SENTENZA N. 262
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 37 e 43, commi 1, 6 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 13 maggio 2020, n. 3 (Ulteriori misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e i settori economici connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2020-2022), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 13-17 luglio 2020, depositato in cancelleria il 17 luglio 2020, iscritto al n. 59 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;
uditi nell’udienza pubblica del 9 novembre 2021 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sabrina Azzolini, quest’ultima in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 17 luglio 2020 e iscritto al n. 59 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, degli artt. 37 e 43, commi 1, 6 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 13 maggio 2020, n. 3 (Ulteriori misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e i settori economici connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2020-2022).
2.– Con il primo motivo di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 37 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, che modifica l’art. 22-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 3 aprile 1997, n. 7 (Revisione dell’ordinamento del personale della Provincia autonoma di Trento), stabilendo che, nei concorsi pubblici per esami e titoli per l’accesso alla dirigenza di ruolo della Provincia autonoma, il percorso formativo e la verifica finale dei candidati siano solo eventuali.
2.1.– Tale disposizione, ad avviso del ricorrente, si porrebbe in palese contrasto con l’art. 97 della Costituzione, di cui costituisce attuazione il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il cui art. l, comma 3, stabilisce che «[l]e disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I principi desumibili dall’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica».
2.2.– Il ricorrente evidenzia, in particolare, che tra i princìpi di cui all’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), richiamati dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, vi è quello che impone di «prevedere una disciplina uniforme per i procedimenti di accesso alle qualifiche dirigenziali di primo livello» (art. 2, comma l, lettera f, della legge n. 421 del 1992), che la Provincia autonoma di Trento sarebbe tenuta a rispettare, perché, pur avendo, ai sensi dell’art. 8, numero 1), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), potestà legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», la dovrebbe comunque esercitare, ai sensi dell’art. 4 dello stesso statuto, nel rispetto «delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».
3.– Con il secondo motivo di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 43, commi 1, 6 e 9, della legge prov. Trento n. 3 del 2020, che introduce una procedura semplificata per l’installazione di plateatici e di altre strutture leggere da parte degli esercizi pubblici, prevedendo sino al 31 dicembre 2021 l’esonero dalle autorizzazioni richieste dagli artt. 21 e 106 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), ovvero la sostituzione del procedimento di autorizzazione con un procedimento di controllo successivo, effettuato a campione.
3.1.− Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le disposizioni impugnate violerebbero gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettere s) ed m), Cost. e gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale per il Trentino Alto-Adige, in relazione all’art. 181 (recte: 181, comma 3) del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, ai sensi del quale, «comunque non oltre il 31 ottobre 2020», «la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, da parte dei soggetti di cui al comma 1, di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, purché funzionali all’attività di cui all’articolo 5 della legge n. 287 del 1991, non è subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
4.– Con atto depositato il 24 agosto 2021, si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate.
5.– La prima questione, relativa all’art. 37 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, sarebbe inammissibile, in primo luogo, perché totalmente priva di motivazione, in quanto l’Avvocatura si limiterebbe ad evocare un generico contrasto tra la disposizione impugnata e la normativa statale, ritenuta attuativa dell’art. 97 Cost., senza però procedere alla complessiva ricostruzione della disciplina di accesso agli incarichi dirigenziali, indispensabile per poter individuare gli esatti termini del contrasto con il parametro costituzionale evocato.
La ormai costante giurisprudenza di questa Corte, invece, richiederebbe che i termini delle questioni di legittimità costituzionale siano ben identificati, dovendo il ricorrente individuare le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni delle violazioni prospettate (sono richiamate dalla difesa provinciale, ex plurimis, le sentenze n. 143 e n. 106 del 2020, n. 232 del 2019, n. 152 del 2018 e n. 107 del 2017).
5.1.− Ulteriore ragione d’inammissibilità deriverebbe dal fatto che il motivo d’impugnazione risulterebbe contraddittorio e perplesso, in quanto pur essendo apparentemente fondato sulla violazione dell’art. 97 Cost., muterebbe poi contenuto per diventare censura di violazione di una norma fondamentale di riforma economico-sociale, consistente nel principio di uniformità dei criteri di accesso alle qualifiche dirigenziali posto dall’art. 2, comma l, lettera f), della legge n. 421 del 1992, per poi essere dedotto, nuovamente, come violazione dell’art. 97 Cost.
5.2.− La questione sarebbe, in ogni caso, non fondata, perché, ad avviso della difesa provinciale, la disposizione impugnata non violerebbe l’art. 97 Cost., ponendosi in contrasto con la disciplina dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001 e con il citato principio di uniformità per l’accesso alle qualifiche dirigenziali di cui all’indicato art. 2, comma 1, lettera f), in quanto le previsioni degli artt. 28 e 28-bis del menzionato d.lgs. n. 165 del 2001, che regolamentano l’accesso alla qualifica di dirigente della prima e della seconda fascia, si applicherebbero solo alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e agli enti pubblici non economici, mentre la disciplina delle modalità di accesso al lavoro pubblico provinciale, in quanto riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali, spetterebbe alla competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Trento.
Inoltre, la modifica introdotta, considerato che lo svolgimento del percorso formativo comporta un notevole investimento di risorse umane e strumentali, con relativa sottrazione dei dirigenti all’espletamento delle loro funzioni, sarebbe, ad avviso della difesa provinciale, perfettamente coerente con il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., in quanto solo così la Giunta provinciale avrebbe la possibilità di valutare se l’incarico da affidare richieda competenze ed abilità senz’altro esigibili dai candidati, ovvero se queste siano acquisibili solo avviando uno specifico percorso formativo e all’esito di una adeguata verifica finale.
La difesa provinciale afferma, inoltre, che non può essere considerata espressione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. l’adozione pedissequa della disciplina dello Stato in relazione alle procedure di reclutamento della dirigenza negli enti ad autonomia differenziata, in quanto ciò determinerebbe lo svuotamento dell’autonomia organizzativa ad essi riconosciuta, contraddicendo il contenuto dello stesso principio, che esige che la disciplina dell’organizzazione di un ente tenga conto delle sue specifiche caratteristiche dimensionali, strutturali e funzionali.
6.– Anche riguardo alla seconda questione, relativa all’art. 43, commi 1, 6 e 9, della legge prov. Trento n. 3 del 2020, la difesa della Provincia autonoma di Trento ne asserisce l’inammissibilità e la non fondatezza.
6.1.− Preliminarmente, la questione sarebbe inammissibile per genericità e difetto di motivazione, poiché la parte ricorrente avrebbe sostenuto il contrasto delle norme impugnate con la disposizione dell’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, senza individuare esattamente la norma statale che prevede il termine di rimozione delle opere amovibili ed affermando, comunque, in modo del tutto apodittico, la riconducibilità delle misure di semplificazione previste dall’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020 a quelle stabilite dal citato art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020.
6.2.− La questione sarebbe, in ogni caso, non fondata, in quanto, ad avviso della difesa provinciale, le disposizioni in esame sarebbero state impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri sull’erroneo presupposto che il termine del 31 dicembre 2021, fissato dal comma 1 dall’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, si ponga in contrasto con quello del 31 ottobre 2020, stabilito invece dall’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito.
La disposizione impugnata non stabilirebbe, infatti, misure di semplificazione riguardanti la disciplina di tutela dei beni culturali, limitandosi a derogare alle previsioni urbanistiche, al regolamento urbanistico-edilizio provinciale e ai regolamenti edilizi comunali, espressione della potestà legislativa primaria della Provincia autonoma in materia di «urbanistica e piani regolatori» ai sensi dell’art. 8, numero 5), dello statuto speciale.
6.2.1.− Con riferimento, invece, alle censure relative al comma 6 dello stesso art. 43, la Provincia autonoma di Trento eccepisce che la disposizione impugnata si limiterebbe ad introdurre una valutazione legislativa di non necessità delle autorizzazioni previste dagli artt. 21 e 106, comma 2-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004 in un arco temporale definito (dall’entrata in vigore della legge fino al 31 dicembre 2021), nell’ambito di uno specifico procedimento (il procedimento semplificato di autorizzazione per l’installazione di plateatici e strutture leggere) e in favore di predeterminate tipologie di attività.
Conseguentemente, le censure non sarebbero fondate in quanto la norma provinciale impugnata non comporterebbe una diminuzione della tutela dei beni culturali, limitandosi ad introdurre una valutazione generale e astratta di compatibilità con la tutela dei beni culturali relativa a specifiche fattispecie e per un tempo predeterminato.
6.2.2.− Con riferimento, invece, alla disposizione di cui al comma 9 dell’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, la resistente afferma che essa ha previsto un’ulteriore forma di semplificazione della procedura, in virtù della quale, nei casi in esame, l’autorizzazione preventiva prevista dagli artt. 21 e 106 del d.lgs. n. 42 del 2004 è sostituita da un controllo successivo a campione sulla compatibilità dell’installazione e della destinazione d’uso con la tutela dei beni culturali.
La valutazione di compatibilità con la tutela dei beni culturali che l’art. 21 del d.lgs. n. 42 del 2004 rimette ad una valutazione, caso per caso, dell’autorità amministrativa, sarebbe stata, pertanto, esercitata senz’altro dal legislatore provinciale, in ragione delle caratteristiche strutturali dei manufatti, rimettendo all’amministrazione il compito di svolgere un controllo successivo a campione.
6.2.3.− La difesa provinciale sostiene, poi, la non fondatezza delle censure formulate dal ricorrente anche alla luce delle competenze spettanti alla Provincia autonoma di Trento in materia di tutela dei beni culturali, quale risultanti, in particolare, dall’art. 8, numero 3), dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di «tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare».
In questa prospettiva, la parte resistente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in relazione alle autonomie speciali, le quali vantano propri titoli di competenza legislativa di derivazione statutaria, la competenza esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non si impone all’esercizio della loro potestà legislativa, salvo per la parte in cui la legge dello Stato reca disposizioni costituenti limiti ai sensi dei rispettivi statuti di autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 226 e n. 164 del 2009, n. 378 del 2007).
Inoltre, la difesa provinciale sostiene che, nella materia della tutela dei beni culturali, non potrebbero trovare senz’altro applicazione i criteri di riparto stabiliti nella materia della tutela dell’ambiente, rispetto alla quale questa Corte ha riconosciuto che lo statuto speciale di autonomia non attribuisce alle Province autonome uno specifico titolo di competenza, bensì solo alcuni segmenti della tutela ambientale, e che le disposizioni impugnate, in quanto volte a garantire il distanziamento sociale nella frequentazione degli esercizi pubblici indicati nell’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, concorrerebbero a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, e pertanto sarebbero espressione anche della competenza legislativa della Provincia autonoma in materia.
Con riferimento, invece, allo specifico profilo della introduzione da parte delle norme impugnate di un termine successivo a quello stabilito dal legislatore statale nell’art. 181 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, la Provincia autonoma sostiene che, alla luce dell’interpretazione letterale e sistematica della disposizione, si dovrebbe ritenere che la data del 31 ottobre 2020 prevista dal legislatore statale costituisca il termine per la posa in opera dei manufatti ivi indicati e non un termine per la rimozione degli stessi.
7.– Il 19 ottobre 2021 la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria integrativa, ribadendo le argomentazioni già illustrate nell’atto di costituzione in giudizio e insistendo per l’accoglimento delle conclusioni ivi formulate.
In particolare, la difesa provinciale evidenzia, con riferimento all’impugnativa avente ad oggetto l’art. 37 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, che, successivamente alla sua costituzione in giudizio, l’articolo impugnato è stato parzialmente modificato dall’art. 2, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Trento 28 dicembre 2020, n. 15 (Legge collegata alla manovra di bilancio provinciale 2021), che ha soppresso la specificazione del carattere eventuale della verifica finale del percorso formativo e precisato che questa deve svolgersi nella forma di una prova orale (e non nella forma di un colloquio, come in precedenza previsto).
Con riferimento, invece, alle censure aventi ad oggetto l’art. 43, commi l, 6 e 9, della legge prov. Trento n. 3 del 2020, la parte resistente sottolinea che, medio tempore, l’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, recante il parametro temporale invocato dal ricorrente come norma interposta, è stato oggetto di numerosi interventi da parte del legislatore statale che hanno progressivamente modificato, estendendolo sino al 31 dicembre 2021, l’originario termine del 31 ottobre 2020.
8.– Con memoria integrativa depositata il 19 ottobre 2021, l’Avvocatura generale dello Stato ha ribadito le censure già svolte nel ricorso e contestato le difese della Provincia autonoma di Trento.
In particolare, con riferimento alle censure formulate nei confronti dell’art. 37 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, il ricorrente ha ribadito che la previsione da parte del legislatore provinciale di un percorso di reclutamento dei dirigenti differente e meno selettivo rispetto a quello previsto dalla disciplina statale non può non integrare la violazione denunciata.
In relazione, invece, alle censure aventi ad oggetto l’art. 43, commi l, 6 e 9, della legge prov. Trento n. 3 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che, ai fini della proposta impugnazione, non possono essere ritenute rilevanti le modifiche intervenute sul termine originariamente previsto dall’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, in quanto la legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate deve essere scrutinata in relazione al quadro normativo vigente al tempo della loro entrata in vigore.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 59 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 37 e 43, commi 1, 6 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 13 maggio 2020, n. 3 (Ulteriori misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e i settori economici connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2020-2022).
2.– Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con lo stesso ricorso.
3.– Con il primo motivo di censura viene impugnato, in riferimento all’art. 97 della Costituzione e agli artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), l’art. 37 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, che modifica la legge della Provincia autonoma di Trento 3 aprile 1997, n. 7 (Revisione dell’ordinamento del personale della Provincia autonoma di Trento).
Il ricorrente rileva che le disposizioni impugnate, «nel modificare l’articolo 22-bis della citata legge n. 7 del 1997 in materia di concorsi pubblici per l’accesso alla dirigenza di ruolo della Provincia, rendono, nell’ambito dei concorsi per esami e titoli, solo eventuale il percorso formativo e altrettanto eventuale la conseguente verifica finale, che, viceversa, in base alla disciplina previgente, erano obbligatori».
Tale modifica, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, contrasterebbe con l’art. 97 Cost., di cui sarebbe attuazione il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il cui art. l, comma 3, stabilisce che «[l]e disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I principi desumibili dall’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica».
In particolare, il ricorrente evidenzia che tra i princìpi di cui all’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), richiamati dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, vi è quello che impone di «prevedere una disciplina uniforme per i procedimenti di accesso alle qualifiche dirigenziali di primo livello» (art. 2, comma l, lettera f, della legge n. 421 del 1992), che la Provincia autonoma di Trento sarebbe tenuta a rispettare perché, pur avendo, ai sensi dell’art. 8, numero 1), dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, potestà legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», essa incontra, ai sensi dell’art. 4 dello stesso statuto, il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
3.1.– La Provincia autonoma di Trento, regolarmente costituitasi in giudizio, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità per genericità e difetto di motivazione della questione.
3.2.– L’eccezione è fondata.
3.3.– Per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria d’illegittimità costituzionale si pone, in particolare, nei giudizi proposti in via principale (ex plurimis, sentenza n. 115 del 2021).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha chiarito le ragioni del contrasto tra la norma impugnata e la disciplina statale dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001, che avrebbe implicato quanto meno l’individuazione degli elementi fondamentali del sistema statale di reclutamento dei dirigenti, limitandosi a dedurre, in modo sostanzialmente apodittico, la violazione del principio di uniformità dei procedimenti di accesso alle qualifiche dirigenziali di primo livello stabilito dall’art. 2, comma l, lettera f), della legge n. 421 del 1992, come richiamato dall’art. l, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001.
La genericità delle doglianze, sprovviste di una adeguata argomentazione a sostegno del contrasto con i parametri indicati, determina, dunque, l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenza n. 25 del 2021).
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, con il secondo motivo di ricorso, l’art. 43, commi 1, 6 e 9, della legge prov. Trento n. 3 del 2020, deducendo che dette disposizioni che semplificano i procedimenti per l’installazione di plateatici e di altre strutture leggere, esentando sino al 31 dicembre 2021 gli esercizi pubblici dalle autorizzazioni previste dagli artt. 21 e 106 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), ovvero sostituendo, con riferimento a talune tipologie di installazioni, il procedimento di autorizzazione con un procedimento di controllo successivo, effettuato a campione, si porrebbero in contrasto con quanto previsto dall’art. 181 (recte: 181, comma 3) del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77.
La norma statale, infatti, stabilendo che «la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, da parte dei soggetti di cui al comma 1, di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, purché funzionali all’attività di cui all’articolo 5 della legge n. 287 del 1991, non è subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21 e 146 del decreto legislativo», avrebbe consentito tali procedure in deroga non oltre il 31 ottobre 2020.
Tale contrasto comporterebbe, ad avviso del ricorrente, la violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettere s) ed m), Cost., e quella dei limiti della potestà legislativa provinciale stabiliti dal combinato disposto degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.
4.1.− La difesa provinciale, preliminarmente, ha eccepito l’inammissibilità per genericità e difetto di motivazione delle censure, in quanto il ricorrente, da un lato, avrebbe omesso di chiarire i rapporti tra la portata applicativa della norma statale richiamata come norma interposta e la disposizione impugnata, mentre, dall’altro, non avrebbe esposto le ragioni in forza delle quali il termine fissato dall’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, debba essere inteso come termine di rimozione, nonostante l’inequivoco dettato letterale che fa espresso riferimento alla «posa in opera temporanea» dei manufatti.
4.2.– L’eccezione non è fondata.
4.3.– Secondo il costante orientamento di questa Corte, «il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione e di svolgere una motivazione che non sia meramente assertiva», indicando le «ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati» (da ultimo, sentenza n. 194 del 2020).
Tuttavia, allorquando l’atto introduttivo, pur nella sua sintetica formulazione, consenta di individuare «con sufficiente chiarezza il parametro asseritamente violato [...] e la ratio del prospettato contrasto della disposizione denunciata con il parametro stesso» (sentenza n. 187 del 2020), l’impugnativa proposta è ammissibile.
Nella specie, tali requisiti sono soddisfatti.
Il ricorso, infatti, rende «ben identificabili i termini delle questioni proposte, individuando le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di legittimità costituzionale (sentenza n. 241 del 2012)» (sentenza n. 176 del 2015).
In particolare, le ragioni del contrasto tra le norme impugnate e la disciplina statale posta dall’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, sono esposte dal ricorrente in modo chiaro e particolarmente articolato.
4.4.– Sempre preliminarmente, va chiarito che, nonostante il ricorrente denunci i commi 1, 6 e 9 dell’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, le censure formulate nel ricorso si appuntano sulle previsioni contenute nei commi 6 e 9 di tale disposizione, che implicitamente richiamano il termine del 31 dicembre 2021, indicato ad altri fini nel comma 1 del detto art. 43.
Risultano, invece, estranee all’impugnativa le altre disposizioni, contenute nel citato comma 1 dell’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, che si riferiscono alle previsioni urbanistiche, al regolamento urbanistico-edilizio provinciale e ai regolamenti edilizi comunali, dettando una espressa disciplina ad hoc sino al 31 dicembre 2021.
4.5.– Così precisati il thema decidendum e l’oggetto dell’impugnazione, la questione è fondata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
4.6.– La tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, oggetto di detto parametro costituzionale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte non costituisce una materia in senso tecnico, «dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze» (sentenza n. 407 del 2002).
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, a seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, il legislatore statale conserva «il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione a statuto speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come “riforme economico-sociali”: e ciò anche sulla base […] del titolo di competenza legislativa nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto» degli enti ad autonomia differenziata nell’esercizio delle proprie competenze (sentenza n. 51 del 2006; nello stesso senso, sentenza n. 536 del 2002).
In particolare, questa Corte ha espressamente qualificato come norme di grande riforma economico-sociale, idonee a vincolare anche le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di Trento e di Bolzano, le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la gestione dei beni soggetti a tutela (ex plurimis, sentenza n. 160 del 2021), tra i quali vanno, indubbiamente, annoverati anche gli artt. 21 e 106 che, rispettivamente, individuano gli interventi sui beni culturali soggetti ad autorizzazione e ne regolamentano l’uso individuale.
4.7.– Alla luce di ciò, non assume rilievo il fatto che l’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, cioè la norma interposta evocata dall’Avvocatura generale dello Stato, sia stata oggetto, successivamente alla proposizione del ricorso, di numerosi interventi da parte del legislatore statale che hanno progressivamente modificato, estendendolo sino al 31 dicembre 2021, l’originario termine del 31 ottobre 2020.
Si tratta, infatti, di norme statali sopravvenute rispetto alle disposizioni impugnate, la cui illegittimità costituzionale non può essere sanata per il periodo precedente a tali interventi, dovendo, invece, essere scrutinata in relazione al quadro normativo vigente al tempo della loro entrata in vigore.
4.8.– Il termine introdotto dall’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, in particolare, risulta funzionale ad una significativa, ma del tutto eccezionale (in quanto limitata al periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19), misura di semplificazione volta ad esentare dalle autorizzazioni, altrimenti richieste ai sensi degli artt. 21 e 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, connesse alle attività di pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e di bevande previste dall’art. 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287 (Aggiornamento della normativa sull’insediamento e sull’attività dei pubblici esercizi).
La norma statale introduce, cioè, una disciplina volta specificamente ad assicurare, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, il contemperamento dell’interesse alla tutela del patrimonio culturale con quello attinente alla ripresa delle attività economiche, nel rispetto delle doverose misure di distanziamento interpersonale per il contenimento della pandemia, derogando, per un periodo predeterminato dallo stesso legislatore statale, ai vincoli imposti a tutela del patrimonio culturale.
Le disposizioni provinciali impugnate prevedono, invece, rispetto alla normativa statale invocata dal ricorrente come parametro interposto, un diverso termine (il 31 dicembre 2021 invece che il 31 ottobre 2020) entro il quale gli esercizi pubblici sono esonerati dalle autorizzazioni di cui agli artt. 21 e 106, comma 2-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, ai fini dell’«installazione di basamenti o pedane non cementizie semplicemente in appoggio, di delimitazioni perimetrali costituite da elementi a verde con carattere ornamentale nonché per la collocazione di sedie, tavolini e ombrelloni» (così art. 43, commi 1 e 6, della legge prov. Trento n. 3 del 2020).
La disposizione contenuta, poi, nel comma 9 dell’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020 stabilisce, con una deroga ancora più significativa rispetto alla disciplina statale, che, «[i]n considerazione della valorizzazione delle specifiche caratteristiche territoriali, il Consiglio delle autonomie locali può elaborare linee guida per ambiti territoriali comprensivi di due o più comuni. Per agevolare il rilascio delle autorizzazioni previste dal comma 5, la Provincia, d’intesa con il Consiglio delle autonomie locali, può definire linee guida necessarie per l’installazione delle strutture previste dal comma 1, che consentono di non richiedere le autorizzazioni della struttura competente per la tutela dei beni culturali previste dagli articoli 21 e 106 del decreto legislativo n. 42 del 2004. Il protocollo prevede l’impegno per i comuni di trasmettere alla soprintendenza le autorizzazioni concesse per il successivo controllo a campione».
4.9.– Pertanto, è indubbio che le disposizioni impugnate si ingeriscano in un ambito di competenza riservato esclusivamente allo Stato, trattandosi, nella specie, di parametri interposti espressivi di norme di grande riforma economico-sociale.
Dall’art. 21 cod. beni culturali – che al comma 4 prevede che, anche fuori dalle ipotesi espressamente previste dai commi precedenti di interventi soggetti ad autorizzazione, l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione della soprintendenza – è, infatti, enucleabile il principio di grande riforma economico-sociale secondo cui ogni intervento su beni culturali deve essere autorizzato, in quanto qualunque tipologia di manufatto è potenzialmente suscettibile di incidere sul significato e la portata culturale del bene interessato.
Sotto questo profilo, le norme provinciali impugnate prefigurano, invece, un meccanismo di semplificazione della gestione dei beni culturali, connesso all’emergenza epidemiologica da COVID-19, significativamente difforme, non solo sotto il profilo dell’estensione temporale delle deroghe, da quello statale.
Se, infatti, per le opere contemplate dal comma 6 dell’art. 43 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, le disposizioni impugnate prevedono l’esenzione dalle «autorizzazioni della soprintendenza per i beni culturali di cui agli articoli 21 e 106, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 42 del 2004» sino al 31 dicembre 2021, a fronte della data del 31 ottobre 2020 fissata dall’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, nel comma 9 dello stesso art. 43, i procedimenti di autorizzazione preventiva previsti dalla disciplina statale, per lo stesso periodo di tempo, risultano addirittura sostituiti con procedimenti di controllo successivo, effettuati a campione.
La Provincia autonoma di Trento, estendendo con le norme impugnate il termine previsto dall’art. 181, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, e regolamentando autonomamente la materia, ha, pertanto, violato una norma fondamentale di grande riforma economico-sociale della legislazione statale, eccedendo così il limite posto in materia di «tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare» dall’art. 8, numero 3), dello stesso statuto, determinando così il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Si deve, dunque, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 1 – limitatamente al termine come riferito alle disposizioni dei commi 6 e 9 –, 6 e 9, della legge Prov. Trento n. 3 del 2020.
5.− Restano assorbite le residue doglianze formulate dal ricorrente.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 1 – limitatamente al termine come riferito alle disposizioni dei commi 6 e 9 –, 6 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 13 maggio 2020, n. 3 (Ulteriori misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e i settori economici connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e conseguente variazione al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Trento per gli esercizi finanziari 2020-2022);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 della legge prov. Trento n. 3 del 2020, promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione e agli artt. 4 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2021.