singoli atti e provvedimenti o per gruppi di essi, il che priva sostanzialmente la Regione della titolarità della funzione.

Nel secondo comma dell'art. 9 é detto che la Giunta regionale può chiedere notizie, chiarimenti ed eventualmente ordinare ispezioni sull'andamento dell'amministrazione delegata: ma deve ritenersi che tutto ciò abbia soltanto scopo informativo, perché é escluso ogni potere di intervento, fatta eccezione per il caso di illegittimità consistente in violazione di leggi ovvero di regolamenti contenenti le eventuali direttive regionali, e per l'altro di "persistente inerzia", nei quali casi soltanto il terzo comma del medesimo articolo consentirebbe la sostituzione della Giunta regionale alle Giunte provinciali.

É da riconoscere che questo complesso di disposizioni pone in essere un vero e proprio trasferimento di funzioni, per effetto del quale é attribuita all'ente delegato piena discrezionalità insindacabile dalla Regione, che non può controllarne l'esercizio, fuori dei casi di illegittimità, per i quali non mancherebbe, del resto, l'ordinario ricorso in sede giurisdizionale.

Gli artt. 10 e 11 della legge dispongono il trasferimento alle Province di alcuni uffici della Regione e il passaggio alle dipendenze delle Province medesime del personale dei detti uffici: il che non rientra nei poteri normativi della Regione che può bensì emanare norme legislative relative all'ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto (art. 4, n. 1, dello Statuto) ma non anche relative all'ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto, materia questa ultima rientrante nella potestà legislativa delle Province giusta l'art. 11, n. 1, dello Statuto.

Deve inoltre notarsi che una delegazione accompagnata da trasferimento di uffici dall'ente delegante a quello delegato o di aumento di uffici e di personale di quest'ultimo dovrebbe in generale dirsi contrastante con lo spirito e la finalità del sistema delineato nell'art. 14 dello Statuto. Proprio allo scopo di evitare la creazione di troppi uffici burocratici che i molti compiti affidati all'Ente Regione renderebbero necessari, lo Statuto dispone che la Regione svolga normalmente i suoi compiti amministrativi a mezzo degli uffici già esistenti di altri enti pubblici valendosi dei detti uffici o direttamente o attraverso una delegazione data all'ente a cui gli uffici appartengono. Se la delegazione dovesse portare alla moltiplicazione degli uffici degli enti delegati lo scopo pratico del sistema sarebbe frustrato.

Oltre che per i motivi esposti, dai quali risulta una profonda alterazione dei caratteri dell'istituto giuridico disciplinato dall'art. 14 dello Statuto, la illegittimità costituzionale della legge impugnata sussiste anche per quanto riguarda l'oggetto stesso della delegazione disposta.

Dopo avere elencate nell'art. 1 una serie di leggi dello Stato e quattro leggi regionali, la legge dispone nell'art. 2: "Le funzioni amministrative di cui alle leggi statali elencate nell'art. 1, spettanti alla Regione in base all'art. 13 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 (Statuto). . . sono delegate, ai sensi dell'art. 14 dello Statuto,. . . alle Province autonome di Trento e di Bolzano".

Il richiamo all'art. 13 dello Statuto potrebbe far pensare, come la difesa dello Stato ritiene, che la delegazione alle Province si riferisca anche alle funzioni amministrative dello Stato delegate alla Regione, previste nel terzo comma dell'art. 13. Se così fosse, la disposizione sarebbe illegittima per le ragioni che sono state di sopra esposte.

Durante la discussione orale la difesa della Regione ha però osservato che nessuna delegazione di funzioni amministrative é stata finora fatta dallo Stato alla Regione. Questa osservazione non sarebbe di per sé sufficiente per escludere la illegittimità della norma. Ma é piuttosto da ritenere che, col parlare di funzioni amministrative "spettanti alla Regione" in base all'art. 13 dello Statuto, l'art. 2 della legge intenda riferirsi al primo comma del detto art. 13 dello Statuto e particolarmente alla disposizione secondo la quale "le potestà amministrative che in base all'ordinamento precedente erano attribuite allo Stato, sono esercitate dalla Regione".

La norma riguarderebbe perciò soltanto funzioni amministrative proprie della Regione, indicate nel primo comma dell'art. 13 dello Statuto; ma anche così limitata, la delegazione da essa disposta non cesserebbe di essere generica e indeterminata. In proposito é da considerare che la ricordata norma dell'art. 13, come questa Corte costituzionale ha avuto occasione di decidere con la sentenza n. 9 del 1957 a proposito di analoghe norme contenute in altri Statuti regionali, non opera il passaggio automatico delle funzioni dello Stato alla Regione. Perché tale passaggio avvenga occorre che per le singole materie siano dettate nello Statuto stesso, o in altre leggi, norme particolari che lo dispongano e ne regolino le modalità, come del resto é stato fatto in realtà per parecchie materie con le norme di attuazione finora emanate, tra le quali possono essere ricordate specialmente quelle di cui nel D.P.R. 30 giugno 1951, n. 754, che contiene pure alcune disposizioni generali circa il passaggio degli uffici e dei servizi dallo Stato alla Regione. Queste disposizioni confermano che occorrono "modalità da stabilirsi fra i singoli Ministeri e la Giunta regionale" affinché la Regione possa valersi dell'opera di uffici governativi nell'esercizio delle proprie attività amministrative (art. 83) e che il passaggio dei servizi nelle materie per le quali la Regione assume potestà amministrative per effetto dell'art. 13 dello Statuto avviene solo come "conseguenza" di apposite norme di attuazione dello Statuto medesimo (art. 85).

Tutto ciò evidentemente esclude quel passaggio automatico delle funzioni indicate nel primo comma dell'art. 13, che, secondo la tesi difensiva della Regione, sarebbe avvenuto di diritto con l'entrata in vigore dello Statuto. Di conseguenza, generica e indeterminata é la delegazione in blocco di tutte indistintamente le funzioni amministrative, anche se accompagnata dalla indicazione di materie regolate da una serie di leggi statali. Né questa Corte avrebbe la possibilità di dare il proprio giudizio sulla delegabilità delle singole materie.

Per le leggi, o parti di esse, rispetto alle quali il passaggio non é effettivamente avvenuto perché non ancora emanate norme di attuazione, si tratterebbe di una delegazione in bianco per il futuro. Questa evidentemente é inammissibile, specialmente se si rifletta che non tutte le funzioni amministrative anteriormente attribuite allo Stato potrebbero passare alla Regione. Quelle, per esempio, che superino i limiti della circoscrizione degli interessi regionali dovranno necessariamente continuare ad essere esercitate dallo Stato ovvero potranno esigere un coordinamento dell'attività della Regione con quella di organi governativi. Tutto ciò richiede particolari precisazioni che non potrebbero essere unilateralmente fatte e deliberate dalla Regione e tanto meno dalle Province. Né queste ultime potrebbero sostituirsi alla Regione per provocare ed eventualmente concordare con il Governo dello Stato le norme necessarie per il passaggio di uffici e servizi, il quale passaggio, secondo l'art. 13 dello Statuto, deve avvenire dallo Stato alla Regione, non già alle Province.

Le considerazioni precedenti concorrono tutte nel convincere che la disciplina dettata nella legge impugnata con la delegazione in essa disposta é in contrasto con i caratteri essenziali dell'istituto previsto dall'art. 14 dello Statuto, come sono stati di sopra delineati, e per conseguenza la legge stessa, così come é formulata, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per la sua impostazione generale, dovendo dalla Regione essere data attuazione alla norma dettata nel menzionato articolo dello Statuto col disporre e regolare la delegazione con norme che siano conformi allo spirito e alla finalità della disposizione statutaria, come si é esposto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la illegittimità costituzionale della legge approvata la seconda volta dal Consiglio della Regione Trentino - Alto Adige nella seduta del 3 ottobre 1956, avente per oggetto "delega alle Province autonome di Trento e di Bolzano di funzioni amministrative nelle materie agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico e ittico, apicoltura, caccia e pesca e opere di bonifica", in riferimento alla norma contenuta nell'art. 14 dello Statuto speciale per la detta Regione, ferma la facoltà della Regione di provvedere ad una nuova disciplina della materia nei sensi indicati nella motivazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 febbraio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI

 

Depositata in cancelleria il 9 marzo 1957.