SENTENZA N. 189
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON
”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 7, comma 1, lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e 7, della
legge
della Regione Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla
legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge
regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme
di carattere urbanistico), promosso dal Presidente del Consiglio dei
ministri con ricorso notificato il 27-30 gennaio 2012, depositato in
cancelleria il 2 febbraio 2012 ed iscritto
al n. 21 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della
Regione autonoma della Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 14 giugno 2016 il Giudice
relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma
della Sardegna e l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1.– Con ricorso notificato il 27-30
gennaio 2012 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 2
febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1,
lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e 7, della legge della Regione Sardegna 21
novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del
2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998
e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere
urbanistico).
1.1.− In particolare, con riguardo all’art. 7, comma 1,
lettera f), il Presidente del Consiglio dei ministri ha denunciato la
violazione degli artt.
9 e 117, primo e
secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione. Con riferimento
all’art. 18, ha dedotto il contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. In relazione all’art. 20, ha lamentato la violazione
degli artt. 9 e 117, secondo comma,
lettera s), Cost. Infine, quanto all’art. 23, commi 6 e 7, ha denunciato il
contrasto per eccesso dalle competenze di cui all’art. 3 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
nonché il contrasto con gli artt. 117, secondo
comma, lettera s), e 118, terzo comma, Cost.
2.– Con atto depositato nella cancelleria di questa
Corte il 9 marzo 2012 si è costituita in giudizio la Regione autonoma della
Sardegna, che ha richiesto di dichiarare inammissibili e, comunque sia,
infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Presidente
del Consiglio dei ministri.
3.– Il ricorso statale ha per oggetto, in primo luogo,
l’art. 7, comma 1, lettera f), della citata legge regionale, il quale inserisce
il comma 5-ter all’art. 8 della legge regionale 22 ottobre 2009, n. 4
(Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio
del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza
strategica per lo sviluppo), legge attuativa del cosiddetto piano casa. Ai
sensi della disposizione inserita, gli interventi edilizi di cui agli artt. 2,
3, 4, 5 e 6 della legge regionale n. 4 del 2009 «sono realizzati in deroga alle
previsioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici comunali
vigenti ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali; possono
essere superati gli indici massimi di fabbricabilità. È in ogni caso fatto
salvo il rispetto delle disposizioni del Codice civile e i diritti dei terzi».
3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri riconosce
che la Regione autonoma della Sardegna è titolare della potestà legislativa
primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lettera f), dello statuto speciale e ha competenza esclusiva in materia di
«piani territoriali paesistici» ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione
dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna). Sottolinea
anche, però, che queste competenze legislative devono essere esercitate in
armonia con la Costituzione e con i principî dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, rispettando altresì gli obblighi internazionali, gli interessi
nazionali, nonché le norme fondamentali delle riforme economiche-sociali, quali
sono quelle in tema di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali», adottate dallo Stato in base alla competenza di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.
Ciò premesso, l’Avvocatura generale
dello Stato rileva che l’impugnato art. 7, comma 1, lettera f), «appare
suscettibile di essere interpretat[o] secondo
un’accezione ampia», tale da porsi in contrasto con i suddetti limiti.
In primo luogo, posto che nella generica
locuzione «disposizioni normative regionali» può ricomprendersi anche la
disciplina di uso del territorio stabilita dal piano paesaggistico regionale,
il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che gli interventi edilizi
potrebbero essere compiuti in deroga a quest’ultimo, in contrasto quindi con la
norma di grande riforma economico-sociale posta dall’art. 5 del decreto-legge
13 maggio 2011, 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per
l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
12 luglio 2011, n. 106, nonché con i limiti derivanti dalla disciplina statale
concernente i vincoli paesaggistici e con i principî di tutela dei beni
paesaggistici contenuti negli artt. 131 e seguenti del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi
dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Ne conseguirebbe la
violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
In secondo luogo, posto che la
disposizione impugnata fa salvo soltanto il rispetto delle norme del codice
civile e dei diritti dei terzi, gli interventi edilizi potrebbero essere
compiuti in deroga alle disposizioni di cui al decreto del Ministro dei lavori
pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia,
di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati
agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle
attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della
formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), con
conseguente violazione della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento
civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Infine, gli interventi edilizi
potrebbero essere compiuti in deroga anche alle misure di controllo
dell’urbanizzazione stabilite in materia di rischi di incidenti rilevanti di
cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva
96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con
determinate sostanze pericolose), attuativo della cosiddetta direttiva Seveso,
e delle collegate previsioni dettate con decreto ministeriale 9 maggio 2001
(Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e
territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente
rilevante). La disposizione impugnata, perciò, sarebbe in contrasto con l’art.
117, primo comma, Cost., per inosservanza della
normativa europea, e con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella
parte in cui disporrebbe in modo difforme dalla normativa statale in materia.
3.2.– Con l’atto di costituzione, la Regione autonoma
della Sardegna eccepisce, innanzitutto, che le censure concernenti l’art. 7,
comma 1, lettera f), sono inammissibili perché ipotetiche, prospettandosi vizi
meramente eventuali, connessi ad una determinata interpretazione della disposizione
censurata.
Nel merito, la resistente osserva che la
disposizione censurata si limita a fare riferimento alla possibilità di
derogare alla normativa regionale in materia di urbanistica e di edilizia, e
non già a quella statale, senza neppure fare menzione del piano paesaggistico
regionale il quale, comunque sia, ha natura di atto amministrativo generale e
non di regolamento. Dunque, non essendo stato il piano paesaggistico richiamato
dalla disposizione censurata – che invece contempla altri strumenti urbanistici
– ed essendo il piano un atto amministrativo, e non normativo, ne deriverebbe
che gli interventi edilizi di cui alla suddetta disposizione non possono
derogarvi.
Non vi sarebbe poi, secondo la difesa
regionale, alcuna invasione della materia «ordinamento civile», perché l’art.
7, comma 1, lettera f), non investirebbe affatto le regole che disciplinano i
rapporti tra privati, ma si riferirebbe esclusivamente all’attività
edificatoria, da ricomprendersi nella materia «edilizia ed urbanistica» attribuita
in via esclusiva alla Regione autonoma della Sardegna dallo statuto speciale.
D’altra parte, risulterebbe impossibile anche soltanto ipotizzare che tale
disciplina possa incidere sul regime degli standard urbanistici dettati dal d.m. n. 1444 del 1968, essendo questo un atto normativo che
certamente non rientra nelle «disposizioni normative regionali».
Correlativamente infondato, poi, sarebbe
il ricorso laddove si lamenta la violazione dell’art. 117, primo e secondo
comma, lettera s), Cost., sul presupposto che la
disposizione impugnata metterebbe a repentaglio l’attuazione della cosiddetta
normativa sulla prevenzione dei grandi rischi. La disciplina oggetto di
censura, infatti, non consentirebbe affatto di costruire dovunque, ma solo di
ampliare, dati certi presupposti, fabbricati legittimamente già esistenti, e
perciò rispettosi degli strumenti urbanistici vigenti.
3.3.– Nelle due memorie depositate nella cancelleria di
questa Corte, l’una il 5 maggio 2015 e l’altra il 24 maggio 2016, la Regione
autonoma della Sardegna argomenta ulteriormente, innanzitutto, circa
l’inammissibilità delle censure rivolte alla disposizione impugnata. Il
ricorrente, infatti, da un lato non avrebbe motivato sulle ragioni in base alle
quali la disposizione impugnata, che espressamente consente la deroga alla
normativa regionale, consentirebbe la deroga anche a un atto normativo statale
quale il d.m. n. 1444 del 1968, e, dall’altro, egli
avrebbe dovuto indicare specificamente le disposizioni della normativa in
materia di rischi e incidenti industriali violate dall’art. 7, comma 1, lettera
f).
Nel merito, la difesa regionale afferma
che questa Corte si è già pronunciata sulla disciplina relativa al cosiddetto
piano casa della Regione autonoma della Sardegna con la sentenza n. 46 del
2014, con la quale è stata dichiarata infondata «con considerazioni di
sistema» una questione di legittimità sollevata nei confronti di altra
disposizione – l’art. 2 – della legge regionale n. 4 del 2009, novellata
nell’art. 8 dalla norma impugnata.
Osserva, infatti, che con tale decisione
questa Corte avrebbe ricondotto la normativa impugnata alla materia urbanistica
e non invece alla tutela paesaggistica: conseguentemente, dovrebbe escludersi
che la disposizione oggetto di censura autorizzi interventi edilizi in deroga
al piano paesaggistico regionale.
La medesima pronuncia dovrebbe condurre
a ritenere del pari infondata la censura con cui si lamenta la possibilità di
effettuare interventi edilizi in deroga al d.m. n.
1444 del 1968, perché questa Corte avrebbe già escluso che tale ipotesi sia
riscontrabile nella normativa de qua. Si aggiunge, poi, che deroghe di tal
fatta sarebbero ora consentite, peraltro, dall’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), come
novellato dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il
rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 9 agosto 2013, n. 98.
Infine, proprio perché la sentenza n. 46 del
2014 avrebbe precisato che la legge regionale de qua opera sul piano della
legislazione urbanistica e non su quello della legislazione a tutela
dell’ambiente e del paesaggio, dovrebbe ritenersi infondato il ricorso anche
laddove lamenta la possibilità che la norma impugnata consenta interventi
edilizi in deroga alla normativa in materia di rischi e incidenti industriali.
3.4.– Con memoria depositata il 17 maggio 2016, il
Presidente del Consiglio dei ministri, dopo aver precisato che nel giudizio in
via principale la questione di costituzionalità può esser posta «in relazione
ad una ragionevole interpretazione della norma censurata, che si intende
scongiurare», chiede che sia respinta la relativa eccezione di inammissibilità
prospettata dalla difesa regionale.
Nel merito, il ricorrente insiste nel
sostenere che il contrasto con i parametri costituzionali evocati si debba alla
circostanza per cui nella normativa regionale derogabile ai sensi
dell’impugnato art. 7, comma 1, lettera f), deve certamente comprendersi, a
differenza di quanto eccepito dalla Regione autonoma della Sardegna, anche il
piano paesaggistico regionale. Osserva infatti, anche mercé un’analisi del suo
contenuto, che quest’ultimo è atto avente natura mista, presentando caratteri
sia di tipo normativo sia di tipo amministrativo, e che il rilevato contrasto
con le norme costituzionali sarebbe suffragato da quanto statuito da questa
Corte nella recentissima sentenza n. 11 del
2016.
Infine, l’Avvocatura generale dello
Stato ribadisce che, poiché la norma impugnata fa espressamente salvo soltanto
il rispetto delle disposizioni del codice civile e i diritti dei terzi, essa
consentirebbe interventi edilizi in deroga non solo alla normativa regionale,
ma anche a quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968,
in tema di distanze dai fabbricati.
4.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna, in secondo luogo, l’art. 18 della legge regionale oggetto del
presente giudizio, il quale inserisce l’art. 5-bis dopo l’art. 5 della legge
della Regione Sardegna 12 agosto 1998, n. 28 (Norme per l’esercizio delle
competenze in materia di tutela paesistica trasferite alla Regione autonoma
della Sardegna con l’art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, e delegate con
l’art. 57 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348), dettando norme in tema di
interventi di lieve entità da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle
norme di tutela di cui alla Parte III del d.lgs. n. 42 del 2004.
La disposizione censurata sarebbe in
contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché – prevedendo
che, dopo una prima fase di applicazione, la Giunta regionale può individuare,
per gli interventi di lieve entità, ulteriori forme di semplificazione del
procedimento di autorizzazione paesaggistica in conformità ai principî
contenuti nel d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139
(Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni) –
violerebbe la disciplina statale concernente l’autorizzazione paesaggistica di
cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, normativa di
grande riforma economico-sociale.
4.1.– Con l’atto di costituzione, la Regione autonoma
della Sardegna ritiene, innanzitutto, che la censura sia inammissibile perché
eventuale e meramente ipotetica, rilevando che lo Stato potrà eventualmente
dolersi della delibera della Giunta regionale solo nel caso in cui essa violi
la disciplina statale dettata dal codice dei beni culturali e del paesaggio.
Nel merito, la questione sarebbe,
comunque sia, infondata. La difesa regionale osserva che secondo la
giurisprudenza di questa Corte è inibito alle Regioni introdurre disposizioni
che determinino un minor rigore di protezione ambientale, per cui la presunta
lesione di competenza statale si potrà eventualmente verificare solo una volta
che la Giunta regionale abbia adottato la delibera. Quest’ultima, infatti, deve
intervenire nella materia «edilizia ed urbanistica» di competenza esclusiva
regionale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale,
ma in conformità ai principî contenuti nel d.P.R. n.
139 del 2010, di modo che solo dopo la sua adozione si potrà verificare se è
stato o no introdotto un livello maggiore o minore di tutela ambientale o
paesaggistica.
4.2.– Nelle memorie successivamente depositate, la
resistente eccepisce ulteriormente l’inammissibilità della questione «per non
aver il ricorrente articolato le censure tenendo in debito conto le norme di
attuazione statutaria che conferiscono alla Regione competenza legislativa
primaria in materia di "tutela del paesaggio”», richiamando a tal proposito la sentenza n. 288 del
2013 di questa Corte.
Nel merito, rileva che proprio lo Stato,
dando attuazione all’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004, ha
riconosciuto alle Regioni autonome, con l’art. 6 del d.P.R.
n. 139 del 2010, la competenza a regolare i profili procedimentali
dell’autorizzazione paesaggistica semplificata e che, pertanto, la disposizione
censurata «si inserisce armonicamente […] in un ambito d’autonomia
specificamente disegnato» dalla normativa statale.
4.3. – Con la memoria depositata in
prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato chiede,
innanzitutto, che siano respinte le eccezioni di inammissibilità: sia perché
l’interesse sarebbe «attuale perché attuale è l’invasione della competenza
statale da parte della Regione, che non ha rispettato il disposto dell’art. 117
per la parte applicabile in materia», sia perché nel ricorso si sarebbe invero
fatto riferimento anche alla disciplina statutaria regionale ed a quella
attuativa, rilevando però la prevalenza delle competenze statali ex art. 117
Cost.
Nel merito, la difesa statale osserva
che il contrasto con la disciplina statale sull’autorizzazione paesaggistica è
dato dal fatto che, sebbene quest’ultima autorizzi le Regioni a statuto
speciale ad adottare le norme necessarie a disciplinare il procedimento
semplificato, non consente loro di individuare «ulteriori forme di
semplificazione del procedimento», come invece dispone la norma censurata.
5.– Il ricorso statale ha, in terzo luogo, per oggetto
l’art. 20 della legge regionale impugnata, il quale sostituisce il comma 4-bis
dell’art. 6 della legge regionale 14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la
classificazione delle aziende ricettive). Tale disposizione prevede che, al
ricorrere di requisiti specificamente indicati, taluni allestimenti mobili di
pernottamento collocati nelle aziende ricettive all’area aperta non
costituiscono attività rilevante a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
censura la richiamata disposizione in quanto non spetterebbe «alla normativa
regionale qualificare alcuni interventi come paesaggisticamente irrilevanti,
ampliando la previsione dell’articolo 149 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio». Così facendo, invece, la legge sarda consentirebbe attività prive
dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del medesimo codice – che
è norma di grande riforma economico-sociale, in quanto tale vincolante per la
Regione autonoma della Sardegna – in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
5.1.– Con l’atto di costituzione la Regione autonoma
della Sardegna eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso in
parte qua, in quanto si limiterebbe a prospettare dubbi connessi alla portata
interpretativa e applicativa della normativa in questione.
Nel merito, la questione di legittimità
sarebbe infondata. Sarebbe destituito di fondamento l’assunto da cui muove il
ricorrente, secondo il quale la disposizione impugnata avrebbe esteso gli
interventi qualificati come paesaggisticamente irrilevanti e avrebbe ecceduto,
dunque, dai limiti spettanti all’autonomia regionale: la normativa censurata,
infatti, espressamente disciplina solo gli allestimenti mobili di pernottamento
– i quali, per loro natura, non possono determinare un mutamento definitivo
nell’assetto del territorio – ed anzi richiede che gli accessori e le
pertinenze siano rimovibili in ogni momento.
5.2.– Nelle memorie successivamente depositate, la
Regione autonoma della Sardegna avanza un’ulteriore eccezione di
inammissibilità, analoga a quella già proposta avverso l’impugnazione dell’art.
18: il ricorrente non avrebbe articolato le censure «tenendo in conto le norme
di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione una competenza
legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio».
Quanto al merito, la difesa regionale
ribadisce che la questione sarebbe infondata, ricordando che tanto la
giurisprudenza amministrativa quanto quella penale – quest’ultima pronunciatasi
anche con riferimento alla disposizione oggetto del presente ricorso (si
richiama, in proposito, Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 14
maggio-13 settembre 2013, n. 37572) – hanno riconosciuto che ciò che
contraddistingue l’edificazione urbanisticamente e paesaggisticamente rilevante
è il carattere permanente della struttura, espressamente escluso dalla
disposizione impugnata.
Rileva, poi, a dimostrazione che la
Regione autonoma della Sardegna ben poteva adottare la disposizione censurata,
che con la sentenza
n. 278 del 2010 questa Corte ha dichiarato incostituzionale una
disposizione statale analoga a quella impugnata nel presente giudizio, perché impingeva nella competenza regionale in materia di «governo
del territorio». Infine, osserva che recentemente il legislatore statale (il
riferimento è al novellato art. 3, comma 1, lettera e, del d.P.R.
n. 380 del 2001) è andato ben oltre quanto stabilito nella disposizione
censurata con riguardo agli interventi che non debbono qualificarsi di nuova
costruzione: ciò che non solo dimostrerebbe l’infondatezza del ricorso, ma
l’improcedibilità o inammissibilità dello stesso per sopravvenuta carenza
d’interesse.
5.3.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, dopo aver
chiesto che siano respinte le eccezioni di inammissibilità, ha rilevato che la
disposizione regionale si riferisce senza dubbio anche a strutture che, pure se
non rilevanti a fini urbanistici ed edilizi, ben possono essere
paesaggisticamente significative, incidendo sulla conformazione del paesaggio
per ciò stesso necessitando di controllo e autorizzazione: non rilevanti,
pertanto, sarebbero la giurisprudenza amministrativa e penale richiamate dalla
difesa regionale. Allo stesso modo, non sarebbe pertinente l’evocata sentenza di questa
Corte n. 278 del 2010, dal momento che la circostanza per cui il
legislatore statale non può dettare una normativa di dettaglio circa le
strutture turistico-ricettive all’aperto – trattandosi della materia «governo
del territorio» – non consentirebbe in ogni caso al legislatore regionale di
adottare una disciplina in deroga a norme di grandi riforme economico-sociali
quali l’art. 149 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
6.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, in quarto luogo, impugna anche l’art. 23, commi 6 e 7, della legge
oggetto del presente giudizio, il quale, apportando modifiche all’art. 5 della
legge regionale 21 settembre 2011, n. 19 (Provvidenze per lo sviluppo del
turismo golfistico), ha previsto, in particolare, che la Giunta regionale
proponga gli adeguamenti al piano paesaggistico regionale necessari per
consentire, anche in ambito costiero, la realizzazione di nuove strutture
residenziali ricettive connesse ai campi da golf.
Il ricorrente ritiene che la normativa
impugnata sia in violazione del principio della pianificazione necessariamente
congiunta (Stato-Regione) sui beni paesaggistici, previsto negli artt. 135 e
143 del codice dei beni culturali e del paesaggio, indubbiamente qualificabile
come normativa di grande riforma economico-sociale, ponendosi così in contrasto
con l’art. 3 dello statuto speciale, oltre che con gli artt. 117, secondo
comma, lettera s), e 118, terzo comma, Cost.
6.1.– La Regione autonoma della
Sardegna, dopo avere chiesto nell’atto di costituzione che le questioni di
legittimità costituzionale relative alla suddetta normativa siano dichiarate
inammissibili o infondate, nella memoria depositata il 5 maggio 2015 ha chiesto
sia dichiarata la cessata materia del contendere, in considerazione, per un
verso, della abrogazione – pienamente satisfattiva delle pretese del ricorrente
– dell’intiera legge regionale n. 19 del 2011 e delle
successive modifiche e integrazioni ad opera dell’art. 44, comma 5, della legge
regionale 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di
disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del
patrimonio edilizio) e, per un altro, della circostanza per cui la legge
abrogata non è mai stata applicata nelle more del presente giudizio.
6.2.– L’8 giugno 2015 l’Avvocatura generale dello Stato
ha depositato, previa delibera del Consiglio dei ministri, atto di rinuncia
parziale al ricorso, limitatamente alle suddette questioni di legittimità
costituzionale.
6.3.– Con atto depositato il 12 maggio 2016, la Regione
autonoma della Sardegna, previa delibera della Giunta regionale, ha accettato
la rinuncia parziale al ricorso.
1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7,
comma 1, lettera f); 18; 20 e 23, commi 6 e 7, della legge della Regione
Sardegna 21 novembre 2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale
n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28
del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere
urbanistico), per violazione degli artt. 9; 117, primo e secondo comma, lettere
l) e s), e 118, terzo comma, della Costituzione, oltre che per eccesso dalle
competenze di cui all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3
(Statuto speciale per la Sardegna).
Le disposizioni censurate, che novellano
precedenti leggi regionali, dettano norme in tema di interventi sul patrimonio
edilizio esistente, di semplificazione delle procedure di autorizzazione
paesaggistica per gli interventi di lieve entità, di allestimenti nelle aziende
ricettive all’area aperta e di sviluppo del turismo golfistico.
2.– Nelle more del giudizio, il
Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato l’8 giugno 2015, ha
rinunciato al ricorso, limitatamente all’impugnazione dell’art. 23, commi 6 e
7, della legge regionale censurata, in ragione dell’abrogazione, disposta
dall’art. 44, comma 5, della legge della Regione Sardegna 23 aprile 2015, n. 8
(Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia
urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), dell’intiera legge regionale n. 19 del 2011, e successive
modifiche e integrazioni, fra cui proprio quella operata con l’impugnato art.
23.
La rinuncia parziale è stata formalmente
accettata dalla Regione autonoma della Sardegna, con atto depositato il 12
maggio 2016.
Pertanto, ai sensi dell’art. 23 delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, va dichiarata
l’estinzione del processo relativamente alle questioni di legittimità dell’art.
23, commi 6 e 7, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2011.
3.– Restano, quindi, da esaminare i tre insiemi di
questioni relative alle disposizioni di cui agli artt. 7, comma 1, lettera f),
18 e 20 della legge regionale impugnata.
4.– L’art. 7, comma 1, lettera f),
inserisce il comma 5-ter nell’art. 8 della legge regionale 22 ottobre 2009, n.
4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio
del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza
strategica per lo sviluppo), legge attuativa del cosiddetto piano casa,
prevedendo che gli interventi edilizi di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 6 della
legge novellata «sono realizzati in deroga alle previsioni dei regolamenti
edilizi e degli strumenti urbanistici comunali vigenti ed in deroga alle
vigenti disposizioni normative regionali; possono essere superati gli indici
massimi di fabbricabilità. È in ogni caso fatto salvo il rispetto delle
disposizioni del Codice civile e i diritti dei terzi».
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, tale disposizione violerebbe gli artt. 9 e 117, primo e secondo
comma, lettere l) e s), Cost., perché si porrebbe in contrasto con i limiti che
la Regione autonoma della Sardegna incontra nell’esercizio delle proprie
competenze, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale,
in materia di «edilizia ed urbanistica», e, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione
dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna), in materia di
«piani territoriali paesistici». La norma impugnata, infatti, consentirebbe che
gli interventi edilizi cui essa fa riferimento siano realizzati in deroga alla
disciplina di uso del territorio stabilita dal piano paesaggistico regionale,
al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti
massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi
pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi
da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della
revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967,
n. 765), nonché alle misure di controllo dell’urbanizzazione stabilite in
materia di rischi di incidenti rilevanti di cui al decreto legislativo 17
agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo
dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze
pericolose), attuativo della cosiddetta direttiva Seveso, e alle collegate
previsioni dettate con decreto ministeriale 9 maggio 2001 (Requisiti minimi di
sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone
interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante).
4.1.– In relazione alle questioni di legittimità
costituzionale ora in esame vanno preliminarmente respinte le tre diverse
eccezioni di inammissibilità formulate dalla Regione autonoma della Sardegna.
La difesa regionale lamenta, in primo
luogo, che le censure sono ipotetiche e che prospettano vizi meramente
eventuali, connessi a una determinata interpretazione della disposizione
censurata. Tuttavia, come peraltro riconosce anche la stessa Regione autonoma
della Sardegna, «costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di
questa Corte l’ammissibilità, nei giudizi in via principale, delle questioni
prospettate in termini dubitativi o alternativi (tra le ultime, sentenze n. 269
e n. 207 del
2014), purché le interpretazioni "non siano implausibili
e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far
ritenere le questioni del tutto astratte e pretestuose”» (sentenza n. 245 del
2015; nello stesso senso, più di recente, sentenza n. 3 del
2016). È quanto precisamente accade nell’occasione in esame, dal momento
che l’interpretazione «secondo un’accezione ampia» posta in essere dal
ricorrente non è affatto implausibile né pretestuosa
e, dunque, non è preclusiva di un esame nel merito.
Del pari da respingere è la seconda
eccezione di inammissibilità. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione
autonoma della Sardegna, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
sufficientemente motivato sulle ragioni per le quali la disposizione impugnata,
che espressamente consente interventi edilizi in deroga alla normativa
regionale, li autorizzerebbe anche in deroga a un regolamento statale quale il d.m. n. 1444 del 1968: ciò si evincerebbe, a detta del
ricorrente, dalla circostanza per cui la norma censurata fa espressamente salvo
il rispetto del solo codice civile e dei diritti dei terzi, ma non impone anche
quello del citato d.m.
Anche la terza eccezione di
inammissibilità non è meritevole di accoglimento. È vero che lo Stato non ha
indicato specificamente le disposizioni della normativa statale in materia di
rischi e incidenti industriali che sarebbero violate dall’art. 7, comma 1,
lettera f), ma ciò proprio perché il ricorrente non ha inteso lamentare il
contrasto con puntuali norme previste dalla richiamata legislazione statale,
bensì il fatto che gli interventi edilizi autorizzati dalla legge regionale
possano di volta in volta essere compiuti in deroga a detta legislazione.
4.2.– Nel merito, le questioni di legittimità ora in
esame non sono fondate, nei limiti e nei termini che seguono.
4.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna
l’art. 7, comma 1, lettera f), rilevando che detto articolo «appare
suscettibile di essere interpretat[o] secondo
un’accezione ampia», tale da porsi in contrasto con i limiti che la Regione
autonoma della Sardegna incontra nell’esercizio delle competenze legislative in
materia di «edilizia ed urbanistica» e di «piani territoriali paesistici».
Questa Corte ha già precisato che il
legislatore statale conserva «il potere di vincolare la potestà legislativa
primaria della Regione speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili
come "riforme economico-sociali”: e ciò anche sulla base – per quanto qui viene
in rilievo – del titolo di competenza legislativa nella materia "tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della
tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; con
la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi
statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario
rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria
competenza statutaria nella materia "edilizia ed urbanistica”» (sentenza n. 51 del
2006; nello stesso senso, anche la sentenza n. 536 del
2002).
Il legislatore regionale è poi tenuto a
rispettare quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968
che, come questa Corte ha in più occasioni affermato, «integra la disciplina
privatistica delle distanze» (sentenza n. 114 del
2012), la quale può essere derogata dalla normativa regionale solo in
quanto questa persegua «chiaramente finalità di carattere urbanistico,
rimettendo l’operatività dei suoi precetti a "strumenti urbanistici funzionali
ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio” (sentenza n. 232 del
2005)» (sentenza
n. 6 del 2013), secondo un principio che è stato sostanzialmente recepito
dal legislatore statale all’art. 2-bis del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia – Testo A), inserito dall’art. 30, comma 1, 0a), del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 9 agosto 2013, n. 98 (sentenza n. 134 del
2014).
Infine, la legislazione regionale non
può porsi in contrasto con la normativa statale in materia di rischi di
incidenti rilevanti, che questa Corte ha già ricondotto alla materia «tutela
dell’ambiente» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze
n. 135 del 2005 e n. 407 del 2002).
4.4.– Tuttavia, l’interpretazione della disposizione
impugnata ipotizzata dal Presidente del Consiglio dei ministri, tale da
ricavarne norme in contrasto con detti limiti – sebbene non sia implausibile e, come detto, non precluda pertanto l’esame
del merito delle questioni di legittimità costituzionale – non è certamente la
sola possibile.
La disposizione impugnata, infatti, può
essere interpretata in modo da prevenire l’insorgere della denunciata antinomia
normativa, come d’altro canto esattamente prospettato anche dalla stessa
Regione autonoma della Sardegna nei diversi atti difensivi.
Innanzitutto, si deve escludere, proprio
in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri
strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del
2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile: ciò perché
l’intervento legislativo regionale – da ricondurre, come questa Corte ha già
rilevato con la sentenza
n. 46 del 2014, alla materia «edilizia e urbanistica» – espressamente
dispone la possibilità di compiere alcuni interventi in deroga ai «regolamenti
edilizi e [agli] strumenti urbanistici comunali vigenti», senza comprendere,
dunque, alcun riferimento al piano paesaggistico regionale. D’altra parte,
l’art. 1 della legge regionale n. 4 del 2009, nel cui art. 8 è inserito dalla
disposizione impugnata il comma 5-ter, espressamente afferma che l’intervento
legislativo intende favorire interventi nel settore edilizio diretti alla
riqualificazione ed al miglioramento anche «della compatibilità paesaggistica»,
ciò che costituisce ulteriore argomento ermeneutico idoneo ad escludere che
detti interventi edilizi possano essere realizzati in deroga al piano
paesaggistico regionale.
Quanto, poi, alla possibilità che questi
ultimi possano essere effettuati in deroga al d.m. n.
1444 del 1968 e alla normativa statale in materia di rischi di incidenti
rilevanti, va innanzitutto rilevato che il disposto normativo impugnato
consente bensì che taluni interventi edilizi siano realizzati in deroga ai
regolamenti edilizi, agli strumenti urbanistici comunali vigenti e alle
«vigenti disposizioni normative regionali», al cui ambito, con tutta evidenza,
non può però certamente ricondursi la legislazione statale. È anche alla luce
di questo primo periodo del comma inserito dalla disposizione censurata, poi,
che deve essere interpretato l’ultimo periodo del medesimo comma: con la
clausola di salvezza ivi prevista, il legislatore regionale ha voluto
espressamente escludere che gli interventi edilizi possano essere realizzati in
violazione delle disposizioni del codice civile – il cui richiamo, peraltro,
deve intendersi come riferito all’intiera disciplina
civilistica di cui il d.m. n. 1444 del 1968 è parte
integrante e fondamentale (sentenza n. 134 del
2014) – e dei diritti dei terzi, senza perciò consentire, tuttavia, che
essi siano effettuati in deroga ad altra normativa statale, la quale pertanto
deve in ogni caso essere osservata.
L’art. 7, comma 1, lettera f), della
legge regionale impugnata deve pertanto essere interpretato nel senso che gli
interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga né al
piano paesaggistico regionale né alla legislazione statale.
5.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha, in secondo luogo, impugnato, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., l’art. 18 della censurata legge regionale, il quale
inserisce l’art. 5-bis dopo l’art. 5 della legge regionale 12 agosto 1998, n.
28 (Norme per l’esercizio delle competenze in materia di tutela paesistica trasferite
alla Regione autonoma della Sardegna con l’art. 6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n.
480, e delegate con l’art. 57 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348). La
disposizione inserita prevede che: «1. In sede di prima applicazione, gli
interventi di lieve entità da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle
norme di tutela di cui alla parte III del decreto legislativo n. 42 del 2004, e
successive modifiche, ed indicati nell’elenco allegato al decreto del
Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante
procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di
lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche), sempre che comportino
un’alterazione dei luoghi e dell’aspetto esteriore degli edifici, sono
assoggettati al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica così
come disciplinato nel regolamento emanato con il citato decreto presidenziale.
2. La Giunta regionale, con direttiva adottata previa deliberazione, può
individuare ulteriori forme di semplificazione del procedimento di
autorizzazione paesaggistica in conformità ai principi contenuti nel decreto
del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010».
Le censure del ricorrente hanno per
oggetto, in verità, il solo secondo comma della disposizione de qua, il quale
violerebbe la disciplina statale concernente l’autorizzazione paesaggistica di
cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Quest’ultima,
infatti, è norma di grande riforma economico-sociale, funzionale ad assicurare
uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale nella delicata fase
di tutela preventiva del bene protetto.
5.1.– Anche in relazione a questa questione di
legittimità costituzionale vanno preliminarmente respinte le eccezioni di
inammissibilità avanzate dalla Regione autonoma della Sardegna.
La difesa regionale lamenta,
innanzitutto, la carenza di attualità della censura, rilevando che lo Stato
potrà eventualmente dolersi soltanto della delibera della Giunta regionale che
violi la disciplina statale dettata dal codice dei beni culturali e del
paesaggio. In senso contrario è tuttavia dirimente l’osservazione per cui,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, «non è ammissibile il ricorso per
conflitto di attribuzione nei confronti di atti che siano la diretta
applicazione di preesistenti disposizioni legislative non impugnate» (sentenza n. 30 del
2012), quale evidentemente sarebbe la delibera di Giunta di cui al
censurato art. 18.
In secondo luogo, la Regione resistente
eccepisce che il ricorrente ha articolato le censure senza tenere in conto «le
norme di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione una competenza
legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio». Tuttavia, va
osservato, innanzitutto, che su tale competenza e sui limiti che essa incontra,
il Presidente del Consiglio dei ministri si diffonde nella parte iniziale del
ricorso, svolgendo considerazioni che, sebbene compiute in premessa delle
questioni di legittimità promosse nei confronti dell’art. 7, comma 1, lettera
f), della legge regionale impugnata, hanno carattere generale e risultano
riferite a tutte le censure proposte con l’atto introduttivo del presente
giudizio. Inoltre, nell’articolazione della censura avente per oggetto l’art.
18, espressamente il ricorrente lamenta il contrasto con l’art. 146 del codice
dei beni culturali e del paesaggio che «costituisce una norma di grande riforma
economico-sociale»: qualificazione, questa, che evidentemente presuppone il
riconoscimento in capo alla Regione autonoma della Sardegna di una competenza
da tale norma limitata.
5.2.– Nel merito, la questione di legittimità ora in
esame non è fondata, nei limiti e nei termini che seguono.
5.3.– L’art. 146, comma 9, quarto
periodo, del codice dei beni culturali e del paesaggio dispone che «[c]on
regolamento da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro
d’intesa con la Conferenza unificata, salvo quanto previsto dall’articolo 3 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite procedure
semplificate per il rilascio dell’autorizzazione in relazione ad interventi di
lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei
procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e
20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni».
Il previsto regolamento è stato adottato
con il d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante
procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di
lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), il cui art. 6, rubricato come
«Efficacia immediata delle disposizioni in tema di autorizzazioni semplificate»
dispone che «1. Ai sensi dell’articolo 131, comma 3, del Codice, le
disposizioni del presente decreto trovano immediata applicazione nelle regioni
a statuto ordinario. 2. In ragione dell’attinenza delle disposizioni del
presente decreto ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui
all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e della natura
di grande riforma economico sociale del Codice e delle norme di semplificazione
procedimentale in esso previste, le regioni a statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano, in conformità agli statuti ed alle relative
norme di attuazione, adottano, entro centottanta giorni, le norme necessarie a
disciplinare il procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata in
conformità ai criteri del presente decreto.».
5.4.– La disposizione censurata costituisce dunque
attuazione, come rileva anche la difesa regionale, di quanto previsto dalla
normativa statale. Il Presidente del Consiglio dei ministri, tuttavia, ritiene
che l’aggettivo «ulteriori» di cui alla disposizione impugnata consentirebbe
alla Giunta regionale di individuare forme di "maggiore semplificazione”
rispetto a quanto previsto dalla normativa statale, ponendosi così in contrasto
con l’evocato parametro costituzionale.
A tale interpretazione – che
determinerebbe l’insorgere dell’antinomia normativa paventata nel ricorso, dal momento
che, come si è già detto, le norme fondamentali contenute negli atti
legislativi statali adottati nella materia «tutela dell’ambiente» continuano a
imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione autonoma della
Sardegna – deve tuttavia preferirsene altra, tale da rendere la disposizione
impugnata conforme a Costituzione. Il comma 2 della disposizione inserita dal
censurato art. 18, infatti, deve essere inteso nel senso che la Giunta può
prevedere forme di semplificazione "diverse” da quelle previste dalla normativa
statale, nel frattempo applicabile anche nella Regione autonoma della Sardegna
ai sensi del comma 1 della medesima disposizione, ma non per questo di
"maggiore semplificazione”, tanto più che è la stessa disposizione regionale a
prevedere che esse debbono essere conformi ai principî contenuti nel citato d.P.R. n. 139 del 2010.
6.– In terzo e ultimo luogo, il Presidente del
Consiglio dei ministri impugna, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo
comma, lettera s), Cost., l’art. 20 della legge regionale oggetto del presente
giudizio, il quale sostituisce il comma 4-bis dell’art. 6 della legge regionale
14 maggio 1984, n. 22 (Norme per la classificazione delle aziende ricettive),
introdotto dalla legge regionale 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei
settori economico e sociale). Il citato comma 4-bis ora prevede che: «Fatto
salvo quanto previsto nel presente articolo, nelle aziende ricettive all’area
aperta regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività autorizzata, gli
allestimenti mobili di pernottamento, quali tende, roulotte, caravan, mobil-home, maxicaravan o case
mobili e pertinenze ed accessori funzionali all’esercizio dell’attività, sono
diretti a soddisfare esigenze di carattere turistico meramente temporanee e,
anche se collocati in via continuativa, non costituiscono attività rilevante a
fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. A tal fine tali allestimenti devono:
a) conservare i meccanismi di rotazione in funzione; b) non possedere alcun
collegamento di natura permanente al terreno e gli allacciamenti alle reti
tecnologiche, gli accessori e le pertinenze devono essere rimovibili in ogni
momento.».
Il ricorrente censura detta disposizione
perché non spetterebbe «alla normativa regionale qualificare alcuni interventi
come paesaggisticamente irrilevanti, ampliando la previsione dell’articolo 149
del Codice dei beni culturali e del paesaggio» e così consentendo attività
prive dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del medesimo
codice, norma di grande riforma economico-sociale.
6.1.– Anche in relazione a quest’ultima questione di
legittimità costituzionale, devono preliminarmente essere prese in esame le
eccezioni di inammissibilità proposte dalla Regione autonoma della Sardegna.
Queste, peraltro, sono analoghe a quelle
già avanzate con riferimento alle altre questioni di legittimità costituzionale
proposte con il ricorso statale e debbono pertanto essere parimente rigettate.
La Regione resistente lamenta, in primo
luogo, che il Presidente del Consiglio dei ministri prospetta generici dubbi,
connessi alla portata interpretativa e applicativa della disposizione
censurata: tuttavia, ciò che conta è che l’interpretazione di quest’ultima non
è né implausibile né pretestuosa, di modo che non
appare preclusiva di un esame nel merito.
In secondo luogo, la difesa regionale
eccepisce che il ricorrente ha articolato le censure senza tenere in conto «le
norme di attuazione statutaria che conferiscono alla Regione una competenza
legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio». Al riguardo vale
quanto già osservato in relazione alla questione di legittimità costituzionale
concernente l’art. 18 della legge regionale impugnata, ovvero che, non solo su
tale competenza e sui limiti che essa incontra il Presidente del Consiglio dei
ministri si diffonde nella prima parte del ricorso – svolgendo considerazioni
che, sebbene compiute in premessa delle questioni di legittimità costituzionale
promosse nei confronti dell’art. 7, comma 1, lettera f), della legge regionale
impugnata, hanno carattere generale e sono riferite a tutte le censure proposte
con l’atto introduttivo del presente giudizio – ma che, inoltre, espressamente
lo Stato lamenta il contrasto dell’art. 20 della legge regionale impugnata con
la «norma di grande riforma economico-sociale» posta dall’art. 146 del codice
dei beni culturali e del paesaggio, così chiaramente dando per presupposta una
competenza della Regione autonoma della Sardegna da tale norma limitata.
6.2.– Nel merito, la questione di legittimità
costituzionale è fondata, nei termini che seguono.
6.3.– È innanzitutto necessario precisare che
l’impugnativa statale non concerne, in verità, l’intiera
disposizione regionale, ma la parte di essa che qualifica gli interventi ivi
previsti come paesaggisticamente irrilevanti. Difatti, lo Stato non censura
affatto la qualificazione di detti interventi come irrilevanti ai fini
urbanistici ed edilizi, essendo tale qualificazione riconducibile alla potestà
primaria in materia «edilizia e urbanistica» conferita alla Regione autonoma
della Sardegna dall’art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale. Da ciò
consegue, peraltro, che la giurisprudenza amministrativa e penale in tema di
edilizia e urbanistica, richiamata dalla difesa regionale, non è pertinente.
6.4.– Questa Corte si è già pronunciata su disposizioni
dal contenuto sostanzialmente analogo a quello della disposizione impugnata,
adottate però dal legislatore statale e censurate dalle Regioni per lesione
delle proprie competenze, impugnate sotto profili diversi da quelli in
considerazione nel presente giudizio.
Con la sentenza n. 278 del
2010, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma
9, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione
delle imprese, nonché in materia di energia). In detta pronuncia, questa Corte
rilevò, preliminarmente, che «l’oggetto principale, il suo "nucleo essenziale”»
della disposizione impugnata era costituito dalla disciplina urbanistico-edilizia
relativa all’installazione di mezzi mobili di pernottamento e che, pertanto,
essa doveva essere ricondotta alla materia «governo del territorio» di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost. Ciò posto, accogliendo i ricorsi regionali che
lamentavano una invasione di competenza in ambito di potestà concorrente, la
disposizione allora censurata fu ritenuta illegittima perché norma di dettaglio
avente a oggetto «una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi
edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti», che non lasciava,
in tal modo, alcuno spazio al legislatore regionale.
Con la recente sentenza n. 189 del
2015 è stata poi dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 41, comma 4, del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 9 agosto 2013, n. 98, che era intervenuto sul testo dell’art. 3, comma 1,
lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001,
modificandolo in modo che fossero da considerarsi, comunque sia, interventi di
nuova costruzione l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere che fossero utilizzati come abitazioni,
ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non fossero
diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee «ancorché [fossero]
installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture
ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la
sosta ed il soggiorno di turisti». Questa Corte osservò che la norma impugnata
presentava vizi di legittimità analoghi a quelli riscontrati nella disposizione
annullata con la sentenza
n. 278 del 2010, perché anch’essa sottraeva al legislatore regionale ogni
spazio di intervento, «determinando la compressione della sua competenza
concorrente in materia di governo del territorio, nonché la lesione della
competenza residuale del medesimo in materia di turismo, strettamente connessa,
nel caso di specie, alla prima».
6.5.– Nel presente giudizio, come si è già precisato,
vengono tuttavia in considerazione, pur a fronte di disposizione analoga a
quelle già scrutinate da questa Corte, contenute in leggi statali, profili
inerenti non al «governo del territorio» ma, diversamente, alla «tutela del
paesaggio».
Osserva a tal proposito il ricorrente
che anche un intervento non rilevante a fini urbanistici ed edilizi, perché a
carattere non permanente, «ben può essere paesaggisticamente significativo, in
quanto, andando ad incidere sulla conformazione del paesaggio, necessita di un
apposito controllo e successiva autorizzazione». È del tutto evidente che non
ogni intervento qualificato dalla norma impugnata come paesaggisticamente
irrilevante ha sempre un impatto paesaggisticamente significativo, perché ciò
dipenderà, di volta in volta, dalle modalità di realizzazione del singolo
intervento: ma proprio in ciò risiede l’esigenza che i richiamati interventi,
come previsto dalla legislazione statale, siano soggetti all’autorizzazione paesaggistica.
Questa Corte ha già affermato che la
legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione
paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle
Regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione
ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio
nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica
(sentenza n. 232
del 2008, successivamente richiamata dalle sentenze n. 101 del 2010
e n. 235 del
2011).
La disposizione impugnata, invece, nel
qualificare come paesaggisticamente irrilevanti taluni interventi nelle aziende
ricettive all’area aperta, consente che essi vengano posti in essere a
prescindere dall’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice
dei beni culturali e del paesaggio, la quale è norma di grande riforma
economico-sociale che la Regione autonoma della Sardegna deve rispettare (sentenza n. 238 del
2013), in quanto adottata nell’ambito della competenza esclusiva statale
nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La norma censurata si pone
dunque in contrasto con il richiamato art. 146, oltre che con l’art. 149 del
medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio – che individua
tassativamente le tipologie di interventi in aree vincolate realizzabili anche
in assenza di autorizzazione paesaggistica – e con l’Allegato 1 del d.P.R n. 139 del 2010 – che reca un elenco tassativo degli
interventi di «lieve entità», assoggettati a procedimento semplificato di
autorizzazione paesaggistica (sentenza n. 235 del
2011).
6.6.– Né può condurre a una diversa
risoluzione della presente questione di legittimità costituzionale l’affermazione
della difesa regionale secondo cui la più recente normativa statale – il
riferimento è all’art. 10-ter, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47
(Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e
per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 23 maggio 2014, n. 80, che ha novellato l’art. 3, comma 1, lettera e.5)
del testo unico in materia edilizia – «ha "liberalizzato” la materia ben più di
quanto avrebbe (ad avviso del ricorrente) fatto la legge regionale in esame»,
al punto che la questione dovrebbe considerarsi improcedibile per sopravvenuto
difetto di interesse all’impugnazione. A prescindere da ogni considerazione
sulla proposta interpretazione dell’evocata normativa statale, peraltro oggetto
di ulteriore novella ad opera dell’art. 52, comma 2, della legge 28 dicembre
2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green
economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), la disposizione
impugnata è intervenuta in parte qua in un ambito materiale – quello della
«tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» di cui all’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. – di esclusiva competenza statale.
6.7.– L’impugnato art. 20 va, perciò, dichiarato
costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole «e paesaggistici».
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 20 della legge della Regione Sardegna 21 novembre
2011, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla
legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla
legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico),
limitatamente alle parole «e paesaggistici»;
2) dichiara non fondate, nei sensi di
cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7,
comma 1, lettera f), della legge della Regione Sardegna n. 21 del 2011,
promosse, in riferimento agli artt. 9, 117, primo comma, e secondo comma,
lettere l) e s), Cost., dal Presidente del Consiglio
dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata, nei sensi di
cui in motivazione, la questione di legittimità dell’art. 18 della legge della
Regione Sardegna n. 21 del 2011, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio
dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara, ai sensi dell’art. 23 delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale,
estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 23, commi 6 e 7, della legge della Regione Sardegna n.
21 del 2011, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio
2016.