Sentenza n. 265 del 2022

SENTENZA N. 265

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

 Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi da 16 a 23, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2021, n. 13 (Assestamento del bilancio per gli anni 2021-2023 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11 ottobre 2021, depositato in cancelleria il 19 ottobre 2021, iscritto al n. 65 del registro ricorsi del 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udita nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2022 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

uditi l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

deliberato nella camera di consiglio del 10 novembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 19 ottobre 2021 e iscritto al n. 65 del registro ricorsi del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi da 16 a 23, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2021, n. 13 (Assestamento del bilancio per gli anni 2021-2023 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26), che regolamentano il rinnovo delle concessioni di piccole derivazioni d’acqua a uso idroelettrico, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 49 e 57 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e all’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno (d’ora in avanti anche: direttiva servizi); all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con riguardo alla materia «tutela della concorrenza», relativamente alle norme contenute nel decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici); e all’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con la potestà legislativa concorrente nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», relativamente ai suoi principi fondamentali riferiti alla «necessità di procedure competitive eque, trasparenti e non discriminatorie ad ogni scadenza della concessione della risorsa idrica».

1.1.– In particolare, con riferimento al primo parametro evocato, il ricorrente considera la gestione di centrali idroelettriche un’attività economica, ai sensi dell’art. 57 TFUE, «cui [sarebbero] applicabili, in via generale, i principi della libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE e, più specificamente, i principi della Direttiva servizi 2006/123/CE», fra i quali l’art. 12, paragrafo 1, della citata direttiva, recepito nel nostro ordinamento all’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).

Per motivare tale violazione e, dunque, l’«illegittimità di un rinnovo automatico» e la «necessità di procedure competitive», il ricorrente richiama la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, 13 dicembre 2018, n. 201, che ha disapplicato l’art. 30 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici), rilevando che tale disciplina «deve essere disapplicata nella parte in cui consente il rinnovo di un contratto di concessione, senza la previa indizione di una procedura trasparente e conoscibile che consenta ai terzi che vi hanno interesse di formulare una proposta concorrente, sulla base dei principi di derivazione comunitaria per i quali, quando l’amministrazione attribuisce occasioni di vantaggio a privati in relazione a beni pubblici la cui disponibilità sia limitata, deve rispettare i principi di non discriminazione e pari trattamento, corollari di quello di concorrenza [su] cui si basa il Trattato UE».

Inoltre, il ricorso richiama le argomentazioni contenute nel parere AS 1722 del 3 marzo 2021 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), reso ai sensi dell’art. 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), in relazione ai «[r]innovi automatici di concessioni per piccole derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico».

Precisa, di seguito, che la direttiva non disporrebbe soglie di applicabilità e, dunque, si imporrebbe «indipendentemente dalla rilevanza economica dell’attività svolta» e opererebbe a prescindere dalla rilevanza transfrontaliera della concessione.

L’Avvocatura dello Stato esclude che l’intervento legislativo regionale possa giustificarsi in ragione dei tempi tecnici incomprimibili, necessari a istruire adeguatamente procedure concorrenziali: l’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE si sarebbe imposto a partire dalla scadenza del termine di recepimento della direttiva stessa (28 dicembre 2009) e, di conseguenza, «stante il lungo lasso di tempo trascorso dalla vigenza dell’obbligo in questione, l’apertura al mercato delle concessioni poteva essere gestita organizzando, per tempo, ordinate procedure competitive di rinnovo». In ogni caso, l’ente non potrebbe eccepire difficoltà pratiche o amministrative per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini stabiliti dalla direttiva (a tal fine sono richiamate Corte di giustizia dell’Unione europea, prima sezione, sentenza 18 ottobre 2012, in causa C-301/10, Commissione contro Regno Unito e Irlanda del Nord, e Corte di giustizia delle Comunità europee, sesta sezione, sentenza 30 novembre 2006, in causa C-293/05, Commissione contro Italia).

Parimenti, l’Avvocatura esclude che un presunto legittimo affidamento dei concessionari uscenti possa giustificare la violazione della disciplina europea. Viene richiamata, a tal fine, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, 14 luglio 2016, in cause C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa e altri, secondo la quale è nella valutazione caso per caso che può trovare tutela l’affidamento del concessionario uscente, mentre una simile ragione non potrebbe giustificare «una disciplina di rinnovo, come quella prevista dalla Legge regionale in questione, che non contempli condizioni e criteri nel rispetto dei quali si possa procedere all’accertamento, caso per caso, dell’eventuale legittimo affidamento maturato dal singolo concessionario uscente e, ove accertato, della sua consistenza, sulla base del quale ponderare un periodo di rinnovo».

Infine, a parere dell’Avvocatura, l’art. 12 della direttiva servizi troverebbe applicazione anche all’impugnato comma 17 dell’art. 4 «per quanto riguarda la parte di attività non destinata all’autoconsumo, bensì al mercato».

1.2.– Secondo il ricorrente, sarebbe, altresì, violata la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela della concorrenza». A tal fine, l’Avvocatura richiama le sentenze di questa Corte che avrebbero chiarito come le disposizioni regolanti le procedure di gara siano riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e «le Regioni, anche a statuto speciale, non abbiano spazio di intervento» (sono richiamate, fra le altre, le sentenze n. 16 del 2021 e n. 39 del 2020, nonché le decisioni ivi riportate).

1.3.– Questa censura ridonderebbe anche in una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con la potestà legislativa concorrente nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», i cui principi fondamentali (quale la necessità di procedure competitive eque, trasparenti e non discriminatorie a ogni scadenza della concessione della risorsa idrica) non potrebbero tollerare eccezioni sull’intero territorio nazionale (è richiamata, a tal fine, la sentenza di questa Corte n. 126 del 2020).

2.– Il 19 novembre 2021 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sostenendo l’inammissibilità e comunque la non fondatezza delle questioni.

2.1.– La difesa regionale ricostruisce, in primo luogo, le competenze legislative della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il cui statuto speciale (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»), all’art. 4, primo comma, numero 9), attribuisce alla Regione una competenza legislativa primaria nella materia «acquedotti» e all’art. 5, primo comma, numero 14), assegna alla competenza legislativa concorrente la materia «utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni».

In attuazione di queste disposizioni, l’art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) ha istituito il demanio regionale, di cui fanno parte «[i] beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’art. 822 del codice civile, se appartengono alla regione» e che sono soggetti al regime previsto dal codice civile per i beni del demanio pubblico. Con successive norme di attuazione dello statuto, è stato disposto il trasferimento alla Regione autonoma del demanio idrico e di tutte le funzioni amministrative a esso inerenti. Si richiamano, in proposito, gli artt. 1, 2 e 3 del decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo) e l’art. l del decreto legislativo 23 aprile 2002, n. 110 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di energia, miniere, risorse geotermiche e incentivi alle imprese), che avrebbe trasferito alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia «tutte le funzioni in materia di energia che concernono le attività di ricerca, produzione, trasporto e distribuzione di qualunque forma di energia», salvo quelle previste dall’art. 2 del medesimo decreto, espressamente riservate allo Stato. Infine, viene menzionata la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque), con la quale quest’ultima, nell’ambito delle competenze attribuitele dal d.lgs. n. 265 del 2001, avrebbe disciplinato l’assetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, la gestione del demanio idrico e l’utilizzazione delle acque.

2.2.– Premessa tale ricostruzione normativa, la difesa regionale passa all’esame dei motivi di ricorso, deducendo una prima eccezione di inammissibilità nel fatto che il ricorrente avrebbe omesso di motivare adeguatamente in merito all’applicazione a una regione a statuto speciale dei parametri derivanti dal Titolo V.

In via gradata, il ricorso sarebbe comunque inammissibile nella parte in cui, invocando la violazione di principi fondamentali della materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», avrebbe del tutto omesso di indicare il parametro interposto.

2.3.– Nel merito, la Regione autonoma censura che «la quasi totalità della giurisprudenza richiamata dal ricorrente appar[irebbe] del tutto inconferente al caso di specie».

Inoltre, segnala che il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe fondato su un presupposto interpretativo erroneo, ovvero la proroga automatica del titolo concessorio in essere. Diversamente da quanto ritiene l’Avvocatura dello Stato, la Regione sostiene che «[d]alla piana lettura dei commi 16 e 17 dell’art. 4, della legge regionale 13 del 2021 emerge […] come ciò non corrisponda al vero». Si richiederebbero, infatti, una rivalutazione dell’interesse pubblico che riguardi «l’assenza di un prevalente interesse pubblico ad un uso diverso incompatibile con l’uso idroelettrico», un esame sulla «persistenza delle condizioni e delle modalità di esercizio della derivazione stessa, che abbiano in particolare riguardo alla tutela e alla valorizzazione del corpo idrico» e, infine, «la previsione di un adeguamento delle condizioni e delle modalità di esercizio della derivazione alla normativa e alla pianificazione di settore vigenti». Analogamente, il comma 17, nel richiamare «la durata del rinnovo di cui al comma 16», stabilirebbe i casi nel quali la durata possa essere estesa per un periodo più lungo.

Infine, la difesa regionale esclude la sussistenza di un vulnus ai parametri costituzionali evocati, in ragione della natura transitoria delle disposizioni impugnate, adottate «[n]elle more dell’approvazione della disciplina regionale relativa all’assegnazione in regime di concorrenza delle concessioni di piccole derivazioni d’acqua ad uso idroelettrico» e quindi in vista dell’adeguamento della disciplina regionale alle segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato AS 1722 del 3 marzo 2021.

Il comma 23 dell’art. 4, infatti, avrebbe escluso il rinnovo trentennale del titolo (anche per i procedimenti pendenti), fino a quel momento consentito dall’art. 48, comma 8, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015 alle derivazioni d’acqua a uso idroelettrico non grandi. Dopodiché il legislatore regionale avrebbe temporaneamente previsto un’estensione delle concessioni, modulata in un massimo di dieci o quindici anni, a seconda della natura giuridica del concessionario e della tipologia degli impianti, anche a tutela degli affidamenti «degli istanti ad ottenere – come è sempre pacificamente avvenuto a partire dall’entrata in vigore del R.D. n. 1775 del 1933 – il rinnovo della concessione scaduta».

3.– Il 21 dicembre 2021, l’associazione Elettricità futura – Unione delle imprese elettriche italiane ha depositato un’opinione, in qualità di amicus curiae, chiedendo che questa Corte dichiari l’inammissibilità o comunque la non fondatezza del ricorso. Con decreto del Presidente della Corte del 18 luglio 2022, l’opinione è stata ammessa in giudizio.

4.– Il 27 settembre 2022 la difesa regionale ha depositato una memoria, a integrazione dell’atto di costituzione.

4.1.– Quanto ai profili di inammissibilità, oltre a precisare quelli già prospettati in sede di costituzione in giudizio, la difesa regionale ha eccepito l’inammissibilità «per omesso esame della fattispecie e del quadro normativo in cui essa si colloca» e perché l’eventuale accoglimento del ricorso porterebbe all’applicazione di una disciplina meno favorevole alla concorrenza, «ottenendo il ricorrente, in caso di accoglimento, l’opposto di ciò che dichiara di volere».

Infatti, tornerebbe ad applicarsi l’art. 48 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015 nella sua versione originale. Né – a parere della Regione – il risultato sarebbe diverso se si volesse escludere dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale il comma 23, perché all’esito dell’eventuale accoglimento del ricorso la disciplina verrebbe dettata dall’art. 30 del r.d. n. 1775 del 1933 che prevede un rinnovo trentennale e la cui disapplicazione non sarebbe chiara.

Ancora in rito la memoria contesta un difetto di motivazione là dove il ricorso censurerebbe «“in blocco” una disciplina di contenuto articolato e differenziato, contenuta in otto commi, senza che di alcuno di essi si sia esaminato il senso e l’eventuale contributo in relazione alla asserita illegittimità costituzionale».

4.2.– Nel merito, la difesa regionale sostiene la non fondatezza delle questioni promosse adducendo che l’esigenza di un (ulteriore) periodo di rinnovo si giustifichi con la mancanza di una disciplina (necessariamente statale) dei rapporti di successione nella proprietà degli immobili e degli impianti, che a oggi sono destinati a rimanere nelle mani dell’incumbent anche dopo la scadenza della concessione.

Inoltre, con riguardo alla censura posta in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., la difesa regionale sostiene che le modalità di attuazione della direttiva 96/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, e delle successive che ne hanno modificato o integrato il contenuto sia «sintomatic[a] del fatto che anche il legislatore nazionale ritiene che la produzione di energia sia un settore speciale, non immediatamente riconducibile alla nozione di “prestazione di servizi”». Di conseguenza, «[s]ino ad una certa dimensione», rileva ancora la difesa regionale, sarebbe «dubbia la stessa possibilità pratica di un interesse di mercato» rispetto alle piccole derivazioni idroelettriche.

Infine, precisa la Regione autonoma, «[n]ell’assenza di qualunque distinzione o argomentazione relativa alle singole disposizioni dei commi da 16 a 23 della legge regionale […] nell’impugnazione rimane coinvolta anche la disposizione di cui al comma 17 che consente il rinnovo fino al 2036 delle concessioni per le quali […] una sottrazione di un bene pubblico al mercato o non è seriamente ipotizzabile, o trova una evidente e ragionevole giustificazione».

5.– Il 27 settembre 2022 ha depositato una memoria anche il Presidente del Consiglio dei ministri, insistendo per la non fondatezza di tutte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa regionale.

In particolare, da un lato, chiarisce che il ricorso ha adottato la «prospettiva di radicale esclusione di qualsivoglia competenza regionale statutaria», sostenendo che le disposizioni impugnate incidono in ambiti che esorbitano dalle materie di competenza delle regioni anche ad autonomia speciale. L’assunzione di questa prospettiva ridurrebbe – a parere dell’Avvocatura dello Stato – l’onere di motivare l’inesistenza di competenze statutarie «alla non implausibile argomentazione sul suo presupposto, ossia l’anzidetta assenza di competenze statutarie» (in proposito, richiama la sentenza di questa Corte n. 153 del 2019). Ebbene, a tal riguardo, sarebbe allora sufficiente l’individuazione nel ricorso dei parametri statutari potenzialmente e astrattamente incisi o comunque pertinenti e l’indicazione della giurisprudenza costituzionale che riconduce alla competenza statale le norme nella materia di cui si discute, oneri che il ricorso avrebbe rispettato.

Quanto all’eccezione relativa alla mancata individuazione dei parametri interposti vòlti a sorreggere la censura relativa all’art. 117, terzo comma, Cost., l’Avvocatura dello Stato precisa che il ricorso è incentrato principalmente sulla violazione degli altri due parametri, mentre il terzo farebbe «da sfondo e corollario». Perciò, l’eccezione sarebbe priva di pregio.

Di seguito, il ricorrente esclude che la declaratoria di illegittimità costituzionale abbia l’effetto di determinare un arretramento del carattere concorrenziale del settore in rilievo, tenuto conto che le disposizioni statali che stabiliscono forme di proroga senza svolgimento di una procedura di evidenza pubblica sono suscettibili di essere disapplicate. Pertanto, «l’auspicata obliterazione delle predette norme regionali avrebbe l’effetto di determinare non una nuova espansione delle disposizioni di cui al sopra richiamato R.d. n. 1175 [recte: n. 1775] del 1933, bensì del succitato art. 12 della Dir. 2006/123/Ce, che, ai fini che qui occupano, si pone certamente quale norma completa nel suo contenuto, la quale è destinata a imporsi sul diritto interno difforme».

Infine, replica alle eccezioni di merito sollevate dalla difesa regionale precisando che il carattere semi-automatico della proroga non implica che questa venga disposta sulla base di una procedura competitiva, ma anzi limita la concorrenza per un periodo di tempo ritenuto eccessivo e non giustificabile alla luce degli affidamenti dei concessionari, stanti le considerazioni che la Corte di giustizia ha svolto nella succitata sentenza Promoimpresa.

6.– Nell’udienza del 18 ottobre 2022, sono intervenute l’Avvocatura generale dello Stato e la difesa regionale, che hanno insistito per le conclusioni rassegnate nei rispettivi scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso depositato il 19 ottobre 2021 e iscritto al n. 65 del registro ricorsi del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi da 16 a 23, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2021, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 49 e 57 TFUE e all’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE; all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con riguardo alla materia «tutela della concorrenza», in relazione alle norme contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016; e all’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con la potestà legislativa concorrente nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», relativamente ai suoi principi fondamentali riferiti alla «necessità di procedure competitive eque, trasparenti e non discriminatorie ad ogni scadenza della concessione della risorsa idrica».

2.– L’art. 4, comma 16, dispone che «[n]elle more dell’approvazione della disciplina regionale relativa all’assegnazione in regime di concorrenza delle concessioni di piccole derivazioni d’acqua a uso idroelettrico, tali concessioni possono essere rinnovate in favore del concessionario uscente al massimo fino al 31 dicembre 2031», a condizione che «sia accertata l’insussistenza di un prevalente interesse pubblico a un diverso uso della risorsa idrica, in tutto o in parte, incompatibile con l’uso a fine idroelettrico» (lettera a); che «persistano i fini, le condizioni e le modalità di esercizio della derivazione stessa, relative alla tutela, alla quantità, alla qualità e all’uso della risorsa idrica e alla valorizzazione del corpo idrico» (lettera b); che «sia previsto l’adeguamento delle condizioni e delle modalità di esercizio della derivazione alla normativa e alla pianificazione di settore vigenti» (lettera c).

Il comma 17 del medesimo art. 4, anch’esso impugnato, prevede una durata del rinnovo fissata al massimo sino al 31 dicembre 2036 per le concessioni: la cui potenza nominale «sia inferiore a 220 kW» (lettera a); che siano relative a «impiant[i] idroelettric[i] posizionat[i] su condotte acquedottistiche» (lettera b); il cui concessionario «sia una cooperativa di autoconsumo» (lettera c) o «un’amministrazione pubblica» (lettera d).

Ancora, gli ulteriori commi impugnati (dal 18 al 21) regolano i profili procedurali del rinnovo, mentre il comma 22 prevede l’applicazione dei citati commi «anche alle istanze di rinnovo delle concessioni di piccole derivazioni d’acqua a uso idroelettrico già presentate alla data di entrata in vigore della presente legge».

Infine, il contestato comma 23 dell’art. 4 dispone la soppressione, al comma 8 dell’art. 48 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 della 2015, della parola «grande».

3.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la quale ha sollevato molteplici eccezioni di inammissibilità.

In primo luogo, la difesa regionale ha ritenuto carente la motivazione in merito alla «applicazione ad una Regione a Statuto speciale dei parametri derivanti dal Titolo V».

In via gradata, ha fatto valere l’inammissibilità della questione relativa all’art. 117, terzo comma, Cost., per omessa indicazione del parametro interposto e, in generale, per carente motivazione.

Nelle memorie, la difesa regionale ha rilevato l’inammissibilità per omesso esame della fattispecie e del contesto normativo in cui essa si colloca, che andrebbero a riverberarsi sulla sussistenza in concreto dell’interesse a ricorrere. L’eventuale annullamento delle disposizioni impugnate renderebbe, infatti, «dovuto […] l’integrale rinnovo della concessione ai sensi dell’art. 48, comma 1, della legge regionale 29 aprile 2015, n. 11» o, anche a voler escludere la declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 23 dell’art. 4, farebbe operare il rinnovo disposto dalla legge statale «ai sensi dell’art. 30 del r.d. n. 1775 del 1933 (T.U. acque e impianti elettrici), […] con effetto contrario alla tutela della concorrenza che il ricorso è inteso a promuovere».

Si aggiunge – sempre nella memoria – che l’introduzione di una regola di contendibilità delle concessioni non potrebbe «non includere la disciplina dei rapporti di successione nella proprietà» delle opere realizzate fuori dell’alveo, delle sponde e delle arginature del corso d’acqua, il che renderebbe evidente l’esigenza di una «definizione di “principi generali comuni”» e un quadro di riferimento rinnovato proprio in una materia di competenza legislativa statale esclusiva.

Da ultimo, sempre in rito, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia osserva che il ricorso «censura “in blocco” una disciplina di contenuto articolato e differenziato, contenuta in otto commi, senza che di alcuno di essi si sia esaminato il senso e l’eventuale contributo in relazione alla asserita illegittimità costituzionale».

4.– I rilievi formulati dalla difesa regionale colgono in parte nel segno e tutti i motivi di impugnazione sono inammissibili.

5.– Le questioni promosse in riferimento sia all’art. 117, primo comma, Cost., relativamente all’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE, sia all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con riguardo alla materia «tutela della concorrenza», in relazione alle norme del d.lgs. n. 50 del 2016, sono inammissibili per carente ricostruzione del quadro normativo e per genericità delle censure.

5.1.– I termini con cui sono prospettate le questioni evidenziano una precisa correlazione fra i parametri costituzionali sopra richiamati.

La violazione dei «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario» (art. 117, primo comma, Cost.) viene, infatti, associata al mancato rispetto dell’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE, che si assume applicabile alle concessioni relative alle piccole derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico. Il rispetto delle regole della concorrenza, evocato dalla disposizione citata, richiama, a sua volta, la materia di competenza esclusiva statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

Sennonché, il ricorso non chiarisce se e come la disciplina regionale possa conformare il proprio assetto normativo sulle piccole derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico a esigenze concorrenziali, in mancanza di un quadro di principi statali coerente – in tale specifico settore – con simili istanze.

Inconferente, a tal riguardo, è il richiamo che opera il ricorso alle norme del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016), che chiaramente attengono alla concorrenza, ma che «non si applic[ano] alle concessioni idroelettriche in quanto concessioni di beni pubblici (v. art. 164 del d.lgs. 50/2016)» (Tribunale superiore delle acque pubbliche, sentenza 6 novembre 2018, n. 176).

Per converso, il ricorso omette di ricostruire il quadro normativo statale in tema di concessioni per piccole derivazioni idroelettriche, che risale al r.d. n. 1775 del 1933 e che non è, in alcun modo, ispirato a esigenze concorrenziali. Il legislatore nazionale ha, infatti, accolto i principi della concorrenza solo con riferimento alle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche (da ultimo, legge 5 agosto 2022, n. 118, recante «Legge annuale per il mercato e la concorrenza» che ha modificato l’art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, recante «Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica»).

Diversamente, l’art. 30 del citato r.d. n. 1775 del 1933, da un lato, consente il rinnovo delle concessioni, per una durata che, di regola, in base all’art. 21 del medesimo testo, è prevista «sino a trent’anni»; e, da un altro lato, stabilisce che, in caso di mancato rinnovo, lo Stato ha il diritto di ritenere senza compenso le sole «opere costruite nell’alveo, sulle sponde e sulle arginature del corso d’acqua, o di obbligare il concessionario a rimuoverle e ad eseguire a proprie spese i lavori necessari per il ripristino dell’alveo, delle sponde e delle arginature nelle condizioni richieste dal pubblico interesse». Tale disposizione, al contempo, non regola né la sorte delle opere realizzate dal concessionario uscente al di fuori dei siti sopra menzionati, né il profilo relativo all’eventuale indennizzo spettante al concessionario uscente in considerazione degli investimenti effettuati.

Vero è che il ricorso suppone – attraverso il mero richiamo alla sola sentenza n. 201 del 2018 del Tribunale superiore delle acque pubbliche – la non applicazione della citata disciplina statale, per contrasto con l’art. 12 della direttiva servizi, e che quell’esito, conseguente a una eventuale pronuncia di accoglimento, è prefigurato anche nella successiva memoria dell’Avvocatura.

Nondimeno, né il ricorso né la memoria argomentano in merito all’idoneità dell’art. 12, paragrafo 1, della direttiva servizi a disciplinare compiutamente la specifica fattispecie in esame, tenuto conto, tra l’altro, dei problemi – sopra richiamati – concernenti la sorte delle opere realizzate dal concessionario uscente e il profilo degli eventuali indennizzi.

Si palesa, dunque, una inadeguata ricostruzione del quadro normativo, dal quale peraltro emergono tratti di contraddittorietà del ricorso, tratti che risaltano nell’impugnazione del comma 23 dell’art. 4 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2021.

Questa disposizione prevede la soppressione della parola «grande» al comma 8 dell’art. 48 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015, il quale, a sua volta, stabiliva, prima della novella, la non applicazione, alle concessioni di «grande» derivazione, del rinnovo trentennale stabilito dal medesimo art. 48. Ebbene, se l’effetto della soppressione della parola «grande» nel comma che esclude l’applicazione della disciplina di cui all’art. 48 è quello di sottrarre a tale normativa anche le concessioni per le piccole derivazioni, l’impugnazione del comma 23, ove accolta, renderebbe nuovamente operante la disciplina relativa al rinnovo trentennale, ben più lungo di quello previsto dalle disposizioni impugnate.

Risulta, dunque, incoerente che si chieda di dichiarare costituzionalmente illegittima una disciplina più concorrenziale di quella precedente e che, in pari tempo, si solleciti una declaratoria di parziale illegittimità costituzionale di una disposizione, da cui deriverebbe l’applicazione di una normativa regionale ancor meno concorrenziale, salvo l’auspicio (formulato in udienza dall’Avvocatura) di una successiva disapplicazione di tale previsione.

La contraddittorietà di simile prospettazione non manca di avere riverberi sul tono perplesso dell’intero ricorso (tra le molte, sentenze n. 248 del 2022 e n. 176 del 2021).

5.2.– Alla carenza nelle motivazioni si aggiunge il carattere generico delle censure, che non si soffermano, in particolare, sulla specificità delle fattispecie richiamate al comma 17 dell’art. 4.

Tale disciplina riguarda, innanzitutto, l’ipotesi in cui la potenza nominale di concessione sia inferiore a 220 kW (lettera a) e quella in cui il concessionario sia una cooperativa di autoconsumo (lettera c), soggetto che è destinatario di una specifica normativa incentivante sia a livello europeo (direttiva 2018/2001/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) sia a livello statale.

In particolare, il ricorso non motiva adeguatamente la censura e non si confronta con tale disciplina e, in specie, con il decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, che ha definito, all’art. 42-bis, le modalità e le condizioni per l’attivazione dell’autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili e per la realizzazione di comunità di energia rinnovabile. Viene, dunque, introdotto un quadro di regole vòlte a consentire ai consumatori finali e/o produttori di energia di associarsi per condividere l’energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonte rinnovabile con potenza complessiva non superiore ai 200 kW.

Ebbene, il ricorrente non ha chiarito l’incidenza di presunte esigenze concorrenziali rispetto a fenomeni che sia il legislatore nazionale sia quello europeo hanno inteso favorire. Al contrario, si è limitato assertivamente a dedurre che l’art. 12 della direttiva servizi troverebbe applicazione anche nell’ipotesi dell’autoconsumo «per quanto riguarda la parte di attività non destinata» a tale finalità. Sennonché l’Avvocatura non ha offerto alcuna indicazione circa le modalità di sottoposizione a procedura concorrenziale della concessione del bene demaniale, limitatamente alla produzione di energia eccedente l’autoconsumo, di talché la censura risulta apodittica e il contrasto resta configurato in modo puramente astratto.

Anche la lettera b) del comma 17 menziona un caso peculiare, quello nel quale l’impianto idroelettrico sia posizionato su condotte acquedottistiche. Rispetto a tale fattispecie, il ricorrente ha taciuto ogni motivazione e ha, in particolare, omesso di misurare le ragioni dell’asserita illegittimità costituzionale con quanto disposto dall’art. 166-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Quest’ultimo prevede che «[i] soggetti gestori del servizio idrico integrato, titolari delle concessioni per l’uso potabile delle acque, in riferimento alla risorsa idrica concessa per uso potabile e già sfruttata in canali o condotte esistenti, possono avanzare richiesta all’autorità competente per la produzione di energia idroelettrica all’interno dei medesimi sistemi idrici» (comma 1), seppure «[l]e caratteristiche costruttive degli impianti per le finalità di cui al comma 1 del presente articolo devono consentire lo sfruttamento delle infrastrutture idriche esistenti quali canali artificiali o condotte, senza incremento di portata derivata dal corpo idrico naturale e senza incremento del periodo in cui ha luogo il prelievo» (comma 2).

Di seguito, anche relativamente alla lettera d) si individuano specificità con le quali il ricorrente ha omesso di confrontarsi. Rispetto a tale ipotesi, che riguarda il caso in cui il concessionario sia una pubblica amministrazione, il ricorrente non ha chiarito se e quando ai soggetti pubblici, tenuto conto delle formule organizzative e degli obiettivi di interesse generale, trovi applicazione il regime di concorrenza.

In sintesi, il ricorso omette fondamentali rilievi, individuali e specifici, sulle ipotesi enumerate al comma 17 dell’art. 4 impugnato.

5.3.– Parimenti, l’Avvocatura dello Stato non articola i motivi di impugnazione con riguardo ai successivi commi, limitandosi a valutazioni generiche su tutte le (pur diverse) norme rispetto alle quali formula un’unica e indifferenziata argomentazione.

E tuttavia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente non deve esimersi dall’indicare le ragioni dell’impugnativa e i termini della sua incidenza su ognuna delle norme contestate (sentenze n. 235, n. 168 e n. 117 del 2022).

6.– Proseguendo, deve ritenersi inammissibile anche la questione sollevata con specifico riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 49 e 57 TFUE, in ragione del carattere ancora una volta generico dell’argomentazione portata a sostegno.

Il ricorso si limita a riferire che «la gestione di centrali idroelettriche per la generazione di energia costituisce un’attività economica, ai sensi dell’art. 57 TFUE, cui sono applicabili, in via generale, i principi della libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE».

Con tale affermazione apodittica il ricorso non espone quali siano i motivi alla base del contrasto con le norme del Trattato, a partire dal presupposto dell’accertamento dell’interesse transfrontaliero, requisito sul quale il ricorrente neppure si sofferma.

Anche questa censura è, pertanto, inammissibile, tanto più che, per costante orientamento di questa Corte, l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria d’illegittimità costituzionale si impone, nei giudizi proposti in via principale, in termini più pregnanti rispetto ai giudizi instaurati in via incidentale (ex multis, sentenze n. 119 del 2022, n. 262, n. 219 e n. 171 del 2021, n. 109 del 2018).

7.– Da ultimo, anche la questione sollevata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. è inammissibile.

Deve essere, infatti, accolta l’eccezione fatta valere dalla difesa regionale, secondo la quale il ricorrente avrebbe del tutto omesso di indicare «non solo quali sarebbero [i] principi» violati, «ma anche quale sarebbe la relativa normativa di riferimento», e, dunque, non avrebbe individuato la disciplina interposta, né fornito una adeguata motivazione.

Nel ricorso l’Avvocatura dello Stato si limita a ravvisare un contrasto «con la potestà legislativa concorrente in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, i cui principi fondamentali (quale la necessità di procedure competitive eque, trasparenti e non discriminatorie ad ogni scadenza della concessione della risorsa idrica), per costante giurisprudenza costituzionale, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale (cfr. da ultimo sentenza n. 126/2020 della Corte costituzionale)».

Tale argomentazione, oltre a riferirsi a un precedente inconferente, non si attiene a quanto richiesto dalla giurisprudenza costante di questa Corte, secondo la quale il ricorso in via principale «non può limitarsi a indicare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma deve contenere […] anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenza n. 251 del 2015, che richiama anche le sentenze n. 153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015)» (sentenza n. 107 del 2017; si vedano anche le sentenze n. 200 del 2022, n. 279 del 2020, n. 152 del 2018 e n. 261 del 2017).

8.– In conclusione, tutte le questioni di legittimità costituzionale promosse sono inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi da 16 a 23, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 agosto 2021, n. 13 (Assestamento del bilancio per gli anni 2021-2023 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26), promosse, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 49 e 57 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e all’art. 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno, all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nonché all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 novembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2022.