SENTENZA N. 246
ANNO 2018
Commenti alla decisione di
I. Anna Simonati, Semplificazione
dell’attività amministrativa e livelli essenziali delle prestazioni: la
Consulta e il regionalismo "temperato”, per g. c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
II. Antonio Ignazio Arena, Autonomia
delle regioni e disciplina del procedimento amministrativo, per g. c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
- Luca ANTONINI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 6, commi 1, 2 e 6; 7, commi 6, 7, 8, lettera c), e
9; e 8, comma 2, della legge
della Regione Abruzzo 4 settembre 2017, n. 51 (Impresa Abruzzo competitività -
sviluppo - territorio), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri,
con
ricorso notificato il 20-22 novembre 2017, depositato in cancelleria il 28
novembre 2017, iscritto al n. 88 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Udito nella udienza
pubblica del 6 novembre 2018 il Giudice relatore Daria de Pretis;
udito l’avvocato dello
Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per
la notifica il 20 novembre 2017 e depositato il 28 novembre 2017 il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6,
commi 1, 2 e 6; 7, commi 6, 7, 8, lettera c), e 9; e 8, comma 2, della legge
della Regione Abruzzo 4 settembre 2017, n. 51 (Impresa Abruzzo competitività -
sviluppo - territorio) per violazione degli artt. 117, secondo
comma, lettere e), m) e s), della Costituzione.
1.1.– Dopo aver illustrato il contenuto delle
disposizioni regionali impugnate, la difesa statale svolge alcune considerazioni
generali sottolineando come gli impugnati artt. 6, 7 e 8, i quali intervengono
sulla disciplina dell’avvio delle attività economiche, si pongano in contrasto
con le disposizioni statali interposte che disciplinano il procedimento
amministrativo. In particolare, le norme indicate introdurrebbero «adempimenti
ed oneri aggiuntivi non giustificati» e quindi aggraverebbero tale
procedimento. Al riguardo, il ricorrente precisa che, ai sensi dell’art. 29,
comma 2-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni
attiene, come la disciplina della conferenza di servizi, ai livelli essenziali
delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., con la
conseguenza che alle Regioni e agli enti locali è consentito derogare solo in melius, prevedendo cioè livelli ulteriori di tutela (art.
29, comma 2-quater). è richiamato altresì l’art. 5 del decreto legislativo 25
novembre 2016, n. 222, recante «Individuazione di procedimenti oggetto di
autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio
assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili
a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7
agosto 2015, n. 124», il quale dispone che le Regioni e gli enti locali possono
derogare alla normativa statale solo prevedendo «livelli ulteriori di
semplificazione».
Le norme regionali
impugnate, inoltre, contraddirebbero i principi di accelerazione e di certezza
dei termini del procedimento, che stanno alla base della nuova disciplina della
conferenza di servizi, e il principio della concentrazione dei regimi amministrativi,
introdotto con la cosiddetta "SCIA unica” e con la "SCIA condizionata”.
Sarebbe, infine, violato il principio della unificazione e della
standardizzazione degli adempimenti amministrativi previsti per l’avvio e
l’esercizio dell’attività d’impresa. In proposito l’Avvocatura generale ricorda
che la disciplina dell’istituto della SCIA è stata ricondotta alla competenza
legislativa statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni (è richiamata la sentenza n. 164 del
2012).
1.2.– Svolte tali considerazioni generali, il
ricorrente illustra i singoli motivi di impugnazione, soffermandosi sull’art.
6, commi 1, 2 e 6, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, censurati per
violazione dell’art.
117, secondo comma, lettere e) e m), Cost.
1.2.1.– In particolare, il
comma 1 dell’art. 6 – il quale prevede la presentazione di una comunicazione
unica regionale (CUR) allo sportello unico delle attività produttive (SUAP) per
l’avvio, lo svolgimento, la trasformazione e la cessazione di attività
economiche, «nonché per l’installazione, attivazione, esercizio e sicurezza di
impianti e agibilità degli edifici funzionali alle attività economiche» – si
porrebbe in contrasto, innanzitutto, con l’art. 2, comma 1, del decreto
legislativo 30 giugno 2016, n. 126, recante «Attuazione della delega in
materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), a norma
dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», che dispone l’adozione di
«una modulistica unificata e standardizzata a livello nazionale». La difesa
statale rileva, in proposito, che questa modulistica è stata adottata dalla
Conferenza unificata con gli accordi del 4 maggio e del 6 luglio 2017, i quali
hanno statuito l’obbligo per le Regioni, «in relazione alle specifiche
normative regionali», di adeguare entro il 30 settembre 2017 i contenuti
informativi dei moduli «utilizzando le informazioni contrassegnate come
variabili». A loro volta, anche i Comuni erano tenuti ad adeguare la
modulistica entro il 20 ottobre 2017.
Da quanto appena riportato,
il ricorrente deduce l’illegittimità dell’intervento normativo regionale, nella
parte in cui prevede che per iniziare un’attività economia sia presentata al
SUAP una «dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che attesti la
presenza nel fascicolo informatico d’impresa o il rilascio da parte della
pubblica amministrazione dei documenti sulla conformità o la regolarità degli
interventi o delle attività».
Il comma 1 dell’art. 6
della legge regionale impugnata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 19-bis
della legge
n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 3 del d.lgs. n. 126 del 2016, che
regola la «concentrazione dei regimi amministrativi» prevedendo la possibilità
di una "SCIA unica” o di una "SCIA condizionata”. In particolare, la
disposizione regionale impugnata, «aggiungendo oneri formali non previsti dalla
legge statale né dall’intesa in Conferenza unificata», violerebbe il principio
di «eguaglianza delle condizioni per l’esercizio di un’attività d’impresa in
tutto il territorio nazionale», garantito dalla previsione della competenza
legislativa statale per la determinazione dei livelli essenziali.
Oggetto di specifiche
censure è anche l’ultima parte del comma 1 dell’art. 6, là dove prevede che
alla comunicazione unica regionale «non devono essere allegati documenti
aggiuntivi, il cui onere di trasmissione telematica, ai fini dell’acquisizione
al fascicolo informatico d’impresa presso la camera di commercio, resta in capo
alle pubbliche amministrazioni per il tramite del SUAP. Nel caso in cui tale
comunicazione risulti formalmente incompleta l’ufficio competente, per il
tramite del SUAP, richiede le integrazioni necessarie da trasmettersi a cura
del richiedente entro i successivi quindici giorni, pena la decadenza della
comunicazione unica regionale».
Secondo il ricorrente
questa disposizione, «nel prevedere ulteriori casi di impiego del fascicolo
informatico di impresa, sia a carico dell’amministrazione che a carico
dell’interessato», si porrebbe in contrasto con quanto previsto dall’art. 4,
comma 6, del decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui
all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle
funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura), che rimette a un decreto del Ministero dello sviluppo
economico la definizione di termini e modalità operativi per l’inserimento di
atti e provvedimenti nel fascicolo d’impresa.
1.2.2.– Il comma 2
dell’art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 stabilisce che «Entro
sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione unica regionale, le
amministrazioni competenti, verificata la regolarità della stessa, effettuano i
controlli, anche mediante la consultazione del fascicolo informatico d’impresa,
almeno nella misura minima indicata dalla Giunta regionale, e fissano, ove
necessario, un termine non inferiore a sessanta giorni per ottemperare alle
relative prescrizioni, salvo i casi in cui sussistano i vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali di cui all’articolo 19, comma 1, della legge 241/1990
o che non sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la
popolazione, con riferimento alla salute pubblica, all’ambiente e alla
sicurezza sui luoghi di lavoro. Qualora l’interessato non provveda nel termine
assegnato, l’amministrazione competente emette il provvedimento di inibizione
al proseguimento dell’attività».
Questa norma è impugnata
perché ridurrebbe «la portata della clausola di salvaguardia dei vincoli»,
rispetto a quanto è previsto dall’art. 19, comma 1, della legge n. 241 del
1990, facendo salvi solo i vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e non
anche tutti gli altri indicati nel citato art. 19.
Inoltre, l’art. 6, comma 2,
della legge regionale, prevedendo un ulteriore termine «non inferiore a
sessanta giorni» per ottemperare alle prescrizioni imposte dall’amministrazione
competente, si porrebbe in contrasto con quanto previsto dall’art. 19, comma 3,
della legge n. 241 del 1990, che dispone la fissazione «di un termine non
inferiore a trenta giorni» per l’adozione delle misure prescritte. In questo
modo – a detta della difesa statale – si avrebbe «una estensione generale dei
termini del procedimento» contraria alla ratio di semplificazione su cui si
dovrebbe fondare la normativa impugnata.
1.2.3.– Il comma 6 dell’art. 6 della legge reg. Abruzzo
n. 51 del 2017 stabilisce che «La Giunta regionale, d’intesa con il sistema
camerale, individuati i procedimenti di cui ai commi 1 e 5 e i requisiti minimi
per l’esercizio di ciascuna attività di impresa, procede alla pubblicazione
dell’elenco unitamente alla relativa modulistica sui portali dei SUAP, sul sito
delle Agenzie per le Imprese, sul sito delle camere di commercio e sul sito
della Regione Abruzzo».
Questa disposizione è
impugnata nella parte in cui rimette alla Giunta regionale il compito di individuare
i procedimenti per i quali si applica la CUR, «senza prevedere i casi in cui
alla comunicazione sia necessario allegare le attestazioni e le asseverazioni
per consentire alle amministrazioni competenti di effettuare i controlli». Al
riguardo, l’Avvocatura generale rileva che l’art. 2, comma 2, ultima parte, del
d.lgs. n. 222 del 2016 – attuando quanto previsto dall’art. 14 del decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE
relativa ai servizi nel mercato interno) – ha già individuato i procedimenti
oggetto di autorizzazione, SCIA, silenzio assenso e comunicazione, compresi i
casi in cui occorra allegare asseverazioni e certificazioni.
Pertanto, la normativa
regionale impugnata si sovrapporrebbe a quella statale, a sua volta attuativa
di quella europea, «determinando un accrescimento dell’incertezza e della
complessità normativa ed operativa, palesemente contrario al principio di
semplificazione».
In definitiva, le
disposizioni regionali in materia di CUR non assicurerebbero una maggiore
semplificazione, tale da giustificare la sostituzione della SCIA, che – ricorda
il ricorrente – attiene ai livelli essenziali delle prestazioni. La difesa
statale sottolinea in proposito come l’uniformità della disciplina a livello nazionale
del sistema comunicativo sia indispensabile al fine di evitare che le medesime
attività, dislocate in Regioni diverse, siano assoggettate a regimi
comunicativi differenti.
Per le ragioni anzidette,
il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che i commi 1, 2 e 6 dell’art.
6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 violino l’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost., in quanto «derogano […] ai livelli essenziali aggravando
il procedimento», e lettera e), Cost., in quanto «inficiano la tutela della
concorrenza, introducendo differenziazioni tra le Regioni, parimenti non
giustificate dal parametro dei "livelli maggiori di semplificazione”».
1.3.– Oggetto di specifiche impugnazioni è anche
l’art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, il quale – secondo il
ricorrente – «riscrive la disciplina della conferenza di servizi […] derogando
in peius la normativa statale generale, poiché aggrava e rende incerti i
termini dei procedimenti amministrativi, a svantaggio dei cittadini e delle
imprese». La norma de qua non prevederebbe termini
perentori per l’adozione delle determinazioni da parte delle amministrazioni
competenti, né una scansione temporale certa al fine del rispetto del termine di
conclusione del procedimento. Inoltre, l’art. 7 ometterebbe di considerare
l’esigenza di tutela degli interessi sensibili nel caso in cui siano coinvolte
amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale,
dei beni culturali o alla tutela della salute dei cittadini.
1.3.1.– In particolare,
l’Avvocatura generale rileva la scarsa chiarezza della disposizione di cui
all’art. 7, comma 6, lettera a), in quanto – nel caso in cui non sia necessario
convocare una conferenza di servizi – non sarebbe precisato entro quale termine
l’interessato debba produrre la documentazione integrativa richiesta
dall’amministrazione procedente, né ci sarebbe un rinvio all’art. 2, comma 7,
della legge n. 241 del 1990, che prevede la possibilità di sospensione di
questo termine per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta
giorni. In questo modo il legislatore abruzzese avrebbe reso incerto il termine
per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento.
Per ragioni analoghe è
impugnata anche la disposizione di cui alla lettera b) del comma 6 citato,
relativa all’ipotesi di necessaria convocazione della conferenza di servizi
(«qualora sia necessario acquisire pareri, autorizzazioni o altri atti di
assenso comunque denominati, di amministrazioni diverse da quella comunale»).
In proposito la difesa statale rileva la mancata indicazione di un termine per
l’integrazione documentale e, contestualmente, l’assenza di un rinvio all’art.
2, comma 7, della legge n. 241 del 1990; di conseguenza, sarebbe incerto sia il
termine per la convocazione della conferenza di servizi, sia quello per
l’applicazione del silenzio assenso (comma 6, lettera b, e comma 9 dell’art. 7
impugnato), che dipende dal termine per l’integrazione documentale (lettere a e
b del comma 6 del medesimo art. 7).
La disposizione contenuta
nella lettera b) del comma 6 dell’art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 51 del
2017 è altresì impugnata poiché, discostandosi da quanto previsto dall’art.
14-bis della legge n. 241 del 1990, avrebbe previsto la modalità telematica di
svolgimento dei lavori della conferenza come una scelta facoltativa
dell’amministrazione procedente e non come «la regola». Inoltre, il legislatore
regionale non avrebbe distinto i casi in cui nel procedimento siano coinvolte amministrazioni
preposte alla tutela degli interessi sensibili, in contrasto con quanto
previsto dagli artt. 14-bis e 17-bis della legge
n. 241 del 1990.
In definitiva, la
disciplina contenuta nell’impugnato art. 7, comma 6, aggraverebbe il
procedimento rendendone incerta la durata, non prevederebbe
la modalità telematica come regola e trascurerebbe la necessaria tutela
«rinforzata» degli interessi sensibili, garantita invece dalla normativa
statale. Pertanto il ricorrente ritiene che, anche per questi profili, sia
violato l’art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost.
1.3.2.– Oggetto di
specifica impugnazione è anche il comma 7 dell’art. 7 della legge reg. Abruzzo
n. 51 del 2017, il quale prevede che «[q]ualora
l’intervento sia soggetto a valutazione d’impatto ambientale (VIA) o a
valutazione ambientale strategica (VAS), verifica di VIA, verifica di VAS, a
quelle previste per le aziende a rischio d’incidente rilevante (ARIR) […], a
quelle previste per gli impianti assoggettati ad autorizzazione integrata
ambientale (AIA) […], ad autorizzazione unica per nuovo impianto di smaltimento
e di recupero dei rifiuti […], ad autorizzazione unica per impianto alimentato
ad energia rinnovabile […], oppure ad alcuno dei casi individuati dall’articolo
20, comma 4, della legge 241/1990, i termini di cui alla lettera b), del comma
6, decorrono dalla comunicazione dell’esito favorevole delle relative
procedure».
Dall’esame di questa
disposizione e di quella della lettera b) del comma 6 del medesimo art. 7, il
ricorrente deduce che la normativa regionale impugnata «configura la procedura
di VIA come una procedura autonoma rispetto a quella volta al rilascio del
provvedimento autorizzatorio, anche se ovviamente ad essa funzionalmente
collegata».
Così configurato il
rapporto tra i due procedimenti, l’Avvocatura generale rileva il contrasto
delle norme regionali indicate con l’art. 27-bis del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che disciplina il
procedimento per ottenere il rilascio di un provvedimento unico regionale. In
particolare, il comma 7 del citato art. 27-bis stabilisce che «La determinazione
motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il
provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende il provvedimento di
VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del
progetto, recandone l’indicazione esplicita». Pertanto, la normativa statale
non ammetterebbe «la scissione tra procedimento in conferenza di servizi ai
fini della VIA e ai fini dell’autorizzazione o abilitazione»; da qui
discenderebbe «un evidente aggravio della complessità» del procedimento, con
conseguente «compromissione del livello uniforme di semplificazione».
La norma di cui all’art. 7,
comma 7, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 si porrebbe in contrasto anche
con l’art. 14, comma 4, della legge
n. 241 del 1990, il quale dispone che, qualora un progetto sia sottoposto a
valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le
autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e
assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del
medesimo progetto, siano acquisiti nell’ambito di apposita conferenza di
servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell’articolo 14-ter, secondo
quanto previsto dall’articolo 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006.
Sarebbe, quindi, violata la
competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente ex art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
Al contempo, la normativa
regionale in esame, ponendosi in contrasto con gli artt. 14 e 27-bis della legge
n. 241 del 1990, che sono «norme di semplificazione amministrativa adottate
dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza in materia di
"livelli essenziali delle prestazioni”», violerebbe l’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost.
1.3.3.– è inoltre impugnato il comma 8 dell’art. 7,
nella parte in cui prevede che «Il procedimento è espressamente concluso con
provvedimento di: […] c) rigetto, che può essere adottato nei soli casi di
motivata impossibilità ad adeguare il progetto presentato per la presenza di
vizi o carenze tecniche insanabili». Il ricorrente si duole, infatti, del fatto
che siffatta disposizione limita il provvedimento di rigetto alle sole ipotesi
di vizi o carenze tecniche insanabili del progetto, «escludendo, quindi, la
possibilità di un diniego assoluto che riguardi la stessa localizzazione
dell’intervento, precludendone l’autorizzazione (cosiddetta "opzione zero”)».
Peraltro, la disposizione impugnata si applicherebbe anche quando sono
coinvolti beni culturali e paesaggistici, con conseguente violazione della
competenza legislativa statale in materia (art. 117, secondo comma,
lettera s, Cost.).
Al riguardo, l’Avvocatura
generale osserva come debba essere assicurata la possibilità per le autorità
preposte alla tutela dei beni culturali e paesaggistici di opporre un diniego o
di esprimere un parere negativo non condizionato e di proporre diverse localizzazioni;
in sostanza, cioè, di opporre un diniego per ragioni "localizzative” e non solo
un diniego "propositivo”. Al contrario, la norma impugnata precluderebbe
siffatta possibilità.
1.3.4.– Oggetto di impugnazione è anche il comma 9
dell’art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, il quale prevede che
«Decorsi dieci giorni lavorativi dal termine di cui alla lettera a) del comma
6, ovvero dalla seduta della conferenza di servizi di cui alla lettera b) del
comma 6, senza che sia stato emanato il provvedimento conclusivo, il
procedimento si intende concluso positivamente. L’efficacia del provvedimento
conclusivo è subordinata al pagamento dei corrispettivi eventualmente dovuti».
La norma in esame è
impugnata nella parte in cui, prevedendo il silenzio assenso «a valle della
conferenza di servizi», non esclude i procedimenti ad istanza di parte
riguardanti la materia dei beni culturali e del paesaggio. In proposito,
l’Avvocatura generale richiama il parere 13 luglio 2016, n. 1640, con il quale
il Consiglio di Stato ha precisato che l’istituto del silenzio assenso di cui
all’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990 «opera in tutti i procedimenti che
prevedano una fase co-decisoria necessaria di competenza di altra
amministrazione (silenzio assenso "orizzontale”)» e non anche nei casi in cui
la richiesta proviene dal privato destinatario dell’atto, anziché
dall’amministrazione procedente. In questa ipotesi trova applicazione l’art. 20
della legge n. 241 del 1990, che esclude l’operatività del silenzio assenso nel
caso di interessi sensibili.
Pertanto, il comma 9
dell’art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, analogamente al precedente
comma 8, violerebbe l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla competenza
legislativa statale la materia della tutela dei beni culturali e del paesaggio.
Sarebbero, altresì, violate le norme interposte di cui agli artt. 21 e 146 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio,
ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
1.4.– Da ultimo è impugnato
l’art. 8, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, il quale prevede
che «In ogni caso, le irregolarità riscontrate in sede di verifica derivanti
dall’inosservanza dei requisiti minimi pubblicati ai sensi dell’articolo 6,
comma 7, non possono dare luogo a provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività senza che prima sia stato concesso un termine congruo per la
regolarizzazione non inferiore a centottanta giorni, salvo non sussistano
irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione, l’ambiente
o l’ordine pubblico. Le pubbliche amministrazioni, all’esito di procedimenti di
verifica, non possono richiedere adempimenti ulteriori né irrogare sanzioni che
non riguardino esclusivamente il rispetto dei requisiti minimi».
La difesa statale
sottolinea come l’art. 6, comma 7, sia richiamato in riferimento, tra l’altro,
ai «controlli espletati dalle autorità competenti», fra i quali sono compresi i
controlli in materia di autorizzazione integrata ambientale (AIA). Pertanto, il
combinato disposto dell’art. 8, comma 2, e dell’art. 6, comma 7, della legge
regionale impugnata porterebbe a concludere che, anche nei casi in cui a
seguito dei controlli in materia di AIA emergessero irregolarità, sarebbe
impossibile vietare la prosecuzione dell’attività senza la previa concessione
di «un termine congruo per la regolarizzazione non inferiore a centottanta
giorni, salvo non sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli
per la popolazione, l’ambiente o l’ordine pubblico».
Sarebbe quindi violato l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in relazione all’art. 29-decies, comma 9, del d.lgs.
n. 152 del 2006, il quale prevede una serie di misure, a seconda della
gravità delle infrazioni: diffida, diffida e contestuale sospensione
dell’attività, revoca dell’autorizzazione e chiusura dell’installazione,
chiusura dell’installazione.
Il legislatore regionale,
limitando l’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività
ai soli casi di «irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la
popolazione, l’ambiente o l’ordine pubblico», avrebbe palesemente vanificato il
sistema di tutela degli interessi ambientali, apprestato dall’art. 29-decies,
comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006 con conseguente violazione del parametro
costituzionale indicato.
2.– La Regione Abruzzo non
si è costituita.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6, commi
1, 2 e 6; 7, commi 6, 7, 8, lettera c), e 9; e 8, comma 2, della legge della
Regione Abruzzo 4 settembre 2017, n. 51 (Impresa Abruzzo competitività -
sviluppo - territorio), per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere
e), m) e s), della Costituzione e di numerose norme statali interposte.
2.– La legge reg. Abruzzo
n. 51 del 2017 è espressamente finalizzata a promuovere «la crescita
competitiva e la capacità di innovazione del sistema produttivo e
l’attrattività del contesto territoriale e sociale abruzzese nel rispetto dei
principi di responsabilità, sussidiarietà e fiducia, garantendo la libera
iniziativa economica in armonia con l’articolo 41 della Costituzione» (art. 1,
comma 1). Significativo in tale senso è il titolo della legge («Impresa Abruzzo
competitività – sviluppo – territorio»), che evidenzia le finalità perseguite
(«competitività» e «sviluppo»), individuando i principali destinatari delle sue
norme («Impresa») e le modalità con cui conseguire le finalità stesse
(valorizzazione del «territorio»).
Le censure del Presidente
del Consiglio si appuntano su alcune disposizioni contenute in tre articoli: il
6 (Semplificazione), il 7 (Amministrazione unica) e l’8 (Sistema integrato dei
controlli). Più precisamente, le norme impugnate modificano la disciplina di
alcuni profili del procedimento amministrativo, in asserito contrasto con
quanto previsto dalla normativa statale, in particolare con quella risultante a
seguito dell’entrata in vigore dei decreti attuativi della delega contenuta
nella legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).
Sempre in via preliminare
deve essere precisato che la legge regionale impugnata non incide (nel senso
che non abroga espressamente alcuna disposizione né apporta modificazioni o
integrazioni) sul testo della preesistente (e tuttora vigente) normativa
regionale in materia di procedimento amministrativo, dettata dalla legge della
Regione Abruzzo 1° ottobre 2013, n. 31 (Legge organica in materia di
procedimento amministrativo, sviluppo dell’amministrazione digitale e
semplificazione del sistema amministrativo regionale e locale e modifiche alle
LL.RR. n. 2 del 2013 e n. 20 del 2013). Il legislatore abruzzese è intervenuto,
dunque, al di fuori della disciplina generale sul procedimento amministrativo
dettata con la citata legge reg. Abruzzo n. 31 del 2013, al solo fine di
adeguare taluni istituti agli obiettivi sopra indicati.
3.– Un primo gruppo di
questioni riguarda i commi 1, 2 e 6 dell’art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51
del 2017.
3.1.– Il comma 1 dispone:
«In attuazione dell’articolo 9 della legge n. 180 del 2011 e successive
modificazioni ed integrazioni, i procedimenti amministrativi relativi
all’avvio, svolgimento, trasformazione e cessazione di attività economiche,
nonché per l’installazione, attivazione, esercizio e sicurezza di impianti e
agibilità degli edifici funzionali alle attività economiche, il cui esito
dipenda esclusivamente dal rispetto di requisiti e prescrizioni di leggi,
regolamenti o disposizioni amministrative vigenti, sono sostituiti da una
comunicazione unica regionale resa al SUAP dal legale rappresentante
dell’impresa ovvero dal titolare dell’attività economica, sotto forma di
dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che attesti la presenza nel
fascicolo informatico d’impresa o il rilascio da parte della pubblica
amministrazione dei documenti sulla conformità o la regolarità degli interventi
o delle attività. L’avvio dell’attività è contestuale alla comunicazione unica
regionale, alla quale non devono essere allegati documenti aggiuntivi, il cui
onere di trasmissione telematica, ai fini dell’acquisizione al fascicolo
informatico d’impresa presso la camera di commercio, resta in capo alle
pubbliche amministrazioni per il tramite del SUAP. Nel caso in cui tale comunicazione
risulti formalmente incompleta l’ufficio competente, per il tramite del SUAP,
richiede le integrazioni necessarie da trasmettersi a cura del richiedente
entro i successivi quindici giorni, pena la decadenza della comunicazione unica
regionale».
Ai sensi del richiamato
art. 9 della legge 11 novembre 2011, n. 180 (Norme per la tutela della libertà
d’impresa. Statuto delle imprese), «[l]e pubbliche amministrazioni di cui
all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni, informano i rapporti con le imprese ai principi di trasparenza,
di buona fede e di effettività dell’accesso ai documenti amministrativi, alle
informazioni e ai servizi svolgendo l’attività amministrativa secondo criteri
di economicità, di efficacia, di efficienza, di tempestività, di imparzialità,
di uniformità di trattamento, di proporzionalità e di pubblicità, riducendo o
eliminando, ove possibile, gli oneri meramente formali e burocratici relativi
all’avvio dell’attività imprenditoriale e all’instaurazione dei rapporti di
lavoro nel settore privato, nonché gli obblighi e gli adempimenti non
sostanziali a carico dei lavoratori e delle imprese» (comma 1).
Tornando alle disposizioni impugnate,
il comma 2 dell’art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 stabilisce:
«Entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione unica regionale, le
amministrazioni competenti, verificata la regolarità della stessa, effettuano i
controlli, anche mediante la consultazione del fascicolo informatico d’impresa,
almeno nella misura minima indicata dalla Giunta regionale, e fissano, ove
necessario, un termine non inferiore a sessanta giorni per ottemperare alle
relative prescrizioni, salvo i casi in cui sussistano i vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali di cui all’articolo 19, comma 1, della legge n. 241
del 1990 o che non sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli
per la popolazione, con riferimento alla salute pubblica, all’ambiente e alla
sicurezza sui luoghi di lavoro. Qualora l’interessato non provveda nel termine
assegnato, l’amministrazione competente emette il provvedimento di inibizione
al proseguimento dell’attività».
Infine, il comma 6 prevede:
«La Giunta regionale, d’intesa con il sistema camerale, individuati i
procedimenti di cui ai commi 1 e 5 e i requisiti minimi per l’esercizio di
ciascuna attività di impresa, procede alla pubblicazione dell’elenco unitamente
alla relativa modulistica sui portali dei SUAP, sul sito delle Agenzie per le
Imprese, sul sito delle camere di commercio e sul sito della Regione Abruzzo».
Per completezza occorre
aggiungere che il comma 5, non impugnato ma richiamato dalla disposizione di
cui al comma 6, dispone: «Tutti i procedimenti disciplinati da norme regionali
finalizzati all’iscrizione ad albi o registri comunque denominati sono
sostituiti da una comunicazione unica regionale del legale rappresentante
dell’impresa regolarmente iscritta nel registro delle imprese, trasmessa alla camera
di commercio che provvede al suo inoltro all’autorità presso cui è istituito
l’albo. L’iscrizione all’albo decorre dalla data di invio della comunicazione
unica regionale. L’autorità competente alla tenuta dell’albo dispone gli
accertamenti e i controlli sul possesso dei requisiti e adotta gli eventuali
provvedimenti di cancellazione».
3.2.– Le norme di cui ai commi 1, 2 e 6 dell’art.
6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 sono impugnate per violazione della
competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni (art.
117, secondo comma, lettera m, Cost.) e in materia di tutela della concorrenza
(art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), per il tramite di plurime norme
interposte.
Pur nella diversità dei
parametri interposti evocati dal ricorrente, le censure mosse alle indicate
disposizioni devono essere esaminate congiuntamente, perché tutte legate da
un’unica ragione di impugnazione. Il Presidente del Consiglio dei ministri
lamenta, infatti, l’illegittimità costituzionale della scelta del legislatore
abruzzese (che trova compiuta realizzazione nel comma 1 dell’art. 6) di
sostituire «i procedimenti amministrativi relativi all’avvio, svolgimento,
trasformazione e cessazione di attività economiche, nonché per l’installazione,
attivazione, esercizio e sicurezza di impianti e agibilità degli edifici
funzionali alle attività economiche» con una comunicazione unica regionale
(CUR) resa allo sportello unico delle attività produttive (SUAP).
A questa previsione si
collegano le altre censurate, contenute nei commi 2 e 6, che fanno riferimento
alla CUR. Di qui la necessità per questa Corte di esaminare preliminarmente le
censure mosse al comma 1 dell’art. 6.
3.2.1.– In relazione al
citato comma 1, il ricorrente ritiene che i parametri costituzionali evocati
siano violati per il tramite delle norme interposte di cui all’art. 2, comma 1,
del decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 126, recante «Attuazione della
delega in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), a
norma dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», e all’art. 19-bis
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), introdotto
dall’art. 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 126 del 2016. Inoltre, in
riferimento all’ultima parte dell’art. 6, comma 1, che prevede ulteriori casi
di impiego del fascicolo informatico d’impresa, il ricorrente lamenta anche la
violazione dell’art. 4, comma 6, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n.
219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015,
n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura).
In particolare, l’art. 2,
comma 1, del d.lgs. n. 126 del 2016 stabilisce che «[l]e amministrazioni
statali, con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro
delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, adottano moduli unificati e standardizzati che definiscono
esaustivamente, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa
organizzazione dei dati delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni
di cui ai decreti da adottare ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 124 del
2015, nonché della documentazione da allegare. I suddetti moduli prevedono, tra
l’altro, la possibilità del privato di indicare l’eventuale domicilio digitale
per le comunicazioni con l’amministrazione. Per la presentazione di istanze,
segnalazioni o comunicazioni alle amministrazioni regionali o locali, con
riferimento all’edilizia e all’avvio di attività produttive, i suddetti moduli
sono adottati, in attuazione del principio di leale collaborazione, in sede di
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del
1997, con accordi ai sensi dell’articolo 9 dello stesso decreto legislativo o
con intese ai sensi della legge 5 giugno 2003, n. 131, tenendo conto delle
specifiche normative regionali».
Il legislatore delegato del
2016 ha distinto, dunque, la presentazione di istanze, segnalazioni o
comunicazioni alle amministrazioni statali da quella alle amministrazioni
regionali o locali. Per le prime ha previsto che adottino moduli unificati e
standardizzati; per le seconde, invece, ha disposto che, «in attuazione del
principio di leale collaborazione», i relativi moduli (unificati e
standardizzati) siano adottati in sede di Conferenza unificata con accordi o
con intese. Si è cercato in questo modo di conciliare l’esigenza di uniformità
(dei modelli di comunicazione) con quella di tutela delle competenze
legislative regionali, assicurando il coinvolgimento delle Regioni e degli enti
locali mediante la previsione di accordi o intese in sede di Conferenza
unificata.
La disposizione dell’art.
2, comma 1, del d.lgs. n. 126 del 2016 ha trovato attuazione con l’accordo in
Conferenza unificata del 4 maggio 2017, modificato poi con l’accordo in
Conferenza unificata del 6 luglio 2017 e con l’accordo in Conferenza unificata
del 22 febbraio 2018. Con questi accordi sono stati adottati i moduli unificati
e standardizzati per la presentazione delle segnalazioni, comunicazioni e
istanze in materia di attività commerciali e assimilate, e in materia di
attività edilizia.
Ancora prima del d.lgs. n.
126 del 2016, l’art. 24 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti
per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli
uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014,
n. 114, ha introdotto previsioni analoghe, stabilendo: «Entro centottanta
giorni dall’entrata in vigore del presente decreto le amministrazioni statali,
ove non abbiano già provveduto, adottano con decreto del Ministro competente,
di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica
amministrazione, sentita la Conferenza unificata, moduli unificati e
standardizzati su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze,
dichiarazioni e segnalazioni da parte dei cittadini e delle imprese, che
possono essere utilizzati da cittadini e imprese decorsi trenta giorni dalla
pubblicazione dei relativi decreti» (comma 2).
E soprattutto il comma 3
del citato art. 24 ha stabilito: «Il Governo, le regioni e gli enti locali, in
attuazione del principio di leale collaborazione, concludono, in sede di
Conferenza unificata, accordi ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno
2003, n. 131, per adottare, tenendo conto delle specifiche normative regionali,
una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per
la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di
istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all’edilizia e all’avvio
di attività produttive. Le pubbliche amministrazioni regionali e locali
utilizzano i moduli unificati e standardizzati nei termini fissati con i
suddetti accordi o intese; i cittadini e le imprese li possono comunque
utilizzare decorsi trenta giorni dai medesimi termini».
Inoltre, il comma 4 del
citato art. 24 ha così qualificato le norme in materia: «Ai sensi dell’articolo
117, secondo comma, lettere e), m) e r), della Costituzione, gli accordi sulla
modulistica per l’edilizia e per l’avvio di attività produttive conclusi in
sede di Conferenza unificata sono rivolti ad assicurare la libera concorrenza,
costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale,
assicurano il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale al fine di agevolare
l’attrazione di investimenti dall’estero».
Secondo l’art. 29 della
legge n. 241 del 1990, nel testo vigente a seguito delle modifiche operate, da
ultimo, dal citato d.lgs. n. 126 del 2016, «[a]ttengono
ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma,
lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti
gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione
dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di
concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla
documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei
procedimenti» (comma 2-bis). In base al comma 2-ter,
«[a]ttengono altresì ai livelli essenziali delle
prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la presentazione
di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la dichiarazione di inizio attività e
il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di
individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni,
casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano». Il comma 2-quater
dispone poi che «[l]e regioni e gli enti locali, nel disciplinare i
procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie
inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono
prevedere livelli ulteriori di tutela».
Inoltre, il decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 222, recante «Individuazione di procedimenti
oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività
(SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi
amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi
dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», ha provveduto a individuare
i procedimenti oggetto, tra l’altro, di SCIA e di comunicazione (si veda, in
particolare, l’allegato A al medesimo decreto).
Infine, l’altra norma
interposta, l’art. 19-bis della legge n. 241 del 1990 (introdotto dall’art. 3,
comma 1, lettera c, del d.lgs. n. 126 del 2016), rubricato «Concentrazione dei
regimi amministrativi», dispone quanto segue: «1. Sul sito istituzionale di
ciascuna amministrazione è indicato lo sportello unico, di regola telematico,
al quale presentare la SCIA, anche in caso di procedimenti connessi di
competenza di altre amministrazioni ovvero di diverse articolazioni interne
dell’amministrazione ricevente. Possono essere istituite più sedi di tale
sportello, al solo scopo di garantire la pluralità dei punti di accesso sul
territorio. 2. Se per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA sono
necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche,
l’interessato presenta un’unica SCIA allo sportello di cui al comma 1.
L’amministrazione che riceve la SCIA la trasmette immediatamente alle altre
amministrazioni interessate al fine di consentire, per quanto di loro
competenza, il controllo sulla sussistenza dei requisiti e dei presupposti per
lo svolgimento dell’attività e la presentazione, almeno cinque giorni prima
della scadenza dei termini di cui all’articolo 19, commi 3 e 6-bis, di
eventuali proposte motivate per l’adozione dei provvedimenti ivi previsti. 3.
Nel caso in cui l’attività oggetto di SCIA è condizionata all’acquisizione di
atti di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni,
ovvero all’esecuzione di verifiche preventive, l’interessato presenta allo
sportello di cui al comma 1 la relativa istanza, a seguito della quale è
rilasciata ricevuta ai sensi dell’articolo 18-bis. In tali casi, il termine per
la convocazione della conferenza di cui all’articolo 14 decorre dalla data di
presentazione dell’istanza e l’inizio dell’attività resta subordinato al
rilascio degli atti medesimi, di cui lo sportello dà comunicazione
all’interessato».
3.3.– Le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 6, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 sono fondate.
Dal quadro normativo sopra
riportato emerge chiaramente come le disposizioni statali interposte (art. 2,
comma 1, del d.lgs. n. 126 del 2016 e art. 19-bis della legge n. 241 del 1990)
siano rivolte a snellire le modalità di avvio, di svolgimento e di cessazione
delle attività economiche, prevedendo la semplificazione delle procedure e la
loro uniformità su tutto il territorio nazionale. Uniformità, come visto,
assicurata attraverso una modulistica unificata e standardizzata predisposta a
seguito di un adeguato coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali (nel
caso di istanze, segnalazioni o comunicazioni alle amministrazioni regionali o
locali).
La norma regionale
impugnata – prevedendo «una comunicazione unica regionale [CUR] resa al SUAP
dal legale rappresentante dell’impresa ovvero dal titolare dell’attività
economica, sotto forma di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che
attesti la presenza nel fascicolo informatico d’impresa o il rilascio da parte
della pubblica amministrazione dei documenti sulla conformità o la regolarità
degli interventi o delle attività» – ha introdotto una nuova forma di
comunicazione che sostituisce quelle già previste dal legislatore statale (art.
2, comma 1, del d.lgs. n. 126 del 2016).
Per espressa menzione del
comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, la CUR
"sostituisce” – relativamente alle attività ivi indicate e cioè «all’avvio,
svolgimento, trasformazione e cessazione di attività economiche, nonché per
l’installazione, attivazione, esercizio e sicurezza di impianti e agibilità
degli edifici funzionali alle attività economiche» – i procedimenti
amministrativi «il cui esito dipenda esclusivamente dal rispetto di requisiti e
prescrizioni di leggi, regolamenti o disposizioni amministrative vigenti».
La previsione regionale
appena citata non coincide con quella statale dell’art. 2, comma 1, del d.lgs.
n. 126 del 2016 (che invece fa riferimento «all’edilizia e all’avvio di attività
produttive»), e soprattutto non realizza una evidente semplificazione del
procedimento, finendo anzi per tradursi in un’inutile complicazione per gli
operatori economici che, di volta in volta, dovranno preventivamente stabilire
se, ed eventualmente in che misura, essi sono tenuti alla CUR o alle diverse
forme di comunicazione previste dalla normativa statale. In altre parole,
l’intervento del legislatore abruzzese, lungi dal perseguire l’obiettivo
dichiarato di realizzare una forma di «[s]emplificazione»
(così la rubrica dell’art. 6), comporta un aggravamento degli oneri cui sono
tenuti i legali rappresentanti di un’impresa o i titolari di un’attività
economica.
Da questo punto di vista,
la previsione statale di «moduli unificati e standardizzati» – peraltro
concordati con le Regioni nel caso di «istanze, segnalazioni o comunicazioni
alle amministrazioni regionali o locali» – contribuisce ad assicurare livelli
uniformi di semplificazione su tutto il territorio nazionale e, al tempo
stesso, a porre gli operatori economici nelle medesime condizioni di partenza.
Ciò non esclude, in linea di principio, che una Regione possa dotarsi di una
normativa che preveda «livelli ulteriori di tutela», secondo l’indicazione
fornita dal legislatore statale (art. 29, comma 2-quater, della legge n. 241
del 1990) sul modello di quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost. La Regione può perciò intervenire su specifici profili o segmenti del
procedimento amministrativo delineato dalla legge statale, variandoli in senso
migliorativo in termini di semplicità, snellezza o speditezza. Così, per
esempio, fermo restando il rispetto delle attribuzioni statali in altre
materie, potrebbe ridurre i termini assegnati all’amministrazione per
provvedere o eliminare singoli passaggi procedimentali. Ciò che invece resta
precluso al legislatore regionale è di introdurre un modello procedimentale
completamente nuovo e incompatibile con quello definito a livello statale,
giacché un intervento di questo tipo, anche se, come nel caso in esame, si autoqualificasse come diretto a perseguire l’obiettivo
della semplificazione, per un verso sarebbe di assai difficile, se non
impossibile, raffronto con quello statale al fine di apprezzarne la maggiore o
minore semplificazione, e per altro verso finirebbe per complicare le attività
connesse allo svolgimento di un’impresa, imponendo ai suoi destinatari l’onere
aggiuntivo della non facile individuazione della normativa in concreto
applicabile.
Per queste ragioni, la
disposizione contenuta all’art. 6, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 51 del
2017 viola l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., con assorbimento di
ogni altro profilo di censura.
L’illegittimità
costituzionale dell’intero comma 1 dell’art. 6 assorbe le specifiche censure
rivolte all’ultima parte dello stesso comma, impugnata per violazione dei
medesimi parametri costituzionali ma in relazione a una diversa norma statale
interposta (art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219 del 2016).
Va pertanto dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge reg. Abruzzo
n. 51 del 2017.
3.4.– Anche le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017
sono fondate.
Tale disposizione fa decorrere
dal ricevimento della CUR il termine entro il quale le amministrazioni
competenti, verificata la regolarità della comunicazione, effettuano i
controlli e fissano, eventualmente, un termine non inferiore a sessanta giorni
per ottemperare alle relative prescrizioni. Sono fatti salvi «i casi in cui in
cui sussistano i vincoli ambientali, paesaggistici o culturali di cui
all’articolo 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990 o che non sussistano
irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione, con
riferimento alla salute pubblica, all’ambiente e alla sicurezza sui luoghi di
lavoro».
Questa disposizione è
impugnata per l’asserito contrasto con gli stessi parametri costituzionali
evocati per il comma 1 (art. 117, secondo comma, lettere e e
m, Cost.), ma in relazione alle norme interposte di
cui ai commi 1 e 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 (Segnalazione
certificata di inizio attività – Scia), che sarebbero violati: a) perché la
norma impugnata ridurrebbe la portata della clausola di salvaguardia dei
vincoli rispetto a quanto è previsto dal citato art. 19, comma 1, facendo salvi
solo i vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e non anche tutti gli
altri indicati nella disposizione statale; b) perché la norma impugnata, prevedendo
un ulteriore termine «non inferiore a sessanta giorni» per ottemperare alle
prescrizioni imposte dall’amministrazione competente, si porrebbe in contrasto
con quanto previsto dal citato art. 19, comma 3, che dispone la fissazione «di
un termine non inferiore a trenta giorni» per l’adozione delle misure
prescritte. Ciò comporterebbe «una estensione generale dei termini del
procedimento» contraria alla ratio di semplificazione su cui si fonda la
normativa impugnata.
Come già rilevato (punto
3.2), le questioni promosse nei confronti dei commi 1, 2 e 6 dell’art. 6 sono
legate da un’unica ragione di impugnazione, individuabile nel comune
riferimento alla CUR. In particolare, nel caso del comma 2, i controlli svolti
dalle amministrazioni competenti hanno inizio entro sessanta giorni dal
ricevimento della CUR. La dichiarazione di illegittimità costituzionale del
comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017, che disciplina
questa forma di comunicazione, fa dunque venir meno il dies
a quo del termine per l’effettuazione dei controlli.
Ciò nondimeno, il comma 2
potrebbe sopravvivere se il riferimento alla CUR – a seguito dell’accertata
incostituzionalità della norma che la prevede – fosse inteso come relativo alle
forme di comunicazione previste dalla normativa statale. Per quanto questa
operazione non si presenti agevole, stante la radicale diversità delle
procedure, regionale e statale, in questione, è necessario prendere in esame le
specifiche censure mosse nei confronti del citato comma 2.
Quanto al primo parametro
interposto (art. 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990), la norma regionale
impugnata prevede una clausola di salvaguardia decisamente più limitata di
quella prevista dalla norma statale, la quale esclude tutti i «casi in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti
rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica
sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione
della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti
concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco,
nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e
di quelli imposti dalla normativa comunitaria».
Anche a voler fare
riferimento in via integrativa alla previsione dell’art. 6, comma 12, della
legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 – che prevede un elenco (più ampio di quello
di cui all’impugnato comma 2) di casi nei quali non trovano applicazione le
disposizioni del medesimo art. 6 – permane una significativa differenza tra la
portata della clausola di salvaguardia prevista dalla normativa regionale e
quella dell’analoga clausola posta nella normativa statale, che fissa i livelli
uniformi di tutela degli interessi cosiddetti sensibili, non sacrificabili in
nome dell’esigenza di semplificazione.
Quanto al secondo parametro
interposto (art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990), la norma regionale
impugnata effettivamente amplia – rispetto alla disposizione statale – il
termine concesso al privato per adottare le misure prescritte
dall’amministrazione competente, determinando pertanto un allungamento dei
tempi del procedimento. Rileva in tale senso l’autoqualificazione operata dal
legislatore statale, che, nell’art. 29, comma 2-bis, della legge n. 241 del
1990, riconduce alla competenza statale in materia di livelli essenziali delle
prestazioni le disposizioni della stessa legge concernenti, tra l’altro, «la
durata massima dei procedimenti». Come questa Corte ha ripetutamente affermato
(ex plurimis, sentenze n. 140,
n. 137, n. 94 e n. 87 del 2018),
la validità delle norme recanti autoqualificazioni di
questo tipo non può essere assunta come presupposto indiscusso per la
valutazione della legittimità costituzionale delle disposizioni che le
contengono o che – come nell’odierno giudizio – si pongono in contrasto con
esse, ma deve essere sottoposta a verifica in relazione al suo oggetto e alla
sua ratio, in modo da identificare correttamente l’interesse tutelato.
Nel caso di specie, le
disposizioni statali relative alla durata massima dei procedimenti rispondono
pienamente alla ratio sottesa alla determinazione di livelli uniformi di tutela
(come del resto riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 207 del
2012), che non possono essere derogati nemmeno quando – come nel caso in
esame – l’eventuale estensione operi a favore del privato, non solo e non tanto
per mantenere il procedimento amministrativo entro il termine massimo ritenuto
ragionevole dal legislatore statale, ma anche per tutelare eventuali soggetti
terzi che potrebbero avere interesse a che il privato istante adotti le
prescrizioni richieste nei tempi fissati.
Per queste ragioni si deve
concludere che l’art. 6, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 viola
l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.. con
assorbimento di ogni altro profilo di censura. Va pertanto dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge reg. Abruzzo
n. 51 del 2017.
3.5.– È fondata anche la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017.
Tale norma è impugnata
nella parte in cui rimette alla Giunta regionale il compito di individuare i
procedimenti per i quali si applica la CUR, senza prevedere i casi in cui alla
comunicazione occorra allegare le attestazioni e le asseverazioni necessarie
per consentire alle amministrazioni competenti di effettuare i controlli. Secondo
il ricorrente questa norma si porrebbe in contrasto – oltre che con gli stessi
parametri costituzionali indicati in relazione ai commi 1 e 2 – con l’art. 2,
comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 222 del 2016, il quale, attuando quanto
previsto dall’art. 14 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione
della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), già
individua i procedimenti oggetto di autorizzazione, SCIA, silenzio assenso e
comunicazione, compresi i casi in cui occorra allegare asseverazioni e
certificazioni.
La questione del comma 6
dell’art. 6 si presenta strettamente collegata a quella relativa al comma 1,
non fosse altro che per l’esplicito richiamo ai procedimenti ivi indicati.
Pertanto è evidente che la declaratoria di illegittimità costituzionale del
comma 1 dell’art. 6 comporta inevitabilmente anche l’illegittimità del comma 6,
limitatamente al richiamo da esso operato ai procedimenti del comma 1. Per le
stesse ragioni indicate in relazione al comma 1, deve quindi essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, nella parte in cui fa
riferimento ai «procedimenti di cui ai commi 1 e 5», anziché ai soli
«procedimenti di cui al comma 5», che, come detto, non è oggetto di
impugnazione (punto 3.1).
4.– Un secondo gruppo di
questioni riguarda l’art. 7, comma 6, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017.
Al riguardo occorre distinguere quelle attinenti la lettera a) del comma 6 da
quelle relative alla lettera b).
4.1.– La questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, comma 6, lettera a), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 è
fondata.
Questa norma è impugnata
per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto – per
il caso in cui non sia necessario convocare una conferenza di servizi – non
preciserebbe entro quale termine l’interessato deve produrre la documentazione
integrativa richiesta dall’amministrazione procedente, né opererebbe un rinvio
all’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990, che prevede la possibilità di
sospensione di questo termine per una sola volta e per un periodo non superiore
a trenta giorni. In questo modo il legislatore abruzzese avrebbe reso incerto
il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento.
La disposizione impugnata
deve essere letta congiuntamente al precedente comma 5 (non impugnato), il
quale prevede: «La domanda di avvio del procedimento è presentata
esclusivamente in via telematica al SUAP. Entro quindici giorni lavorativi dal
ricevimento, il SUAP, sulla base delle verifiche effettuate in via telematica
dagli uffici competenti, può richiedere all’interessato la documentazione
integrativa; decorso tale termine la domanda si intende completa e
correttamente presentata».
In effetti, la disposizione
impugnata si limita a stabilire che, in questo caso (cioè «qualora non sia
necessario acquisire, esclusivamente in via telematica, pareri, autorizzazioni
o altri atti di assenso comunque denominati di amministrazioni diverse da
quella comunale»), il SUAP adotta il provvedimento conclusivo entro dieci
giorni lavorativi «decorso il termine di cui al comma 5 ovvero dal ricevimento
delle integrazioni». In sostanza, se il SUAP richiede una documentazione
integrativa, la durata del procedimento dipende da un evento incerto nel quando
(oltre che nell’an), cioè dal ricevimento delle
integrazioni. Il legislatore regionale non precisa, quindi, né nella
disposizione impugnata, né nelle altre che compongono l’art. 7, il termine
entro il quale deve essere prodotta la documentazione integrativa. Peraltro –
come rilevato dal ricorrente – la disposizione de qua non contiene alcun rinvio
all’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990, che prevede la possibilità di
sospensione del termine in esame per una sola volta e per un periodo non superiore
a trenta giorni.
Come già messo in evidenza,
il comma 2-bis dell’art. 29 della legge n. 241 del 1990 qualifica –
correttamente, ad avviso di questa Corte – come attinenti ai livelli essenziali
delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. «le disposizioni della presente legge concernenti gli
obblighi per la pubblica amministrazione […] di concluder[e il procedimento]
entro il termine prefissato […], nonché quelle relative alla durata massima dei
procedimenti». Nel caso di specie, l’assenza di un termine prefissato per la
conclusione del procedimento comporta invece un’inevitabile incertezza sui
tempi della "prestazione” che l’amministrazione competente è chiamata a fornire
al richiedente.
Al riguardo occorre
osservare che un eventuale intervento meramente ablatorio di questa Corte
farebbe venir meno la previsione del «ricevimento delle integrazioni» come dies a quo per il computo del termine entro il quale
adottare il provvedimento conclusivo, con la conseguenza che, al fine di
garantire la certezza della durata del procedimento, sarebbe irrimediabilmente
compromesso il diritto dell’interessato di produrre la documentazione
integrativa. D’altro canto, il ricorrente impugna questa disposizione nella
parte in cui non precisa il termine per la produzione di questi documenti né
opera un rinvio all’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990.
Per le anzidette ragioni,
questa Corte – non potendosi sostituire al legislatore regionale nella
determinazione del termine per produrre la documentazione integrativa – può
assicurare la conformità a Costituzione della disposizione impugnata solo
operando un’addizione chiaramente desumibile dal quadro normativo statale. Per
queste ragioni deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.
7, comma 6, lettera a), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 nella parte in
cui non rinvia all’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990 al fine di
individuare il termine relativo alla produzione dei documenti integrativi.
4.2.– La questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 è
solo in parte fondata.
Questa disposizione è
impugnata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., sotto
tre differenti profili: 1) innanzitutto, perché – analogamente a quanto si è
visto per l’art. 7, comma 6, lettera a) – non prevedendo un termine per
l’integrazione documentale e non operando il rinvio all’art. 2, comma 7, della
legge n. 241 del 1990, aggraverebbe il procedimento rendendone incerta la
durata; 2) in secondo luogo, perché – violando la norma interposta di cui
all’art. 14-bis della legge n. 241 del 1990 – non prevederebbe
la modalità telematica come regola; 3) in terzo luogo, perché – violando la
norma interposta di cui all’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990 – non
avrebbe distinto i casi in cui nel procedimento sono coinvolte amministrazioni
preposte alla tutela degli interessi sensibili, non assicurando quindi la
tutela «rinforzata» di tali interessi, necessariamente garantita invece dalla
normativa statale.
4.2.1.– Quanto al primo profilo di censura, può
estendersi a questa norma quanto già affermato in relazione all’art. 7, comma
6, lettera a). Anche in questo caso (qualora cioè sia necessario convocare una conferenza
di servizi), il legislatore regionale si è limitato a indicare nel «ricevimento
delle integrazioni» il dies a quo per la convocazione
della conferenza, senza operare alcun rinvio all’art. 2, comma 7, della legge
n. 241 del 1990.
In presenza del medesimo
dato letterale della disposizione impugnata, dei medesimi parametri e delle
stesse ragioni di impugnazione, questa Corte non può che ribadire quanto già
affermato in relazione alla disposizione della lettera a). Pertanto deve essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 6, lettera b),
della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 nella parte in cui non rinvia all’art.
2, comma 7, della legge n. 241 del 1990 al fine di individuare il termine
relativo alla produzione dei documenti integrativi.
4.2.2.– Quanto al secondo profilo di censura,
relativo alla violazione della competenza statale prevista all’art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost. per contrasto con la norma interposta dell’art.
14-bis della legge n. 241 del 1990, il ricorrente si duole del fatto che la
norma impugnata non preveda la modalità telematica come regola.
4.2.2.1.– È preliminarmente necessario richiamare la
disciplina della conferenza di servizi, originariamente prevista all’art. 14
della legge n. 241 del 1990 e ripetutamente modificata e integrata negli anni
successivi, da ultimo con il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme
per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione
dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124). Con questa più recente
innovazione il legislatore statale ha inteso rimediare alle disfunzioni
registrate nella prassi prevedendo, essenzialmente, tre strumenti: la
conferenza semplificata; la conferenza simultanea e i rappresentanti unici; il
meccanismo di opposizione successiva in caso di dissensi qualificati. Queste
tre novità concernono la sola conferenza cosiddetta decisoria e non riguardano
invece quella cosiddetta istruttoria (prevista al novellato art. 14, comma 1,
della legge n. 241 del 1990).
In questa sede vengono in
rilievo solo le forme e le modalità con cui può avere luogo la conferenza
decisoria, disciplinata al comma 2 dell’art. 14. In base a quanto disposto dal
successivo art. 14-bis (Conferenza semplificata), questo tipo di conferenza si
svolge di regola (e salvi i casi poi precisati ai commi 6 e 7 dello stesso
articolo) in forma semplificata e in modalità asincrona (comma 1). In questo
tipo di conferenza le comunicazioni avvengono secondo quanto previsto dall’art.
47 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione
digitale), cioè «mediante l’utilizzo della posta elettronica o in cooperazione
applicativa», essendo altresì previsto che «[i]l documento può essere, altresì,
reso disponibile previa comunicazione delle modalità di accesso telematico allo
stesso».
Scaduto il termine entro il
quale le amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni,
l’amministrazione procedente – se ha acquisito esclusivamente atti di assenso
non condizionato, anche implicito, o se ritiene, sentiti i privati e le altre
amministrazioni interessate, che le condizioni e prescrizioni eventualmente
indicate possano essere accolte senza modifiche sostanziali alla decisione –
adotta la determinazione motivata di conclusione positiva della conferenza. Se
ha invece acquisito uno o più atti di dissenso che ritiene non superabili,
adotta la determinazione di conclusione negativa della conferenza che produce
l’effetto del rigetto della domanda (art. 14-bis, comma 5, della legge n. 241
del 1990).
Fuori dei casi appena visti
– ossia nelle ipotesi di assenso condizionato che richieda modifiche
sostanziali o di dissenso ritenuto superabile – all’esito della conferenza in
modalità asincrona, l’amministrazione procedente convoca la riunione della
conferenza in modalità sincrona (art. 14-bis, comma 6, della legge n. 241 del
1990). Ugualmente può convocare direttamente una conferenza simultanea (art.
14-bis, comma 7) «[o]ve necessario, in relazione alla particolare complessità
della determinazione da assumere» ovvero su richiesta motivata delle altre
amministrazioni o dei privati interessati. Quando è indetta in modalità
sincrona, la conferenza si svolge con la partecipazione contestuale, ove
possibile anche in via telematica, dei rappresentanti delle amministrazioni
competenti» (art. 14-ter, comma 1).
Sintetizzando, il d.lgs. n.
127 del 2016 ha previsto che: a) la conferenza decisoria si svolge in forma
semplificata e in modalità asincrona, disponendo che le comunicazioni avvengano
per posta elettronica; b) in casi di particolare complessità della
determinazione da assumere o su richiesta motivata degli interessati, la
conferenza può svolgersi direttamente in forma simultanea e in modalità
sincrona; c) comunque, in caso di assenso condizionato che richieda modifiche
sostanziali o di dissenso ritenuto superabile, all’esito della conferenza in
forma semplificata e in modalità asincrona, si procede alla convocazione della
conferenza in forma simultanea e in modalità sincrona.
4.2.2.2.– Si può a questo punto ritornare alle censure
del ricorrente, il quale lamenta che il legislatore abruzzese non abbia
previsto la modalità telematica come regola per lo svolgimento della conferenza
di servizi.
Da quanto appena esposto si
comprende chiaramente come il quadro normativo statale sia assai più complesso
di quello ricostruito dal ricorrente. Ciò nondimeno, è vero che il legislatore
statale ha previsto che la conferenza decisoria si svolga di regola – e salvi i
casi di particolare complessità – per via telematica (conferenza cosiddetta
semplificata, cioè in forma semplificata e in modalità asincrona) e anche che,
qualora all’esito della conferenza semplificata non si addivenga alla
determinazione di conclusione positiva, la conferenza sia indetta in modalità
sincrona (conferenza cosiddetta simultanea), con la partecipazione contestuale,
«ove possibile anche in via telematica», dei rappresentanti delle
amministrazioni competenti.
L’obbligo di utilizzo della
modalità telematica, dunque, è senz’altro riferito alla conferenza
semplificata, ma non anche a quella simultanea. La legge regionale abruzzese
non opera questa distinzione e si limita a stabilire che la conferenza di
servizi dovrà essere svolta «in seduta unica anche in via telematica». Dal
tenore letterale della disposizione impugnata si deduce che il legislatore
regionale ha inteso fare riferimento alla conferenza simultanea; se così non
fosse, non si capirebbe in cosa possa consistere la «mancata partecipazione dei
soggetti invitati», formula, questa, che presuppone una partecipazione
contestuale (anche in via telematica) e non invece uno scambio di informazioni
e di documenti in modalità asincrona.
Così intesa, la
disposizione impugnata, che disciplina la conferenza con modalità sincrona, non
si pone in contrasto con il parametro costituzionale indicato (art. 117,
secondo comma, lettera m, Cost.), risultando inconferente la norma interposta
evocata dal ricorrente (art. 14-bis della legge n. 241 del 1990), che si
riferisce invece alla conferenza semplificata asincrona.
La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 7, comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51
del 2017, nella parte in cui non prevede la modalità telematica come regola per
lo svolgimento della conferenza di servizi, non è dunque fondata nei termini
suddetti.
4.2.3.– L’ultimo profilo di censura dell’art. 7,
comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 concerne
l’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. per il
tramite della norma interposta dell’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990. In
questo caso il ricorrente si duole del fatto che la norma impugnata non
distingue i casi in cui nel procedimento sono coinvolte amministrazioni preposte
alla tutela degli interessi sensibili, non assicurando così la necessaria
tutela «rinforzata» di questi interessi, garantita invece dalla normativa
statale.
4.2.3.1.– L’art. 17-bis
della legge n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 3, comma 1, della legge n.
124 del 2015 (Silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra
amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici), stabilisce,
tra l’altro, che «[n]ei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi,
concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di
gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e
amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le
amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto
o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento,
corredato della relativa documentazione, da parte dell’amministrazione
procedente» (comma 1). Inoltre, «[d]ecorsi i termini
di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il
nulla osta, lo stesso si intende acquisito» (comma 2).
Il regime anzidetto si
applica «anche ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o
nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei
cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di
competenza di amministrazioni pubbliche». In questi casi, «ove disposizioni di
legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso,
il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio
assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della
richiesta da parte dell’amministrazione procedente», fermo restando che «[d]ecorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato
l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito» (comma
3).
In sintesi, la disposizione
statale richiamata disciplina le modalità di funzionamento del cosiddetto
silenzio assenso, prevedendo un termine generale di trenta giorni dal
ricevimento dello schema di provvedimento e uno "speciale” di novanta giorni
per il caso in cui l’assenso, il concerto o il nulla osta debba essere reso da
«amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale,
dei beni culturali e della salute dei cittadini». In questi casi il legislatore
statale, in considerazione della speciale rilevanza dei beni giuridici
coinvolti, ha inteso introdurre un regime che, in ragione delle particolari
esigenze di tutela di questi beni, estende a novanta giorni il termine per
rendere l’assenso, il concerto o il nulla osta.
La citata disciplina
statale – sebbene collocata al di fuori degli articoli espressamente dedicati
alla conferenza di servizi (artt. 14-14-quinquies) –, seguendo
l’interpretazione estensiva data dal Consiglio di Stato, trova applicazione
anche nel caso in cui occorra convocare la conferenza di servizi; infatti dal
dato letterale si deduce che «il silenzio assenso di cui all’art. 17-bis opera
sempre (anche nel caso in cui siano previsti assensi di più amministrazioni) e,
se si forma, previene la necessità di convocare la conferenza di servizi»
(Consiglio di Stato, ad. comm. spec., parere 13 luglio 2016, n. 1640).
Nel disciplinare la
conferenza di servizi il legislatore regionale abruzzese non ha invece preso in
considerazione questi casi "speciali”, come sarebbe stato necessario,
considerato altresì che nessuna clausola generale di salvaguardia di questi
beni risulta prevista nella legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 o nella legge
reg. Abruzzo n. 31 del 2013, che reca la disciplina organica in materia di
procedimento amministrativo.
4.2.3.2.– Occorre individuare a questo punto l’ambito
materiale di riferimento della normativa impugnata e, di riflesso, di quella
statale indicata come interposta.
Stando
all’autoqualificazione operata dal legislatore statale nell’art. 29, comma
2-ter, della legge n. 241 del 1990, la disciplina della conferenza di servizi
attiene ai livelli essenziali delle prestazioni. Questa Corte, dopo aver
precisato che la conferenza di servizi costituisce «un modulo
procedimentale-organizzativo suscettibile di produrre un’accelerazione dei
tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici
coinvolti», ha però escluso che l’«intera disciplina della conferenza di
servizi» sia riconducibile alla competenza legislativa statale in materia di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, aggiungendo che «[e]ssa, infatti, lungi dal determinare uno standard
strutturale o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a questo o a
quel diritto civile o sociale, in linea con il secondo comma, lettera m),
dell’art. 117 Cost. […], assolve al ben diverso fine di regolare l’attività
amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, molti dei quali di
competenza regionale» (sentenza n. 179 del
2012).
Ciò non esclude che singoli
profili della disciplina della conferenza di servizi siano riconducibili alla
competenza legislativa statale in materia di determinazione dei livelli
essenziali.
Peraltro, l’art. 29, comma
2-quater, della legge n. 241 del 1990 – coerentemente con la necessaria lettura
finalistica della formula dei «livelli essenziali delle prestazioni» – consente
alle Regioni e agli enti locali di «prevedere livelli ulteriori di tutela»,
vietando loro di stabilire «garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati
dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai
commi 2-bis e 2-ter».
Sennonché, in questo caso,
le norme statali che prevedono un diverso, più lungo termine per la
comunicazione dell’«assenso, concerto o nulla osta» da parte delle
amministrazioni preposte alla cura degli interessi "sensibili” definiscono un
punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze di accelerazione dei
procedimenti e di adeguata «tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei
beni culturali e della salute dei cittadini», assicurando per un verso a queste
ultime condizioni di migliore ponderazione, ma mantenendo fermo per altro verso
il meccanismo del silenzio assenso.
In questi termini, la
normativa statale interposta svolge coerentemente la propria funzione di
parametro uniforme dei livelli essenziali delle prestazioni nell’ambito della
disciplina del procedimento amministrativo e della conferenza di servizi, con
la conseguenza che l’art. 7, comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n.
51 del 2017, nella parte in cui non rinvia all’art. 17-bis della legge n. 241
del 1990, viola l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Va pertanto dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 6, lettera b), della legge
reg. Abruzzo n. 51 del 2017 nella parte in cui non rinvia all’art. 17-bis della
legge n. 241 del 1990.
5.– Le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 7, della legge reg. Abruzzo n. 51
del 2017 sono fondate.
La disposizione è impugnata
perché fa decorrere i termini relativi allo svolgimento della conferenza di
servizi, previsti dalla lettera b) del comma 6, dalla comunicazione dell’esito
favorevole delle seguenti procedure: di valutazione d’impatto ambientale (VIA),
di valutazione ambientale strategica (VAS), di verifica di VIA, di verifica di
VAS, di quelle previste per le aziende a rischio d’incidente rilevante (ARIR),
di quelle previste per gli impianti assoggettati ad autorizzazione integrata
ambientale (AIA), ad autorizzazione unica per nuovo impianto di smaltimento e
di recupero dei rifiuti, ad autorizzazione unica per impianto alimentato ad
energia rinnovabile, oppure ad alcuno dei casi individuati dall’art. 20, comma
4, della legge n. 241 del 1990.
Così disponendo,
l’impugnato art. 7, comma 7, presuppone che le procedure elencate abbiano luogo
e si concludano prima dell’avvio e dello svolgimento della conferenza di
servizi. Secondo il ricorrente, aver previsto «la procedura di VIA come una
procedura autonoma rispetto a quella volta al rilascio del provvedimento
autorizzatorio, anche se ovviamente ad essa funzionalmente collegata»,
comporterebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s),
Cost., per contrasto con le norme interposte di cui all’art. 27-bis, comma 7, del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e
all’art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990.
Le questioni prospettate
devono essere prese in esame congiuntamente, in quanto le due norme interposte
sono espressione di un unico disegno riformatore, che si è concretizzato nel
decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva
2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che
modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli
1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114). Infatti, l’art. 27-bis del d.lgs. n.
152 del 2006 è stato introdotto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017,
mentre l’art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990 è stato sostituito
dall’art. 24 dello stesso d.lgs. n. 104 del 2017.
Dal combinato disposto
delle due norme interposte si ricava chiaramente l’intendimento del legislatore
statale di ricondurre a unità le complesse procedure amministrative, stabilendo
che, qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di
competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze,
pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla
realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto, sono acquisiti nell’ambito
di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi
dell’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990. Questa apposita conferenza di
servizi è disciplinata dal citato art. 27-bis, comma 7, del d.lgs. n. 152 del
2006. La determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi
costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende il
provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e
l’esercizio del progetto, recandone l’indicazione esplicita.
Anche in questo caso la
disciplina statale individua un punto di equilibrio tra l’esigenza di
semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato,
e la "speciale” tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro,
ambito materiale, quest’ultimo, cui devono essere ascritte sia la norma
regionale impugnata che quelle statali interposte.
Con riferimento alle
determinazioni assunte all’esito di questo tipo di procedimenti, questa Corte
ha chiarito che «[i]l provvedimento unico non sostituisce i diversi
provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza
eventualmente anche regionale, che possono interessare la realizzazione del
progetto, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di
servizi (comma 7 del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall’art. 16,
comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per così dire
unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a
seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica sede
decisoria le diverse amministrazioni competenti. Secondo una ipotesi già prevista
dal decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della
disciplina in materia di conferenze di servizi, in attuazione dell’articolo 2
della legge 7 agosto 2015, n. 124) e ora disciplinata dall’art. 24 [del d.lgs.
n. 104 del 2017], il provvedimento unico regionale non è quindi un atto
sostitutivo, bensì comprensivo delle altre autorizzazioni necessarie alla
realizzazione del progetto. Evidente, allora, la riconducibilità della
disposizione alla competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.» (sentenza n. 198 del
2018).
Alla luce di questa
ricostruzione del quadro normativo, non è consentita al legislatore regionale
la scissione dell’unitario procedimento autorizzatorio, che, a prescindere dal
modo in cui è concretamente configurata, non sembra garantire un livello più
elevato di tutela dell’ambiente.
Per le anzidette ragioni
deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 7,
della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 per violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., con assorbimento di ogni altra censura.
6.– La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 8, lettera c), della legge reg.
Abruzzo n. 51 del 2017 è fondata.
La disposizione è impugnata
nella parte in cui prevede che il procedimento è espressamente concluso – oltre
che con provvedimento di accoglimento e di accoglimento condizionato – con
provvedimento di rigetto, che «può essere adottato nei soli casi di motivata
impossibilità ad adeguare il progetto presentato per la presenza di vizi o
carenze tecniche insanabili». Il ricorrente lamenta la violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto il citato art. 7, comma 8,
lettera c), limiterebbe il provvedimento di rigetto alle sole ipotesi di vizi o
carenze tecniche insanabili del progetto. In questo modo, essendo esclusa «la
possibilità di un diniego assoluto che riguardi la stessa localizzazione
dell’intervento» e trovando applicazione la disposizione impugnata anche quando
sono coinvolti beni culturali e paesaggistici, sarebbe violata la competenza
legislativa statale in materia di ambiente.
Dalla lettura della
disposizione impugnata si deduce a contrario che un provvedimento di rigetto
non può essere adottato: qualora l’impossibilità di adeguare il progetto non
sia motivata dall’amministrazione; qualora si sia in presenza di vizi o carenze
tecniche sanabili; qualora le ragioni del diniego non siano riconducibili a
vizi o a carenze tecniche ma ad altre ragioni (es. dissenso sulla
localizzazione dell’intervento). La norma impugnata limita, dunque, lo spazio
di valutazione assegnato all’amministrazione competente, esprimendo un netto favor per l’accoglimento del progetto.
In altre parole, la norma
in oggetto esclude la cosiddetta opzione zero (cioè il dissenso assoluto
sull’opera) anche con specifico riguardo al caso in cui siano coinvolti beni
culturali e paesaggistici, nel quale caso la disposizione impugnata
effettivamente non ammette la possibilità di rigettare il progetto a causa del
dissenso sulla localizzazione dell’opera. Il legislatore regionale ha,
pertanto, realizzato una indebita limitazione dello spettro di soluzioni
adottabili dall’amministrazione competente, che si traduce nella violazione
della competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Al riguardo, questa Corte
ha rilevato, con riferimento a norme di analogo contenuto, che «se la funzione
del piano paesaggistico è quella di introdurre un organico sistema di regole,
sottoponendo il territorio regionale a una specifica normativa d’uso in
funzione dei valori tutelati, ne deriva che, con riferimento a determinate
aree, e a prescindere dalla qualificazione dell’opera, il piano possa prevedere
anche divieti assoluti di intervento. La possibilità di introdurre divieti di
questo tipo appare, d’altronde, del tutto conforme al ruolo attribuito al piano
paesaggistico dagli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, cod. beni culturali,
secondo cui le previsioni del piano sono cogenti e inderogabili da parte degli
strumenti urbanistici degli enti locali e degli atti di pianificazione previsti
dalle normative di settore e vincolanti per i piani, i programmi e i progetti
nazionale e regionali di sviluppo economico» (sentenza n. 172 del
2018).
Deve essere, pertanto,
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 8, lettera c),
della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 per violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità di
adottare un provvedimento di rigetto per diniego assoluto.
7.– La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 9, della legge reg. Abruzzo n. 51
del 2017 è fondata.
La disposizione è impugnata
per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto,
prevedendo il silenzio assenso «a valle della conferenza di servizi», non
escluderebbe i procedimenti a istanza di parte riguardanti la materia dei beni
culturali e del paesaggio, per i quali troverebbe applicazione l’art. 20 della
legge n. 241 del 1990, che esclude l’operatività del silenzio assenso nel caso
di interessi sensibili. Sarebbero pertanto violate le norme interposte di cui
agli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
In effetti, l’art. 20,
comma 4, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che «[l]e disposizioni del
presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il
patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela dal rischio
idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione,
l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui
la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi
formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione
come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno
o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti». A
loro volta gli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 recano un elenco degli
interventi in materia di beni culturali e di paesaggio per i quali è necessaria
l’autorizzazione del Ministero (art. 21) o l’autorizzazione paesaggistica da
parte della Regione o degli enti da questa delegati (art. 146, comma 6).
La disposizione regionale
impugnata reca una generica previsione di operatività del silenzio assenso allo
scadere del termine in essa indicato, senza escludere dal suo ambito di
applicazione i casi elencati dall’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del
1990, nei quali la legge statale prescrive la non applicabilità del silenzio
assenso, corrispondendo in tal modo all’esigenza che le relative scelte
avvengano in maniera maggiormente consapevole, e quindi in forma espressa.
Deve essere, pertanto,
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 9, della legge
reg. Abruzzo n. 51 del 2017, nella parte in cui non rinvia all’art. 20, comma
4, della legge n. 241 del 1990, per violazione della competenza legislativa
statale in materia di beni culturali e paesaggio ex art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 21 e
146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
8.– Infine, anche la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge reg.
Abruzzo n. 51 del 2017 è fondata.
La disposizione è impugnata
nella parte in cui prevede che «[i]n ogni caso, le irregolarità riscontrate in
sede di verifica derivanti dall’inosservanza dei requisiti minimi pubblicati ai
sensi dell’articolo 6, comma 7, non possono dare luogo a provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività senza che prima sia stato concesso un termine
congruo per la regolarizzazione non inferiore a centottanta giorni, salvo non
sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione,
l’ambiente o l’ordine pubblico». Secondo il ricorrente essa violerebbe l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., per il tramite della norma interposta
contenuta all’art. 29-decies, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale
prevede una serie di misure, graduate a seconda della gravità delle infrazioni:
diffida, diffida e contestuale sospensione dell’attività, revoca
dell’autorizzazione e chiusura dell’installazione, chiusura dell’installazione.
In particolare, dal
combinato disposto della norma impugnata e del precedente art. 6, comma 7 (che,
facendo riferimento ai «controlli espletati dalle autorità competenti», include
anche quelli in materia di AIA), deriverebbe l’impossibilità di vietare la
prosecuzione dell’attività senza la previa concessione di «un termine congruo
per la regolarizzazione non inferiore a centottanta giorni», a meno che non
sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione,
l’ambiente o l’ordine pubblico.
Anche in questo caso le
censure mosse dal ricorrente meritano di essere accolte. Il legislatore
abruzzese è, infatti, intervenuto indirettamente (cioè per il tramite del
rinvio all’art. 6, comma 7, della stessa legge regionale) in un ambito (quello
del «Rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale»,
secondo la rubrica dell’art. 29-decies del d.lgs. n. 152 del 2006) di competenza
esclusiva del legislatore statale («tutela dell’ambiente»), realizzando
un’ingiustificata – e comunque per il legislatore regionale inammissibile –
semplificazione delle sanzioni previste in caso di inosservanza delle
prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza
di autorizzazione.
Deve essere, pertanto,
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge
reg. Abruzzo n. 51 del 2017, nella parte in cui non esclude dal suo ambito di
applicazione le irregolarità riscontrate in sede di verifica delle condizioni
dell’autorizzazione integrata ambientale, per violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
Per
Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 2, della legge della Regione Abruzzo 4
settembre 2017, n. 51 (Impresa Abruzzo competitività - sviluppo - territorio);
2) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017,
nella parte in cui fa riferimento ai «procedimenti di cui ai commi 1 e 5»,
anziché ai soli «procedimenti di cui al comma 5»;
3) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7, comma 6, lettere a) e b), della legge reg. Abruzzo
n. 51 del 2017, nella parte in cui non rinvia all’art. 2, comma 7, della legge
7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi), al fine di individuare il
termine relativo alla produzione dei documenti integrativi;
4) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7, comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51
del 2017, nella parte in cui non rinvia all’art. 17-bis della legge n. 241 del
1990;
5) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7, comma 7, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017;
6) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7, comma 8, lettera c), della legge reg. Abruzzo n. 51
del 2017, nella parte in cui non prevede la possibilità di adottare un
provvedimento di rigetto nel caso di diniego assoluto;
7) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7, comma 9, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017,
nella parte in cui non rinvia all’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del
1990;
8) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017,
nella parte in cui non esclude dal suo ambito di applicazione le irregolarità
riscontrate in sede di verifica delle condizioni dell’autorizzazione integrata
ambientale (AIA);
9) dichiara non fondata,
nei termini di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, comma 6, lettera b), della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017,
promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera m), della Costituzione, in relazione all’art. 14-bis
della legge n. 241 del 1990, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere