SENTENZA N. 219
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
- Luca ANTONINI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 7 novembre 2017, n. 41, recante «Disposizioni per agevolare l’uso dei locali di stagionatura tradizionali - modifiche alla legge regionale 23 febbraio 2004, n. 5 (Norme per l’individuazione dei prodotti a base di latte ritenuti storici e/o tradizionalmente fabbricati)», promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 5-11 gennaio 2018, depositato in cancelleria il 15 gennaio 2018, iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di costituzione della Regione Calabria;
udito nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2018 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Domenico Gullo e Gianclaudio Festa per la Regione Calabria.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 5-11 gennaio 2018 e depositato il 15 gennaio 2018 (reg. ric. n. 5 del 2018) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, primo comma – in relazione al regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, «sull’igiene dei prodotti alimentari» – nonché secondo comma, lettera m), e terzo comma della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 7 novembre 2017, n. 41, recante «Disposizioni per agevolare l’uso dei locali di stagionatura tradizionali - modifiche alla legge regionale 23 febbraio 2004, n. 5 (Norme per l’individuazione dei prodotti a base di latte ritenuti storici e/o tradizionalmente fabbricati)».
1.1.– La disposizione impugnata aggiunge il comma 1-bis all’art. 2 della legge della Regione Calabria 23 febbraio 2004, n. 5 (Norme per l’individuazione dei prodotti a base di latte ritenuti storici e/o tradizionalmente fabbricati), prevedendo che i locali particolari ove effettuare la produzione e la stagionatura di prodotti a base di latte, ottenuti con attrezzature e metodologie tradizionali, possano avere:
«a) pareti geologicamente naturali;
b) muri, pavimenti, soffitti e porte non lisci, non impermeabili, non resistenti, senza rivestimento chiaro o con composti di materiale inalterabile;
c) dispositivi e utensili di lavoro destinati ad entrare a contatto diretto con le materie prime e i prodotti in materiale non resistente alla corrosione, non facili da lavare e disinfettare (assi di legno e attrezzature tradizionali)».
2.– Secondo la difesa statale, la Regione Calabria, introducendo talune deroghe ai requisiti igienicosanitari e strutturali prescritti dalla normativa comunitaria, avrebbe ecceduto le proprie competenze, in violazione delle disposizioni costituzionali che regolano tale materia.
2.1.– In primo luogo, l’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2017 contrasterebbe con il regolamento n. 852/2004/CE, ledendo così l’art. 117, primo comma, Cost.
Tale regolamento ha come finalità il perseguimento di un elevato livello di protezione della vita e della salute umana e, riguardo ai requisiti specifici applicabili ai locali all’interno dei quali i prodotti alimentari vengono preparati, lavorati o trasformati, dispone che gli stessi locali «devono essere progettati e disposti in modo da consentire una corretta prassi igienica impedendo anche la contaminazione tra e durante le operazioni» (allegato II, capitolo II, paragrafo 1).
L’art. 13 del regolamento prevede espressamente la possibilità di deroghe, con limiti ben precisi e individuati, aventi l’obiettivo di consentire l’utilizzazione ininterrotta di metodi tradizionali in una qualsiasi delle fasi della produzione, trasformazione o distribuzione degli alimenti o di tener conto delle esigenze delle imprese alimentari situate in Regioni soggette a particolari vincoli geografici. Tali deroghe, tuttavia, potrebbero essere introdotte solo con misure nazionali e previa notifica agli Stati membri e alla Commissione europea, alla quale è rimessa la valutazione sull’ammissibilità delle stesse, per ogni specifico prodotto tradizionale.
A tal fine, la direzione generale del Ministero della salute avrebbe rappresentato alla Commissione l’esigenza di apportare deroghe per taluni prodotti, riconosciuti tradizionali e contenuti nell’elenco predisposto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonché per alcuni prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) e a indicazione geografica protetta (IGP), in considerazione delle peculiari lavorazioni previste nel disciplinare di produzione. Deroghe richieste su istanza del singolo produttore e previa dettagliata descrizione del processo produttivo.
La legge reg. Calabria n. 41 del 2017, invece, sarebbe priva di qualsivoglia riferimento circostanziato a uno specifico prodotto tradizionale e non sarebbero rappresentate eventuali esigenze peculiari legate alla specialità dei processi di produzione.
Dunque, poiché alla luce della costante giurisprudenza costituzionale le norme europee fungono da norme interposte (è richiamata, in particolare, l’ordinanza n. 103 del 2008), l’attività legislativa regionale violerebbe gli obblighi comunitari di cui all’art. 117, primo comma, Cost.
2.2.– L’art. l della legge regionale impugnata, in secondo luogo, sarebbe lesivo anche dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., poiché la tutela igienico-sanitaria degli alimenti andrebbe ascritta alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere assicurati sull’intero territorio nazionale. Tale titolo di legittimazione, infatti, costituisce uno strumento teso a evitare che la legislazione regionale violi gli standard minimi di tutela fissati dal legislatore statale (viene richiamata la sentenza n. 141 del 2016).
2.3.– Da ultimo, sarebbe violato l’art. 117, terzo comma, Cost., relativamente alla competenza dello Stato a fissare i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», anche con riferimento a quanto espressamente previsto dal regolamento n. 852/2004/CE, che, al fine di «conseguire un elevato livello di protezione della vita umana e della salute umana», consentirebbe deroghe agli Stati membri solo con l’adozione di normative nazionali.
3.– Con atto depositato il 9 febbraio 2018 si è costituita in giudizio la Regione Calabria, chiedendo che le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
3.1.– La legge reg. Calabria n. 41 del 2017, che apporta modificazioni alla legge reg. Calabria n. 5 del 2004, interverrebbe in un ambito, quello della tutela della salute e dell’alimentazione, attribuito, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., alla potestà legislativa concorrente.
Riguardo all’asserita mancanza, nella disposizione impugnata, di un qualsivoglia riferimento circostanziato a uno specifico prodotto tradizionale e a eventuali esigenze peculiari legate alla specialità dei processi di produzione, dovrebbe tenersi conto che la stessa disposizione si limiterebbe a integrare un provvedimento legislativo vigente, che già reca un dettagliato elenco di prodotti, specificando per ciascuno: materia prima, tecnica di lavorazione, attrezzatura storica, area e calendario di produzione. Inoltre, i prodotti calabresi a base di latte ivi indicati coinciderebbero con quelli contenuti nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, predisposto con il decreto del Ministro delle politiche agricole 18 luglio 2000 e successivamente aggiornato. Infine, la disposizione impugnata non stabilirebbe, per i prodotti individuati, alcuna deroga automatica ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria.
Dovrebbe evidenziarsi, anzi, che il regolamento (CE) n. 2074/2005 della Commissione, del 5 dicembre 2005, recante «modalità di attuazione relative a taluni prodotti di cui al regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e all’organizzazione di controlli ufficiali a norma dei regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004, deroga al regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e modifica dei regolamenti (CE) n. 853/2004 e (CE) n. 854/2004», prevede, all’art. 7, la possibilità di derogare allo stesso regolamento n. 852/2004/CE per i prodotti alimentari che presentano «caratteristiche tradizionali».
In attuazione di ciò, in data 25 gennaio 2007, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ha sancito un’intesa che consente ai produttori di alimenti tradizionali di continuare a utilizzare, appunto in deroga a quanto previsto dal regolamento n. 852/2004/CE, locali e attrezzature che conferiscono ai prodotti particolari caratteristiche organolettiche. Deroghe che nel caso di specie sono rilasciate dall’autorità sanitaria competente, come richiamato anche dalla stessa legge reg. Calabria n. 5 del 2004.
Pertanto, le disposizioni impugnate non contrasterebbero né con la normativa comunitaria, né con la potestà legislativa statale.
Tali conclusioni sarebbero confermate anche dal fatto che analoghe disposizioni, contenute in altre leggi regionali, non sarebbero state impugnate dal Governo, né risulterebbero pendenti questioni di legittimità costituzionale in via incidentale in relazione alle medesime. Sarebbe il caso, ad esempio, dell’art. 6 della legge della Regione Abruzzo 11 giugno 2008, n. 8 (Disposizioni per agevolare la trasformazione e la lavorazione di minimi quantitativi di prodotti agricoli), che recherebbe una disposizione di contenuto sostanzialmente identico a quella impugnata.
4.– In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno presentato memorie, ribadendo e integrando le proprie conclusioni.
4.1.– La difesa statale, in particolare, sottolinea l’irrilevanza del fatto che una disposizione analoga a quella impugnata sia stata prevista dall’art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 8 del 2008, disposizione a suo tempo non impugnata dal Governo. Non vi sarebbe, infatti, una perfetta sovrapponibilità e coincidenza applicativa delle due normative e, in ogni caso, in base alla costante giurisprudenza costituzionale, l’omessa impugnazione di precedenti norme analoghe «non ha alcun rilievo, dato che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale» (sentenza n. 139 del 2013).
4.2.– La difesa regionale, invece, oltre a ribadire le ragioni d’infondatezza delle questioni, si sofferma in particolare sui motivi d’inammissibilità delle stesse.
4.2.1.– In relazione all’asserita violazione della disciplina comunitaria, la stessa non colpirebbe, comunque, l’intero articolato della disposizione regionale impugnata. La lettera c) del comma l-bis della legge reg. Calabria n. 5 del 2004, infatti, riguarderebbe i dispositivi e gli utensili di lavoro, mentre l’allegato II, capitolo II, paragrafo 1, del regolamento n. 852/2004/CE, richiamato dalla difesa statale, farebbe riferimento soltanto ai locali all’interno dei quali i prodotti alimentari vengono preparati, lavorati e trasformati (degli strumenti di lavoro e degli impianti si occuperebbe, invece, il paragrafo 2).
Peraltro, il ricorso si limiterebbe a richiamare genericamente il primo periodo dell’allegato II, capitolo II, paragrafo 1, ma non il complessivo articolato del medesimo, con conseguente genericità del motivo. Da tale articolato, d’altronde, non si desumerebbe alcuna relazione con le «pareti geologicamente naturali» previste dalla disposizione regionale impugnata.
Dunque – poiché per costante giurisprudenza costituzionale il ricorso in via principale deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali (ed eventualmente interposte) e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione, e poiché, inoltre, esso deve contenere un’argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 251, n. 233, n. 218, n. 142 e n. 53 del 2015) – la questione dovrebbe ritenersi inammissibile.
4.2.2.– Venendo alle censure relative alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., le stesse (tra l’altro – in tesi – non pienamente corrispondenti ai motivi formulati nella relazione ministeriale) sarebbero del tutto generiche.
La difesa statale, infatti, attraverso una mera petizione di principio, sosterrebbe che la tutela igienico-sanitaria costituisce un livello essenziale da assicurare uniformemente sul territorio nazionale, al fine di evitare che la disciplina regionale possa non garantire standard minimi di tutela. Nondimeno, tale titolo di legittimazione statale non corrisponderebbe a una materia in senso stretto e, pertanto, non potrebbe ipotizzarsene la violazione senza la contestuale indicazione della normativa statale violata (si richiama la sentenza n. 297 del 2012). La qual cosa non sarebbe rinvenibile nel ricorso, con conseguente indeterminatezza e inammissibilità della censura.
4.2.3.– Analoghe considerazioni, infine, potrebbero farsi con riferimento all’asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., relativamente alla competenza statale a fissare i principi fondamentali in materia di «tutela della salute».
Anche per tale doglianza (pure non pienamente corrispondente – sempre in tesi – ai motivi della relazione ministeriale) sarebbero evidenti l’insufficienza della motivazione, nonché la mancata ricostruzione del quadro normativo di riferimento (sono richiamate le sentenze n. 135 del·2017, n. 265 del 2016, n. 171, n. 82 e n. 60 del 2015 e l’ordinanza n. 86 del 2016). Si tratterebbe di una censura meramente assertiva, priva dell’indicazione del parametro interposto (si richiama la sentenza n. 239 del 2016). Né tale carenza potrebbe essere colmata dal riferimento al regolamento n. 852/2004/CE, inidoneo a fungere da normativa nazionale di riferimento.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento all’art 117, primo comma – in relazione al regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, «sull’igiene dei prodotti alimentari» –, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 7 novembre 2017, n. 41, recante «Disposizioni per agevolare l’uso dei locali di stagionatura tradizionali - modifiche alla legge regionale 23 febbraio 2004, n. 5 (Norme per l’individuazione dei prodotti a base di latte ritenuti storici e/o tradizionalmente fabbricati)».
1.1.– Tale disposizione – che aggiunge il comma 1-bis all’art. 2 della legge della Regione Calabria 23 febbraio 2004, n. 5 (Norme per l’individuazione dei prodotti a base di latte ritenuti storici e/o tradizionalmente fabbricati) – introduce talune prescrizioni concernenti le caratteristiche dei locali ove vengono effettuate la produzione e la stagionatura di prodotti a base di latte, ottenuti con attrezzature e metodologie tradizionali. In particolare, si prevede che tali locali possano avere «pareti geologicamente naturali», nonché «muri, pavimenti, soffitti e porte non lisci, non impermeabili, non resistenti, senza rivestimento chiaro o con composti di materiale inalterabile». Alcune indicazioni sono fornite anche per i dispositivi e gli utensili di lavoro, consentendosi l’utilizzo di materiali non resistenti alla corrosione e non facili da lavare e disinfettare.
2.– Secondo la difesa statale, la Regione Calabria avrebbe introdotto talune deroghe ai requisiti igienicosanitari e strutturali prescritti dalla normativa comunitaria, eccedendo così le proprie competenze costituzionali.
2.1.– La disposizione impugnata, in primo luogo, contrasterebbe con il regolamento n. 852/2004/CE, ledendo così l’art. 117, primo comma, Cost.
2.2.– In secondo luogo, sarebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., poiché la tutela igienico-sanitaria degli alimenti dovrebbe essere ascritta alla determinazione dei livelli essenziali che devono essere assicurati sull’intero territorio nazionale, di competenza esclusiva delle Stato.
2.3.– Da ultimo, sussisterebbe un contrasto anche con l’art. 117, terzo comma, Cost., relativamente alla competenza statale a fissare i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», perché il regolamento n. 852/2004/CE, stabilendo l’obiettivo di «conseguire un elevato livello di protezione della vita umana e della salute umana», consentirebbe solo alla legislazione statale la previsione di deroghe ai requisiti igienico-sanitari ivi previsti.
3.– In via preliminare, deve dichiararsi inammissibile la questione promossa in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., poiché generica e carente di motivazione.
La parte ricorrente, infatti, ascrive la tutela igienico-sanitaria degli alimenti anche a tale titolo di legittimazione statale, sulla base di generiche esigenze di uniformità da garantire sul territorio nazionale. Si tratta di affermazioni del tutto prive di un’adeguata motivazione in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione del parametro invocato. Adeguata motivazione che, come più volte sottolineato da questa Corte, costituisce un requisito imprescindibile, ancor più nei giudizi in via principale (ex plurimis, sentenze n. 192, n. 135 e n. 107 del 2017; n. 249 e n. 239 del 2016; n. 233, n. 218, n. 142 e n. 82 del 2015).
4.– Sempre in via preliminare, la difesa regionale osserva anche, senza addurre ragioni d’inammissibilità, bensì di disparità di trattamento, che non era stata oggetto d’impugnazione da parte del Governo un’analoga disposizione, contenuta all’art. 6 della legge della Regione Abruzzo 11 giugno 2008, n. 8 (Disposizioni per agevolare la trasformazione e la lavorazione di minimi quantitativi di prodotti agricoli).
L’argomento è irrilevante.
5.– Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2017, promosse in riferimento all’art. 117, primo comma – in relazione al regolamento n. 852/2004/CE – e terzo comma, Cost.
5.1.– L’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2017 inserisce il comma 1-bis nell’art. 2 della legge reg. Calabria n. 5 del 2004, che disciplina i prodotti lattiero-caseari della Regione, che possono essere qualificati storici o tradizionali, individuati nell’apposito elenco regionale.
In particolare, con tale disposizione si integra la disciplina dei locali di produzione, prevedendo che i locali possano avere anche pareti geologicamente naturali, muri, pavimenti, soffitti e porte non lisci, non impermeabili, non resistenti, senza rivestimento chiaro o non composti di materiale inalterabile, nonché che vi si possano usare dispositivi e utensili prodotti in materiale non resistente alla corrosione, non facili da lavare e disinfettare.
Si tratta, pertanto, di una disposizione che, sebbene intervenga nel testo di una legge che si occupa della natura tradizionale di taluni alimenti, concerne aspetti più propriamente riconducibili all’igiene alimentare. Tale disciplina può essere ascritta alla materia della «tutela della salute», come già sottolineato da questa Corte (ex multis, sentenze n. 339 del 2007, n. 95 del 2005 e n. 162 del 2004), di competenza concorrente tra Stato e Regioni, sebbene le norme comunitarie, dettando principi e regole sui requisiti per la produzione e la vendita degli alimenti, abbiano notevolmente ristretto lo spazio d’intervento.
Con particolare riferimento alle deroghe ai requisiti igienico-sanitari per i «prodotti tradizionali», già in vigenza della precedente disciplina comunitaria, attuata dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155 (Attuazione della direttiva 93/43/CEE e della direttiva 96/3/CE concernente l’igiene dei prodotti alimentari), tale possibilità era consentita, seppure soltanto per talune categorie di alimenti. In particolare, il decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 (Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell’articolo 55, commi 14 e 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449), attribuiva a un decreto del Ministro della sanità, adottato di concerto con il Ministro per le politiche agricole e con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, la facoltà di definire tali deroghe, nei limiti di quanto autorizzato dalla Commissione europea, su richiesta degli Stati membri.
I prodotti in questione (ossia fabbricati con metodiche omogenee, secondo regole tradizionali, da almeno 25 anni), inoltre, dovevano essere individuati in un apposito elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, articolato su base regionale. Tale elenco, istituito con decreto del Ministro delle politiche agricole 8 settembre 1999, n. 350, è stato successivamente adottato con decreto ministeriale 18 luglio 2000 ed è progressivamente aggiornato. Il successivo decreto 25 luglio 2000, adottato dal Ministro della sanità di concerto con il Ministro per le politiche agricole, stabiliva, pertanto, per i prodotti inseriti nel citato elenco, la possibilità di deroghe finalizzate alla conservazione del patrimonio gastronomico tradizionale, determinate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per le politiche agricole e con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, per ciascun prodotto tradizionale.
Nella cornice di un più ampio intervento di riforma, il regolamento n. 852/2004/CE ha innovato la disciplina della materia. Ivi, all’allegato II, capitolo II, paragrafo 1, si prevede che i locali dove gli alimenti sono preparati, lavorati o trasformati devono essere progettati e disposti in modo da consentire una corretta prassi igienica, impedendo anche la contaminazione tra e durante le operazioni (taluni requisiti sono previsti dal paragrafo 2, non invocato come norma interposta, anche per le attrezzature e gli utensili impiegati all’interno dei locali). Essi devono avere pavimenti facili da pulire e fabbricati con materiale resistente, non assorbente, lavabile e non tossico; le medesime condizioni sono richieste per le pareti e le porte, che devono anche avere una superficie liscia, mentre i soffitti devono essere costruiti e predisposti in modo da evitare l’accumulo di sporcizia e ridurre la condensa, la formazione di muffa indesiderabile e la caduta di particelle. L’art. 13 del regolamento, nondimeno, attribuisce agli Stati membri la possibilità di prevedere, con misure nazionali, deroghe a tali requisiti, notificate alla Commissione europea e agli altri Stati membri, con una descrizione particolareggiata del tipo di deroga e della relativa motivazione, sulla cui base la Commissione adotta una specifica decisione.
La disciplina delle deroghe, già di per sé più ampia rispetto alla precedente normativa comunitaria, è stata ulteriormente integrata dal regolamento (CE) n. 2074/2005 della Commissione, del 5 dicembre 2005, recante «modalità di attuazione relative a taluni prodotti di cui al regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e all’organizzazione di controlli ufficiali a norma dei regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004, deroga al regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e modifica dei regolamenti (CE) n. 853/2004 e (CE) n. 854/2004». In particolare, ai sensi dell’art. 7, spetta agli Stati membri la facoltà di prevedere deroghe individuali o generali ai requisiti igienico-sanitari degli stabilimenti che fabbricano prodotti alimentari tradizionali (storicamente riconosciuti come tali oppure fabbricati secondo riferimenti tecnici codificati o registrati o comunque protetti come prodotti alimentari tradizionali dalla legislazione comunitaria, nazionale, regionale o locale), qualora l’ambiente dei locali contribuisca, anche parzialmente, allo sviluppo delle loro caratteristiche. Gli Stati membri che concedono le deroghe ne devono soltanto informare la Commissione e gli altri Stati membri entro dodici mesi dalla concessione, dando conto delle misure adottate e delle ragioni delle stesse.
A tal proposito, l’intesa siglata in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in data 25 gennaio 2007, ha previsto che i produttori di prodotti tradizionali ai sensi del citato d.m. n. 350 del 1999, in deroga a quanto previsto all’allegato II, capitolo II, del regolamento n. 852/2004/CE, possono continuare a utilizzare, per la maturazione o stagionatura, locali aventi caratteristiche ambientali tali da conferire ai prodotti particolari caratteristiche organolettiche, nonché «materiali per gli strumenti e le attrezzature specifiche utilizzate specificatamente per la preparazione, l’imballaggio e il confezionamento di tali prodotti». Le relative deroghe sono rilasciate dall’autorità sanitaria competente e i produttori, in ogni caso, devono predisporre un piano di autocontrollo adeguato, in cui siano indicate le procedure di pulizia e disinfezione nei locali.
5.2.– Ciò premesso, nell’esercizio delle proprie competenze, l’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2017 non ha introdotto una disciplina in contrasto con i requisiti igienico-sanitari stabiliti dal diritto comunitario e dai provvedimenti statali di attuazione. Intanto, va precisato che i materiali e i procedimenti di pulizia particolari previsti per gli utensili e le attrezzature usati per la produzione dei prodotti tradizionali non sono oggetto della disciplina di cui all’allegato II, capitolo II, paragrafo 1, del regolamento n. 852/2004/CE, invocato quale norma interposta dalla difesa statale. Per tali profili, dunque, non può essere rilevato in questa sede l’eventuale contrasto con il diritto comunitario.
Quanto al resto, il legislatore calabrese non reca alcuna innovazione riguardo alle specifiche modalità per il riconoscimento dei prodotti tradizionali, né per quanto concerne il procedimento relativo alla registrazione delle aziende produttrici e all’autorizzazione alla produzione e alla vendita. Tali circostanze restano disciplinate dalla legge reg. Calabria n. 5 del 2004, in conformità alla precedente normativa statale e comunitaria.
In particolare, resta fermo quanto previsto dall’art. 5 di tale legge regionale, ove si dispone la necessità dell’autorizzazione dell’azienda sanitaria locale competente per la produzione e la vendita di prodotti tradizionali in deroga a quanto previsto dalla disciplina comunitaria. Il che appare pienamente conforme a quanto previsto dall’intesa del 25 gennaio 2007, secondo cui le deroghe individuali devono essere rilasciate dall’autorità sanitaria competente, a cui spetta la verifica della conformità del processo produttivo rispetto alle condizioni generali previste per ciascun prodotto tradizionale.
La disposizione regionale impugnata, dunque, non richiama esplicitamente, ma presuppone, l’applicazione delle norme statali ed europee in materia di deroghe. L’ambito di applicazione del comma 1-bis dell’art. 2 della legge reg. Calabria n. 5 del 2004, quindi, non potrà essere altro se non quello delimitato da tali norme, che, come già osservato, consentono ai produttori di prodotti tradizionali inseriti nell’elenco nazionale di cui al d.m. n. 350 del 1999 di continuare a utilizzare procedimenti in deroga ai requisiti igienico-sanitari previsti dal diritto comunitario, ove ciò sia necessario.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 7 novembre 2017, n. 41, recante «Disposizioni per agevolare l’uso dei locali di stagionatura tradizionali - modifiche alla legge regionale 23 febbraio 2004, n. 5 (Norme per l’individuazione dei prodotti a base di latte ritenuti storici e/o tradizionalmente fabbricati)», promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2017, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art 117, primo comma – in relazione al regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, «sull’igiene dei prodotti alimentari» – e terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2018.