SENTENZA N. 11
ANNO 1959
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale sarda 30 marzo 1957, contenente "Disposizioni relative all'esercizio della caccia", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 5 luglio 1958, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 9 luglio 1958 ed iscritto al n. 19 del Registro ricorsi 1958.
Udita nell'udienza pubblica del 4 febbraio 1959 la relazione del Giudice Mario Bracci;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Raffaello Bronzini, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri, per la Regione autonoma della Sardegna.
Ritenuto in fatto
La legge regionale sarda 30 marzo 1957, contenente "Disposizioni relative all'esercizio della caccia", é costituita da 5 articoli.
Col primo si sancisce che "fino a quando non sarà approvata un'apposita legge regionale, si applicheranno in Sardegna le norme del T.U. approvato col R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, e successive modificazioni, escluse quelle di cui al tit. II, cap. lo del D.P.R. 1 giugno 1955, n. 987".
Col secondo si dispone che le funzioni esercitate dal Ministero o dal Ministro dell'agricoltura, in forza del R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, saranno esercitate rispettivamente dall'Assessorato e dall'Assessore all'agricoltura della Regione: contro i provvedimenti dell'Assessore é dato ricorso alla Giunta regionale, ai sensi dell'art. 41 dello Statuto.
Col terzo é data facoltà all'Amministrazione regionale di delegare in tutto o in parte agli enti locali l'esercizio delle funzioni amministrative nelle materie di cui alla legge in esame.
Col quarto é disposto che, in caso di delega, gli enti locali devono presentare annualmente all'Amministrazione regionale, entro il luglio, i programmi preventivi relativi alle funzioni delegate ed entro il febbraio i rendiconti delle spese sostenute.
Col quinto é stabilito che le spese per l'applicazione della legge facciano carico al cap. 84 dello stato di previsione del bilancio regionale 1957 e successivi esercizi.
Questa legge, rinviata alla Regione dal Governo, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione e riapprovata dal Consiglio regionale, é stata impugnata dal Presidente del Consiglio con ricorso 5 luglio 1958, depositato il 9 luglio detto, in ordine a deliberazione del Consiglio dei Ministri 3 luglio 1958.
I motivi del ricorso sono quattro. Col primo motivo é denunziata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale sopra citata per violazione dell'art. 57 dello Statuto per la Sardegna. Secondo il Governo, la Regione poteva sostituire norme proprie alle norme statali in materia di caccia, ma non poteva né recepire le leggi statali, né escludere l'efficacia di alcune fra queste leggi dal territorio regionale, né, tanto meno, fare rivivere norme statali abrogate. Perciò sarebbe illegittimo l'art. 1 che recepisce in parte il D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, mentre per altra parte lo esclude e che fa rivivere le norme abrogate del R.D. 5 giugno 1939.
La Regione autonoma della Sardegna, che ha depositato in cancelleria le controdeduzioni il 23 luglio 1958, costituendosi regolarmente in persona del suo Presidente in ordine a deliberazione della Giunta 11 luglio 1958, ha replicato su questo punto che la doglianza governativa é infondata perché la Regione, lungi dal recepire la legge statale, ha esercitato il proprio potere legislativo adottando un sistema che in parte coincide con le leggi statali e in parte ne diverge.
Col secondo motivo é denunziata l'illegittimità dello stesso art. 1 per violazione dell'art. 6 dello Statuto sardo, nonché dell'art. 118, comma primo, e disp. trans. VIII della Costituzione. Il Governo della Repubblica ricorrente ritiene che in ogni caso la Regione non potesse escludere l'applicabilità del D.P.R. n. 987 del 1955 sul decentramento autarchico alle amministrazioni provinciali di alcune funzioni in materia di caccia, perché il principio del decentramento amministrativo delle funzioni d'interesse esclusivamente locale verso le province e i comuni, sancito dal l'art. 118 della Costituzione e dall'art. 6 dello stesso Statuto sardo, limita la legislazione regionale in materia di competenza amministrativa della Regione.
La Regione, oltre a contestare l'esistenza del principio costituzionale affermato ex adverso, osserva che proprio l'art. 75 del D.P.R. n. 987 del 1955 fa "salva la competenza attribuita nelle materie disciplinate dal presente decreto alle Regioni a statuto speciale ai sensi e nei limiti dei rispettivi statuti".
Col terzo motivo il Governo, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte costituzionale, denuncia l'illegittimità dell'art. 3 della legge citata per violazione dell'art. 118, ultimo comma, della Costituzione e 44 dello Statuto sardo, in relazione all'art. 39 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. La delega non potrebbe avvenire in maniera generica, senza indicazione delle funzioni che s'intendono delegare, e sarebbe di competenza del potere legislativo: questi principi sarebbero violati dall'art. 3 che parla di "funzioni amministrative nella materia di cui alla presente legge" e di facoltà di delega da parte dell'"Amministrazione regionale". Eccepisce la Regione che nessuna norma costituzionale impone che per la delega di poteri amministrativi regionali si debba fare ricorso alla legge: una norma in questo senso é soltanto nella legge 10 febbraio 1953, n. 62, che é legge ordinaria.
Col quarto motivo il Governo lamenta l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge citata per violazione dell'art. 81 della Costituzione, dell'art. 41 delle norme d'attuazione dello Statuto sardo e dell'art. 50, comma secondo, della legge sulla contabilità generale dello Stato R.D. 18 novembre 1923, n. 2440. Secondo il ricorrente, il capitolo 84 del bilancio regionale 1957, richiamato dall'art. 5 della legge, é uno stanziamento destinato ad altri scopi, che non può servire per copertura a nuovi oneri finanziari della Regione.
Replica la Regione che questo motivo non può essere fatto valere con la procedura dell'art. 33 dello Statuto (impugnazione prima della promulgazione della legge) che prevede soltanto il caso dell'invasione della competenza statale, del tutto estraneo al quarto motivo del ricorso governativo. Inoltre il richiamo all'art. 50 della legge di contabilità generale sarebbe fuori luogo perché questa norma si riferisce ai singoli atti amministrativi di spesa e non alle leggi. D'altra parte non sarebbe dimostrato che la legge in esame importi necessariamente nuovi o maggiori spese: in ogni caso si tratterebbe di spese ipotetiche (rimborsi agli enti locali) e non obbligatorie, alle quali del resto si potrebbe provvedere nei limiti dello stanziamento del capitolo.
Ambedue le parti hanno presentato successivamente una memoria defensionale ciascuna.
La difesa dello Stato ha illustrato il ricorso ed ha replicato alle eccezioni avversarie, insistendo soprattutto sul punto che lo Statuto per la Sardegna costituirebbe ostacolo alla modificazione da parte della Regione del D.P.R. n. 987 del 1955 e sul punto che la delega regionale delle funzioni amministrative agli enti locali in materie specifiche dovrebbe avvenire per legge, con determinazione dei criteri direttivi e con regolamento dei reciproci rapporti finanziari.
La difesa della Regione ha insistito nelle proprie repliche, illustrando preliminarmente l'imbarazzante situazione creata alla Regione dal D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, che determinò la legge regionale impugnata, verosimilmente transitoria, e analizzando più profondamente i vari aspetti delle questioni. Fra l'altro ha segnalato che le disposizioni in esame altro non sarebbero che una legge regionale per la caccia, modellata nel suo contenuto, salvo le modifiche di alcuni articoli, sulla legislazione statale del 1939. Quanto alla delegazione é stato osservato che, in realtà, nella disposizione impugnata non si avrebbe una delega, ma, semmai, un'autorizzazione fatta all'Amministrazione regionale di delegare le sue funzioni in materia di caccia.
All'udienza del 4 febbraio i difensori delle parti hanno illustrato oralmente le tesi sostenute negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1. - Secondo la difesa dello Stato la legge regionale impugnata tende a dare efficacia in Sardegna a norme della legislazione statale che già sono efficaci per se stesse; a privare d'efficacia norme del pari statali che sono attualmente in vigore e a richiamare in vita norme della legislazione dello Stato che sono state abrogate dal legislatore nazionale. Sotto questi profili la legge regionale 30 marzo 1957, contenente disposizioni relative all'esercizio della caccia, sarebbe costituzionalmente illegittima e la difesa dello Stato richiama a sostegno della propria tesi i principi che in altre occasioni la Corte ha avuto occasione d'affermare al riguardo.
In realtà questi richiami alla giurisprudenza della Corte (sentenza n. 6 del 1957) in materia di rapporti fra legislazione statale e legislazione regionale sono, nel caso, del tutto fuori luogo.
Di fatto é vero che il contenuto della norma dell'art. 1 della legge impugnata é tratto, mediante rinvio, da leggi statali in vigore o abrogate e con esclusione di una parte della legislazione statale sulla caccia, attualmente in vigore, ma dal punto di vista giuridico la legge in esame ha totalmente escluso dal territorio della Regione autonoma della Sardegna la legislazione statale in materia di caccia, sostituendovi la propria.
In Sardegna nessuna legge regionale sulla caccia era stata emanata fino all'entrata in vigore del D.P.R. 10 giugno 1955, n 987, sul decentramento dei servizi amministrativi del Ministero dell'agricoltura. Perciò era in vigore la legge statale T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, con le successive modificazioni e l'attività amministrativa relativa era svolta dagli organi regionali, in luogo di quelli statali, in virtù dell'art. 6 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327. Ma quando é entrato in vigore il D.P.R. n. 987 del 1955, che decentra alle province gran parte delle funzioni amministrative statali sulla caccia e che porta notevoli modificazioni al T.U. 1016 del 1939, la Regione ha emanato una legge propria, ritenendo, evidentemente, che la legislazione statale non fosse più adeguata agli interessi regionali. Con questa legge la Regione ha fatto propria la sostanza di molte norme della disciplina statale sulla caccia anteriore al D.P.R. 987 del 1955, sostituendo però, formalmente, la legislazione regionale alla legislazione statale.
Si tratta perciò di legislazione regionale mediante rinvio a quella parte della legislazione dello Stato che la Regione ha ritenuto fornisse un'opportuna tutela agli interessi regionali, con esclusione della parte ritenuta inopportuna. Quindi non si pone alcun problema d'interferenza della legge regionale sull'efficacia della legge statale, perché trattasi di rinvio meramente materiale; la volontà della legge in esame é soltanto regionale.
Poiché si verte in materia di legislazione regionale che incontra soltanto i limiti della Costituzione e dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato (art. 3, lett. i, dello Statuto speciale, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), la produzione di norme regionali mediante rinvio parziale alle leggi dello Stato é da ritenersi costituzionalmente legittima.
Potrebbe osservarsi, come fu osservato dal Governo della Repubblica in occasione del rinvio della legge all'Assemblea regionale sarda, che sembra inopportuna una regolamentazione provvisoria e frammentaria della caccia in Sardegna mentre é in corso di esame la preannunziata legge regionale che disciplina completamente la materia. E potrebbe aggiungersi che la potestà legislativa primaria della Regione ha ragione di essere in quanto venga effettivamente esercitata e venga esercitata in modo da dare agli interessi, che le leggi costituzionali ritengono caratteristicamente regionali, una disciplina particolare, e organicamente studiata secondo le condizioni proprie della Regione e ad essi perfettamente adeguata.
Ma questi rilievi, a prescindete dalla giustificazione dell'urgenza della legge, data nel caso dalla difesa della Regione, sono d'opportunità e non hanno rilevanza circa la legittimità costituzionale delle norme.
2. - É del pari infondato il secondo motivo del ricorso governativo che lamenta la violazione dell'art. 118 della Costituzione, in quanto la legge regionale impugnata non avrebbe potuto modificare le norme statali sul decentramento alle province delle funzioni amministrative in materia di caccia. Difatti, secondo il citato art. 118, l'attribuzione alle province, ai comuni ed agli altri enti locali delle funzioni amministrative d'interesse puramente locale é riservata alle leggi della Repubblica anche per le materie elencate nell'art. 117 della Costituzione, fra le quali é compresa la caccia.
La Corte non ritiene che vi sia un principio costituzionale che riservi alla legislazione statale il decentramento a favore degli enti locali delle funzioni amministrative d'interesse esclusivamente locale della Regione autonoma della Sardegna nelle materie dell'art. 3 dello Statuto.
Il richiamo all'art. 118 della Costituzione non é decisivo. Senza escludere che in questa disposizione possano ravvisarsi anche anticipi valevoli per le autonomie regionali in generale, non vi é dubbio che la norma invocata, strettamente collegata con l'art. 117 della Costituzione, riguarda essenzialmente le regioni a statuto comune.
Per la Sardegna la materia del decentramento delle funzioni amministrative a favore degli enti locali é disciplinata dall'art. 6 dello Statuto speciale, successivo alla Costituzione e approvato con legge costituzionale, che non dispone alcuna riserva di legge statale a questo riguardo. Ciò, del resto, é del tutto logico perché le autonomie regionali speciali sono più vaste di quelle ordinarie in quanto non sono inquadrate da leggi dello Stato che fissano i principi fondamentali della legislazione regionale e perché "la specialità" dell'autonomia consiste anche nel fatto che, mentre gli statuti speciali possono essere modificati soltanto con legge costituzionale, gli statuti comuni sono modificati con semplice deliberazione del consiglio regionale, approvata con legge della Repubblica (art. 123 Cost.). Ciò spiega perché con legge ordinaria non si possono sottrarre alla Regione autonoma della Sardegna una parte delle funzioni amministrative, di sua spettanza statutaria, per assegnarle agli enti locali. Questo subdecentramento, ove non avvenga con legge costituzionale, é in Sardegna di competenza legislativa regionale.
Questa é del resto l'interpretazione del legislatore statale. Dalle leggi di delega 11 marzo 1953, n. 150, e 18 giugno 1954, n. 343, che concernono la delega legislativa al Governo per l'attribuzione di funzioni "statali" d'interesse esclusivamente locale alle province, ai comuni e agli altri enti locali, si evince chiaramente che questo decentramento amministrativo é previsto soltanto per il territorio delle future regioni a statuto comune, in attesa che si attui l'ordinamento regionale ordinario e con esclusione del territorio delle regioni a statuto speciale.
Difatti l'art. 4 della legge di delega n. 150 del 1953 dispone che le norme delegate dovranno tendere a decentrare agli enti indicati nell'art. 1 funzioni "statali" d'interesse esclusivamente locale, delle quali non si ritenga "essenziale" l'applicazione da parte di "organi diretti dell'amministrazione dello Stato" e per le quali l'attribuzione ad organi degli enti locali permetta una più appropriata valutazione degli interessi pubblici ed un più sollecito loro soddisfacimento.
Inoltre, secondo l'art. 5, "le norme delegate, da emanarsi ai sensi della presente legge, potranno essere modificate, attuandosi l'ordinamento regionale, dalle leggi che la Regione emetterà nei limiti della sua competenza per la disciplina delle deleghe previste dall'art. 118 della Costituzione". (Dal che si desume che anche le Regioni a statuto comune potranno modificare le norme statali sul decentramento amministrativo).
Infine l'art. 73 del D.P.R. n. 987 del 1955 dispone: "Resta salva la competenza attribuita nella materia disciplinata dal presente decreto alle Regioni ad autonomia speciale, ai sensi e nei limiti dei rispettivi statuti".
In Sardegna, nel 1953-54, l'ordinamento regionale era già stato attuato e l'autonomia della Regione era in pieno vigore e svolgimento. Le valutazioni relative all'essenzialità delle funzioni da riservarsi allo Stato erano state fatte in sede d'approvazione dello Statuto speciale e le funzioni amministrative in materia di caccia non erano più "statali", ma regionali, perché erano già passate alla Regione che le esercitava per la totalità ai sensi dell'art. 6 dello Statuto e dell'art. 6 del D.P.R. 19 maggio 1950 n. 327, contenente norme d'attuazione dello Statuto stesso.
3. - La norma della legge regionale impugnata, (art. 3) che ha dato luogo al terzo motivo del ricorso del Governo della Repubblica, é così formulata "L'Amministrazione regionale può delegare in tutto o in parte agli enti locali l'esercizio delle funzioni amministrative nelle materie di cui alla presente legge".
La difesa dello Stato interpreta l'articolo nel senso che in virtù di questa norma la delegazione delle funzioni dell'Amministrazione regionale agli enti locali possa avvenire senz'altro mediante atti amministrativi e ritiene che ciò sia costituzionalmente illegittimo perché dall'art. 118 della Costituzione e dall'art. 39 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, si desumerebbe che il potere di delegazione é di esclusiva competenza legislativa.
La Corte ritiene che, a prescindere dai richiami all'art. 118 della Costituzione e 39 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, il rilievo della difesa dello Stato sia giusto.
L'art. 44 dello Statuto per la Sardegna riproduce il testo dell'art. 118 della Costituzione con l'unica variante che sono indicati genericamente gli enti locali e non anche, in modo particolare, i comuni e le province. Ma poiché nell'uno come nell'altro caso la Regione deve esercitare "normalmente" le sue funzioni amministrative delegandole agli enti locali, é da ritenersi che lo Statuto speciale per la Sardegna e l'art. 118 della Costituzione s'ispirino alla stessa esigenza, che cioè le autonomie regionali non debbano provocare un accentramento regionale in luogo di un accentramento statale e che debba essere evitato, per quanto possibile, il costituirsi d'una cospicua burocrazia regionale.
D'altra parte la delegazione é istituto eccezionale nel campo del diritto amministrativo per il principio dell'istituzionalità delle competenze dal quale deriva, fra l'altro, che le funzioni debbono essere effettivamente esercitate, di solito, dall'organo al quale sono attribuite dall'ordinamento giuridico. Ciò spiega perché nei casi eccezionali previsti dalla legge, in cui occorre che comunque una funzione sia effettivamente esercitata, la delegazione ha luogo per atto amministrativo, quasi intuitu personae. Ma nel caso della delegazione regionale, quando "normalmente" le funzioni debbono essere esercitate da soggetti diversi dal titolare delle funzioni stesse, già previsti dalla legge costituzionale, cioè dagli enti locali in luogo della Regione, sembra logico che la delegazione debba avvenire mediante attribuzione di competenze in via generale, preventiva ed astratta, durevolmente e secondo una disciplina che tenga conto dei principi propri di questa materia, caratteristici del nostro sistema regionale, che la Corte ha già avuto occasione di ricordare (sentenza n. 39 del 1957).
A ciò si addice evidentemente la legge, anche per l'esigenza della certezza del diritto, salvo che la Regione voglia esercitare le proprie funzioni valendosi semplicemente degli uffici degli enti locali.
Vero é che gli artt. 3 e 4 della legge regionale in esame sono norme legislative che prevedono la delegazione delle funzioni in materia di caccia dalla Regione agli enti locali e che, in un certo senso, disciplinano questa delegazione o "l'autorizzazione alla delegazione", come preferisce definirla la difesa della Regione. Ma l'art. 3, considerato alla stregua dei principi in materia di delegazione regionale, é manifestamente illegittimo perché non indica quali siano gli enti locali destinatari della delegazione e non contiene nessuna determinazione né delle funzioni regionali in materia di caccia che sono oggetto della delegazione, né dei criteri direttivi ai quali gli enti delegati dovranno uniformarsi. Le direttive di carattere finanziario contenute nell'art. 4 sono legittime, ma del tutto insufficienti per la disciplina legislativa della delegazione.
4. - Quanto al quarto motivo, l'eccezione d'incompetenza, sollevata dalla Regione, é del tutto infondata.
La Corte ha già affermato, con la sua sentenza n. 38 del 1957, che tutte le questioni di legittimità costituzionale delle leggi regionali sono comprese nella competenza della Corte costituzionale.
Nel merito questo motivo del ricorso del Governo della Repubblica non é però fondato: l'art. 5 impugnato non ha violato l'art. 81 della Costituzione e tanto meno l'art. 41 delle norme d'attuazione dello Statuto per la Sardegna.
Come già é stato osservato sopra, la Regione esercitava tutte le funzioni amministrative in materia di caccia fino dal 1950 in virtù dell'art. 6 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, contenente norme d'attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna.
Perciò la nuova legge non ha portato alcun onere nuovo, tenuto anche conto che, secondo l'interpretazione adottata dalla Corte, nessuna delegazione potrà avere luogo a favore degli enti locali - e quindi nessun onere della Regione per regolare i rapporti finanziari con gli enti stessi - finché non sopravvenga una legge regionale che disciplini ed effettui queste delegazioni.
Perciò non può essere contestata la legittimità costituzionale della norma che pone le spese per l'applicazione della legge impugnata a carico del capo 84 dello stato di previsione della spesa del bilancio regionale 1957 - e ai capitoli corrispondenti dei bilanci successivi - che già era destinato a "contributi per l'applicazione della legge sulla caccia, per il coordinamento della vigilanza e per le zone di ripopolamento e di cattura, e per la relativa vigilanza tecnica, ecc.".
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
in parziale accoglimento del ricorso dello Stato:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 30 marzo 1957 dell'Assemblea della Regione autonoma della Sardegna, contenente disposizioni relative all'esercizio della caccia, con riferimento all'art. 44 dello Statuto speciale per la Regione autonoma della Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 marzo 1959.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.
Depositata in cancelleria il 9 marzo 1959