SENTENZA N. 117
ANNO 2022
Commento alla decisione di
Damiano Florenzano
La disciplina dell’assegnazione delle concessioni di grande derivazione idroelettrica: una competenza legislativa primaria “sui generis” delle Province Autonome. La definizione può attendere, nel mentre si applicano i limiti comunque desumibili dalla legislazione statale vigente, negli Studi 2022/II di questa Rivista
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 9 e 14, 10 e 16 della legge della Provincia autonoma di Trento 21 ottobre 2020, n. 9, recante «Modificazioni della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4 (Disposizioni per l’attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235. Istituzione dell’azienda speciale provinciale per l’energia, disciplina dell’utilizzo dell’energia elettrica spettante alla Provincia ai sensi dell’articolo 13 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, criteri per la redazione del piano della distribuzione e modificazioni alle leggi provinciali 15 dicembre 1980, n. 38 e 13 luglio 1995, n. 7), della legge provinciale sull’energia 2012, della legge provinciale sulle acque pubbliche 1976 e della legge provinciale sull’agricoltura 2003», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-24 dicembre 2020, depositato in cancelleria il 24 dicembre 2020, iscritto al n. 104 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento, nonché di intervento di Enel Green Power Italia;
udito nella udienza pubblica del 22 marzo 2022 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi l’avvocato Massimo Luciani per Enel Green Power Italia, l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Celotto per la Provincia autonoma di Trento;
deliberato nella camera di consiglio del 22 marzo 2002.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 19 dicembre 2020 e depositato il 24 dicembre 2020 (reg. ric. n. 104 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge della Provincia autonoma di Trento 21 ottobre 2020, n. 9, recante «Modificazioni della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4 (Disposizioni per l’attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235. Istituzione dell’azienda speciale provinciale per l’energia, disciplina dell’utilizzo dell’energia elettrica spettante alla Provincia ai sensi dell’articolo 13 dello per il Trentino-Alto Adige, criteri per la redazione del piano della distribuzione e modificazioni alle leggi provinciali 15 dicembre 1980, n. 38 e 13 luglio 1995, n. 7), della legge provinciale sull’energia 2012, della legge provinciale sulle acque pubbliche 1976 e della legge provinciale sull’agricoltura 2003».
L’impugnativa riguarda in particolare le seguenti disposizioni della citata legge provinciale:
a) l’art. 8, commi 9 e 14, che, rispettivamente, sostituisce il comma 2 e inserisce i commi 5-bis e 5-ter nell’art. 1-bis 1 della legge della Provincia autonoma di Trento 6 marzo 1998, n. 4, recante «Disposizioni in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico e altre disposizioni connesse» (titolo così modificato dall’art. 1 della stessa legge prov. Trento n. 9 del 2020);
b) l’art. 10, che inserisce l’art. 1-bis 1.2 nella legge prov. Trento n. 4 del 1998;
c) l’art. 16, comma 3, in relazione all’inserimento dell’art. 1-bis 1.8 nella stessa legge prov. Trento n. 4 del 1998 (recte: art. 16, che inserisce l’art. 1-bis 1.8, comma 3, della legge prov. Trento n. 4 del 1998).
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le norme impugnate eccedono le competenze attribuite alla Provincia autonoma di Trento dall’art. 13 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige», e contrastano inoltre con i commi primo, secondo lettera e), e terzo dell’art. 117 della Costituzione (quanto al primo comma in relazione all’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE –, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, all’art. 14, paragrafo unico, numero 3, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno).
1.1.– Il ricorrente evidenzia come le competenze legislative provinciali circa l’assegnazione delle concessioni per grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico derivino appunto dall’art. 13 dello statuto speciale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché, per quanto non stabilito nella disposizione statutaria, dalle relative norme di attuazione (in particolare, d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche», e d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia»).
La legislazione provinciale dovrebbe conformarsi, per altro verso, alla legislazione statale, che fissa principi fondamentali dell’ordinamento nella materia in questione.
1.2.– L’Avvocatura generale contesta anzitutto la disposizione secondo cui il bando di gara per l’attribuzione delle concessioni «prevede che entro 180 giorni dall’aggiudicazione il concessionario si doti di una sede operativa nel territorio provinciale avente in dotazione risorse umane e strumentali idonee in relazione alle caratteristiche della concessione oggetto della procedura di gara». Tale norma è attualmente recata dalla lettera s) – e non dalla lettera e), come erroneamente indicato nel ricorso – del comma 2 dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998, come sostituito dall’art. 8, comma 9, della legge prov. Trento n. 9 del 2020.
La disciplina recata dalla norma censurata contrasterebbe con l’art. 49 TFUE, discriminando di fatto gli operatori non stabiliti in Italia con la pretesa che, oltre all’infrastruttura energetica necessaria per lo sfruttamento della concessione, essi debbano dotarsi di una «sede operativa» nel territorio provinciale. Per la stessa ragione, la norma impugnata violerebbe il disposto dell’art. 14, paragrafo unico, numero 3), della direttiva 2006/123/CE. Comprimerebbe, cioè, la libertà degli operatori economici di «scegliere tra essere stabilit[i] a titolo principale o secondario», escludendo, in particolare, l’obbligo per il prestatore «di avere lo stabilimento principale sul loro territorio o restrizioni alla libertà di scegliere tra essere stabilito in forma di rappresentanza, succursale o filiale».
Violando il diritto dell’Unione europea, inoltre, la norma impugnata, secondo il ricorrente, «eccede dalle competenze statutarie della Provincia di Trento». Allo stesso tempo, essa sarebbe anche in contrasto con il primo comma dell’art. 117 Cost.
1.3.– Per argomentare in merito all’impugnazione del comma 14 dell’art. 8 e del comma 3 dell’art. 16 della legge prov. Trento n. 9 del 2020 (recte: comma 3 dell’art. 1-bis 1.8. della legge prov. Trento n. 4 del 1998), l’Avvocatura generale dello Stato ricostruisce l’assetto recentemente conferito alla disciplina statale in materia di derivazioni idroelettriche.
Il comma 1 dell’art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) – innovato dall’art. 11-quater del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12 – ha trasferito alle Regioni la proprietà delle opere idroelettriche di cui all’art. 25, primo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici). Nel contempo (comma 1-ter del citato art. 12), è stata conferita alle Regioni la potestà legislativa in merito alle modalità e alle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, fermo il rispetto della disciplina sovranazionale e dei principi fondamentali dell’ordinamento statale, oltreché dello stesso d.lgs. n. 79 del 1999.
In particolare, alla lettera m) del citato comma 1-ter, è stabilito che la selezione e la valutazione dei progetti presentati con le richieste di concessione siano comprese in un unico procedimento, al fine di garantire il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e di assicurare la maggiore possibile trasparenza dell’intera procedura.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disciplina impugnata non risponda alle indicate caratteristiche.
Infatti, il comma 14 dell’art. 8 della legge prov. Trento n. 9 del 2020 affida ad una commissione tecnica la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico, regolando i parametri normativi di apprezzamento, e rimette alla stessa commissione il compito di redigere una graduatoria dei concorrenti che ambiscono alla concessione, cosicché l’aggiudicatario possa poi presentare, entro il termine indicato, la domanda di provvedimento unico (commi 5-bis e 5-ter dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998). Dal canto proprio, l’art. 16 prevede che la struttura provinciale competente per le risorse idriche distribuisca alle amministrazioni interessate la domanda di provvedimento unico dell’assegnatario, affinché ciascuna di tali amministrazioni provveda ad istruire il procedimento per le parti di propria competenza. Lo stesso comma chiama la medesima struttura a convocare una conferenza dei servizi per il rilascio dei titoli abilitativi.
Dunque, secondo l’Avvocatura generale, la disciplina recata dalla normativa provinciale impugnata non rispetterebbe il principio del procedimento unico invece prescritto dalla norma statale interposta, e contrasterebbe più in generale con l’assetto regolatorio delle grandi derivazioni idroelettriche. Di qui il prospettato “eccesso” rispetto alle competenze attribuite dall’art. 13 dello statuto di autonomia e l’asserito contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., risultando violata la competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza.
1.4.– Infine, l’art. 10 della legge prov. Trento n. 9 del 2020 è censurato per avere inserito nella legge prov. Trento n. 4 del 1998 un nuovo articolo 1-bis 1.2, che specifica i requisiti che gli operatori interessati al rilascio della concessione di grande derivazione idroelettrica devono possedere.
In particolare, nelle lettere comprese tra a) e g), nonché nella lettera j) del comma 4 della nuova disposizione, sono elencati i requisiti che l’amministrazione può facoltativamente inserire nel bando, in aggiunta a quelli necessari, indicati nei commi precedenti. È posta la sola condizione generale che tali requisiti “opzionali” siano «pertinenti con l’oggetto della concessione».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la previsione introdurrebbe per tal via criteri selettivi incompatibili con la direttiva 2006/123/CE, in materia di servizi. Sarebbe dubbio, anzitutto, che i requisiti indicati dalla norma impugnata siano “necessari”, cioè «giustificati da un motivo imperativo di interesse generale», così come prescritto dall’art. 15, paragrafo 3, lettera b), della stessa direttiva. In ogni caso, non si tratterebbe di condizioni proporzionate e non sostituibili mediante requisiti altrettanto efficaci, ma meno restrittivi rispetto a quelli dello stesso art. 15, paragrafo 3, lettera e) (recte: lettera c), ed all’art. 10, paragrafo 2, lettera e) (recte: lettera c) della direttiva indicata.
La legge provinciale impugnata avrebbe delineato requisiti onerosi, della cui ragionevole necessità per assicurare al meglio la produzione dell’energia idroelettrica non vi sarebbe dimostrazione. Dunque, sarebbe violato il principio della libertà di stabilimento, tanto per gli operatori stranieri che per quelli del mercato nazionale. Ed il contrasto con la “direttiva servizi” implicherebbe la violazione del primo comma dell’art. 117 Cost.
2.– Con atto del 1° febbraio 2021, depositato in pari data, si è costituita nel giudizio la Provincia autonoma di Trento, chiedendo sia dichiarata la inammissibilità o comunque la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1.– La Provincia autonoma di Trento sviluppa, anzitutto, un argomento che dovrebbe condurre alla dichiarazione di inammissibilità delle prime due questioni, cioè quella concernente l’art. 8, comma 9, della legge prov. Trento n. 9 del 2020 e quella riguardante il comma 14 dello stesso art. 8 e il comma 3 – cui viene aggiunto il comma 4 – dell’art. 1-bis 1.8. della legge prov. Trento n. 4 del 1998, come introdotto dall’impugnato art. 16.
Secondo la resistente, lo Stato avrebbe denunciato la violazione dell’art. 117 Cost. senza però indicare le ragioni per le quali la norma costituzionale appena citata dovrebbe prevalere sull’art. 13 dello statuto speciale, la cui prevalenza – prosegue la resistente – sarebbe invece stabilita dalla stessa Costituzione, al primo comma dell’art. 116, che attribuisce (anche) alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol forme e condizioni particolari di autonomia, secondo lo statuto speciale adottato con legge costituzionale.
Di conseguenza, il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe carente di motivazione in punto di contrasto tra la normativa impugnata ed il parametro evocato (è citata, tra l’altro, la sentenza di questa Corte n. 174 del 2020).
Con specifico riguardo poi alla seconda delle questioni sollevate, la Provincia prospetta un vizio concorrente di omessa motivazione, poiché non sarebbe stato giustificato l’assunto, implicitamente proposto, della appartenenza ai «principi fondamentali dell’ordinamento statale» della prescrizione di un unico procedimento in materia di concessione di grandi derivazioni. Prescrizione posta alla lettera m) del comma 1-ter dell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, ma non per questo cogente, riguardo alla Provincia resistente, secondo il disposto dell’art. 13 dello statuto, che condiziona la legislazione provinciale nella materia de qua al solo rispetto, appunto, dei «principi fondamentali dell’ordinamento statale».
2.2.– La Provincia assume che anche la terza delle questioni sollevate, relativa al disposto dell’art. 10 della legge prov. Trento n. 9 del 2020, sarebbe inammissibile per difetto di motivazione.
La normativa impugnata, secondo il ricorrente, sarebbe afflitta da «la numerosità, il significativo frazionamento, l’onerosità e il tecnicismo» dei requisiti opzionali previsti per i bandi. E tuttavia il ricorso avrebbe omesso qualunque valutazione specifica su detti requisiti, senza coglierne la funzione di adeguamento ai profili concreti che ogni attività produttiva presenta in fase di progettazione e di sfruttamento delle grandi derivazioni idroelettriche.
2.3.– Quanto al merito delle questioni sollevate, la Provincia autonoma di Trento delinea in primo luogo un quadro delle competenze nella materia delle grandi derivazioni e delle relative evoluzioni.
Ricorda, anzitutto, che l’art. 8, comma primo, lettera e) del d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione) – come modificata dall’art. 1 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica) – ha trasferito alle due Province autonome tutti i beni del demanio idrico dello Stato che insistevano nel loro territorio, comprese le opere idrauliche. Con l’art. 11 dello stesso d.lgs. n. 463 del 1999 (che ha inserito l’art. 1-bis nel d.P.R. n. 235 del 1977), sono state trasferite alle Regioni le funzioni concernenti il rilascio delle concessioni di grandi derivazioni. Inoltre nel 2006 (dopo la riforma costituzionale attuata mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»), alle Province autonome è stata assegnata anche la competenza legislativa in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico (art. 1-bis, comma 2, del d.P.R. n. 235 del 1977, come novellato dall’art. 1 del d.lgs. 7 novembre 2006, n. 289, concernente «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, recanti modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235, in materia di concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico»), e di rilascio delle relative concessioni, compresa la determinazione dei canoni (comma 16 dell’art. 1-bis, appena citato).
Se è vero – prosegue la resistente – che con la sentenza n. 28 del 2014 questa Corte aveva comunque ascritto alla competenza statale radicata dalla lettera e) del primo comma dell’art. 117 Cost. la disciplina delle procedure di gara nel settore dell’energia idroelettrica, la situazione sarebbe comunque mutata col nuovo testo dell’art. 13 dello statuto di autonomia (come novellato dal comma 833 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020»).
Dunque – anche sul piano del merito – la Provincia autonoma di Trento assume che nel riparto costituzionale riguardo alla materia de qua la competenza legislativa sarebbe affidata ad essa Provincia, e non allo Stato.
2.3.1.– Sulle premesse fin qui riassunte, la resistente chiede a questa Corte di dichiarare non fondata, anzitutto, la questione di legittimità costituzionale concernente il comma 9 dell’art. 8 della legge prov. Trento n. 9 del 2020.
La norma imporrebbe una condizione non per la partecipazione alla gara, ma per l’effettiva assegnazione della concessione al vincitore, il quale, quand’anche privo di una sede operativa nel territorio provinciale, ben potrebbe stabilirne una presso lo stabilimento produttivo, o comunque procurarsela con appositi strumenti negoziali, valendosi dell’ampio termine posto a disposizione dalla legge. La stessa giurisprudenza amministrativa avrebbe sanzionato di illegittimità la clausola in questione solo quando prevista quale requisito di partecipazione alla gara. E d’altronde la disponibilità di una sede operativa sarebbe indispensabile per l’osservanza di tutti i doveri connessi alla gestione della derivazione ed all’attività produttiva.
Non vi sarebbe dunque violazione dell’art. 49 TFUE, e neppure sarebbe violato l’art. 14 della più volte citata direttiva 2006/123/CE, che attribuisce carattere discriminatorio alla sola pretesa che il concorrente stabilisca nel territorio la propria sede principale (è citata Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, sentenza 29 luglio 2019, in causa C-209/18, Repubblica d’Austria), mentre non è vietata la prescrizione di istituire sedi operative, che sono anzi obbligatorie in altri settori della legislazione comunitaria (art. 1, paragrafo 5, del regolamento n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli artt. 107 e 108 del trattato).
Di conseguenza, sarebbe non fondata la questione sollevata in rapporto all’art. 117, primo comma, Cost.
2.3.2.– Analoga conclusione esprime la Provincia autonoma di Trento riguardo alla seconda questione enucleata dal ricorso, con riferimento al comma 14 dell’art. 8 e all’art. 16 della legge prov. Trento n. 9 del 2020.
Dal punto di vista contenutistico, si tratta, per un primo verso, delle norme che prevedono l’esame tecnico dell’offerta e, dopo l’aggiudicazione provvisoria, regolano la procedura utile alla presentazione della domanda di provvedimento unico di aggiudicazione e abilitazione (commi 5-bis e 5-ter dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998). Per un secondo verso, si tratta delle norme che ripartiscono tra le amministrazioni interessate il compito di istruire la procedura per quanto di rispettiva competenza, prevedendo, infine, la convocazione di una conferenza dei servizi partecipata da tutte le amministrazioni interessate al rilascio dei titoli abilitativi necessari per il provvedimento unico di assegnazione.
Osserva la resistente che la nuova disciplina accede a disposizioni preesistenti, mai impugnate dallo Stato, che già affidavano la valutazione delle offerte ad una commissione tecnica indipendente (comma 5 dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998). D’altro canto, esercitando la competenza legislativa conferita dall’art. 13 dello statuto, la Provincia autonoma ha comunque scorporato, anteponendola all’avvio della procedura di gara, la valutazione di impatto ambientale concernente la derivazione (art. 1-bis, commi 1.1 e seguenti, e comma 2, della citata legge prov. Trento n. 4 del 1998). Anche questa opzione non è stata contestata dallo Stato.
Più in generale, sarebbe non fondata la pretesa che la legislazione provinciale debba conformarsi alla direttiva del procedimento unico, come fissata all’art. 12, comma 1-ter, lettera m), del d.lgs. n. 79 del 1999. Tale direttiva, come già sostenuto sul terreno della dedotta inammissibilità, non potrebbe, secondo la Provincia, considerarsi «principio fondamentale dell’ordinamento statale», come tale condizionante per la legislazione provinciale, ma costituirebbe una mera disposizione di dettaglio.
Un principio fondamentale, semmai, andrebbe delineato nella direzione opposta, laddove si prescrive che la valutazione tecnica nelle procedure di appalto o concessione sia comunque affidata a commissioni formate da esperti della materia (sono citati i commi 1 e 4 dell’art. 77 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante «Codice dei contratti pubblici»). Altro principio fondamentale concernerebbe la tutela dell’ambiente (art. 4, comma 1, del citato d.lgs. n. 50 del 2016), assicurata nella massima misura da una procedura preventiva di valutazione d’impatto ambientale, conforme anche al disposto dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/UE.
Oltretutto – aggiunge la Provincia autonoma di Trento – il ricorso propone una interpretazione opinabile della norma elevata a parametro interposto, che potrebbe anche intendersi quale prescrizione di una procedura unica per la sola fase della instaurazione del rapporto concessorio, e non per quella antecedente di selezione delle offerte.
In ogni caso, le amministrazioni diverse e portatrici di competenze proprie sarebbero tutte coinvolte nel processo decisionale, e la struttura tecnica della Provincia avrebbe solo funzioni di coordinamento. La procedura culminerebbe effettivamente in un provvedimento unico della Giunta provinciale, sebbene preparato dall’apporto trasparente e indipendente di ciascuna delle amministrazioni coinvolte.
2.3.3.– La Provincia autonoma di Trento chiede infine sia dichiarata non fondata anche la terza questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente all’art. 10 della legge prov. Trento n. 9 del 2020, e dunque in materia di requisiti opzionali per il bando concernente la concessione di grandi derivazioni.
I requisiti obbligatori sarebbero stati fissati dalla legge provinciale, sottraendoli alla discrezionalità della Giunta provinciale, al fine di garantire che concorrano per la concessione solo soggetti che siano in grado – sul piano operativo, tecnico e finanziario – di gestire in sicurezza gli impianti e di assicurare la continuità delle forniture di energia.
I requisiti “opzionali”, che potrebbero essere inseriti anche solo parzialmente nel bando, varrebbero ad affinare i criteri di selezione in rapporto alle concrete caratteristiche della derivazione da gestire, in modo che possano accedere alla procedura anche soggetti che abbiano fatto esperienza solo con impianti di esercizio o di complessità inferiore, ma senza alcun pregiudizio per l’affidabilità dell’operatore, da garantire anche in rapporto alle specifiche caratteristiche orografiche del territorio trentino.
La resistente considera partitamente i requisiti censurati nel ricorso, al fine di dimostrare come ciascuno tra essi sia funzionale all’indicato bilanciamento, e fornisce dati quantitativi e qualitativi concernenti il numero delle derivazioni, delle dighe e degli impianti che la legge provinciale impugnata è chiamata a disciplinare.
Dunque, non sussisterebbe alcuna violazione dei criteri di oggettività, necessità e proporzionalità espressi dalle norme dell’Unione europea in materia, a maggior ragione considerando che, al fianco dei parametri indicati dal ricorrente, dovrebbe tenersi conto di quanto stabilito all’art. 12, paragrafo 3, della stessa direttiva 2006/123/CE: cioè che le procedure di selezione attribuiscano rilievo a motivi imperativi di carattere generale, tra i quali la pubblica sicurezza, che comprende l’incolumità pubblica.
Ne conseguirebbe, al fine, che la disciplina impugnata non contrasta né con il primo comma dell’art. 117 Cost., né con l’art. 13 dello statuto di autonomia speciale.
3.– In data 9 febbraio 2021 è stata depositata, in applicazione degli artt. 4-ter e 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, una opinione scritta nell’interesse della Associazione elettricità futura – Unione delle imprese elettriche italiane (d’ora in poi: Elettricità futura), che ha inteso operare come amicus curiae. L’opinione è stata ammessa con decreto del Presidente della Corte costituzionale in data 17 febbraio 2022.
Elettricità futura considera fondate le prime due tra le questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, poiché le norme impugnate violerebbero, rispettivamente, il primo ed il secondo comma dell’art. 117 Cost. Sarebbe invece priva di fondamento la terza questione, concernente i requisiti “opzionali” per i bandi, poiché le misure adottabili dalla Giunta regionale per la selezione tra gli aspiranti alla concessione sarebbero proporzionate ed adeguate allo scopo di garantire capacità operative, tecniche e finanziarie dei gestori di grandi derivazioni idroelettriche.
Dopo aver tracciato le linee fondamentali di evoluzione del quadro normativo concernente le grandi derivazioni idroelettriche, Elettricità futura assume la pertinenza delle relative disposizioni alla materia «tutela della concorrenza», di esclusiva competenza statale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 38 del 2013, n. 452 del 2007, n. 80 del 2006, n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004). Una tutela da assicurare – si aggiunge – con una disciplina unitaria per tutto il territorio nazionale, che non determini discriminazioni tra gli operatori. I connessi principi generali sarebbero validi anche per le Province autonome, come già riconosciuto da questa stessa Corte (è citata la sentenza n. 64 del 2012).
Dette Province, e le stesse Regioni a statuto speciale, dovrebbero quindi conformarsi ai “criteri-quadro” delineati nell’art. 11-quater del d.lgs. n. 79 del 2009, così come tra l’altro avrebbe suggerito l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) con la propria segnalazione AS 1697 del 3 settembre 2020. Oltretutto, le difformità della disciplina delle grandi derivazioni su base territoriale ostacolerebbero le imprese di produzione energetica, dal punto di vista finanziario, organizzativo ed operativo, in danno degli «interessi unitari alla produzione e gestione di una risorsa energetica qual è l’energia idroelettrica» (sono citate le sentenze di questa Corte n. 1 del 2008, n. 383 e n. 231 del 2005).
4.– In data 9 febbraio 2021 è stata depositata, ancora in applicazione degli artt. 4-ter e 23 delle citate Norme integrative, una opinione scritta nell’interesse della Associazione Utilitalia. Anche questa opinione è stata ammessa con decreto del Presidente della Corte costituzionale del 17 febbraio 2022.
Premesso come a suo avviso sussistano profili di contrasto con la Costituzione delle stesse norme statali interposte, ed in particolare dell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, l’amicus curiae sostiene anzitutto la fondatezza della prima tra le questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente alla prescritta costituzione di una sede operativa, da parte del concessionario, nell’ambito del territorio provinciale.
La formula normativa non chiarirebbe se la sede in questione possa coincidere con lo stabilimento di produzione o debba essere diversa ed autonoma. Se interpretata in quest’ultimo senso, la legge provinciale contrasterebbe effettivamente con il diritto dell’Unione, ed in particolare con gli artt. 49 e 56 TFUE.
È vero – prosegue Utilitalia – che la libera prestazione dei servizi ed il diritto di stabilimento possono trovare limiti (art. 52 dello stesso TFUE) fondati su «motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica». Nondimeno, la giurisprudenza comunitaria avrebbe da tempo indicato con chiarezza quattro condizioni per la legittimità di quei limiti: applicazione in modo non discriminatorio, esistenza di motivi imperativi di interesse pubblico, idoneità a raggiungere lo scopo perseguito, non eccedenza rispetto alla stretta necessità per la realizzazione dello scopo medesimo.
Principi analoghi sarebbero stati espressi anche con specifico riferimento alla prescrizione di una sede stabilita nel territorio nazionale, ammissibile solo quando la stessa sia indispensabile per assicurare lo scopo perseguito. E la giurisprudenza avrebbe chiarito che la garanzia si estende indiscriminatamente agli operatori stabiliti in un diverso Stato dell’Unione europea e a quelli nazionali. Secondo Utilitalia, anzi, la Corte EDU avrebbe sancito addirittura la necessaria eliminazione di tutti i requisiti indicati all’art. 14 della cosiddetta direttiva servizi (è citata la sentenza della grande sezione della Corte di giustizia del 16 giugno 2015, in causa C-593/13, Presidente del Consiglio dei ministri e altri).
Dunque, la normativa impugnata, in parte qua, sarebbe certamente in contrasto con il primo comma dell’art. 117 Cost.
Dovrebbe poi essere accolta anche la seconda delle questioni sollevate, relativamente alla violazione del principio di procedura unica stabilito dal d.lgs. n. 79 del 1999. Infatti, le norme censurate non assicurerebbero la contestualità di tutte le verifiche demandate alle amministrazioni statali, il che risulterebbe tanto più pregiudizievole per gli interessi generali presidiati da quelle amministrazioni, considerando anche che la legge provinciale (comma 1 dell’art. 1-bis 1.4 della legge n. 4 del 1998) attribuisce «prevalenza agli aspetti di carattere economico» della operazione concessoria.
Il ricorso dovrebbe infine essere respinto, sempre a parere di Utilitalia, quanto alla terza questione sollevata, riguardante i requisiti “opzionali” a disposizione per i bandi. Non si tratterebbe di requisiti arbitrari ed eccessivamente restrittivi, essendo anzi indispensabili ad assicurare competenza e capacità operativa delle imprese chiamate a produrre l’energia elettrica, e per qualche verso, addirittura, sarebbero requisiti non sufficientemente rigorosi.
5.– In data 9 febbraio 2021 è stato depositato un atto di intervento (parzialmente) ad adiuvandum ad opera della società Enel Green Power Italia.
6.– In data 1° marzo 2022 è stata depositata una memoria nell’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di replicare alle richieste ed agli argomenti della Provincia resistente.
6.1.– Sarebbero non fondate, anzitutto, le eccezioni di inammissibilità prospettate per le prime due questioni. In coerenza con la delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri, il ricorso avrebbe prospettato con chiarezza una violazione concorrente dell’art. 13 dello statuto speciale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, di talché sarebbe priva di giustificazione l’accusa di non aver dato «conto della ragione per la quale non troverebbe applicazione l’articolo 13 dello Statuto di autonomia». Inoltre, con riguardo alla prima questione, sarebbe palese l’evocazione dell’art. 49 TFUE come parametro sovranazionale rilevante per il riferimento d’apertura allo stesso art. 13 dello Statuto. Analogamente, vi sarebbe stata puntuale indicazione della norma statale espressiva di un principio fondamentale dell’ordinamento interno (l’art. 12, comma 1-ter, lettera m, del d.lgs. n. 79 del 1999).
Le pretese ragioni di inammissibilità della terza questione, poi, sarebbero state espresse con argomenti (oltre che generici) in realtà attinenti al merito, così che anche esse sarebbero non fondate.
6.2.– Quanto appunto al merito delle questioni, ed in particolare della prima, sostiene l’Avvocatura generale che la Provincia non avrebbe avuto competenza ad introdurre per legge una “condizione sospensiva” per l’assegnazione della concessione o per l’esecuzione del contratto, non rientrando una clausola del genere nelle previsioni che regolano, appunto, le competenze provinciali in materia grandi derivazioni idroelettriche. La normativa impugnata confliggerebbe, poi, con le indicazioni provenienti dalla AGCM, che nella deliberazione del 3 settembre 2020 avrebbe sollecitato i legislatori regionali e provinciali a non introdurre clausole onerose non necessarie o sproporzionate per l’accesso alle concessioni di grandi derivazioni.
La Provincia autonoma di Trento, sempre secondo il parere del ricorrente, non avrebbe dimostrato la indispensabilità della sede operativa locale per il concessionario (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 83 del 2018), dal che dovrebbe dedursi la violazione del «divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale (nonché, in base ai principi comunitari sulla libertà di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell’Unione europea)» (sentenza n. 207 del 2001).
Sarebbe eccessivamente riduttiva, per altro verso, l’interpretazione proposta circa l’art. 14 della direttiva n. 2006/123/CE, che non contempla la sola imposizione dello spostamento della sede principale dell’impresa nel territorio di interesse, ma vieterebbe più largamente anche restrizioni meno pregnanti della libertà di stabilimento, attuate mediante condizionamenti della libertà di organizzazione dell’operatore interessato.
6.3.– Riguardo alla seconda questione, lo Stato nega che sia incompleta la censura mossa in punto di adozione del procedimento unico, posto che la violazione è ipotizzata proprio con riguardo alle competenze valutative attribuite alla commissione provinciale mediante il comma 14 dell’art. 8 della legge prov. Trento n. 9 del 2020. In esito alla valutazione tecnica espressa dalla commissione, non residuerebbero infatti margini di apprezzamento nel successivo procedimento unico, il quale, invece, dovrebbe consentire «la contestuale acquisizione dei pareri di tutte le Amministrazioni coinvolte, in cambio della immediata acquisizione di tutti gli atti di assenso, concessione, permesso, licenza o autorizzazione, che altrimenti dovrebbero scontare le lungaggini di procedimenti autonomi e separati».
Sarebbe per altro verso inaccettabile la tesi provinciale che nega la qualità di principio fondamentale alla norma statale di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999: una qualità che secondo il Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe invece evidente, trattandosi tra l’altro di garantire il vaglio del progetto mediante il contributo contestuale di soggetti portatori di interessi affidati completamente allo Stato (ambiente) e non potendosi quindi definire norma di dettaglio la prescrizione del procedimento unico.
Neppure potrebbe accogliersi il rilievo che il procedimento unico sarebbe prescritto per la valutazione del progetto presentato dall’assegnatario, e non per la selezione delle richieste di assegnazione: una ricostruzione illogica ed incoerente col dato testuale, che invece comprenderebbe l’attività selettiva in questione.
Infine, viene ribadita la tesi della illegittimità dello «art. 16 comma 3» della legge prov. Trento n. 9 del 2020, in quanto la struttura provinciale competente, nel promuovere la conferenza di servizi tra tutte le amministrazioni interessate, interverrebbe in un momento successivo all’aggiudicazione provvisoria della concessione.
6.4.– Con riferimento alla terza questione di legittimità costituzionale, riguardante l’art. 10 della legge prov. Trento n. 9 del 2020, lo Stato ribadisce che i requisiti previsti dalla norma costituirebbero «nel loro complesso» una barriera all’accesso di nuovi operatori economici nel mercato delle concessioni di grandi derivazioni, non necessaria e non proporzionata, come anche la AGCM avrebbe ritenuto nella già citata deliberazione del 3 settembre 2020. L’Avvocatura generale sviluppa, a questo proposito, con riguardo alla gran parte dei requisiti “opzionali”, considerazioni tecniche, anche dettagliate, che dovrebbero appunto dimostrare la finalità esclusivamente ostruzionistica della previsione censurata.
7.– Nella stessa data del 1° marzo 2022 è stata depositata memoria anche nell’interesse della resistente Provincia autonoma di Trento, che ha insistito per una dichiarazione di inammissibilità e comunque di non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
7.1.– Ribadite le proprie tesi sulle carenze di motivazione del ricorso, la resistente nega nuovamente che la norma in tema di “sede operativa” determini una discriminazione in danno degli operatori non stabiliti in Italia o nel territorio provinciale. È citata, per argomentare a contrario, la sentenza di questa Corte n. 98 del 2020, che ha rilevato l’illegittimità costituzionale di una disposizione regionale che – ben diversamente da quella qui impugnata – istituiva appunto una riserva di partecipazione alle gare in favore di operatori locali.
Nella stessa logica, la Provincia richiama la sentenza di questa Corte n. 28 del 2013, concernente una norma regionale che aveva stabilito, per il caso di parità nei punteggi, la prevalenza di operatori radicati nel territorio di competenza. Anche questo vizio non sarebbe proprio della normativa qui censurata, poiché la richiesta di una sede operativa non influisce in alcun modo sulla graduatoria degli aspiranti concessionari.
Non conferente sarebbe, infine, il riferimento della controparte alla sentenza di questa Corte n. 83 del 2018, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima una disposizione che aveva discriminato, nell’accesso a garanzie assicurative per i crediti vantati da imprese esterne, gli operatori privi di una «sede operativa» nella regione interessata.
In realtà il concessionario designato assumerebbe, nei confronti dell’amministrazione provinciale concedente e della comunità di riferimento, un impegno gravido di vincoli tecnici e cautele, proporzionato alla rilevanza sociale ed economica dell’attività oggetto di concessione, per l’adempimento del quale non sarebbe ragionevole, da parte dell’amministrazione pubblica, ritenere sufficiente la sola garanzia di corretta esecuzione.
Infine, la normativa di matrice europea non vieterebbe, in generale, agli Stati membri di richiedere agli operatori economici che esercitano la libertà di prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea, riconosciuta dall’art. 56 TFUE, il requisito del possesso di uno stabilimento in sede locale, limitandosi piuttosto a precludere la condizione dell’insediamento della sede principale dell’impresa nel territorio interessato dalla concessione o dal contratto. Addirittura, l’art. l, paragrafo 5, del regolamento n. 651/2014/UE prevede che l’autorità che concede un aiuto di Stato possa richiedere che l’impresa beneficiaria abbia almeno un’unità operativa sul territorio al momento della liquidazione o pagamento dell’aiuto. La materia qui in discussione – secondo la Provincia resistente – sarebbe affine.
7.2.– Si definisce nuovamente inammissibile per mancata evocazione del parametro statutario, e comunque non fondata, anche la seconda delle questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
In ragione dell’art. 13 dello statuto regionale di autonomia, la Provincia autonoma di Trento incontrerebbe nella legislazione in materia di grandi derivazioni il solo limite del «rispetto […] dei principi fondamentali dell’ordinamento statale»: non dunque di norme di dettaglio, quale sarebbe quella indicata dal ricorrente quale parametro interposto.
Funzione della norma statale sarebbe in effetti solo quella di stabilire un criterio direttivo per le Regioni a statuto ordinario, in una materia ritenuta di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Tanto questo è vero – osserva la Provincia resistente – che lo stesso art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999 contiene una previsione espressa di richiamo all’osservanza delle disposizioni in esso contenute, non essendosi evidentemente ritenuto sufficiente il riferimento generale alla necessaria conformità delle norme regionali ai principi fondamentali dell’ordinamento statale.
D’altronde – prosegue la resistente – un principio fondamentale nell’ambito della legislazione statale di riferimento consisterebbe, semmai, nella garanzia di trasparenza e imparzialità della selezione affidata ad esperti tecnici, che non devono e non possono partecipare a fasi diverse dello stesso procedimento (art. 77, commi 1 e 4, d.lgs. n. 50 del 2016).
Non sarebbe poi vero che la norma statale asseritamente violata prescriva la «unicità onnicomprensiva del procedimento di assegnazione della concessione». Infatti, la lettera m) della previsione riguarda l’apprezzamento «dei progetti presentati in esito alle procedure di assegnazione», e dunque potrebbe essere letta nel senso che il procedimento unico debba avviarsi «dopo l’avvenuto svolgimento della procedura selettiva di assegnazione della concessione, di modo che la selezione delle proposte progettuali sembrerebbe concernere i progetti presentati dall’operatore selezionato in via provvisoria».
La Provincia ribadisce come l’art. l-bis l, comma 5, della legge prov. Trento n. 4 del 1998 già prevedesse una competenza della commissione tecnica ai fini della valutazione delle offerte presentate dai concorrenti.
Si aggiunge poi che, quand’anche l’interpretazione corretta fosse quella proposta dallo Stato, la normativa provinciale assicurerebbe l’osservanza sostanziale del principio, poiché tutte le amministrazioni centrali coinvolte sarebbero comunque chiamate ad intervenire «prima dell’aggiudicazione definitiva» (art. l-bis l, comma 6, della legge prov. Trento n. 4 del 1998).
7.3.– Riguardo alla terza questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, la Provincia autonoma di Trento segnala che nelle more del giudizio in via principale la norma impugnata avrebbe subito una significativa modifica, attuata mediante l’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 23 aprile 2021, n. 6, recante «Misure di semplificazione e razionalizzazione in materia di territorio, ambiente e contratti pubblici: modificazioni della legge provinciale sulla valutazione d’impatto ambientale 2013, del testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti 1987, della legge provinciale sulle acque pubbliche 1976, della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4 (Disposizioni in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico e altre disposizioni connesse), della legge provinciale sulle foreste e sulla protezione della natura 2007, dell’articolo 40 (Catasto dei fabbricati e nuova anagrafe immobiliare integrata catasto-libro fondiario) della legge provinciale 27 dicembre 2010, n. 27, della legge provinciale 7 gennaio 1991, n. l (Eliminazione delle barriere architettoniche in provincia di Trento), nonché della legge provinciale 9 marzo 2016, n. 2, e della legge provinciale 23 marzo 2020, n. 2, in materia di contratti pubblici», non impugnata da parte del Governo.
Premesso che, nella versione antecedente alla novella appena indicata, la disposizione di cui all’art. l-bis 1.2 della legge prov. Trento n. 4 del 1998 non avrebbe avuto alcuna applicazione, la Provincia resistente chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, posto che nei giudizi in via di azione lo ius superveniens comporta appunto, in difetto di applicazioni intermedie della normativa impugnata, che non vi sia ragione di ulteriore contenzioso.
Ove la questione fosse ugualmente esaminata, si ribadisce dalla resistente la richiesta di dichiararla inammissibile, per l’asserita genericità dei rilievi concernenti i vari requisiti descritti nella normativa censurata, dei quali non sarebbero argomentati il carattere inutilmente gravoso o il difetto di proporzionalità. Né il vizio potrebbe considerarsi superato da spiegazioni integrative del ricorso, attuate mediante memorie di udienza, poiché la giurisprudenza costituzionale avrebbe escluso la rilevanza di integrazioni siffatte.
Nel merito, la Provincia autonoma di Trento ribadisce, non senza dettagli tecnici, che i requisiti opzionali previsti dalla legge devono essere adottati, congiuntamente o parzialmente, secondo le caratteristiche del singolo rapporto concessorio, e mirano a presidiare l’interesse generale al sicuro, efficiente e continuo funzionamento del servizio di produzione di energia idroelettrica.
8.– Infine, va dato atto che, sempre nella data del 1° marzo 2022, è stata depositata una memoria anche nell’interesse di Enel Green Power Italia.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso depositato il 24 dicembre 2020 (reg. ric. n. 104 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato alcune disposizioni della legge della Provincia autonoma di Trento 21 ottobre 2020, n. 9, recante «Modificazioni della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4 (Disposizioni per l’attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235. Istituzione dell’azienda speciale provinciale per l’energia, disciplina dell’utilizzo dell’energia elettrica spettante alla Provincia ai sensi dell’articolo 13 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, criteri per la redazione del piano della distribuzione e modificazioni alle leggi provinciali 15 dicembre 1980, n. 38 e 13 luglio 1995, n. 7), della legge provinciale sull’energia 2012, della legge provinciale sulle acque pubbliche 1976 e della legge provinciale sull’agricoltura 2003».
Il ricorrente impugna, in primo luogo, l’art. 8, comma 9, della legge provinciale citata – che ha sostituito l’art. 1-bis 1 della legge della Provincia autonoma di Trento 6 marzo 1998, n. 4, recante «Disposizioni in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico e altre disposizioni connesse» (titolo così modificato dall’art. 1 della stessa legge prov. Trento n. 9 del 2020) – nella parte in cui dispone (in particolare al novellato comma 2, lettera s, dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998) che il bando per la concessione di una grande derivazione idroelettrica prescriva che il concessionario, entro 180 giorni dalla aggiudicazione, «si doti di una sede operativa nel territorio provinciale avente in dotazione risorse umane e strumentali idonee in relazione alle caratteristiche della concessione oggetto della procedura di gara».
Sarebbe in tal modo violato l’art. 13 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, di cui all’art. unico del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e all’art. 14, paragrafo unico, numero 3), della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.
In secondo luogo, sono impugnati l’art. 8, comma 14, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 9 del 2020, che introduce i commi 5-bis e 5-ter dopo il comma 5 dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998, e l’art. 16, comma 3, (recte: art. 16) della stessa legge prov. Trento n. 9 del 2020, che introduce l’art. 1-bis 1.8, comma 3, dopo l’art. 1-bis 1.7 della legge prov. Trento n. 4 del 1998. In base al tenore del ricorso, l’impugnazione deve tuttavia intendersi estesa anche al successivo comma 4 dell’art. 1-bis 1.8.
Il ricorrente si duole, in particolare, della previsione per cui, in applicazione di tali disposizioni, le offerte degli aspiranti alla concessione di grande derivazione idroelettrica sono valutate dal punto di vista tecnico ed economico da una commissione tecnica, e dopo l’aggiudicazione provvisoria, verificata l’assenza di motivi di esclusione ed il possesso dei requisiti richiesti, l’operatore è invitato dalla struttura provinciale competente per le risorse idriche a presentare una domanda di provvedimento unico (commi 5-bis e 5-ter del novellato art. 1-bis 1). La censura si estende alla previsione per cui la menzionata struttura provinciale trasmette tale domanda alle amministrazioni interessate, che compiono l’istruttoria per i profili di rispettiva competenza secondo quanto previsto dalla normativa di settore (comma 3 del nuovo art. 1-bis 1.8 della legge prov. Trento n. 4 del 1998).
In tal modo, sarebbe nuovamente violato l’art. 13 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e vi sarebbe lesione anche dell’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost., che attribuisce alla competenza esclusiva statale la disciplina in tema di «tutela della concorrenza». Soprattutto, la procedura delineata dalle disposizioni provinciali impugnate sarebbe in contrasto con l’art. 12, comma 1-ter, lettera m), del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) – come modificato dall’art. 11-quater del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12 – ove è prescritto che la selezione e la valutazione dei progetti presentati con le richieste di concessione siano comprese in un unico procedimento: ciò che invece non accadrebbe secondo le disposizioni impugnate.
In terzo ed ultimo luogo, il ricorrente impugna l’art. 10 della legge prov. Trento n. 9 del 2020, che introduce un nuovo art. 1-bis 1.2 nella legge prov. Trento n. 4 del 1998, ove si dispone che nei bandi per la concessione di grandi derivazioni idroelettriche possono essere inseriti una serie di requisiti “opzionali”, indicati nelle lettere da a) a g) e nella lettera j) del comma 4 dello stesso art. 1-bis 1.2.
Così facendo, la disposizione violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 15, paragrafo 3, lettera e) (recte: lettera c), e 10, paragrafo 2, lettera e) (recte: lettera c), della direttiva 2006/123/CE, da cui discenderebbe il divieto di imporre, a carico degli operatori, requisiti sproporzionati ed inutilmente onerosi di partecipazione alle procedure per il conferimento delle concessioni. Secondo il ricorrente, il difetto di proporzionalità emergerebbe alla luce de «la numerosità, il significativo frazionamento, l’onerosità e il tecnicismo» dei requisiti.
2.– Preliminarmente, deve essere richiamata la dichiarazione d’inammissibilità dell’intervento spiegato dalla società Enel Green Power Italia, per le ragioni esposte nell’ordinanza letta all’udienza pubblica del 22 marzo 2022, allegata alla presente sentenza.
3.– Venendo all’esame delle questioni, la Provincia autonoma di Trento ha sostenuto in via preliminare l’inammissibilità della prima questione, relativa alla previsione contenuta nell’art. 8, comma 9, della legge prov. Trento n. 9 del 2020, per cui il bando per la concessione di una grande derivazione idroelettrica deve prescrivere che il concessionario, entro 180 giorni dalla aggiudicazione, si doti di una sede operativa nel territorio provinciale.
L’impugnativa statale avrebbe infatti attribuito prevalenza al disposto dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost., senza però illustrare le ragioni per cui tali parametri costituzionali dovrebbero vanificare il chiaro disposto dell’art. 13 dello statuto di autonomia speciale, che attribuisce alla Provincia competenza legislativa primaria quanto alle modalità e alle procedure di assegnazione delle concessioni per grandi derivazioni d’acqua. Nel ricorso, anzi, la disposizione statutaria risulterebbe solo genericamente evocata.
Ricorrerebbero dunque le condizioni per una dichiarazione di inammissibilità, poiché la giurisprudenza costituzionale, specie quando si tratta di giudizi in via principale, richiede che il ricorso contenga una chiara indicazione dei parametri asseritamente violati e delle ragioni del denunciato conflitto tra essi e le disposizioni impugnate.
L’eccezione non è fondata.
È pur vero che il parametro statutario, contemplato nella delibera del Consiglio dei ministri che ha originato l’impugnazione, è citato, per tutte e tre le questioni promosse, solo nell’epigrafe dell’atto di impugnazione e nelle sue conclusioni. Tuttavia, in più punti del ricorso, si afferma che la normativa impugnata «eccede dalle competenze riconosciute alla Provincia autonoma di Trento dallo Statuto speciale di autonomia».
È altresì vero che il ricorso non approfondisce il rapporto tra lo stesso art. 13 dello statuto speciale e gli evocati parametri “interni” alla Costituzione. Pure, il nucleo del ragionamento condotto dal ricorrente emerge con sufficiente nettezza. Posto che il diritto europeo prevede limiti alla normazione in materie concernenti la concorrenza, e che questi limiti si affiancano a quelli direttamente ricavabili dalla Costituzione, ad entrambi questi limiti farebbe riferimento il primo periodo del comma 1 dell’art. 13 dello statuto di autonomia («[n]el rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea e degli accordi internazionali, nonché dei principi fondamentali dell’ordinamento statale, le province disciplinano con legge provinciale […]»). Non essendo la Provincia autonoma autorizzata a superare tutti tali limiti – questa la conclusione – essa avrebbe dovuto attenersi al disposto del primo e del secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost.
Ciò risulta sufficiente per consentire a questa Corte di svolgere lo scrutinio di merito.
3.1.– Nel merito, la questione non è fondata.
Secondo l’Avvocatura generale, la pretesa che, oltre all’infrastruttura necessaria per lo sfruttamento della concessione, gli operatori non stabiliti in Italia (e, per estensione, gli operatori italiani non stabiliti in Trentino) debbano essere muniti di una “sede operativa” nel territorio provinciale, contrasterebbe con l’art. 49 TFUE, discriminando di fatto tali operatori.
Il riferimento del ricorrente è al secondo periodo del primo paragrafo della disposizione appena citata, secondo cui il divieto di porre restrizioni alla libertà di stabilimento si «estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro».
Per le stesse ragioni, la norma impugnata violerebbe il disposto dell’art. 14, paragrafo unico, numero 3), della direttiva 2006/123/CE, che fa divieto agli Stati membri di apprestare «restrizioni della libertà, per il prestatore, di scegliere tra essere stabilito a titolo principale o secondario, in particolare l’obbligo per il prestatore, di avere lo stabilimento principale sul loro territorio o restrizioni alla libertà di scegliere tra essere stabilito in forma di rappresentanza, succursale o filiale». Secondo il ricorrente, la previsione impugnata comprimerebbe proprio la libertà degli operatori economici di «scegliere tra essere stabilit[i] a titolo principale o secondario».
Come visto, a causa di queste violazioni del diritto dell’Unione, la norma impugnata risulterebbe inoltre eccedente rispetto alle competenze statutarie della Provincia autonoma di Trento.
In realtà, la previsione per cui entro 180 giorni dall’aggiudicazione il concessionario deve dotarsi di una sede operativa nel territorio provinciale non è una condizione imposta per la partecipazione alla gara (nel senso dell’illegittimità costituzionale di discipline che, invece, prevedono limitazioni di accesso alla procedura in base alla sede dell’impresa questa Corte si è pronunciata, di recente, con la sentenza n. 98 del 2020), e non si presenta nemmeno come fattore di attribuzione di punteggi aggiuntivi per la formazione della graduatoria (ciò che avrebbe reso, a sua volta, costituzionalmente illegittima la previsione: sentenza n. 28 del 2013), né quale requisito per l’accesso a condizioni di favore per la prestazione delle garanzie necessarie in vista della gara medesima (in proposito, sentenza n. 83 del 2018).
La richiesta di dotarsi di una sede operativa non riguarda tutti gli aspiranti alla concessione, ma è riferita unicamente all’aggiudicatario della concessione. Essa non può quindi esercitare, almeno non in via diretta, in capo agli aspiranti concessionari, un effetto di dissuasione, conseguente a valutazioni negative quanto al rapporto tra costi da sostenere per partecipare alla gara e probabilità di conseguire l’utilità attesa.
Da questo punto di vista, la disciplina impugnata appare coerente con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Quest’ultima distingue con chiarezza tra previsioni che impongono all’operatore di disporre di una sede o di un altro stabilimento sul territorio dello Stato, ancor prima che gli sia affidata la concessione – pretesa che dà vita ad una disciplina dissuasiva, incompatibile con la libertà di stabilimento – e previsioni di «un requisito di stabilimento […] quando si applichi dopo la concessione dell’autorizzazione d’esercizio e prima che l’imprenditore avvii l’esercizio» dell’attività cui si riferisce il provvedimento concessorio (Corte di giustizia dell’Unione europea, terza sezione, sentenza 22 dicembre 2010, in causa C-338/09, Yellow Cab Verkehrsbetriebs GmbH; nello stesso senso, seconda sezione, sentenza 27 febbraio 2019, in causa C-563/17, Associação Peço a Palavra ed altri).
Più in generale, questa stessa giurisprudenza considera legittimo richiedere che l’operatore possieda requisiti che indichino (o favoriscano) la sussistenza di una qualche sua relazione con il territorio, a condizione che essi siano proporzionati e necessari per il conseguimento dello scopo perseguito mediante l’organizzazione della gara, così da perdere ogni ingiustificato carattere di mera discriminazione e di compressione della libertà di stabilimento (in questo senso, la già citata sentenza della CGUE, Associação Peço a Palavra).
Come si è visto, la norma provinciale impugnata impone l’istituzione di una sede operativa non all’imprenditore che voglia partecipare alla gara per la concessione, ma solo a quello che, avendo conseguito il risultato, può affrontare il compito con la ragionevole aspettativa di conseguire le utilità in vista delle quali ha stabilito di concorrere alla gara stessa.
Una “sede operativa” consiste, inoltre, in un luogo ove installare le sole risorse umane e materiali necessarie per l’assolvimento in sicurezza dei compiti di gestione della derivazione e dell’impianto idroelettrico. Non deve trattarsi della sede principale e neppure di una filiale o di uno stabilimento, inteso come unità produttiva autosufficiente.
La formula testuale utilizzata, inoltre, non prescrive affatto che la sede in questione debba essere autonoma e creata ex novo e, in particolare, non impedisce che essa coincida con lo stabilimento di produzione.
D’altra parte, riesce difficile immaginare che un operatore, il quale assuma la responsabilità della gestione di una grande derivazione e di un impianto di produzione dell’energia elettrica – cioè di strutture tendenzialmente imponenti, già necessariamente dotate di locali tecnici – possa provvedere al compito, in modo compatibile con la sicurezza pubblica e con gli obiettivi propri della produzione energetica, senza disporre in loco di attrezzature e di tecnici adeguati. Senza dimenticare che la disciplina censurata non impone al concessionario specifiche forme per l’approntamento della sede e per la sua gestione.
In definitiva, la richiesta all’operatore di approntare una sede “operativa” in prossimità con l’impianto da gestire, o anche in coincidenza con esso, è misura necessaria per la tutela di evidenti esigenze di sicurezza pubblica, idonea a raggiungere il fine perseguito, e, infine, proporzionata, tanto in termini di bilanciamento tra vantaggi e costi per l’imprenditore, quanto in riferimento al rapporto tra obbiettivi assicurati e possibili effetti sulla concorrenza.
4.– La Provincia autonoma di Trento eccepisce preliminarmente l’inammissibilità anche della seconda questione promossa con il ricorso statale, relativa alle disposizioni provinciali – in specie: gli artt. 8, comma 14, e 16 della legge prov. Trento n. 9 del 2020 – che non assicurerebbero, nella procedura di assegnazione delle concessioni in esame, il rispetto del principio del procedimento unico, asseritamente prescritto, secondo il ricorrente, dall’art. 12, comma 1-ter, lettera m), del d.lgs. n. 79 del 1999, come modificato dall’art. 11-quater del d.l. n. 135 del 2018, come convertito.
Gli argomenti a sostegno di questa seconda eccezione sono gli stessi posti a base della prima, sicché, per le medesime ragioni prima indicate (punto 2), anch’essa deve essere rigettata.
Ben vero che il ricorrente, anche in riferimento a tale seconda questione, non approfondisce il rapporto tra l’art. 13 dello statuto speciale e gli altri parametri costituzionali indicati: ma, come subito si dirà, appartiene allo scrutinio di merito stabilire se il principio del procedimento unico, asseritamente ricavabile dal citato art. 12, comma 1-ter, lettera m), del d.lgs. n. 79 del 1999, e invocato dal ricorrente quale norma interposta, appartenga ai «principi fondamentali dell’ordinamento statale», di cui lo stesso art. 13 dello statuto speciale impone il rispetto alla legislazione provinciale.
5.– Nel merito, la questione è fondata.
Le ragioni della dichiarazione di illegittimità costituzionale emergono da uno scrutinio da articolarsi secondo cinque distinti passaggi.
È necessario, in primo luogo, richiamare sinteticamente la disciplina normativa precedente alla riforma dell’art. 13 dello statuto speciale di autonomia e l’assetto delle rispettive competenze legislative, provinciali e statali, in materia di concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico.
In secondo luogo, va chiarita la portata dell’art. 13 dello statuto speciale di autonomia così come risultante dalle rilevanti modifiche introdotte nel 2017. Infatti, all’esito della procedura semplificata e negoziata dettata all’art. 104 dello statuto stesso, il comma 833 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), ha modificato la disposizione statutaria in parola, attribuendo alle Province autonome una peculiare competenza legislativa in materia di concessioni per grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico. Tale competenza risulta ora assoggettata ad una serie di limiti che, dal punto di vista testuale, non coincidono del tutto con quelli indicati nelle altre norme dello statuto che delineano, elencandone gli ambiti di intervento, la potestà legislativa primaria della Regione e delle Province (artt. 4 e 8).
In terzo luogo, va illustrato il contenuto del più volte ricordato art. 12 comma, 1-ter, lettera m), del d.lgs. n. 79 del 1999, verificando se tale disposizione prescriva un riconoscibile principio procedimentale, riferibile alla selezione, da un lato, e alla valutazione, dall’altro, dei progetti presentati nell’ambito della gara per l’assegnazione delle concessioni in esame: si tratta, in particolare, di stabilire se la norma statale evocata a parametro interposto prescriva che tutte le amministrazioni interessate debbano essere coinvolte, non solo nella valutazione dell’unico progetto pre-selezionato, ma anche nella precedente fase di selezione tra tutti i partecipanti alla gara.
In quarto luogo, va verificato se, una volta identificato, tale principio costituisca limite alla competenza legislativa provinciale sulle modalità e sulle procedure di assegnazione di concessioni per grandi derivazioni idroelettriche, alla luce della formula utilizzata dal nuovo testo dell’art. 13 dello statuto.
Infine, si tratta di accertare se, e in che termini, la disciplina provinciale impugnata si conformi o si allontani dalla procedura delineata dalla normativa statale e dal principio da questa ricavabile.
6.– L’art. 9 dello statuto, annoverando, al punto 9), la «utilizzazione delle acque pubbliche» tra le materie assegnate alla potestà legislativa concorrente delle Province, esclude espressamente, con formula tuttora vigente, «le grandi derivazioni a scopo idroelettrico». Allo stesso tempo, gli artt. 12 e 13 (quest’ultimo nella versione originaria) dello statuto dettavano per questa materia una peculiare disciplina, in cui alle Province era riservato, da un lato, un ruolo di partecipazione alle decisioni assunte in sede statale (art. 12, nel testo tutt’ora vigente), dall’altro, in particolare, la competenza a stabilire con legge i criteri per la determinazione del prezzo dell’energia e per le tariffe d’utenza (art. 13, nella versione vigente al momento della novella di cui al comma 833 dell’art. 1 della legge n. 205 del 2017).
Nel corso del tempo, tuttavia, il quadro normativo delle competenze provinciali in materia è mutato. Limitandosi a ripercorrere le tappe fondamentali di tale evoluzione, e per quanto qui soprattutto rileva, la riforma operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ha introdotto la competenza concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in tal modo attribuendo alle Regioni a statuto ordinario una competenza di cui le Province autonome, all’epoca, non disponevano. Tale competenza concorrente, tuttavia, doveva intendersi estesa anche alle citate autonomie speciali, in forza della clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (sentenze n. 64 del 2014 e n. 383 del 2005).
In seguito, l’art. 1 del d.lgs. n. 289 del 2006 è intervenuto sull’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia). In particolare, il novellato comma 2 dello stesso art. 1-bis aveva stabilito che le grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico fossero disciplinate con legge provinciale «nel rispetto degli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario e degli accordi internazionali, dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, nonché dei principi fondamentali delle leggi dello Stato». Il successivo comma 16, inoltre, sostanzialmente “duplicando” la previsione del precedente comma 2 e calibrandola sui provvedimenti concessori e sui relativi canoni demaniali, aveva stabilito (e tuttora stabilisce) che «[l]e concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, ivi compresi i canoni demaniali di concessione, sono disciplinati con legge provinciale nel rispetto dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, nonché dei principi fondamentali delle leggi dello Stato e degli obblighi comunitari».
In tale complessivo contesto, questa Corte ha affermato che spettava, dunque, «allo Stato intervenire in via esclusiva sugli aspetti riconducibili agli ambiti di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. (come per le procedure di assegnazione delle concessioni, che rientrano nella tutela della concorrenza: sentenza n. 1 del 2008), nonché stabilire i principi fondamentali (come per la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia: sentenza 383 del 2005); dall’altro […] alle Province autonome regolare tutti gli altri profili, quali, ad esempio, l’uso delle acque, la trasparenza delle concessioni e la disciplina delle funzioni amministrative» (sentenza n. 28 del 2014).
Come si è anticipato, la materia è stata oggetto, nel 2017, di un singolare intervento riformatore, volto a modificare incisivamente il testo dell’art. 13 dello statuto. Il già richiamato art. 1, comma 833, della legge n. 205 del 2017 ha infatti innovato la disposizione statutaria, estendendo la competenza legislativa provinciale alle modalità e alle procedure di assegnazione delle concessioni per grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, e precisando che tale competenza deve essere esercitata «[n]el rispetto dell’ordinamento dell’Unione europea e degli accordi internazionali, nonché dei principi fondamentali dell’ordinamento statale». Contestualmente, il successivo comma 834 della legge n. 205 del 2017 ha abrogato il (solo) comma 2 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977.
Le parti del giudizio sembrano entrambe convenire nel ritenere che quella disegnata dal nuovo testo dell’art. 13 dello statuto non sia una competenza legislativa concorrente. Lo stesso ricorrente ammette, anzi, trattarsi di «competenza legislativa primaria», da esercitarsi tuttavia, precisa, nei limiti dettati dalla stessa disposizione statutaria, dalle norme attuative dello statuto e dalle norme statali riconducibili, per l’appunto, ai principi fondamentali dell’ordinamento statale. Per parte sua, la resistente ragiona di uno «specifico ambito di competenza legislativa», delineata tramite ricorso ad una espressione che si differenzia da quelle utilizzate, tanto dall’art. 4, quanto dall’art. 5 dello statuto per definire, rispettivamente, i vincoli alla autonomia legislativa primaria e secondaria.
In effetti, la formulazione dell’attuale testo dell’art. 13, come detto, è parzialmente diversa da quella utilizzata nell’art. 4 del medesimo statuto, il quale, nel conferire alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol la «potestà di emanare norme legislative» in determinate materie, stabilisce che tale potestà debba esercitarsi «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali – tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali – nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica». Il successivo art. 8 conferisce alle Province autonome di Trento e di Bolzano la potestà di emanare norme legislative entro gli stessi limiti indicati nell’art. 4, con riferimento ad un elenco di materie in cui, come si è sottolineato, non compare quella delle «modalità e procedure di assegnazione delle concessioni per grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico», distintamente disciplinata all’art. 13.
È evidente che la formulazione utilizzata da quest’ultimo articolo non equivale a quella utilizzata nell’art. 4 dello statuto: in particolare, mentre quest’ultimo si riferisce ai «principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica» e alle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», l’art. 13 menziona espressamente i «principi fondamentali dell’ordinamento statale». Quest’ultima espressione non solo non equivale all’ulteriore e ben nota formula riferita ai “principi fondamentali” di una specifica materia, ma non può averne il significato. Nella specie, dunque, non si è al cospetto di una competenza legislativa concorrente di cui all’art. 5 dello statuto, senza contare che l’art. 9, numero 9), dello statuto, relativo alle materie di competenza concorrente, continua oggi ad escludere che le Province possano legiferare sulle grandi derivazioni a scopo idroelettrico utilizzando questo genere di competenza. Attualmente, la precisazione va interpretata in armonia con il nuovo art. 13, dovendosi cioè intendere che la Provincia, che sulle concessioni per grandi derivazioni non legifera in regime di competenza concorrente, può invece intervenire tramite la competenza particolare di cui all’art. 13.
In ogni caso, attribuire all’espressione in esame, rispetto a quella utilizzata dagli artt. 4 e 8 dello statuto, una decisiva funzione distintiva, avrebbe una conseguenza sistematica di notevole momento: significherebbe, cioè, conferire alle Province, nella materia delle concessioni per grandi derivazioni d’acqua, una autonomia più accentuata rispetto a quella di cui esse godono in ogni altra materia assegnata loro in competenza primaria.
Proprio ragioni di ordine sistematico e, come si dirà, anche testuale, non consentono tuttavia di pervenire a simili conclusioni.
Come si è detto, l’art. 8 dello statuto stabilisce espressamente che «i limiti indicati dall’art. 4» valgono anche per le Province autonome, in relazione all’ampio elenco di materie attribuite alla competenza legislativa primaria. Ben vero che l’art. 13 disciplina distintamente, rispetto all’elenco contenuto nell’art. 8, la materia delle grandi derivazioni, ma il dato non appare affatto decisivo.
Come si è visto, già prima della ricordata revisione statutaria, la materia era distintamente collocata nell’art. 13, con una disciplina di minore ampiezza, relativa alla individuazione di servizi ed utenti destinatari della fornitura e ai criteri per la determinazione del prezzo e delle tariffe. Inoltre, nel 2017, in occasione della riforma del testo dello statuto relativamente alla materia delle grandi derivazioni, un intervento mirato sull’art. 13 è risultato necessitato in virtù della stessa procedura prescelta per la revisione statutaria, cioè la procedura semplificata e negoziata di cui all’art. 104, ai cui sensi «[f]ermo quanto disposto dall’articolo 103 le norme del titolo VI e quelle dell’art. 13 possono essere modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province».
In ogni caso, quel che soprattutto conta, allo stato attuale, è che la collocazione separata non potrebbe di per sé valere a sottrarre la legislazione in materia di grandi derivazioni dal rispetto dei limiti validi per la disciplina di tutte le altre materie. Né, in disparte questo aspetto formale, si scorgono giustificazioni sostanziali a sostegno di un differente trattamento da conferire, in ipotesi, alla materia delle concessioni per grandi derivazioni d’acqua, rispetto a tutte le altre materie attribuite alla Provincia in competenza legislativa primaria.
Del resto, conducendo all’estremo il significato distintivo della formula utilizzata per l’art. 13, si giungerebbe al paradosso per cui, nella materia in esame, si dovrebbe ritenere esonerata la Provincia dal rispetto della stessa Costituzione – che l’art. 13 non menziona, a differenza dell’art. 4 – o delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica – ugualmente non menzionate in termini formali e purtuttavia rilevanti anche in tal caso, come si dirà.
In definitiva, l’art. 13 dello statuto non autorizza in alcun modo le Province autonome a superare i limiti fissati dall’art. 4 del medesimo statuto per l’esercizio di una competenza legislativa primaria.
7.– Dettando norme per l’attuazione della direttiva 96/92/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, il d.lgs. n. 79 del 1999 prevede che le Regioni disciplinino con legge le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico. Il comma 1-ter, lettera m), dell’art. 12, in particolare, prescrive che la legislazione regionale regoli «le modalità di valutazione, da parte dell’amministrazione competente, dei progetti presentati in esito alle procedure di assegnazione, che avviene nell’ambito di un procedimento unico ai fini della selezione delle proposte progettuali presentate, che tiene luogo della verifica o valutazione di impatto ambientale, della valutazione di incidenza nei confronti dei siti di importanza comunitaria interessati e dell’autorizzazione paesaggistica, nonché di ogni altro atto di assenso, concessione, permesso, licenza o autorizzazione, comunque denominato, previsto dalla normativa statale, regionale o locale; a tal fine, alla valutazione delle proposte progettuali partecipano, ove necessario, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per i beni e le attività culturali e gli enti gestori delle aree naturali protette […]; per gli aspetti connessi alla sicurezza degli invasi di cui al decreto-legge 8 agosto 1994, n. 507, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 1994, n. 584, e all’articolo 6, comma 4-bis, della legge 1° agosto 2002, n. 166, al procedimento valutativo partecipa il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti».
Come si vede, la disposizione statale menziona, sia la selezione, sia la valutazione delle proposte progettuali. Essa, per vero, esordisce con un riferimento ai «progetti presentati in esito alle procedure di assegnazione», riferimento che parrebbe alludere ad un segmento procedurale antecedente, distinto da quello successivamente disciplinato: ciò che escluderebbe in radice, osserva tra l’altro la Provincia resistente, la possibilità di ricavare dalla disposizione il principio del procedimento unico invocato dal ricorrente.
Tuttavia, l’assegnazione non può logicamente precedere la valutazione dei progetti e il soggetto collegato al verbo “avvenire” («che avviene nell’ambito») non può che essere «la valutazione». Quindi, la prima parte della lettera m) del comma 1-ter dell’art. 12 va intesa nel senso che le Regioni devono prevedere modalità di valutazione finale dei progetti presentati, da svolgersi nell’ambito di un procedimento unitario, da avviare prima della stessa valutazione delle proposte e di designazione del concessionario.
Inoltre, nel prosieguo, la disposizione statale stabilisce con chiarezza che il procedimento unico deve comprendere anche la fase di selezione delle offerte («ai fini della selezione delle proposte»). In tal modo, la disposizione non prescrive affatto, come invece sostiene la Provincia resistente, che un procedimento unitario si attivi solo nel momento in cui deve essere valutata un’unica offerta, proveniente da un soggetto già precedentemente selezionato. Ben vero che la partecipazione delle istituzioni statali chiamate «alla valutazione delle proposte» è prevista «ove necessario». Tuttavia, questa condizione è riferita alle caratteristiche concrete della concessione, e alle necessità specifiche che nascono per l’esercizio dell’impianto, non risultando plausibile la lettura alternativa per cui la partecipazione degli enti statali è facoltativa o discrezionale, in base ad una necessità non meglio definita, anche riguardo al soggetto che dovrebbe valutarla.
In definitiva, la portata della prescrizione statale è chiara. Essa non contiene una disposizione di mero dettaglio, ma afferma il principio del procedimento unico, che deve ricomprendere anche la fase della selezione delle offerte.
La ragione che sostiene un simile principio è a sua volta evidente: è necessario che gli interessi rappresentati dalle amministrazioni (locali e statali) vengano in rilievo già in fase di selezione delle offerte, così che le valutazioni finali possano giovarsi anche di considerazioni comparative, e sia comunque ampio il controllo pubblico e istituzionale in materie, come quella in esame, segnate da interessi rilevantissimi. Ciò è tanto più vero quando, come nella specie, queste amministrazioni non provinciali non controllano l’avvio stesso della procedura, deciso dalla sola Provincia.
8.– Tutto ciò posto, si tratta di accertare quale vincolo un tale principio comporti a carico della competenza legislativa assegnata alla Provincia dall’art. 13 dello statuto.
Al di là della formula testuale utilizzata dall’articolo in esame, la materia in parola è, per sua natura, strategica sul piano nazionale ed internazionale. Proprio perché tale, essa è stata oggetto, nel tempo, di “grandi riforme”, talvolta di segno contrapposto, essendosi passati da una situazione di accentramento nella mano pubblica ad una condizione di contendibilità delle concessioni.
Da ultimo, la materia è stata inoltre segnata dalla scelta, operata, come visto, dal d.l. n. 135 del 2018, come convertito, in favore della regionalizzazione della proprietà delle opere e delle regole procedimentali per l’assegnazione delle concessioni.
Tuttavia, anche al cospetto delle autonomie speciali, permangono inalterate, almeno a livello di principio, le ragioni in favore di una regolazione uniforme degli aspetti più rilevanti della materia. Esse riguardano, certamente, il rispetto dei vincoli europei quanto all’affidamento (anche) a privati di beni e servizi pubblici, perché la tutela effettiva della concorrenza e della trasparenza rappresenta un interesse primario dell’Unione europea, come dimostrato dalla specifica legislazione comunitaria nella materia della produzione di energia elettrica.
Ma le esigenze di regolazione uniforme vanno anche al di là di ciò, poiché nella materia delle grandi derivazioni idroelettriche non sono in gioco solo interessi economici di forte rilevanza. Tra l’altro, le attività produttive che in essa si svolgono sono gravide di rischi per la sicurezza pubblica (basti pensare al pericolo di inondazioni o di crolli degli sbarramenti), e determinano un notevole impatto sull’ambiente, sull’ecosistema, sul paesaggio.
Sotto questi specifici profili, sussiste la necessità di una uniforme e adeguata regolazione, anche al fine di garantire la continuità e la produttività nello sfruttamento della risorsa idrica. Accanto ai vantaggi immediati per le popolazioni locali (conseguiti attraverso il pagamento dei canoni e la fornitura gratuita di quote di energia elettrica agli enti locali), vanno del resto considerate la necessità di assicurare, a livello nazionale, il maggior equilibrio possibile tra fonti energetiche e quella di disporre dell’energia necessaria per le attività produttive e per le stesse esigenze di vita dei consociati.
Si è già detto che, sul piano testuale e sistematico, la formulazione della norma statutaria non esime la legge provinciale dal rispetto di tutti i limiti previsti agli artt. 4 e 8 dello stesso statuto, e fra essi, in particolare, quello delle norme qualificabili come «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».
D’altro canto, la giurisprudenza costante di questa Corte stabilisce che tali norme costituiscono limite anche all’esercizio delle competenze legislative primarie o esclusive delle autonomie speciali (ex multis, da ultimo, sentenze n. 70 del 2022, n. 16 del 2020, nonché sentenze in queste richiamate).
Il principio del procedimento unico costituisce norma fondamentale di riforma nella materia delle grandi derivazioni idroelettriche. Lo è, in particolare, per le ragioni descritte, la previsione in forza della quale tutte le amministrazioni interessate, comprese quelle statali, devono poter esprimere le proprie valutazioni, collegate alla tutela di interessi essenziali dell’ordinamento costituzionale, fin dalla fase della selezione dei diversi progetti presentati dai concorrenti nella procedura. La legislazione provinciale in materia, pertanto, deve adeguarsi a tale norma fondamentale.
9.– La disciplina provinciale impugnata, viceversa, si discosta dal principio del procedimento unico, poiché disegna una serie di passaggi procedurali con esso non compatibili, come si evince dalla sintetica ricostruzione che segue.
Per la parte qui rilevante della procedura di assegnazione, la novella recata dalla legge prov. Trento n. 9 del 2020 stabilisce che, per la valutazione delle richieste di partecipazione alla gara, la Provincia si avvalga di apposita commissione tecnica costituita da almeno tre esperti, nominati dalla Giunta provinciale (comma 5 dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998, come novellato).
In particolare, a norma del nuovo comma 5-bis dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998, la «commissione tecnica valuta le offerte dal punto di vista tecnico ed economico, ai sensi dell’articolo 1-bis 1.4, valuta la loro congruità ai sensi dell’articolo 1-bis 1.5 e redige la graduatoria».
Nel passaggio successivo (comma 5-ter), la legge provinciale presuppone significativamente che sia avvenuta una «aggiudicazione in via provvisoria della concessione». Quest’ultima, dunque, si fonda sulla posizione in graduatoria del candidato concessionario: a questo punto della procedura, è verificata l’assenza dei motivi di esclusione, nonché il possesso dei requisiti di partecipazione in capo all’aggiudicatario, e la struttura provinciale competente in materia di risorse idriche invita quest’ultimo a presentare la domanda di provvedimento unico prevista dall’art. 1-bis 1.8. della stessa legge n. 4 del 1998, inserito dall’art. 16 della legge prov. Trento n. 9 del 2020.
Quest’ultima disposizione illustra i contenuti e la funzione del provvedimento unico, che comprende la concessione di grande derivazione a scopo idroelettrico e tutti i provvedimenti, le autorizzazioni, i nulla osta, i pareri, comunque denominati, necessari per l’esercizio degli impianti, recandone l’indicazione esplicita. Devono essere successivamente acquisiti anche i provvedimenti, le autorizzazioni, i nulla osta, i pareri, comunque denominati necessari per la realizzazione degli interventi e degli investimenti presentati ai fini della valutazione dell’offerta migliore, secondo i criteri indicati nell’art. 1-bis 1.4 della più volte citata legge n. 4 del 1998, come introdotto ex art. 12, comma 1, della pure citata legge prov. Trento n. 9 del 2020.
La domanda dell’aggiudicatario è presentata alla struttura provinciale competente in materia di risorse idriche. Solo a questo momento della procedura, la struttura la trasmette, con la documentazione correlata, a tutte le altre amministrazioni, anche non provinciali, interessate, che svolgono l’istruttoria per i profili di rispettiva competenza (art. 1-bis 1.8, comma 3, della legge prov. Trento n. 4 del 1998).
Di seguito, è previsto (art. 1-bis 1.8, comma 4) che la struttura provinciale competente convochi una conferenza di servizi, da svolgersi in forma simultanea, alla quale infine partecipano tutte le strutture e amministrazioni interessate per il rilascio dei titoli abilitativi compresi nel provvedimento unico.
Merita sottolineare che, nell’ambito della conferenza di servizi, le amministrazioni partecipanti, ciascuna per quanto di competenza, possono evidentemente valutare solo la domanda pre-selezionata, indicando le modifiche progettuali eventualmente necessarie ai fini dell’assenso.
All’esito dell’ultima riunione, e comunque non oltre il termine di centoventi giorni, la struttura provinciale provvede alla stesura di un rapporto istruttorio, sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle strutture e amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi rappresentanti, dando conto di tutte le posizioni emerse (art. 1-bis 1.8, comma 8).
In base al comma 6 dell’art. 1-bis 1, «sulla base del rapporto istruttorio», ora indicato, la Giunta provinciale aggiudica in via definitiva la concessione e rilascia il relativo provvedimento unico.
Come è evidente, nella procedura disegnata dalla legge provinciale la fase della selezione delle offerte non vede affatto la partecipazione di tutte le amministrazioni, anche non provinciali, interessate, secondo la logica invece accolta dal principio del procedimento unico: la graduatoria è infatti redatta dalla sola commissione tecnica, indipendente ma di nomina provinciale; l’assegnazione provvisoria dipende dalla posizione che un dato offerente ha assunto nella graduatoria; la procedura di valutazione, peraltro ulteriormente frammentata in istruttorie separate, si attiva unicamente riguardo alla offerta pre-selezionata con l’assegnazione provvisoria.
Ne discende che le amministrazioni non provinciali preposte alla tutela degli interessi di primaria rilevanza costituzionale sopra richiamati (ambiente, paesaggio, territorio, sicurezza) restano escluse dalla possibilità di apprezzare e comparare proposte alternative a quella prescelta dalla Provincia stessa, potendo soltanto indicare ragioni di dissenso rispetto all’unico progetto portato alla loro attenzione. Ciò non è conforme al principio del procedimento unico, per come configurato dal legislatore statale, inteso quale norma fondamentale di riforma nella materia in esame.
Devono perciò essere dichiarati costituzionalmente illegittimi l’art. 8, comma 14, della legge prov. Trento n. 9 del 2020, che introduce i commi 5-bis e 5-ter dopo il comma 5 dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998, e l’art. 16 della stessa legge prov. Trento n. 9 del 2020, nella parte in cui introduce l’art. 1-bis 1.8, commi 3 e 4, dopo l’art. 1-bis 1.7 della legge prov. Trento n. 4 del 1998. La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve necessariamente estendersi ai successivi commi 5, 6, 7, 8 e 9 dell’art. 1-bis 1.8, contenendo essi una disciplina avvinta da una stretta ed esclusiva dipendenza con quella prevista dai commi espressamente impugnati (sentenze n. 68 del 2022, n. 77 del 2021, n. 245 e 36 del 2017), e a sua volta perciò in contrasto con il principio del procedimento unico.
La rilevata illegittimità costituzionale della normativa provinciale non determina alcun vuoto normativo, potendo trovare immediata applicazione, in sostituzione delle disposizioni caducate, sia la stessa disciplina statale richiamata a parametro interposto, recata dall’art. 12, comma 1-ter, lettera m), del d.lgs. n. 79 del 1999, nel testo modificato dall’art. 11-quater del d.l. n. 135 del 2018, come convertito (per analoga soluzione si veda la sentenza n. 114 del 2011; si vedano, anche, le sentenze n. 166 del 2019 e n. 263 del 2016), sia, ove necessario, la pertinente normativa statale in tema di garanzia partecipativa delle amministrazioni interessate.
Nell’esercizio della propria competenza, e nel rispetto del descritto principio del procedimento unico, il legislatore provinciale potrà ovviamente intervenire, anche al fine di correggere eventuali e residuali disarmonie procedimentali.
10.– Il ricorso statale promuove, infine, una terza questione di legittimità costituzionale, riferita all’art. 10 della legge prov. Trento n. 9 del 2020, nella parte in cui introduce un nuovo art. 1-bis 1.2 nella legge prov. Trento n. 4 del 1998. In tale norma si prevede, tra l’altro, che nei bandi per la concessione di grandi derivazioni idroelettriche possono essere inseriti requisiti “opzionali”, tra i quali il ricorrente ha selezionato quelli indicati nelle lettere da a) a g) e nella lettera j) del comma 4 dello stesso art. 1-bis 1.2.
In queste disposizioni sono indicate esperienze pregresse, che i bandi dell’amministrazione provinciale possono valorizzare, in quanto «pertinenti con l’oggetto della concessione», allo scopo di consentire che la selezione dei concorrenti evidenzi quelli maggiormente adatti alla gestione della derivazione di volta in volta considerata, avuto riguardo alle sue concrete caratteristiche e alle competenze tecniche, operative e finanziarie specificamente richieste. Questi requisiti vanno distinti dai «requisiti di capacità tecnica e organizzativa» e dai «requisiti di carattere patrimoniale e finanziario» che, invece, devono necessariamente essere indicati nel bando e di cui gli operatori economici aspiranti concessionari devono essere in possesso. La disciplina di queste due ultime categorie di requisiti è contenuta, rispettivamente, nei commi 2 e 3 dell’art. 1-bis 1.2, non impugnati, ed è stata incisa dall’art. 13, comma 3, lettere b) e c), della legge della Provincia autonoma di Trento 23 aprile 2021, n. 6, recante «Misure di semplificazione e razionalizzazione in materia di territorio, ambiente e contratti pubblici: modificazioni della legge provinciale sulla valutazione d’impatto ambientale 2013, del testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti 1987, della legge provinciale sulle acque pubbliche 1976, della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4 (Disposizioni in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico e altre disposizioni connesse), della legge provinciale sulle foreste e sulla protezione della natura 2007, dell’articolo 40 (Catasto dei fabbricati e nuova anagrafe immobiliare integrata catasto-libro fondiario) della legge provinciale 27 dicembre 2010, n. 27, della legge provinciale 7 gennaio 1991, n. l (Eliminazione delle barriere architettoniche in provincia di Trento), nonché della legge provinciale 9 marzo 2016, n. 2, e della legge provinciale 23 marzo 2020, n. 2, in materia di contratti pubblici», che non rileva nell’attuale giudizio, come invece sostiene la ricorrente, proprio perché non concerne i requisiti “opzionali”.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la previsione impugnata introduce criteri selettivi incompatibili con la direttiva 2006/123/CE, essendo dubbio che i requisiti in questione siano “necessari”, cioè «giustificati da un motivo imperativo di interesse generale», così come prescritto dall’art. 15, paragrafo 3, lettera b), della stessa direttiva. In ogni caso, non si tratterebbe di condizioni proporzionate e non sostituibili mediante requisiti altrettanto efficaci ma meno restrittivi.
Come correttamente eccepisce la resistente, tuttavia, il ricorso si appalesa, per questa parte, inammissibile, poiché si riferisce in termini omnicomprensivi e generici alle numerose e assai diverse previsioni, censurandone complessivamente il difetto di proporzionalità in forza de «la numerosità, il significativo frazionamento, l’onerosità e il tecnicismo». In tal modo, il ricorso si limita a richiamare una serie di disposizioni, giustificandone l’impugnazione sul solo assunto che sarebbero troppe e troppo tecniche per escludere una loro funzione ostruzionistica: con una motivazione, dunque, apodittica ed arbitraria, non idonea a illustrare in modo effettivo e puntuale le ragioni di contrasto tra le singole norme ed i parametri costituzionali di riferimento.
La giurisprudenza di questa Corte afferma costantemente che nei giudizi proposti in via principale l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini particolarmente rigorosi, avendo il ricorrente l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con una argomentazione non meramente assertiva, sufficientemente chiara e completa (ex multis, sentenza n. 86 del 2022).
Solo con la memoria depositata in vista dell’udienza l’Avvocatura generale ha preso in specifica considerazione i singoli requisiti opzionali, illustrando partitamente le ragioni del ritenuto difetto di necessità e proporzionalità: ma, sempre secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio genetico di un ricorso non motivato non può essere sanato attraverso una integrazione successiva (ex plurimis, tra le più recenti, sentenze n. 56 del 2020, n. 114 del 2017 e n. 202 del 2016).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 14, della legge della Provincia autonoma di Trento 21 ottobre 2020, n. 9, recante «Modificazioni della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4 (Disposizioni per l’attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235. Istituzione dell’azienda speciale provinciale per l’energia, disciplina dell’utilizzo dell’energia elettrica spettante alla Provincia ai sensi dell’articolo 13 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, criteri per la redazione del piano della distribuzione e modificazioni alle leggi provinciali 15 dicembre 1980, n. 38 e 13 luglio 1995, n. 7), della legge provinciale sull’energia 2012, della legge provinciale sulle acque pubbliche 1976 e della legge provinciale sull’agricoltura 2003», e dell’art. 16, comma 1, della legge prov. Trento n. 9 del 2020, nella parte in cui introduce l’art. 1-bis 1.8, commi 3 e 4, dopo l’art. 1-bis 1.7 della legge prov. Trento n. 4 del 1998;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge prov. Trento n. 9 del 2020, nella parte in cui introduce l’art. 1-bis 1.8, commi 5, 6, 7, 8 e 9, dopo l’art. 1-bis 1.7 della legge prov. Trento n. 4 del 1998;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge prov. Trento n. 9 del 2020, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 10, paragrafo 2, lettera c), e 15, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 9, della legge prov. Trento n. 9 del 2020, nella parte in cui introduce la lettera s) del comma 2 dell’art. 1-bis 1 della legge prov. Trento n. 4 del 1998, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e all’art. 14, paragrafo unico, numero 3), della direttiva 2006/123/CE, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2022.