SENTENZA
N. 109
ANNO
2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
artt. 7 (recte: art. 7, comma 4), 8, 9, commi 2 e 3,
41, 48, comma 6, e 49 della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10
(Disposizioni in materia di demanio marittimo regionale e demanio marittimo stradale,
nonché modifiche alle leggi regionali 17/2009, 28/2002 e 22/2006), promosso
con ricorso
del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 23-29 giugno 2017,
depositato in cancelleria il 27 giugno 2017 ed iscritto al n. 46 del registro
ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30,
prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di
costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza
pubblica del 10 aprile 2018 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi l’avvocato dello
Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato
Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia.
Ritenuto
in fatto
1.– Con il ricorso in epigrafe, spedito per la
notifica il 23 giugno 2017 e depositato il 27 giugno del 2017, il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha impugnato gli artt. 7, 8, 9, commi 2 e 3, 41, 48, comma 6, e 49
della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10
(Disposizioni in materia di demanio marittimo regionale e demanio marittimo
stradale, nonché modifiche alle leggi regionali 17/2009, 28/2002 e 22/2006).
Le disposizioni impugnate, ad avviso del
ricorrente, sono in contrasto con l’art. 117, primo comma,
secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo
in riferimento all’art. 6, comma 2, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30
luglio 2010, n. 122.
2.– Il ricorrente premette che la legge
regionale impugnata reca una disciplina organica della gestione dei beni del
demanio marittimo nella laguna di Marano-Grado, introducendo, inoltre,
modifiche alle disposizioni contenute nelle previgenti discipline della Regione
chiamate a regolare le materie del demanio marittimo, idrico e stradale.
Precisa, ancora, che le norme oggetto di
scrutinio afferiscono alle materie «industria e commercio» e «turismo e
industria alberghiera», attribuite alla potestà legislativa primaria della
Regione resistente, ai sensi dell’art. 4, numero 6) e numero 10), della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 29 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), non senza rimarcare, al contempo, che la relativa
competenza primaria, per quanto espressamente previsto dalla medesima
disposizione statutaria, deve comunque esplicarsi «[i]n armonia con la
Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli
obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi
nazionali e di quelli delle altre Regioni […]» e che, tra le norme di grande
riforma economico-sociale poste dallo Stato, vanno annoverate quelle emanate in
tema di «tutela della concorrenza».
Sempre in via di premessa, il Governo evidenzia,
ancora, che le disposizioni censurate ineriscono a beni appartenenti al demanio
idrico regionale in forza del trasferimento operato con il decreto
legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio
idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche, e di
difesa del suolo); che la gestione relativa ai detti beni deve comunque
rispettare direttive e principi comunitari, le leggi nazionali in materia di
ambiente e paesaggio, oltre a quanto previsto dal regio
decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione); che le
disposizioni censurate ineriscono agli aspetti relativi all’affidamento ed alla
durata delle concessioni demaniali marittime, eccedendo le competenze
statutarie nella parte in cui restringono il campo di applicazione delle
procedure ad evidenza pubblica finalizzate all’affidamento della concessione,
così da limitare il meccanismo della concorrenza nella scelta dell’affidatario
in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.; che le stesse si
pongono in contrasto anche con i principi dettati dal diritto dell’Unione
europea nella materia e segnatamente, per quel che qui immediatamente
interessa, dalla direttiva
2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006,
relativa ai servizi nel mercato interno (da qui: direttiva servizi),
attuata nell’ordinamento interno con il decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE
relativa ai servizi nel mercato interno).
Alla luce di tali premesse, il ricorrente mette
in evidenza, per ciascuna delle disposizioni censurate, gli aspetti di
contrarietà rispetto ai citati parametri costituzionali così integrati dai
riferimenti inerenti al diritto dell’Unione.
3.– Secondo il Governo, l’art. 7 della legge regionale
impugnata, nel disciplinare la procedura per l’affidamento in concessione di
aree demaniali marittime, al comma 4 detta una serie di deroghe all’obbligo di
pubblicazione delle istanze di concessione imposto dai commi precedenti, senza
fornire alcuna giustificazione, così da porsi in contrasto con i principi di
derivazione comunitaria in tema di trasparenza nelle procedure di assegnazione
nonché con la normativa statale in materia e segnatamente con l’art. 18 della
legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale)
nonché con l’art. 18 del d.P.R. 15 febbraio 1952, n.
328, recante «Approvazione del Regolamento per l’esecuzione del Codice della
navigazione (Navigazione marittima»).
Di qui l’addotta lesione dell’art. 117, primo
comma, Cost., per la ritenuta violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario; nonchè, il contrasto con l’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost. per la stretta correlazione funzionale tra le
disposizioni in materia di pubblicità e trasparenza delle procedure di
assegnazione e la materia della concorrenza, così che spetterebbe al
legislatore statale fissare i principi fondamentali in materia.
4.– Il Governo censura anche l’art. 8 della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017.
Evidenzia il ricorrente che l’articolo in
questione, nel disciplinare la procedura che porta alla aggiudicazione della
concessione, al comma 1 indica i criteri da applicare in caso di domande
concorrenti; al comma 2 impone alla Giunta regionale di comunicare,
contestualmente all’invito a presentare le istanze di concessione, il principio
che dovrà guidare, insieme ai criteri di cui al comma 1, il giudizio relativo
all’aggiudicazione, scelto tra quelli espressamente indicati nella citata
disposizione; al comma 3, infine, rimanda ad un regolamento l’individuazione
delle procedure, dei termini e dei criteri attuativi dei principi di cui ai
primi due commi e le disposizioni per l’aggiudicazione «[…] anche ai fini di
una valorizzazione dell’esperienza e della professionalità del concessionario».
La norma, ad avviso del ricorrente, si pone in
contrasto con le indicazioni di principio contenute nella direttiva servizi,
applicabili alle concessioni in questione in ragione di quanto statuito dalla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quinta sezione, con la sentenza
14 luglio 2016, nelle cause riunite C-458/14, Promoimpresa
srl e C-67/15, Mario Melis e altri.
Di qui l’addotta violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost.
La procedura comparativa introdotta, in
particolare, riposerebbe su criteri eccessivamente generici senza delineare un
quadro sufficientemente chiaro né pro-concorrenziale. Nel consentire, poi, che,
attraverso il regolamento attuativo, possa essere presa in considerazione e
valorizzata l’esperienza e la professionalità del concessionario uscente,
permetterebbe, tramite la fonte secondaria, l’introduzione di prescrizioni
volte a favorire quest’ultimo, creando discriminazioni tra i diversi operatori
economici. I temi oggetto del rinvio al regolamento, sarebbero, inoltre, troppo
ampi e involgerebbero, comunque, campi coperti da disposizioni di rango
primario quali quelle dettate dal decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400
(Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali
marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494.
Anche con riferimento alla disposizione in esame, infine, la stretta correlazione
con il tema della concorrenza renderebbe concreta la violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
5.– Il ricorrente dubita, inoltre, della
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, della legge regionale
impugnata, sempre per l’addotta violazione dell’art. 117, primo comma e secondo
comma, lettera e), Cost.
Ad avviso del Governo, la disposizione
censurata, nel prevedere che la durata delle concessioni possa estendersi sino
ad un limite massimo di anni cinquanta con riguardo alle concessioni per
finalità produttive, commerciali, industriali, ivi comprese le attività di
cantieristica navale e per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica
da diporto (inerenti ai beni ricompresi nel demanio marittimo afferente alla
laguna di Marano-Grado), si pone in contrasto con la disciplina statale che,
all’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993,
fissa in una forbice tra i sei e i venti anni la durata dei relativi titoli; si
pone, ancora, in conflitto, con le indicazioni di principio emergenti dalla
direttiva servizi, come interpretate dalla Corte di Giustizia dell’Unione
europea con la citata sentenza
del 14 luglio 2016.
Secondo il ricorrente, la disposizione
censurata, autorizzando un utilizzo prolungato di una risorsa scarsa, limita la
concorrenza e la rende recessiva nel confronto con l’esigenza di garantire sia
l’integrale ammortamento degli investimenti, sia una piena remunerazione del
capitale investito dal concessionario. L’equilibrio economico-finanziario
dell’iniziativa del concessionario non può infatti sacrificare il confronto
concorrenziale lungo un arco temporale eccessivamente esteso.
Di qui la ritenuta violazione dei parametri
costituzionali evocati, richiamati dal ricorrente anche per addurre
l’illegittimità costituzionale, giustificata dalle medesime considerazioni
argomentative, sia dell’art. 9, comma 3, della legge regionale impugnata, che
pone in anni quaranta il medesimo limite massimo di durata per la concessioni
con finalità turistico ricreative relative a beni ricompresi all’interno della
laguna di Marano-Grado; sia dell’art. 41 della stessa legge, il quale,
introducendo l’art. 6-bis nella legge della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia 13 novembre 2006, n. 22 (Norme in materia di demanio marittimo con
finalità turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale n. 16/2002 in
materia di difesa del suolo e di demanio idrico), prevede, per i beni estranei
alla laguna di Marano-Grado, che «[n]el rispetto del
principio di proporzionalità, le concessioni aventi finalità
turistico-ricreativa sono rilasciate per il periodo richiesto dal soggetto
istante e, comunque, per il periodo massimo di quaranta anni, sulla base del
piano economico-finanziario di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), tale da
giustificare la durata della concessione».
6.– Il Governo censura, ancora, l’art. 48, comma
6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, con il quale si
dispone che, per i componenti esterni del «Comitato tecnico di
valutazione-Sezione demaniale» previsto dal medesimo articolo, il gettone da
corrispondere per ogni seduta venga determinato in euro 120. Tanto
contrasterebbe con l’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010
(che fissa in 30 euro la soglia massima del gettone di presenza), quale norma
di coordinamento della finanza pubblica, non derogabile dalla Regione
nell’esercizio della sua potestà legislativa concorrente, con conseguente
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
7.– Ad avviso del Governo, infine, è
costituzionalmente illegittimo l’art. 49 della legge regionale impugnata,
perché in asserito conflitto con l’art. 117, primo comma, secondo comma,
lettera e), e terzo comma, Cost. La previsione in oggetto impone al
concessionario subentrante il pagamento, in favore dell’uscente, di un
indennizzo computato considerando il valore degli investimenti non ancora
ammortizzati e l’avviamento maturato nella gestione pregressa del bene.
La mancata rinnovazione del titolo, dunque,
potrebbe determinare riflessi negativi per la finanza pubblica, legittimando
l’uscente ad una azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione,
statale o regionale, cui va riferita la titolarità dominicale sul bene
coinvolto, così da contrastare con la normativa statale in materia di
coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
La disposizione, inoltre, avrebbe l’effetto di
attribuire all’uscente un indebito vantaggio, così da provocare una restrizione
della concorrenza, in aperto contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.,
integrato dal tenore dell’art. 12 della direttiva servizi, e con il comma
secondo, lettera e), della stessa norma costituzionale.
8.– La Regione autonoma resistente si è
costituita in giudizio con memoria depositata il 1° agosto 2017, concludendo
per la inammissibilità o comunque per la infondatezza delle questioni
prospettate dal Governo.
8.1.– In linea
generale, la resistente eccepisce l’inammissibilità delle questioni, tutte
prospettate con esclusivo riferimento ai parametri costituzionali in luogo
delle previsioni contenute nello statuto speciale, pur nella consapevolezza
espressa nel ricorso, che la legge impugnata è stata approvata nell’esercizio
della competenza legislativa primaria in materia di turismo e industria
alberghiera, ai sensi dell’art. 4, n. 10), del citato statuto.
Eccepisce, ancora, l’inammissibilità delle
questioni prospettate in riferimento all’art. 117, primo e terzo comma, Cost.,
parametri non richiamati nella delibera autorizzativa.
8.2.– Relativamente
all’art. 7, la resistente deduce l’inammissibilità della questione avuto
riguardo alle disposizioni diverse da quella contenuta nel comma 4, avendo il
Governo argomentato la censura riferendosi esclusivamente a tale ultima
previsione. Nel merito, ne contrasta la fondatezza perché la pubblicazione
della domanda di concessione non è imposta neppure dalla stessa legislazione
nazionale richiamata dal ricorrente. In ogni caso, diversamente da quanto
addotto nel ricorso, le deroghe al sistema di pubblicità previste dalla
disposizione censurata avrebbero ragion d’essere perché afferenti a concessioni
in cui l’occupazione del bene demaniale risponde ad un interesse pubblico
specifico preminente, tanto da risultare strumentale o servente rispetto ad
altri provvedimenti emessi all’esito di procedure ad evidenza pubblica; in alternativa,
sarebbero riferibili a concessioni prive di rilevanza economica, così da
rendere inconferenti i principi evocati in tema di trasparenza e tutela della
concorrenza.
8.3.– Quanto alle censure rivolte all’art. 8
della legge regionale impugnata, la resistente evidenzia che, diversamente da
quanto sostenuto nel ricorso, i criteri dettati dalla norma censurata
contribuiscono ad offrire un quadro chiaro e delineato, utile ad orientare la
discrezionalità amministrativa nel valutare le domande di affidamento concessorio, in linea con quanto previsto dall’art. 12
della direttiva servizi ed in assenza di una legislazione statale che,
altrettanto precisamente, segni le linee guida della relativa azione
amministrativa. L’unica norma rilevante al fine, ad avviso della resistente,
andrebbe individuata nell’art. 37 del codice della navigazione, il cui
contenuto non si pone in conflitto con le disposizioni censurate.
Né, ancora, può ritenersi sanzionabile
l’asserita eccessiva latitudine del rinvio alla norma regolamentare,
considerato il grado di analiticità della norma primaria. Le disposizioni
censurate, inoltre, non sarebbero in contrasto con il diritto dell’Unione
europea, o con la disciplina statale, non identificabile nell’inconferente
riferimento al contenuto del d.l. n. 400 del 1993.
Il riferimento, poi, alla valorizzazione
dell’esperienza e della professionalità del concessionario è erroneamente
interpretato: nella sua corretta esegesi si riferisce ad una esperienza
generalmente acquista nel settore di riferimento, in linea con quanto previsto
del resto dall’art. 83, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
(Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE
sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e
sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua,
dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della
disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi
e forniture).
Ancora, sarebbe inammissibile il profilo di
incompetenza prospettato evocando l’art 117, secondo comma, lettera e), Cost.
sia perché, a fronte di una competenza primaria, sarebbe stata violata la
clausola di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione); sia perché non
possono coesistere, se non dedotte nel ricorso in termini di subordinazione,
censure attinenti sia all’an che al quomodo di esercizio della potestà regionale. Nel merito la
relativa prospettazione sarebbe inoltre infondata considerato il carattere
trasversale della relativa competenza, non evocabile quando la concorrenza,
come nel caso, non è l’oggetto immediato della disciplina censurata.
8.4.– La resistente,
inoltre, eccepisce l’inammissibilità delle censure prospettate avverso gli
artt. 9, comma 2, 41 e 48, comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
10 del 2017, trattandosi di disposizioni non ricomprese nella delibera di
autorizzazione approvata dal Consiglio dei ministri.
Nel merito ne afferma l’infondatezza.
8.5.– Con riguardo al
comma 3 dell’art. 9 della legge regionale impugnata, la resistente evidenzia
che il limite massimo di durata del titolo concessorio
previsto dalla disposizione censurata deve essere considerato alla luce del
dato offerto dal riferimento al piano economico-finanziario che deve supportare
l’affidamento del bene demaniale: una tale durata massima sarà, dunque,
assentita se lo impongono la complessità delle opere da realizzare e degli impegni
economici da assumere. Del resto, la durata delle concessioni si pone in linea
con quanto previsto dall’art. 168 del d.lgs. n. 50 del 2016, in attuazione
della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26
febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Né la
competenza esclusiva in materia della Regione autonoma è ostacolata dalla
previsione di cui al comma 4-bis dell’art. 03 del d.l.
n. 400 del 1993, disposizione che non integra una norma di grande riforma economico-sociale,
perché la legge attraverso la quale è stata introdotta – l’art. 1, comma 253,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» –
impone di interpretarne il contenuto in modo compatibile con le disposizioni
degli statuti speciali (ai sensi del comma 1363 del citato art. 1).
8.6.– Infine, con riferimento all’art. 49 della
legge regionale impugnata, ferma la eccepita inammissibilità della censura
prospettata in relazione all’art 117, terzo comma, Cost., per la mancata
menzione del parametro in oggetto nella delibera autorizzativa, la difesa della
resistente evidenzia che la disposizione in questione non si pone in conflitto
con il comma secondo, lettera e), dello stesso art. 117 Cost., perché il
rispetto della remunerazione degli investimenti operati dal concessionario
uscente deve ritenersi coerente con quanto evidenziato nel considerando n. 52
della direttiva 2014/23/UE; il riconoscimento dell’avviamento, quale ulteriore
parametro dell’indennizzo dovuto dal subentrante, finisce, inoltre, per
riequilibrare la situazione provocata dal subentro di un nuovo concessionario,
il quale si avvantaggia di tale componente positiva inerente all’attività di
impresa svolta sul bene concesso in affidamento.
9.– Con memoria depositata il 16 marzo 2018,
l’Avvocatura generale dello Stato ha precisato che le questioni portate allo
scrutinio della Corte vanno limitate a quelle indicate nella delibera
autorizzativa. Ancora, la difesa erariale ha replicato alle ulteriori eccezioni
di inammissibilità sollevate dalla resistente, segnalandone l’infondatezza,
ribadendo, inoltre, le argomentazioni esposte nel merito a fondamento
dell’impugnazione.
10.– La Regione autonoma resistente ha
ulteriormente replicato alle difese erariali con memoria depositata il 20 marzo
2018.
Oltre a ribadire le eccezioni di inammissibilità
nonché i motivi di infondatezza prospettati in riferimento alle diverse
questioni poste dal Governo, la resistente ha anche segnalato che, dopo la
proposizione del ricorso, con la legge della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia 4 agosto 2017, n. 31 (Assestamento del bilancio per gli anni 2017-2019
ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26) è stata
sospesa l’efficacia di tutte le disposizioni impugnate, ad eccezione dell’art.
48, fino alla definizione del giudizio costituzionale.
La Regione segnala altresì che, con il comma 22
dell’art. 11 della legge regionale da ultimo citata, è stato, inoltre,
modificato il tenore dell’impugnato comma 6 dell’art. 48 della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, eliminando il riferimento quantitativo al
gettone di presenza in origine previsto e disponendo che l’ammontare del detto
gettone venga determinato «[…] nel rispetto dei principi di contenimento della
spesa pubblica per gli organi collegiali secondo quanto previsto dalla legge
regionale 29 dicembre 2010, n. 22 (Legge finanziaria 2011)».
Tale modifica, ad avviso della resistente,
dovrebbe soddisfare le ragioni di doglianza esposte dal Governo a sostegno
della relativa questione, con conseguente cessazione della materia del
contendere; declaratoria, tuttavia, impedita nella specie in ragione della già
rilevata inammissibilità del ricorso in parte qua, non essendo la disposizione
impugnata tra quelle espressamente indicate nella
delibera autorizzativa.
Avuto riguardo, poi, alla questione proposta in
relazione all’art. 49 della legge regionale impugnata, la resistente, pur
mostrandosi consapevole della analogia di contenuti tra la disposizione
censurata e quella della Regione Toscana scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 157 del
2017, ha tuttavia evidenziato che in quella occasione la declaratoria di
illegittimità costituzionale è stata ancorata al parametro di cui al comma
secondo, lettera e), dell’art 117 Cost.; parametro, questo, che nel presente
giudizio non dovrebbe trovare applicazione in ragione della autonomia speciale
della resistente, nonché della riferibilità dell’intervento legislativo in
esame alla competenza legislativa primaria dettata dall’art. 4, numero 6),
dello statuto regionale ed in considerazione del limite deducibile dall’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001.
Considerato
in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato gli artt. 7, 8, 9, commi 2 e 3, 41, 48, comma 6, e 49 della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10
(Disposizioni in materia di demanio marittimo regionale e demanio marittimo
stradale, nonché modifiche alle leggi regionali 17/2009, 28/2002 e 22/2006),
ritenuti in contrasto con l’art. 117, primo comma, secondo comma, lettera e), e
terzo comma, della Costituzione.
2.– In via preliminare, va evidenziato che le
conclusioni prospettate con il ricorso, in linea con la delibera del Consiglio
dei ministri che ha autorizzato la proposizione delle questioni di legittimità
costituzionale (il cui contenuto è definito dal pedissequo richiamo alla
relazione del Dipartimento degli Affari regionali e per le autonomie resa
nell’occasione), non contengono alcun riferimento agli artt. 9, comma 2, 41 e
48 della legge impugnata.
Nel contesto del ricorso, tuttavia, si argomenta
diffusamente e viene in coerenza chiesta anche la declaratoria di illegittimità
costituzionale di queste ultime disposizioni. L’interpretazione dell’atto di
promovimento, letto nel suo complessivo tenore, porta dunque a ritenere che
l’impugnazione è stata estesa anche alle citate disposizioni, malgrado le
stesse certamente esondino dagli argini tracciati dall’atto autorizzativo.
Di qui la fondatezza della eccezione di
inammissibilità sollevata dalla difesa della resistente con riguardo alla
impugnazione delle disposizioni contenute negli artt. 9, comma 2, 41 e 48,
comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, per la
corrispondenza che deve sussistere, relativamente alle norme censurate, tra la
deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il
contenuto del ricorso.
L’evidenziata inammissibilità del ricorso, per
la pregiudizialità che la connota, non rende necessario approfondire il profilo
della sopravvenuta modifica del censurato art. 48, comma 6, della legge
regionale impugnata, apportata dall’art. 11, comma 22, della legge della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 4 agosto 2017, n. 31 (Assestamento del
bilancio per gli anni 2017-2019 ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale
10 novembre 2015, n. 26).
3.– Sempre in via preliminare, va anche
rimarcato che la delibera autorizzativa del Consiglio dei Ministri prospetta la
violazione del secondo comma, lettere e) ed l), dell’art. 117 Cost., in ragione
della ritenuta lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle
materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile.
3.1.– Il ricorso si
allinea solo parzialmente all’atto autorizzativo.
In primo luogo, nell’atto di promovimento non
viene prospettata alcuna censura in riferimento all’art. 117, comma secondo,
lettera l), Cost., evocando espressamente la lettera e) del medesimo secondo
comma dell’articolo in questione, parametro riferito a tutte le questioni.
In termini di evidente eccentricità rispetto
alla delibera di autorizzazione, nel ricorso si fa altresì riferimento all’art.
117, primo comma, Cost., integrato dallo specifico richiamo all’art. 12 della
direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre
2006, relativa ai servizi nel mercato interno (da qui: direttiva servizi); si
adduce, altresì, la violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., limitatamente
alla sola impugnazione dell’art. 49 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
10 del 2017.
Infine, in linea con l’argomentare complessivo
dell’autorizzazione governativa, l’atto di promovimento individua le competenze
legislative primarie della resistente, dettate dall’art. 4, numero 6) e numero
10), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia), rispettivamente afferenti alle materie
dell’industria e del commercio, nonché del turismo e dell’industria
alberghiera, queste ultime due richiamate anche dal legislatore regionale (art.
1 della legge regionale impugnata) per legittimare l’adozione delle
disposizioni censurate. Al contempo, nel ricorso, viene puntualmente rimarcata
la recessività di siffatte previsioni rispetto al limite, imposto dal primo
periodo del citato art. 4 dello statuto speciale, inerente al necessario
rispetto delle norme «fondamentali delle riforme economico-sociali», emanate
dallo Stato nella materia della «tutela della concorrenza», cui risultano
connesse, ad avviso del Governo ricorrente, le disposizioni censurate.
3.2.– I rilievi che
precedono portano alla inammissibilità delle questioni prospettate con
riferimento all’art. 117, commi primo e terzo, Cost.; parametri, questi,
certamente estranei al contenuto, anche solo argomentativo, della delibera
autorizzativa.
Sebbene la giurisprudenza costituzionale
attribuisca alla difesa del ricorrente un’autonomia tecnica nella indicazione
dei parametri di censura, riconoscendo ad essa il potere di integrare il tenore
della autorizzazione (sentenza n. 39 del
2017), tale discrezionalità trova comunque «[…] il suo limite nel perimetro
delle ragioni espresse nella deliberazione a ricorrere poiché è evidente che
non possono essere introdotte censure diverse o ulteriori rispetto a quelle indicate
dall’organo politico» (così, da ultimo, sentenze n. 270
e n. 228 del
2017).
3.3.– Non è fondata,
invece, l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della resistente
in ordine alla mancata evocazione dei parametri statutari nelle conclusioni del
ricorso.
3.3.1.– È ben vero che,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’art. 10 della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della
Costituzione) limita l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale «dell’art.
117 Cost., nel testo introdotto da quest’ultima legge, alle parti in cui esso
assicura forme di autonomia più ampie rispetto alle disposizioni statutarie.
Laddove venga sottoposta a censura di legittimità costituzionale una
disposizione di legge di un soggetto ad autonomia speciale, la compiuta
definizione dell’oggetto del giudizio […] non può pertanto prescindere
dall’indicazione delle competenze legislative assegnate dallo Statuto speciale,
tanto più se queste risultino astrattamente pertinenti all’oggetto del giudizio
[…]» (da ultimo, sentenza
n. 52 del 2017).
Tuttavia la stessa giurisprudenza costituzionale
ha precisato che siffatto requisito di ammissibilità va inteso nel senso che,
dal contesto del ricorso, deve emergere l’esclusione della possibilità di operare
il sindacato di legittimità costituzionale in base allo statuto speciale,
ritenendo sufficiente, ma necessaria, un’indicazione, sia pure sintetica al
riguardo, in ordine all’estraneità della materia alla sfera di attribuzioni
stabilita dallo stesso, nonché una pur non diffusamente argomentata evocazione
dei limiti di competenza fissati da quest’ultimo (sentenze n. 142 del
2015 e n.
288 del 2013).
Nel caso in esame, per quanto prima evidenziato,
il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, in coerenza con la
delibera di autorizzazione, sotto questo profilo non può ritenersi sfornito
degli elementi argomentativi minimi richiesti per valutarne positivamente
l’ammissibilità.
Ne consegue l’infondatezza della relativa
eccezione.
3.4.– Il ricorso, risulta, quindi, correttamente
articolato rivendicando congiuntamente (sentenza n. 151 del
2015) sia la lesione del parametro statutario, in ragione dei limiti che lo
stesso statuto detta rispetto all’espansione della competenza legislativa
primaria della Regione autonoma; sia la conflittualità delle disposizioni
impugnate rispetto al parametro di cui all’art. 117 Cost., ora delimitato, in
ragione dei profili di inammissibilità già riscontrati, al solo secondo comma,
lettera e), relativo alla «tutela della concorrenza».
4.– Definito il perimetro oggettivo della
verifica ascritta a questa Corte, giova sottolineare che le disposizioni
impugnate si inseriscono in un più ampio intervento normativo destinato a
coinvolgere oggetti diversi, innovando le previgenti discipline della Regione
autonoma in tema di demanio marittimo, idrico e stradale. Per quel che qui
immediatamente interessa, le norme censurate attengono primariamente al demanio
marittimo regionale e, solo in minima parte, anche al demanio idrico; ed
ineriscono al profilo della concessione in uso dei relativi beni demaniali.
4.1.– La legge
impugnata introduce, in primo luogo, una apposita disciplina relativa alle
funzioni amministrative inerenti al demanio marittimo della laguna di
Marano-Grado, individuata in ragione di quanto previsto dall’art. 30, comma 2,
della legge 5 marzo 1963, n. 366 (Nuove norme relative alle lagune di Venezia e
di Marano-Grado). A tale ambito demaniale viene dedicato il Titolo II della
legge de qua, cui si riferiscono, in particolare, gli impugnati artt. 7, 8 e 9,
inseriti nel Capo afferente alle concessioni ed autorizzazioni e
rispettivamente inerenti all’affidamento concessorio,
ai criteri che devono guidare le procedure di aggiudicazione nonché alla durata
dei titoli in questione.
4.2.– Sempre in tema di demanio marittimo, la
legge in esame ha inoltre ampliato l’oggetto della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22 (Norme in materia di demanio
marittimo con finalità turistico-ricreativa e modifica alla legge regionale n.
16/2002 in materia di difesa del suolo e di demanio idrico), in origine
chiamata a dettare la disciplina delle sole concessioni demaniali aventi
finalità turistico-ricreativa relative ad ambiti demaniali estranei alla citata
laguna di Marano-Grado (l’art. 1, comma 3, ne prevede, ancora oggi, l’espressa
esclusione).
Innovando l’art. 1 della citata legge, la
relativa disciplina normativa risulta oggi rivolta, con la precisazione
territoriale sopra richiamata, a regolare tutte le concessioni in uso dei beni
del demanio marittimo della Regione resistente.
4.3.– Infine, per quel
che qui interessa, il Titolo IV della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10
del 2017 introduce alcune disposizioni generali, indistintamente rivolte alla
disciplina amministrativa dei beni demaniali.
Tra queste, rileva quella dettata dal censurato
art. 49, con la quale si impone al concessionario subentrante il pagamento di
un indennizzo in favore dell’uscente in caso di mancato rinnovo dei relativi
titoli inerenti al demanio marittimo e idrico.
5.– Ad avviso del ricorrente, le disposizioni
impugnate sono tutte caratterizzate da una stretta correlazione funzionale con
la materia della «tutela della concorrenza», riservata alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato, da ritenersi applicabile in luogo di quelle
primarie della Regione autonoma resistente, rivendicate dalla stessa a sostegno
della legittima emanazione delle disposizioni impugnate.
6.– La disciplina concernente il rilascio delle
concessioni su beni demaniali investe, in via di principio, diversi ambiti
materiali di spettanza sia statale che regionale.
6.1.– Si è già evidenziato che le norme
censurate afferiscono alla disciplina delle funzioni amministrative in materia
di demanio marittimo e di demanio idrico, trasferite alla Regione resistente,
quanto al demanio marittimo, in attuazione dell’art. 7 del d.P.R.
15 gennaio 1987, n. 469 (Norme integrative di attuazione dello statuto speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia); quanto ai beni ricompresi nella laguna di
Marano-Grado, in forza degli artt. 1, comma 2, e 2, comma 3, del decreto
legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio
idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di
difesa del suolo); infine, quanto al demanio idrico, in virtù dell’art. 2 del
citato d.lgs. n. 265 del 2001.
6.2.– Le norme
impugnate, nella comune opinione delle stesse parti in giudizio, intersecano
anche competenze primarie ascritte alla Regione resistente in ragione di quanto
previsto dall’art. 4, n. 10), dello statuto (in materia di turismo e industria
alberghiera), espressamente richiamato dall’art. 1 della legge impugnata. Non
sono poi estranee anche alla competenza, sempre primaria, prevista in materia
di commercio (art. 4, n. 6 dello statuto), peraltro richiamata dallo stesso
ricorrente.
6.3.– Tuttavia, laddove
l’intervento legislativo riguardi l’affidamento in concessione del bene demaniale,
le citate competenze regionali trovano un limite insuperabile in quella,
esclusiva, ascritta allo Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
in materia di «tutela della concorrenza».
I criteri e le modalità di affidamento delle
concessioni inerenti al demanio marittimo (ex plurimis,
sentenze n. 157
e n. 40 del 2017)
e idrico (sentenze
n. 117 del 2015, n. 114 del 2012
e n. 235 del
2011) devono, infatti, essere stabiliti nell’osservanza dei principi della
libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa
dell’Unione comunitaria e nazionale; ambiti da ritenersi generalmente estranei
alla possibilità di intervento legislativo delle Regioni per la natura
trasversale che viene ascritta alla citata competenza legislativa statale (sentenza n. 30 del
2016).
6.4.– Diversamente da
quanto ritenuto dalla difesa della resistente, l’autonomia speciale e la
potenziale, concomitante, riconducibilità delle norme censurate anche alle
citate ipotesi di competenza legislativa, anche primaria, della stessa, non
impediscono, a monte, l’evocazione delle competenze statali, in ragione di
quanto previsto dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
6.4.1.– Si tratta di
competenze, quelle evocate dalla Regione autonoma a supporto della legittima
approvazione delle disposizioni censurate, che, in forza di espressa previsione
statutaria, trovano comunque un limite – per quel che qui immediatamente
interessa, in ragione delle censure prospettate rimaste estranee ai già
rilevati profili di inammissibilità – nel necessario rispetto delle «norme
fondamentali delle riforme economico-sociali». Limite, questo, come si è detto,
puntualmente evocato dalla difesa statale, con specifico riferimento al
disposto del primo periodo dell’art. 4 dello statuto speciale della resistente;
e che, certamente, ricomprende le disposizioni che incidono sulla tutela della
concorrenza, ancor di più considerando il legame che corre, in detta materia,
tra l’ordinamento interno e quello derivato dal diritto dell’Unione europea,
tanto da imporre un’imprescindibile uniformità territoriale di regolazione.
6.4.2.– Non a caso, sul tema in oggetto, assume
un rilievo dirimente l’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59
(Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato
interno), emanato in attuazione dell’art. 12 della già citata direttiva servizi;
disposizione, quest’ultima, pacificamente attratta all’area della tutela della
concorrenza, che trova applicazione in tema di affidamento in uso dei beni
demaniali, come più volte affermato da questa Corte (sentenze n. 117 del
2015 e n.
171 del 2013) in riferimento al demanio marittimo ed a quello idrico, in
linea, del resto, con quanto recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia
dell’Unione europea (sentenza
14 luglio 2016, nelle cause riunite C-458/14, Promoimpresa
srl e C-67/15, Mario Melis e altri).
In particolare, il citato art. 16 del d.lgs. n.
59 del 2010, ribadendo il contenuto della direttiva, impone – laddove
l’attività sottesa all’affidamento in uso debba essere contingentata a causa
della scarsità delle risorse naturali suscettibili di sfruttamento – procedure
di evidenza pubblica per la scelta del concessionario, nonché una durata
limitata del titolo assentito ed il divieto di norme volte ad avvantaggiare il
concessionario uscente.
Indicazioni di principio, queste, che, per
espressa e coerente indicazione resa dal medesimo legislatore, costituiscono
«norme fondamentali di riforma economico-sociale» (ai sensi dell’art. 1, comma
3, del citato d.lgs.), così da limitare le competenze legislative anche
primarie delle autonomie speciali in forza di previsioni statutarie omologhe a
quella vigente nella Regione autonoma resistente.
6.4.3.– Ne consegue che
il parametro costituzionale ritualmente evocato nel ricorso, quello afferente
alla tutela della concorrenza, finisce per riempire di contenuti il limite
statutario altrettanto prospettato a fondamento dell’impugnazione (sentenza n. 263 del
2016).
Nel disciplinare l’affidamento in concessione di
detti beni demaniali, la legislazione regionale, anche se espressione di una
correlata competenza primaria, è dunque destinata a cedere il passo alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela della
concorrenza» ogni qualvolta l’oggetto della regolazione finisca per influire
sulle modalità di scelta del contraente o sulla durata del rapporto, ove si
incida sull’assetto concorrenziale dei mercati in termini tali da restringere
il libero esplicarsi delle iniziative imprenditoriali.
6.5.– Lo scrutinio di
legittimità costituzionale impone, pertanto, di verificare se le norme
impugnate, considerate in ragione della ratio, della finalità, dell’oggetto e
del contenuto che le connota, hanno o meno invaso la competenza esclusiva in
materia di tutela della concorrenza. Non senza trascurare, tuttavia, che il
riferimento alla detta materia non può ritenersi così pervasivo da impedire,
aprioristicamente, ogni spazio di intervento alle Regioni nella materia che
interessa (sentenza
n. 98 del 2017); e che, in particolare, non sono in grado di arrecare
l’addotto vulnus competenziale quelle norme che
possano ritenersi dotate di una valenza pro-competitiva (sentenze n. 97 del
2014 e n.
288 del 2010).
7.– Alla luce delle superiori indicazioni di
principio, può ora procedersi allo scrutinio delle singole questioni residuate
al giudizio di inammissibilità anticipato in precedenza con riguardo
all’impugnazione proposta nei confronti degli artt. 9, comma 2, 41 e 48 della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017.
8.– Prendendo le mosse dalla questione proposta
nei confronti dell’art. 7 della legge impugnata, il comma 1 di esso prevede che
«[i]l procedimento per l’affidamento in concessione di aree demaniali
marittime, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza,
può essere avviato su istanza di parte o d’ufficio».
Lo stesso articolo dispone, inoltre, che, in
linea di principio, le istanze di concessione sono pubblicate con le forme
imposte dal comma 2, diversificate nei tempi e modi di pubblicazione avuto
riguardo alle strutture dedicate alla nautica di diporto (comma 3).
Il comma 4 del detto articolo, limitatamente
all’affidamento avviato su istanza di parte, dispone che «[…] non sono soggette
a pubblicazione le istanze di: a) concessione per la realizzazione o il
mantenimento di opere pubbliche, di pubblica utilità o destinate all’erogazione
di pubblici servizi; b) concessione per la realizzazione o il mantenimento di
opere finalizzate al trasporto o all’erogazione di fonti energetiche; c)
autorizzazioni di cui all’articolo 5, commi 2 e 3; d) concessione per la
realizzazione di interventi di ripristino e protezione delle barene, degli
argini o di pulizia dei canali; e) concessione per l’utilizzo temporaneo dei
beni del demanio marittimo regionale di cui all’articolo 9, comma 7; f)
concessione finalizzata allo svolgimento di esercitazioni o manifestazioni di
protezione civile o alla prevenzione dell’incolumità pubblica o alla
salvaguardia ambientale».
Gli ulteriori commi dell’articolo in questione
ineriscono alla pubblicità delle istanze concorrenti aventi un oggetto diverso
da quella in scadenza (comma 5); alla procedura di affidamento avviata
dall’ufficio (comma 6); alla concessione in uso finalizzata alla realizzazione
di manifestazioni organizzate da enti pubblici o da associazioni senza scopo di
lucro, per una durata massima di dieci giorni (comma 7).
8.1.– Secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri, le deroghe all’onere di pubblicità
previste dal comma 4 dell’impugnato art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 10 del 2017 non sarebbero in alcun modo giustificate. Si porrebbero, dunque,
in contrasto con i principi di matrice europea ribaditi dalla normativa statale
in tema di trasparenza nelle procedure di assegnazione, violando la competenza
statale in materia di «tutela della concorrenza».
8.2.– Il ricorso, anche
con riferimento a siffatta questione, è inammissibile.
8.3.– In linea
preliminare va segnalato che la censura è esclusivamente riferita alle
disposizioni contenute nel comma 4 dell’articolo in esame.
L’oggetto della questione va dunque limitato
solo a tale comma.
8.4.– Ciò premesso, non
è revocabile in dubbio che il tema della pubblicità delle istanze che portano
all’affidamento in concessione è immediatamente connesso ai profili della competizione
concorrenziale, garantita, quanto alla scelta dell’affidatario, da una
selezione aperta, pubblica e trasparente così come delineata, in via di
principio, prima dalla direttiva servizi e poi dalla normativa interna di
attuazione della stessa, già richiamata.
Tuttavia, per evocare la tutela della
concorrenza, è necessario che l’affidamento riguardi un utilizzo del bene
demaniale strettamente correlato ad iniziative economiche suscettibili di
attivare la dinamica concorrenziale. In mancanza, le relative disposizioni
devono ritenersi estranee alla citata competenza statale, per rientrare nei
campi regolatori coperti dalle competenze legislative ascritte alla Regione,
più volte citate, prima tra tutte quella immediatamente inerente alla
disciplina delle funzioni amministrative legate alla gestione dei beni del
demanio marittimo (nel caso, quelli relativi alla laguna di Marano-Grado).
8.4.1.– Questa Corte ha più volte chiarito che
«il ricorso in via principale […] deve contenere una argomentazione di merito a
sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, giacché
l’esigenza di un’adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone in
termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli
incidentali» (ex plurimis, sentenze n. 64 del
2016 e n. 82
del 2015).
8.4.2.– La censura in
esame non si pone in linea con tali indicazioni.
Il ricorso, in parte qua, riposa esclusivamente
sull’addotto legame che corre, in linea di principio, tra l’onere di pubblicità
dell’istanza di concessione ed il profilo competitivo del libero accesso al
mercato di riferimento, altrimenti pretermesso in mancanza della adeguata
conoscibilità della prospettiva di affidamento in uso del bene demaniale.
Il ricorrente trascura, invece, integralmente di
descrivere e precisare in che termini le deroghe previste dalla legge regionale
impugnata inciderebbero sulla competitività imprenditoriale; e siffatta carenza
di approfondimento assume ancor più rilievo ove si consideri, in linea con
quanto prospettato dalla difesa della resistente, il portato letterale delle
ipotesi prese in considerazione dalle disposizioni censurate, prima facie legate ad occupazioni del bene demaniale prive di
rilievo economico o correlate ad attività di interesse pubblico, rispetto alle
quali la selezione dell’affidatario è stata svolta in precedenza, nel rispetto
delle regole di evidenza pubblica.
Di qui l’inammissibilità della questione
riferita al comma 4 dell’art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10
del 2017.
9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
anche censurato l’intero disposto dell’art. 8 della legge regionale in esame.
9.1.– Il comma 1 di
tale articolo prevede che « [i]n caso di pluralità di domande di concessione
per l’utilizzo del bene demaniale la comparazione delle domande è fatta sulla
base dei seguenti quattro principi: a) migliore utilizzo pubblico del bene
demaniale; b) armonizzazione delle azioni sul territorio per uno sviluppo
sostenibile; c) valutazione degli standard qualitativi dei servizi; d) misure
migliorative della fruibilità e accessibilità per i soggetti diversamente
abili».
Ai sensi del comma 2, in aggiunta ai predetti
criteri, la Giunta regionale è chiamata ad individuare «[…] preventivamente
almeno uno dei seguenti principi che sono comunicati contestualmente all’invito
a presentare istanze concorrenti: a) qualità degli impianti e manufatti, da
valutarsi anche con riferimento al pregio architettonico; b) valorizzazione
paesaggistico-ambientale; c) ricadute a favore del territorio e sviluppo
occupazionale dell’area interessata; d) piano di manutenzione, conservazione e
salvaguardia del bene demaniale; e) utilizzo di impianti e manufatti costruiti
con pratiche eco-sostenibili; f) somministrazione di prodotti locali».
Il comma 3, infine, prevede che «[l]e procedure,
i termini, i criteri attuativi dei principi di cui ai commi 1 e 2, con
riferimento agli utilizzi previsti all’articolo 4, comma 2, e le disposizioni
per l’aggiudicazione delle concessioni sono individuati, anche ai fini di una
valorizzazione dell’esperienza e della professionalità del concessionario, con
regolamento da adottarsi, previo parere della competente Commissione
consiliare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge».
9.2.– Ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, la norma è in contrasto con le
indicazioni di principio contenute nella direttiva servizi: la procedura
comparativa introdotta riposerebbe su criteri eccessivamente generici senza
delineare un quadro sufficientemente chiaro né pro-concorrenziale. Nel
consentire, poi, che attraverso il regolamento attuativo, possano essere prese
in considerazione e valorizzata l’esperienza e la professionalità del
concessionario, la norma assegnerebbe alla fonte secondaria la possibilità di
introdurre prescrizioni volte a favorire il concessionario uscente, creando
discriminazioni tra i diversi operatori economici. Le tematiche oggetto del
rinvio alla fonte secondaria sarebbero, inoltre, troppo ampie e involgerebbero,
comunque, campi coperti da disposizioni di rango primario, quali quelle dettate
dal decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione
dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con
modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494.
9.3.– Le censure non
sono fondate.
9.3.1.– Giova precisare
che il dato normativo di riferimento, sia nazionale che di matrice europea, non
contiene indicazioni di dettaglio sui criteri che devono guidare la pubblica
amministrazione nel selezionare i soggetti che competono per l’affidamento in
uso del bene facente parte del demanio marittimo.
La direttiva servizi, all’art 12, primo comma,
si limita ad imporre procedure di selezione improntate ad «imparzialità e […]
trasparenza». Il d.lgs. n. 59 del 2010, che ne costituisce attuazione, all’art.
16, comma 1, impone la predeterminazione dei criteri e la propalazione degli
stessi in epoca antecedente l’affidamento; al comma 2 dello stesso articolo,
dispone altresì che nel «[…] fissare le regole della procedura di selezione le
autorità competenti possono tenere conto di considerazioni di salute pubblica,
di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori
dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del
patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi
al diritto comunitario».
A sua volta, il codice della navigazione non
contiene indicazioni precettive particolarmente dettagliate, imponendo la
preferenza, tra più domande concorrenti, per quella che offre «[…] maggiori
garanzie di proficua utilizzazione della concessione» e che a giudizio
dell’amministrazione «risponda ad un più rilevante interesse pubblico» (art.
37). Il d.l. n. 400 del 1993, genericamente evocato
in ricorso, non contiene, infine, argomenti in proposito.
Ciò, del resto, risponde ad una logica coerenza
di sistema, se si considera che la definizione dei criteri dettagliati chiamati
a guidare la selezione dei concorrenti all’affidamento rientra tra le
competenze legislative demandate alle Regioni in esito al trasferimento delle
funzioni amministrative legate al demanio marittimo e idrico nel rispetto dei
principi di concorrenza. E tanto legittima le conseguenti, diverse, discipline
territoriali: l’interesse pubblico correlato all’utilizzo del bene demaniale
ben può giustificare linee guida di selezione motivate dalle peculiarità di
riferimento e dagli obiettivi di matrice collettiva che ciascuna realtà
regionale, sulla base delle indicazioni di principio contenute nella
legislazione statale di riferimento, può ritenere preminenti nel procedere alla
scelta dei possibili utilizzatori.
9.3.2.– La relativa
predisposizione normativa dei criteri, in sé, non invade, dunque, la competenza
legata alla tutela della concorrenza. Semmai, è il contenuto dei criteri che,
di caso in caso, può portare alla violazione addotta, ove siano fonte di
discriminazioni e pongano in discussione la par condicio dei partecipanti.
Tuttavia, i criteri dettati dai primi due commi
dell’articolo censurato non mettono in crisi il profilo della dinamica
competitiva; né, del resto, la difesa erariale, segnala profili effettivi del
vulnus prospettato.
9.3.3.– Anche il
riferimento che il comma 3 dell’articolo in esame pone all’intervento
integrativo demandato alla fonte regolamentare non merita di essere censurato,
perché coerente con la tipica dinamica che intercorre tra fonte primaria e
momenti regolatori di ulteriore dettaglio, rimessi alla normazione secondaria
rispetto alle indicazioni offerte dalla prima.
E ciò vale anche con riferimento alla scelta,
adottata dal legislatore regionale, di attribuire al regolamento il potere di
introdurre, nell’attuare i principi di cui ai primi due commi dell’articolo
censurato, parametri di valutazione diretti a valorizzare l’esperienza e la
professionalità del concessionario.
La disposizione censurata, nel suo portato
letterale, non fa riferimento al concessionario uscente; più genericamente, si
riferisce al concessionario, il che lascia coerentemente pensare al soggetto
chiamato all’affidamento in esito alla selezione.
Un tale riferimento, alla luce delle indicazioni
di principio provenienti dalla direttiva servizi (e oggi dalla relativa
normativa interna di attuazione) – poste a fondamento della modifica del comma
1 dell’art. 37 cod. nav., apportata dall’art. 1,
comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella
legge 26 febbraio 2010, n. 25, nella parte in cui accordava al concessionario
uscente una preferenza nella competizione con altri soggetti interessati
all’affidamento in uso della relativa area demaniale – non può che essere letto
in termini tali da dare rilievo all’esperienza genericamente maturata nel
settore, prescindendo dalla specifica correlazione con il bene oggetto della
concessione.
Una diversa interpretazione della norma
primaria, erroneamente posta a fondamento dell’intervento regolamentare da
adottare e che si risolva nell’introduzione di un ulteriore criterio valutativo
diretto a favorire il concessionario uscente rispetto agli altri concorrenti
dotati della medesima esperienza professionale, si porrebbe, infatti, in
immediato conflitto con il disposto del comma 4 dell’art. 16 del d.lgs. n. 59
del 2010 nella parte in cui, in attuazione della direttiva servizi e proprio al
fine di evitare discriminazioni nel libero accesso al mercato di riferimento,
impone il divieto di accordare «vantaggi al prestatore uscente» al momento del
conferimento del titolo.
Così interpretata la disposizione in oggetto, ne
consegue la non fondatezza della censura riferita alla stessa.
10.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
censurato anche l’art. 9, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n 10
del 2017, il quale, per le concessioni aventi finalità turistico-ricreative relative
a beni che insistono nella laguna di Marano-Grado, fissa in quaranta anni il
termine di durata massima del titolo.
10.1.– La disposizione
censurata, ad avviso del ricorrente, si pone in contrasto con la disciplina
statale che, all’art. 03, comma 4-bis, del citato d.l.
n. 400 del 1993, fissa in una forbice tra i sei e i venti anni la durata per le
concessioni aventi la medesima finalità; sarebbe altresì in conflitto con le
indicazioni di principio emergenti dalla direttiva servizi e dal decreto legislativo
che ha dato attuazione alla stessa. Autorizzando una utilizzazione prolungata
di una risorsa scarsa, la norma limiterebbe la concorrenza, rendendola
recessiva rispetto alle esigenze di integrale ammortamento degli investimenti e
alla piena remunerazione del capitale investito dal concessionario, sottese
all’intervento normativo regionale impugnato.
10.2.– La questione è
fondata.
Le indicazioni di disciplina derivanti dalla
direttiva servizi (comma secondo dell’art. 12) e dalla norma di attuazione della
stessa (ultimo comma dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010) impongono una
durata limitata del titolo concessorio, in ragione
dell’incidenza che il prolungarsi dell’affidamento assume sulle prospettive
legate alle potenzialità di ingresso nel mercato di riferimento di altri
potenziali operatori economici.
Di qui l’affermazione di questa Corte in forza
della quale la disciplina inerente alla durata delle concessioni demaniali
marittime è di esclusiva competenza legislativa dello Stato, in quanto immediatamente
attinente alla materia della «tutela della concorrenza» ex art. 117, secondo
comma, lettera e) (da ultimo, sentenza n. 40
del 2017).
Tale competenza, del resto, è stata esercitata
dallo Stato con la previsione, contenuta nel comma 4-bis dell’art. 03 del d.l. n. 400 del 1993, così come introdotto dall’art. 1,
comma 253, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2007)». Disposizione, questa, con la quale è stato fissato, in modo uniforme
per l’intero territorio nazionale, un termine di durata delle concessioni
aventi finalità turistico-ricreative, quali quelle considerate dalla norma
impugnata, nel massimo pari ad anni venti, palesemente
diverso da quello, sempre nel massimo, previsto dalla legge regionale in esame.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale
dell’art. 9, comma 3, della legge regionale impugnata per la riscontrata violazione
del limite della tutela della concorrenza.
11.– Infine, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha anche impugnato l’art. 49 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
10 del 2017, esteso, in rubrica, in via generale, alle concessioni demaniali marittime
e idriche di pertinenza della Regione resistente.
11.1.– Il comma 1,
lettere a) e b), dell’articolo censurato prevede che il concessionario
subentrante debba corrispondere all’uscente un indennizzo che tenga conto sia
della quota parte degli investimenti non ammortizzati, sia del valore
commisurato all’avviamento maturato in forza dell’attività imprenditoriale
svolta utilizzando il bene concesso in uso. Indennizzo, questo, che andrà
«determinato dall’amministrazione concedente sulla base di una perizia
asseverata, redatta da un professionista abilitato, nominato dal concessionario
uscente a sue spese e sottoposta al parere di congruità del Comitato tecnico di
valutazione di cui all’articolo 48» (comma 2); il cui valore, inoltre, dovrà
essere «reso pubblico in occasione della indizione della procedura comparativa
di selezione» (comma 3); e, infine, che costituirà l’oggetto di apposita
fideiussione rilasciata da ogni partecipante alla procedura comparativa di
selezione, a pena di esclusione dalla stessa (comma 4).
11.2.– Ad avviso del
ricorrente, la disposizione avrebbe l’effetto di attribuire all’uscente un
indebito vantaggio, così da determinare una restrizione della concorrenza, in
aperto contrasto con le già richiamate indicazioni di principio derivanti dalla
direttiva servizi e dalle norme di attuazione della stessa.
11.3.– La questione è
fondata.
11.3.1.– La disposizione impugnata riproduce,
nei suoi tratti essenziali, il contenuto di altra norma, approvata dalla
Regione Toscana, recentemente scrutinata da questa Corte e ritenuta
costituzionalmente illegittima (sentenza n. 157 del
2017), per la riscontrata violazione del parametro di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., con valutazioni che possono essere certamente
estese alla odierna verifica.
La difesa della Regione, nella consapevolezza
dell’omologo contenuto delle due disposizioni, con la memoria depositata prima
dell’udienza, ha eccepito l’inapplicabilità del citato parametro costituzionale
in virtù di quanto previsto dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Eccezione, questa, come già anticipato, che deve ritenersi infondata in ragione
del limite statutario alla competenza legislativa primaria puntualmente evocato
nel ricorso del Governo insieme alla competenza esclusiva dello Stato in
materia di «tutela della concorrenza».
11.3.2.– Piuttosto, va
rimarcato che il pagamento dell’indennizzo previsto dalla norma censurata si
lega sia alle aspettative patrimoniali del concessionario uscente all’esito
della definizione del rapporto concessorio, sia agli
obblighi che dovrà assumere il nuovo concessionario in conseguenza
dell’avvenuto subentro. Temi, questi, che non trovano regolamentazione nella
disciplina legislativa statale di riferimento, contenuta nel codice della
navigazione, in caso di ordinaria definizione del rapporto.
In particolare, in ordine al mancato rinnovo
della concessione in essere, il codice della navigazione non assegna alcun
rilievo alle componenti economico-aziendali dell’impresa del concessionario
uscente e, in ogni caso, non prevede oneri destinati a gravare sul nuovo
concessionario.
11.3.3.– Non
diversamente dalla citata disposizione della Regione Toscana già dichiarata
illegittima, anche quella oggetto della odierna impugnazione introduce,
pertanto, evidenti novità nella regolamentazione delle situazioni patrimoniali
conseguenti alla cessazione, per scadenza del termine, delle relative
concessioni demaniali, differenziando la disciplina della Regione resistente da
quella prevista per il resto del territorio nazionale.
Ne viene che, quali che siano le «[…]
giustificazioni addotte dalla Regione a sostegno della scelta normativa in
esame, è di chiara evidenza che un siffatto obbligo […] influisce sensibilmente
sulle prospettive di acquisizione della concessione, rappresentando una delle
componenti del costo dell’affidamento. La previsione dell’indennizzo […] incide
infatti sulle possibilità di accesso al mercato di riferimento e sulla uniforme
regolamentazione dello stesso, potendo costituire, per le imprese diverse dal
concessionario uscente, un disincentivo alla partecipazione al concorso che
porta all’affidamento» (sentenza n. 157 del
2017)
Di qui la ritenuta violazione del parametro di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale degli artt. 9, comma 3, e 49 della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 10 (Disposizioni in materia
di demanio marittimo regionale e demanio marittimo stradale, nonché modifiche
alle leggi regionali 17/2009, 28/2002 e 22/2006);
2) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4,
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, promosse dal Presidente
del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma,
lettera e), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, promossa dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., con il
ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 9, comma
2, e 41 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, promosse dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo e
secondo comma, lettera e), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 48,
comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 10 del 2017, promosse dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo
comma, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost., con il ricorso indicato
in epigrafe;
6)
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 10 del 2017, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con il ricorso
indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
Costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2018.