SENTENZA N. 106
ANNO 2020
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta
CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI, Mario
Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge
della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in
vari settori d’intervento della Regione Basilicata), promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 13-20 maggio 2019, depositato in cancelleria il 21 maggio 2019,
iscritto al n. 60 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Basilicata;
udito il Giudice
relatore Silvana Sciarra, secondo le prescrizioni del decreto della Presidente
della Corte del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c), in collegamento da remoto,
senza discussione orale, in data 7 aprile 2020;
deliberato nella camera
di consiglio dell’8 aprile 2020.
1.– Con ricorso
notificato il 13-20 maggio 2019, depositato il 21 maggio 2019, il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha impugnato varie disposizioni della legge della Regione
Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori
d’intervento della Regione Basilicata), fra cui gli artt. 9, 10, 12, 13, commi
1 e 3, e 27, in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, commi primo,
secondo, lettera s), e terzo della Costituzione.
1.1.–
Sono anzitutto impugnati gli artt. 9 e 10 della legge reg. Basilicata n. 4 del
2019, nella parte in cui modificano la previgente disciplina (di cui,
rispettivamente, al paragrafo 1.2.1.4. dell’Appendice A al Piano di indirizzo
energetico ambientale regionale – PIEAR, approvato con legge della Regione
Basilicata 19 gennaio 2010, n. 1, recante «Norme in materia di energia e Piano
di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale. D.Lgs.
n. 152 del 3 aprile 2006 – L.R. n. 9/2007», e all’art. 38 della legge della
Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38, recante «Seconda variazione al
bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di
scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione
Basilicata») e pongono condizioni relative alla distanza degli aerogeneratori
dalle abitazioni e dalle strade.
Secondo il ricorrente
tali norme violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art.
12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione
della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica
prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità),
e al paragrafo 1.2. dell’Allegato al decreto ministeriale 10 settembre 2010
(Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti a fonte
rinnovabile), che rinvia al successivo paragrafo 17 dell’Allegato 3 delle Linee
guida per le modalità di individuazione delle aree non idonee.
Il ricorrente afferma
che la disciplina statale dell’autorizzazione degli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili non tollera eccezioni, proprio perché contiene i
principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione
dell’energia». Le norme regionali impugnate, nello stabilire in via generale,
senza istruttoria e valutazione in concreto, in sede procedimentale, distanze
minime non previste dalla legislazione statale, non garantirebbero il rispetto
di tali principi fondamentali. In linea con questi ultimi, infatti, –
sottolinea la difesa statale – le Regioni possono solo individuare le aree non
idonee sulla base di un’apposita istruttoria, da realizzarsi in seno al
procedimento amministrativo, in cui – come già più volte affermato dalla
giurisprudenza costituzionale – può e deve avvenire la valutazione sincronica
degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela.
Considerato che fra i
principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale vi è quello, di
derivazione comunitaria, della massima diffusione degli impianti di energia a
fonte rinnovabile, non spetterebbe, pertanto, alla Regione stabilire limiti
generali alla realizzazione di tali impianti, specie nella forma delle distanze
minime. Queste ultime – ricorda il ricorrente – sono previste dalle Linee guida
nazionali di cui al d.m. 10 settembre 2010,
all’Allegato 4, solo come possibili misure di mitigazione dell’impatto
ambientale e non come condizioni perentorie o prescrizioni generali. Pertanto,
la soluzione legislativa adottata dalla Regione Basilicata – che impone in via
generale distanze minime per la localizzazione degli impianti, senza
istruttoria e senza alcuna valutazione in concreto dei siti – violerebbe i principi
fondamentali stabiliti dal legislatore statale e non permetterebbe un’adeguata
tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.
1.2.– È anche impugnato
l’art. 12 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, là dove introduce il comma
1-bis all’art. 3 della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8
(Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili) e
dispone una possibile proroga del termine per la presentazione della
documentazione prevista dal PIEAR, ai fini dell’autorizzazione regionale di cui
all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, su istanza dell’interessato e solo
quando il ritardo sia dovuto a motivi indipendenti dalla volontà di
quest’ultimo, per un periodo massimo di 60 giorni.
Secondo il ricorrente,
la norma in esame sarebbe, anzitutto, in contrasto con l’art. 27-bis, comma 5,
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Esso stabilisce che, con riferimento al provvedimento autorizzatorio
unico regionale, per i progetti assoggettati a valutazione di impatto
ambientale (VIA), l’autorità competente può concedere, su richiesta motivata
del proponente, per una sola volta, la sospensione dei termini per la
presentazione della documentazione integrativa per un periodo non superiore a
180 giorni.
Vi sarebbe, pertanto,
un contrasto con l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale,
in violazione dell’art. 3 Cost., e con il principio di buon andamento
dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Nello stabilire un ulteriore
termine di proroga del procedimento di autorizzazione, la norma regionale ne
dilaterebbe la relativa durata, immotivatamente aggravandolo in modo
arbitrario, in conflitto con i canoni di efficacia, efficienza ed economicità
dell’azione amministrativa.
Sarebbe, inoltre,
violata la sfera di competenza legislativa statale esclusiva in materia di
tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in cui rientra la disciplina della VIA. In riferimento a
quest’ultima – precisa la difesa statale – spetta allo Stato fissare, anche in
attuazione degli obblighi europei, livelli di tutela dell’ambiente uniforme
sull’intero territorio nazionale, che si impongono alla disciplina che le
Regioni e le Province autonome dettano in materie di loro competenza.
Il ricorrente
sottolinea che l’intervento regionale previsto dalla legislazione statale deve
avvenire nel rispetto delle procedure e dei criteri fissati dalla legislazione
stessa, motivando la scelta compiuta in modo da garantire la controllabilità
della discrezionalità esercitata nelle sedi giurisdizionali.
1.3.–
Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 13, comma 1, della medesima legge reg.
Basilicata n. 4 del 2019, là dove, sostituendo il comma 2 dell’art. 11 della legge
regionale n. 8 del 2012, pone ulteriori condizioni per l’esclusione degli
impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a
200 kW dal computo di quelli che concorrono al raggiungimento delle potenze
installabili di cui alla Parte terza, paragrafo 1.2.3, Tabelle 1-4, del PIEAR.
La difesa statale segnala che le ulteriori condizioni, attraverso una serie di
rinvii ad altre disposizioni, sono quelle indicate all’art. 32 della legge reg.
Basilicata n. 38 del 2018 (che ha modificato l’art. 6 della legge regionale n.
8 del 2012), già impugnato davanti alla Corte costituzionale con un precedente
ricorso (iscritto al n. 7 del reg. ricorsi del 2019). Pertanto, il ricorrente
ribadisce le censure di illegittimità costituzionale, per violazione degli
artt. 41, 117, primo e terzo comma, Cost., già rivolte al citato art. 32, là
dove, anzitutto, prescrive una distanza minima tra impianti di energia da fonti
rinnovabili, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore
statale nella materia di competenza concorrente della «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», e in particolare con l’art. 12, comma
10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e con i paragrafi 1.2 e 17.1 delle Linee guida
nazionali approvate con il d.m. 10 settembre 2010,
recanti specifici indirizzi in merito all’individuazione delle aree non idonee.
Lo stesso art. 32 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 – e di conseguenza l’art. 13, comma 1,
della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, ora impugnato, che al primo fa
rinvio – sarebbe illegittimo anche nella parte in cui prevede, quale ulteriore
condizione, la «disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o
superiore a tre volte la superficie del generatore fotovoltaico», sul quale,
peraltro, non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di energia
da qualunque tipo di fonte rinnovabile, in contrasto con l’art. 12 del d.lgs.
n. 387 del 2003 che, per l’autorizzazione unica, cioè per un regime abilitativo
più complesso, prevede al comma 4-bis, la mera «disponibilità del suolo su cui
realizzare l’impianto».
Da ciò si desumerebbe
la violazione del principio fondamentale della massima diffusione degli
impianti, con un aggravamento ingiustificato degli oneri a carico
dell’operatore anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative
nell’area, per contrasto con l’art. 12, comma 10, delle Linee guida nazionali,
nonché la violazione degli artt. 41 e 117, primo comma, Cost., in riferimento
all’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della
direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia
elettrica), che sancisce la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi
compresa l’attività di produzione dell’energia elettrica.
1.4.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri censura, per violazione dell’art. 117, primo e terzo
comma, Cost., l’art. 13, comma 3, della medesima legge reg. Basilicata n. 4 del
2019, là dove, aggiungendo il comma 7 all’art. 11 della legge regionale n. 8
del 2012, stabilisce, nelle more dell’adozione della nuova pianificazione
energetica ambientale della Regione, ai fini del rilascio dell’autorizzazione
unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, un tetto alla produzione
di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Tale previsione
esulerebbe dalla competenza regionale e contrasterebbe con i principi
fondamentali stabiliti dal legislatore statale, secondo cui l’eventuale
superamento di limitazioni programmatiche contenute nel Piano energetico
regionale o delle quote minime di incremento dell’energia elettrica da fonti di
energia rinnovabile (FER) non preclude comunque l’avvio e la conclusione
favorevole del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica (paragrafo
14.5 delle Linee guida).
Il ricorrente precisa
che, in applicazione del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE), è stato emanato il d.m. 15
marzo 2012 (Definizione e qualificazione degli obiettivi regionali in materia
di fonti rinnovabili e definizione della modalità di gestione dei casi di
mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle regioni e delle provincie
autonome – c.d. Burden Sharing),
che ha ripartito fra le Regioni l’obiettivo nazionale del 17 per cento di
consumo finale lordo da fonti di energia rinnovabile (FER) al 2020, stabilito
dalla direttiva europea 2009/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del
23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili,
recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e
2003/30/CE, in considerazione del loro potenziale tecnico-economico e delle
disponibilità di risorse energetiche locali.
Tuttavia – prosegue il
ricorrente – la fissazione dei tetti di produzione di energia elettrica non
deve rappresentare un ostacolo alla realizzazione dei relativi impianti o
determinare la compressione della libertà di iniziativa economica nel settore.
I limiti massimi di
produzione per le singole fonti, che le Regioni possono fissare, non
consentirebbero di impedire l’avvio e la conclusione favorevole del
procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica o di altri titoli
abilitativi, la cui procedura è scandita da termini perentori.
Pertanto, la previsione
della Regione Basilicata sarebbe lesiva della competenza statale, perché in
contrasto con i principi fondamentali della materia stabiliti dal legislatore
statale all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, che pone il termine
perentorio di 90 giorni proprio per la conclusione del medesimo procedimento.
Sarebbe, altresì,
violato l’art. 117, primo comma, Cost., che impone la conformità della
legislazione regionale all’ordinamento europeo e agli obblighi internazionali,
tra cui si segnalano quelli conseguenti alla ratifica ed esecuzione del
cosiddetto Protocollo di Kyoto (legge 1° giugno 2002, n. 120, recante «Ratifica
ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997»), da cui si
evince, come anche dalle direttive comunitarie in materia (direttiva
2001/77/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla
promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell’elettricità e direttiva 2009/28/CE, attuate,
rispettivamente, con il d.lgs. n. 387 del 2003 e con il d.lgs. n. 28 del 2011),
il favor accordato alle fonti rinnovabili.
1.5.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 27 della legge reg. n. 4 del
2019, là dove dispone che «al fine di garantire la continuità dei servizi
sociali e socio sanitari essenziali, nelle more del perfezionamento dell’iter
procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17
maggio 2018 le Aziende Sanitarie Locali ed i Comuni sono autorizzati a
proseguire i contratti in corso con i gestori delle Strutture socio-sanitarie e
dei Servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari, già in
possesso di autorizzazione, anche provvisoria sulla base della normativa
previgente».
Tale previsione, là
dove non subordina la prosecuzione dei contratti all’accreditamento
istituzionale di cui all’art. 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), eccederebbe dalla
competenza regionale in materia di tutela della salute, in violazione
dell’art.117, terzo comma, Cost. Infatti, il predetto accreditamento è –
ricorda il ricorrente – condizione necessaria per stipulare gli accordi
contrattuali previsti dall’art. 8-quinquies del medesimo decreto e, dunque,
anche per consentirne la proroga.
2.– La Regione
Basilicata, pur costituitasi nel giudizio instaurato con il ricorso indicato in
epigrafe, non ha svolto alcuna difesa in relazione alle censure rivolte ai
citati artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge regionale n. 4 del
2019.
1.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale di
varie disposizioni della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4
(Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione
Basilicata), fra cui quelle relative agli artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e
27, in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, commi primo, secondo, lettera s),
e terzo della Costituzione.
È riservata a separata
pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale
promosse con il ricorso indicato in epigrafe.
1.1.–
In linea preliminare, occorre rilevare che gli artt. 9, 10, 12 e 13, commi 1 e
3, della citata legge regionale sono stati espressamente abrogati dall’art. 1,
comma 1, della legge della Regione Basilicata 6 novembre 2019, n. 22 (Modifiche
alla L.R. 13 marzo 2019, n. 4. Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori
d’intervento della Regione Basilicata).
Tuttavia, non si può
escludere che tali disposizioni, che sono state in vigore per più di sei mesi,
abbiano avuto medio tempore applicazione. La Regione non si è difesa e non ha
fornito alcuna indicazione a tal proposito. Pertanto, sebbene l’abrogazione sia
di per sé satisfattiva delle pretese avanzate con il ricorso, manca uno dei
presupposti imprescindibili per la dichiarazione della cessazione della materia
del contendere (sentenza
n. 180 del 2019).
1.2.–
Le disposizioni impugnate hanno differenti oggetti e sono censurate in
riferimento a diversi parametri costituzionali. Si procede pertanto all’esame
separato delle singole questioni proposte.
2.– Gli artt. 9 e 10
della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 sono stati impugnati in quanto,
modificando la disciplina regionale previgente, pongono condizioni relative
alla distanza degli aerogeneratori dalle abitazioni e dalle strade. Tali
disposizioni, nello stabilire in via generale e senza istruttoria e valutazione
in concreto, distanze minime non previste dalla legislazione statale,
violerebbero i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale in
materia di «produzione, distribuzione e trasporto dell’energia» e non
permetterebbero un’adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi
coinvolti.
2.1.–
Preliminarmente, si deve rilevare che entrambe le disposizioni impugnate si
sono limitate a stabilire la riduzione di distanze già previste e configurate
come requisito di sicurezza inderogabile per l’avvio dell’iter di
autorizzazione alla realizzazione di impianti eolici dalla normativa regionale
in vigore, non fatta oggetto di denuncia.
Il paragrafo 1.2.1.4.
dell’Appendice A al Piano di indirizzo energetico ambientale regionale (PIEAR),
approvato con legge della Regione Basilicata 19 gennaio 2010, n. 1 (Norme in
materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale. D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – L.R. n. 9/2007), già
imponeva la distanza minima dalle abitazioni pari a 2,5 volte l’altezza massima
della pala dell’impianto eolico (ridotta a 2,0 volte dall’impugnato art. 9) e
quella dalle strade comunali di 200 metri (ridotta dall’impugnato art. 10 a 150
metri), quest’ultima, peraltro, nel testo successivamente modificato dall’art.
38 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda
variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in
materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento
della Regione Basilicata).
Tale circostanza,
tuttavia, non preclude l’esame nel merito della questione, alla luce della
costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui nei giudizi in via
principale non si applica l’istituto dell’acquiescenza, poiché la norma
impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore
non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva
l’interesse a ricorrere (sentenza n. 56 del
2020).
2.2.–
Nel merito la questione è fondata.
Questa Corte ha
affermato più volte che la disciplina del regime abilitativo degli impianti
alimentati da fonti di energia rinnovabili è riconducibile alla materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo
comma, Cost.). I relativi principi fondamentali sono anche dettati dall’art.
12, in particolare al comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n.
387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell’elettricità) e dalle «Linee guida per l’autorizzazione degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili», adottate in attuazione di quest’ultimo,
con il d.m. 10 settembre 2010 (sentenze n. 286
e n. 86 del 2019).
Tali Linee guida, adottate in sede di Conferenza unificata e quindi espressione
della leale collaborazione fra Stato e Regione, sono vincolanti.
Anche con riferimento
alla Regione Basilicata, questa Corte ha precisato che esse «costituiscono, in
settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria» (sentenza n. 86 del
2019, punto 2.8.2. del Considerato in diritto). Poiché indicano puntuali
modalità attuative della legge statale, esse hanno natura inderogabile e devono
essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286
e n. 86 del 2019,
n. 69 del 2018).
In questo quadro di
riferimento le Regioni (e le Province autonome) possono soltanto individuare,
caso per caso, aree e siti non idonei alla localizzazione degli impianti,
purché nel rispetto di specifici principi e criteri stabiliti dal paragrafo
17.1 dell’Allegato 3 alle medesime Linee guida. In particolare, il giudizio
sulla non idoneità dell’area deve essere espresso dalle Regioni all’esito di
un’istruttoria, volta a prendere in considerazione tutti gli interessi
coinvolti (la tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico
artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del
paesaggio rurale), la cui protezione risulti incompatibile con l’insediamento,
in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti (sentenza n. 86 del
2019, punto 2.8.2. del Considerato in diritto). Una tale valutazione può e
deve utilmente avvenire nel procedimento amministrativo, la cui struttura
«rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata
prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione,
in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241»
(sentenza n. 69
del 2018).
Ne consegue che le
Regioni non possono prescrivere «limiti generali inderogabili, valevoli
sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché
ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle
fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità
alla normativa dell’Unione europea» (sentenza n. 286 del
2019).
A tal proposito,
occorre rilevare che, con particolare riguardo al «corretto inserimento nel
paesaggio e sul territorio degli impianti eolici», l’Allegato 4 alle Linee
guida contempla la possibilità che vengano introdotte «distanze» (ad esempio,
da luoghi di alta frequentazione: così il paragrafo 3.2., lettera l). Esse,
tuttavia, sono configurate come eventuali "misure di mitigazione” dell’effetto,
anche visivo, che si riverbera sul territorio e sul paesaggio, a seguito della
realizzazione dell’impianto. In ogni caso, esse possono essere adottate solo
all’esito di un’adeguata istruttoria.
Sul modello di analoghe
norme adottate dal legislatore lucano e dichiarate costituzionalmente
illegittime (sentenza
n. 286 del 2019, punto 3.1.1. del Considerato in diritto; sentenza n. 86 del
2019, punto 2.8.2. del Considerato in diritto), le norme regionali
impugnate prevedono, fra i requisiti di sicurezza inderogabili per l’avvio
dell’iter di autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, il
rispetto di distanze minime fra tali impianti, le abitazioni e le strade
comunali, senza una previa istruttoria, quindi senza un’adeguata concreta
valutazione dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti. Per questo, esse si
pongono in contrasto con i richiamati principi fondamentali stabiliti dal
legislatore statale, e, in specie, con il principio di derivazione europea
della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.
Deve, pertanto,
dichiararsi l’illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge reg.
Basilicata n. 4 del 2019.
3.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha inoltre impugnato l’art. 12 della medesima legge
regionale n. 4 del 2019, per contrasto con gli artt. 3, 97 e 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
Secondo il ricorrente,
la norma regionale impugnata violerebbe la competenza legislativa esclusiva
statale in materia di «tutela dell’ambiente», ponendosi in contrasto con la
normativa statale di cui all’art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto prevede la possibile proroga,
per un periodo massimo di 60 giorni, del termine per la presentazione della
documentazione prescritta dal PIEAR ai fini dell’autorizzazione regionale di
cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, su istanza dell’interessato e per
motivi indipendenti dalla volontà di quest’ultimo. Tale previsione
contrasterebbe con l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale,
nonché con il principio di buon andamento dell’amministrazione, immotivatamente
aggravando in modo arbitrario il procedimento autorizzativo.
3.1.–
Le questioni sono fondate.
Questa Corte ha più
volte affermato che il procedimento di autorizzazione unica alla realizzazione
di impianti di energia da fonti rinnovabili, di cui all’art. 12, comma 4, del
d.lgs. n. 387 del 2003, è ispirato «alle regole della semplificazione
amministrativa e della celerità» ed è volto a garantire, «in modo uniforme
sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del
procedimento autorizzativo» (sentenze n. 177 del
2018 e n.
156 del 2016), in coerenza con il particolare favor
riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e
sovranazionale. Esso, peraltro, è stato puntualmente disciplinato dal
legislatore contemperando vari interessi, costituzionalmente rilevanti, per
certi versi interni alla medesima materia della tutela dell’ambiente
«attraverso l’incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento»
– in sede di conferenza di servizi – «e la cui acquisizione sincronica, […]
necessari per l’autorizzazione unica finale, non tollerano ulteriori
differenziazioni su base regionale» (sentenza n. 267 del
2016).
Analogamente, per i
progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza
regionale, l’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 delinea un procedimento
unico in cui tutte «le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri,
concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla
realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto, sono acquisiti nell’ambito
di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi
dell’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990» (sentenza n. 246 del
2018), e confluiscono nel provvedimento autorizzatorio
unico. Anche in tal caso la disciplina statale, che detta tempi e modi del
procedimento, «individua un punto di equilibrio tra l’esigenza di
semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato,
e la "speciale” tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro»
(sentenza n. 246
del 2018), che non può essere pregiudicato dal legislatore regionale
nell’esercizio della sua competenza in materia di «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia».
La norma regionale
impugnata, nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica alla
realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, interviene a
prevedere la possibilità di una proroga (fino a 60 giorni) del termine (di 90
giorni), già fissato dal comma 1 del medesimo art. 3-bis della legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012, per la produzione, a seguito della conclusione dei
lavori della conferenza di servizi, della documentazione (costituita da una
polizza di fideiussione bancaria e/o assicurativa irrevocabile ed escutibile a
prima richiesta, accompagnata, fra l’altro, dal quadro economico finanziario
asseverato da un istituto bancario, da una dichiarazione resa da un istituto
bancario che attesti che il soggetto proponente l’impianto disponga di risorse
finanziarie ovvero di linee di credito proporzionate all’investimento per la
realizzazione dell’impianto), prescritta dall’Appendice A al PIEAR. Si tratta
di documentazione che il Piano regionale (al paragrafo 1.2.1.11.) prevede debba
essere presentata prima del rilascio dell’autorizzazione, in attuazione di un apposito
impegno già prodotto a corredo dell’istanza di autorizzazione (paragrafo
1.2.1.10.).
Tale previsione si
discosta, anzitutto, dalla disciplina statale del procedimento di cui all’art.
12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e, in particolare, dalle Linee guida attuative,
che, al paragrafo 13.1, lettera j), si limitano a prescrivere la presentazione
dell’impegno a corrispondere una cauzione, all’atto di avvio dei lavori, fra i
documenti da produrre al momento dell’istanza di autorizzazione, senza
individuare ulteriori termini per il versamento della cauzione, né ulteriore
documentazione, nella fase successiva alla conclusione dell’attività della
conferenza di servizi, ma precedente all’avvio dei lavori.
Anche la disciplina
statale del procedimento di autorizzazione unica di cui all’art. 27-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006, previsto per i progetti sottoposti a valutazione di
impatto ambientale (VIA), prescrive la presentazione della documentazione
necessaria, peraltro individuando la possibilità di un ampio periodo di
sospensione dei termini per agevolarla (180 giorni dalla pubblicazione
dell’avviso al pubblico, ai sensi del comma 5), ma solo nella fase antecedente
alla convocazione della conferenza di servizi e non anche in quella successiva.
La puntuale disciplina
del procedimento dettata dal legislatore statale, la dettagliata definizione
delle fasi e dei termini che conducono al rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale concorrono a creare una
cornice di riferimento che, sintetizzando i diversi interessi coinvolti, ne
individua un punto di equilibrio, che corrisponde anche a uno standard di
tutela dell’ambiente.
La proroga stabilita
dal legislatore lucano finisce con l’aggiungere un ulteriore irragionevole
anello alla già lunga catena di adempimenti previsti dal legislatore statale,
determinando un aggravamento del procedimento autorizzativo, lesivo, ad un
tempo del principio del buon andamento della pubblica amministrazione e dello
standard di tutela dell’ambiente fissato dal legislatore statale.
Si deve pertanto
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg.
Basilicata n. 4 del 2019.
4.– È, altresì,
impugnato l’art. 13, comma 1, della medesima legge reg. Basilicata n. 4 del
2019. Esso sostituisce il comma 2 dell’art. 11 della legge della Regione
Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di produzione di
energia da fonti rinnovabili) e pone ulteriori condizioni per l’esclusione
degli impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza nominale non
superiore a 200 kW dal computo di quelli che concorrono al raggiungimento delle
potenze installabili di cui alla Parte terza, paragrafo 1.2.3., Tabelle 1-4,
del PIEAR, approvato con legge regionale n. 1 del 2010. In particolare, tale
disposizione è censurata nella parte in cui, fra le ulteriori condizioni,
stabilisce che sia assicurata una distanza minima fra impianti e che vi sia la
disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a tre volte la
superficie del generatore fotovoltaico, su cui non può essere realizzato altro
impianto di produzione di energia da qualunque fonte rinnovabile. Ciò
entrerebbe in contrasto con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e con le Linee
guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, che
costituiscono normativa di principio nella materia della «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, comma terzo,
Cost.
L’impugnata
disposizione determinerebbe, inoltre, un aggravamento ingiustificato degli
oneri a carico dell’operatore, anche sotto il profilo del divieto di altre
iniziative nell’area, in violazione degli artt. 41 Cost. e 117, primo comma,
Cost., in riferimento a quanto stabilito dall’art. 1 del decreto legislativo 16
marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per
il mercato interno dell’energia elettrica) che disciplina la liberalizzazione
del mercato elettrico, in attuazione della direttiva 96/92/CE, del Parlamento
europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il
mercato interno dell’energia elettrica.
4.1.–
Le questioni non sono fondate.
L’art. 13, comma 1,
della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, aggiunge il comma 2 all’art. 11
della legge n. 8 del 2012. Quest’ultimo, che disciplina le potenze
installabili, mira a realizzare l’obiettivo dell’incremento della produzione
elettrica da fonti rinnovabili, secondo quanto stabilito nel Piano di indirizzo
energetico e ambientale regionale. In particolare nella Parte terza, paragrafo
1.2.3. di quest’ultimo si precisa che, «in considerazione delle crescenti
problematiche legate all’approvvigionamento energetico», nonché delle
«necessità di sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale», la Regione
Basilicata «si propone di colmare il deficit tra produzione e fabbisogno di
energia elettrica stimato al 2020, indirizzando significativamente verso le
rinnovabili il mix di fonti utilizzato», con una strategia che, «al di là della
ripartizione degli obiettivi comunitari a livello di singolo Stato e di singola
Regione», è in linea con la politica energetica dell’Unione europea.
In vista di tale
obiettivo, l’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012 ha escluso dal
computo dell’incremento di produzione – in linea con il PIEAR – l’energia
prodotta da impianti di piccole dimensioni e limitata potenza, destinati a usi
privati o, comunque, con caratteristiche particolari (come, per esempio, gli
impianti di autoproduzione e gli impianti alimentati da biogas). Fra di essi il
citato art. 11, al comma 1, lettera b), della legge reg. Basilicata n. 8 del
2012, già annoverava gli impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza
nominale non superiore a 200 kW.
L’art. 13, comma 1,
della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, ha, invece, condizionato tale ultima
esclusione al rispetto di alcuni limiti, individuati attraverso il rinvio
all’art. 6 della medesima legge regionale n. 8 del 2012 (come sostituito
dall’art. 32 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38
recante «Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni
in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento
della Regione Basilicata»), relativo all’utilizzo della procedura di
abilitazione semplificata (PAS) per gli impianti eolici e fotovoltaici.
Quest’ultima norma
prevedeva, fra l’altro, che fosse assicurato il rispetto di una distanza minima
fra impianti e garantita la disponibilità di un suolo la cui estensione fosse
pari o superiore a tre volte la superficie del generatore fotovoltaico, su cui,
peraltro, non avrebbe potuto essere realizzato altro impianto di produzione di
energia da qualunque fonte rinnovabile.
Tali previsioni – cui
sono specificamente rivolte tutte le censure di illegittimità costituzionale promosse
dall’odierno ricorrente con riguardo all’art. 13, comma 1, della legge
regionale n. 4 del 2019 – sono state, frattanto, dichiarate costituzionalmente
illegittime da questa Corte con la sentenza n. 286 del
2019, in riferimento ai medesimi parametri evocati nel presente giudizio e
cioè per contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore
statale nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia» e contenuti nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, come attuato
dal d.m. 10 settembre 2010, recante le linee guida
per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Pertanto, l’art. 13,
comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, là dove fa rinvio all’art.
6 della legge regionale n. 8 del 2012, nel testo risultante dalla sentenza n. 286 del
2019, è esente dai denunciati vizi di illegittimità costituzionale.
5.– Anche il comma 3
dell’art. 13 della legge regionale n. 4 del 2019 è impugnato, in quanto,
aggiungendo il comma 7 all’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012,
stabilisce, nelle more dell’adozione della nuova pianificazione energetica
ambientale della Regione, un tetto all’aumento della produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili, in base alla tipologia di fonte rinnovabile, ai
fini del rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n.
387 del 2003.
Secondo il ricorrente,
la previsione di limiti massimi di produzione per le singole fonti, il cui
superamento precluda l’avvio e la prosecuzione del procedimento di rilascio
dell’autorizzazione unica, si porrebbe in contrasto con la normativa statale
(in specie con l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003), che stabilisce
il termine perentorio di 90 giorni per la conclusione del procedimento, e quindi
con l’art. 117, terzo comma, Cost.
Essa violerebbe,
inoltre, l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli accordi
internazionali (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici, ratificata con la legge 1° giugno 2002, n. 120, recante «Ratifica ed
esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite
sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997») e alle direttive
europee in materia (direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità; direttiva
2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
5.1.–
La questione è fondata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
L’impugnato art. 13,
comma 3, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 ha aggiunto il comma 7 al
già citato art. 11 della legge regionale n. 8 del 2012. Quest’ultimo, come si è
già detto (supra, punto 4.1.), nel disciplinare le
potenze installabili, si inserisce nel quadro della programmazione regionale –
di cui al PIEAR, Parte terza, paragrafo 1.2.3. – inerente all’obiettivo
dell’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in
linea con la normativa europea.
È, infatti, la
direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita con il
decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) che ha
individuato, quale obiettivo nazionale vincolante per l’Italia, il
raggiungimento, entro il 2020, di una quota dei consumi finali lordi (CFL)
complessivi di energia coperta da fonti rinnovabili almeno pari al 17 per
cento.
In vista di tale
obiettivo, già l’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2008) ha demandato a uno o più decreti ministeriali – da
adottarsi d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano – il compito della
ripartizione, fra Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, della
quota minima necessaria di incremento dell’energia prodotta con fonti
rinnovabili.
Con il successivo art.
37, comma 6, del citato d.lgs. n. 28 del 2011, si è, poi, assegnata a un
decreto del Ministro dello sviluppo economico – da adottare, di concerto con il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano – la precisa definizione e
quantificazione degli obiettivi regionali in attuazione del comma 167 dell’art.
2 della citata legge n. 244 del 2007. In applicazione di tale previsione è
stato, infine, adottato il d.m. 15 marzo 2012
(Definizione e qualificazione degli obiettivi regionali in materia di fonti
rinnovabili e definizione delle modalità di gestione dei casi di mancato
raggiungimento degli obiettivi da parte delle regioni e delle provincie
autonome: c.d. Burden Sharing)
che ha provveduto a definire e quantificare gli obiettivi intermedi e finali
che ciascuna Regione e Provincia autonoma deve conseguire, ai fini del
raggiungimento degli obiettivi nazionali fino al 2020 in materia di quota
complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di
energia.
In vista del medesimo
scopo, il paragrafo 17.2 delle Linee guida (richiamato dall’art. 3, comma 6,
del d.m. 15 marzo 2012) ha stabilito che «[l]e
Regioni e le Province autonome conciliano le politiche di tutela dell’ambiente
e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie
rinnovabili attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di
produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden
sharing)» e comprensivi delle aree non idonee,
individuate anche alla luce di quanto già previsto dal piano paesaggistico.
Il paragrafo 14.5 delle
medesime Linee guida, infine, ha statuito che «[i]l superamento di eventuali
limitazioni di tipo programmatico contenute nel Piano Energetico regionale o
delle quote minime di incremento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili
ripartite (…) non preclude l’avvio e la conclusione favorevole del procedimento
ai sensi del paragrafo 1» e cioè il procedimento di autorizzazione alla
costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Il quadro normativo
richiamato rivela, in maniera palese, che la ripartizione fra le Regioni degli
oneri inerenti all’incremento della quota minima di energia prodotta con fonti
rinnovabili è funzionale a consentire il raggiungimento dell’obiettivo
nazionale, indicato come vincolante dalla normativa europea, in linea con il
principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili (da
ultimo, sentenza
n. 286 del 2019).
La norma adottata dal
legislatore lucano, all’opposto, si mostra incompatibile con tale principio.
Essa, infatti, «[n]elle more della adozione della nuova pianificazione
energetica ambientale della Regione», pone un tetto massimo alla produzione
dell’energia da fonti rinnovabili, «ai fini del rilascio delle autorizzazioni
di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003» e così contraddice quanto
stabilito al paragrafo 14.5. delle Linee guida, attribuendo al superamento di
quel tetto proprio l’effetto di precludere l’avvio o di sospendere la
conclusione di procedimenti preordinati al rilascio di nuove autorizzazioni
alla realizzazione degli impianti. In tal modo, essa viola anche la previsione
di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, che costituisce, a sua
volta, principio fondamentale nella materia della «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», ispirato alle regole della
semplificazione amministrativa e della celerità, volto a garantire, in modo
uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine
definito del procedimento autorizzativo (sentenza n. 177 del
2018).
Né serve, per escludere
tali violazioni, il richiamo a quanto previsto dall’art. 3, comma 6, del d.m. 15 marzo 2012, che autorizza le Regioni a porre
«limiti massimi alla produzione di energia per singola fonte rinnovabile in
misura non inferiore a 1,5 volte gli obiettivi previsti nei rispettivi
strumenti di pianificazione energetica per la medesima fonte». Tale previsione
costituisce, infatti, mero corollario della facoltà di identificare aree non
idonee, riconosciuta alle Regioni dalle stesse Linee guida, al paragrafo 17.2,
nella prospettiva della conciliazione delle «politiche di tutela dell’ambiente
e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie
rinnovabili». Con «atti di programmazione congruenti con la quota minima di
produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden
sharing)», le Regioni possono, infatti, individuare
aree non idonee per motivi di tutela paesaggistica o ambientale. Tale
individuazione, a differenza di quanto fatto dal legislatore lucano «nelle more
della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione»,
deve sempre essere basata su apposite istruttorie e verifiche puntuali e
concrete.
Deve, pertanto, essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, della legge
reg. Basilicata n. 4 del 2019.
Resta assorbita la
censura di violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
5.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 27 della legge reg. Basilicata
n. 4 del 2019, che – «nelle more del perfezionamento dell’iter procedurale in
materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio 2018» –
autorizza le aziende sanitarie locali e i Comuni a «proseguire i contratti in
corso con i gestori delle Strutture socio-sanitarie e dei Servizi
socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari già in possesso di autorizzazione,
anche provvisoria, sulla base della normativa previgente».
Il ricorrente ritiene
che la norma regionale si ponga in contrasto con i principi fondamentali
fissati dal legislatore statale in materia di «tutela della salute», di cui
all’art. 117, terzo comma Cost., secondo cui l’accreditamento è condizione
necessaria per stipulare gli accordi contrattuali previsti dall’art.
8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre
1992, n. 421) e dunque anche per consentirne la proroga.
5.1.–
La questione, così come prospettata, è inammissibile.
La norma regionale
impugnata, come si è detto, autorizza le aziende sanitarie locali e i Comuni a
proseguire i contratti in corso sia con i gestori delle strutture e dei servizi
socio-sanitari, sia con i gestori dei servizi socio-assistenziali e
socio-educativi, già in possesso di autorizzazione, anche provvisoria, sulla
base della normativa previgente, «al fine di garantire la continuità dei
servizi sociali e socio-sanitari essenziali nelle more del perfezionamento
dell’iter procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424
del 17 maggio 2018».
Nel richiamare la
delibera della Giunta, la norma regionale evoca un quadro normativo – di cui
essa stessa è parte – molto articolato. La delibera cui si fa riferimento
fornisce indicazioni operative circa la corretta applicazione delle nuove norme
in materia di autorizzazione per le strutture e le attività socio-sanitarie,
dettate, in specie, dall’art. 30, comma 3, della legge della Regione Basilicata
24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017). Si
intendeva, in tal modo, consentire l’adeguamento delle medesime strutture e attività
ai requisiti che la legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 (Norme in materia di
autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private) originariamente
prescriveva, con esclusivo riferimento alle strutture e alle attività
sanitarie. Tutto ciò si poneva in sintonia con quanto disposto dall’art.
3-septies del d.lgs. n. 502 del 1992 (inserito dall’art. 3, comma 3, del
decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, recante «Norme per la
razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1
della legge 30 novembre 1998, n. 419») e dal decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento in
materia di prestazioni socio-sanitarie), attuativo di tali disposizioni. Le
norme appena richiamate, con l’equiparazione del regime delle strutture e dei
servizi socio-sanitari a quello delle strutture e dei servizi sanitari,
prevedono che anche i primi siano assoggettati al rilascio dell’autorizzazione
e dell’accreditamento istituzionale (artt. 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502
del 1992), entrambe condizioni per la stipulazione degli accordi contrattuali
di cui all’art. 8-quinquies del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992.
Nella richiamata
delibera della Giunta regionale n. 424 del 2018, si dà conto di molteplici,
ripetuti, interventi del legislatore regionale, che hanno caratterizzato
l’adeguamento della disciplina delle strutture e dei servizi socio-sanitari
alla normativa statale di principio. Si tratta di interventi che, in maniera
frammentaria ed episodica, hanno preceduto l’introduzione dell’art. 30 della
legge regionale n. 19 del 2017, in vista del comune obiettivo di assicurare il
recepimento dei nuovi «requisiti minimi strutturali, tecnologici ed
organizzativi delle strutture sociosanitarie» (così la deliberazione della
Giunta regionale 14 novembre 2017, n. 1218), in linea con i nuovi livelli
essenziali di assistenza stabiliti con il decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli
essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). A questi requisiti anche le «strutture
sociosanitarie già autorizzate e quelle comunque operanti nel SSR» sono tenute
a conformarsi, chiedendo il rinnovo dell’autorizzazione (così il punto 6 della
citata D.G.R. n. 424 del 2018).
La medesima delibera
regionale – come, d’altronde, la stessa norma regionale impugnata che la evoca
– ha, tuttavia, un ambito di applicazione che non si esaurisce nella disciplina
delle strutture e attività socio-sanitarie. Essa, infatti, riguarda anche le
novità introdotte dalla legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, all’art. 31, sui
servizi socio-assistenziali e socio-educativi. Quest’ultimo articolo prevede
che «[n]elle more dell’adeguamento della disciplina regionale alle disposizioni
della legge 8 novembre 2000, n. 328 ed ai criteri indicati nel D.M. 21 maggio
2001, n. 308 in materia di autorizzazione delle strutture che svolgono in
regime semiresidenziale o residenziale attività socio-assistenziali,
socio-educative, i Comuni rilasciano autorizzazione previa verifica del
possesso dei requisiti minimi strutturali ed organizzativi previsti dal D.M. 21
maggio 2001, n. 308 e dalle disposizioni attuative regionali». Si tratta di
disposizioni regionali che mirano a consentire l’adeguamento dei servizi
socio-assistenziali e socio-educativi a quanto disposto dalla legge 8 novembre
2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali) e dal relativo regolamento attuativo (il d.m. 21 maggio 2001, n. 308, recante il «Regolamento
concernente "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione
all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e
semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n.
328”»).
Tale ultima legge è
stata adottata nella vigenza del precedente assetto costituzionale, in cui la
materia della «beneficenza pubblica», poi ridefinita «servizi sociali»
dall’art. 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59), «rientrava tra quelle
nelle quali le Regioni avevano competenza legislativa concorrente» (sentenza n. 296 del
2012).
Essa ha disciplinato le
modalità di erogazione dei servizi sociali e, in particolare, ha previsto, per
i «servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale» (art.11), a
gestione pubblica o operati da «organismi non lucrativi di utilità sociale,
organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed
enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti
privati», il regime dell’autorizzazione, dell’accreditamento e della vigilanza
da parte dei Comuni, secondo criteri definiti dalle Regioni, sulla base di
requisiti minimi fissati dallo Stato (art. 8, comma 3, lettera f). Ha anche
previsto il possibile affidamento dei servizi sociali mediante «forme di
aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo
settore la piena espressione della propria progettualità» (art. 5, comma 2).
Inizialmente tale
disciplina si imponeva alle Regioni, in quanto espressiva di principi
fondamentali nella materia dei «servizi sociali», che, come si è ricordato,
rientrava nell’ambito della competenza concorrente. Il profondo mutamento
impresso dalla riforma costituzionale introdotta dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001 n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione), che ha conferito alle Regioni competenza legislativa di tipo
residuale nella materia dei servizi sociali (sentenza n. 296 del
2012), ha imposto l’adozione di nuovi criteri interpretativi.
5.2.–
In questo vasto quadro normativo – che il ricorrente non si preoccupa di
richiamare neppure in linea generale – si deve collocare l’art. 27 della legge
regionale n. 4 del 2019. Esso si pone al crocevia di due distinte materie
disciplinate dal legislatore statale, l’una relativa al riordino dei servizi
socio-sanitari, l’altra al sistema integrato dei servizi sociali.
Secondo il ricorrente,
con l’autorizzare la prosecuzione di contratti con i gestori sia delle
strutture e dei servizi socio-sanitari, sia dei servizi socio-educativi e socio-assistenziali,
l’art. 27 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 violerebbe il principio
fondamentale della materia della tutela della salute, individuato
nell’accreditamento.
A sostegno di tale
assunto, tuttavia, il ricorrente non fornisce alcuna motivazione circa la
pretesa violazione del principio fondamentale dell’accreditamento, di cui
all’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, in materia di tutela della salute
da parte di quel frammento della disposizione regionale che attiene, come si è detto,
al diverso ambito dei servizi sociali (socio-educativi e socio-assistenziali),
materia quest’ultima di competenza regionale residuale.
Vi è da aggiungere che,
anche con riguardo alle strutture e ai servizi socio-sanitari, la censura di
contrasto con il principio dell’accreditamento si rivela apodittica. Il
ricorrente trascura di ricostruire completamente il quadro normativo in cui
operano i gestori delle strutture e dei servizi socio-sanitari, per cui è
prevista l’autorizzazione a proseguire i contratti. La difesa statale non
illustra affatto il contenuto della norma impugnata, intervenuta a seguito
della modifica dei requisiti prescritti per il rilascio dell’autorizzazione,
operata dalla nuova normativa regionale, in linea con la normativa statale, e precisata
dalla citata delibera della Giunta regionale n. 424 del 2018, che ha imposto a
tutte le strutture socio-sanitarie di sottoporsi a nuova verifica, anche a
quelle «già autorizzate e quelle comunque operanti nel SSR». La norma
regionale, mirando a garantire la continuità dei servizi socio-sanitari
essenziali, nelle more della procedura di verifica del loro adeguamento ai
nuovi requisiti, potrebbe riguardare sia strutture già operanti in assenza di
accreditamento, sia strutture già autorizzate e anche accreditate.
Questa Corte ha
costantemente affermato che «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento
della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini
perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli
instaurati in via incidentale» (sentenza n. 286 del
2019). Il ricorso avverso una norma regionale che arrechi pregiudizio alle
attribuzioni statali «deve essere adeguatamente motivato e, a supporto delle
censure prospettate, deve chiarire il meccanismo attraverso cui si realizza il
preteso vulnus lamentato» (sentenza n. 232 del
2019). Quando il vizio è prospettato riguardo a norme interposte
specificamente richiamate, si impone un giudizio ancora più rigoroso e
stringente che si rifaccia a un nesso di pertinenza rispetto al parametro che è
evocato, oltre che alla norma impugnata.
Qualora – come nel caso
in esame – difetti un adeguato impianto argomentativo, questa Corte deve
rilevare, anche d’ufficio, l’inammissibilità delle censure per genericità e
insufficiente motivazione circa l’asserito contrasto con il parametro
interposto.
Nel dichiarare la
questione inammissibile, questa Corte non può esimersi dal ricordare che le
disposizioni statali subordinano gli accordi contrattuali con i gestori privati
dei servizi socio-sanitari all’autorizzazione e all’accreditamento definitivi.
Anche con specifico riferimento a norme adottate dal legislatore lucano –
dichiarate costituzionalmente illegittime perché non in linea con tali
disposizioni (sentenza
n. 238 del 2018) – questa Corte ha avuto modo di chiarire che il regime
delle autorizzazioni e degli accreditamenti costituisce principio fondamentale
in materia di tutela della salute. Il legislatore statale (artt. 8-ter,
8-quater e 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992) ha inteso vincolare le
strutture socio-sanitarie private all’osservanza di requisiti essenziali da cui
far dipendere l’erogazione di prestazioni riferite alla garanzia di un diritto
fondamentale.
Anche la disciplina
regionale dei servizi socio-educativi e socio-assistenziali, sebbene
riconducibile a materia di competenza regionale residuale, non può non
incontrare il limite del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni
sociali, fissati dal legislatore statale in termini uniformi sul territorio
nazionale. I gestori privati non possono dunque sottrarsi alle verifiche circa
i requisiti necessari che consentono l’erogazione di prestazioni
qualitativamente adeguate.
La proroga dei
contratti in essere, autorizzata dalla norma regionale impugnata per non
interrompere la continuità dei servizi, non esonera il legislatore regionale
dall’obbligo di adottare tempestivamente una disciplina organica dei servizi
socio-sanitari e dei servizi sociali, coerente con il rispetto dei principi
costituzionali più volte richiamati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata
pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale
promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 9, 10, 12 e
13, comma 3, della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4
(Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione
Basilicata);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 27 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, promossa, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, promosse, in
riferimento agli artt. 41 e 117, primo e terzo comma, Cost., dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 aprile 2020.
F.to:
Marta CARTABIA,
Presidente
Silvana SCIARRA,
Redattore
Filomena PERRONE,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 5 giugno 2020.