SENTENZA N. 172
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 17, 23, 26, 43, 48, 50, 54, 55 e 56, della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24-30 ottobre 2017, depositato in cancelleria il 3 novembre 2017, iscritto al n. 86 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
udito l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 24-30 ottobre 2017 e depositato il 3 novembre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 17, 23, 26, 43, 48, 50, 54, 55 e 56 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), in riferimento agli artt. 3, 9, 81, terzo comma, 117, commi primo, secondo, lettere l) e s), e terzo, della Costituzione, nonché in riferimento agli artt. 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
La Regione Siciliana non si è costituita in giudizio.
2.– Con riferimento all’art. 17 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, il ricorrente ha osservato che la norma ha modificato l’art. 30 della legge della Regione Siciliana 14 aprile 2009, n. 5 (Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale), includendo i minori affidati dall’autorità giudiziaria a famiglie ospitanti e i minori in adozione, per un periodo iniziale di presa in carico pari ad anni due, nella categoria dei soggetti esentati dal pagamento del ticket per l’erogazione di prestazioni sanitarie.
La difesa dello Stato rappresenta che la normativa nazionale, e segnatamente l’art. 8, comma 16, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), prevede l’esenzione del ticket solo per i cittadini di età inferiore ai sei anni e superiore a sessantacinque anni, se appartenenti ad un nucleo familiare con reddito complessivo, riferito all’anno precedente, non superiore a lire settanta milioni.
La normativa statale individua, quale criterio di applicazione del beneficio, il reddito del nucleo familiare di appartenenza del minore, criterio che però non è utilizzabile per i minori di anni sei affidati dall’autorità giudiziaria presso comunità-alloggio e case-famiglia, mancando un nucleo familiare di riferimento.
Per tale ragione, prosegue la difesa dello Stato, in sede di Comitato dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), erano stati superati i rilievi formulati avverso la previsione originaria dell’art. 30 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2009, che aveva esteso il beneficio dell’esenzione dal ticket alla categoria dei minori affidati a case-famiglia e comunità-alloggio, senza ulteriori indicazioni relative al reddito.
Nel caso di minori affidati a famiglia ospitante e in adozione, invece, vi è l’inserimento in famiglie determinate, aventi un reddito specifico e, quindi, l’allargamento a costoro del beneficio dell’esenzione dal ticket sanitario si tradurrebbe nell’individuazione di un livello di assistenza sanitaria ulteriore, rispetto a quello previsto dalla normativa nazionale, che sarebbe illegittimo in una Regione, qual è la Sicilia, sottoposta a piano di rientro da disavanzo sanitario.
Secondo la difesa dello Stato la ragione di illegittimità costituzionale risiede proprio in tale ultima circostanza poiché, ai sensi dell’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», le Regioni sottoposte a Piano di rientro non possono effettuare spese non obbligatorie.
La previsione di un ulteriore livello di assistenza sanitaria, rispetto a quello statale, da parte della Regione Siciliana, dunque, eccedendo dalle competenze definite dagli artt. 14 e 17 dello statuto regionale, sarebbe in contrasto con l’art. 117, comma terzo, Cost. poiché lesiva del principio di coordinamento della finanza pubblica, costituito dall’obbligo di contenimento della spesa pubblica sanitaria, a cui sono tenute le Regioni soggette a piano di rientro.
3.– Con il medesimo ricorso la difesa dello Stato impugna l’art. 23 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, in base al quale l’assessore regionale per l’energia è tenuto ad emanare un bando per la concessione di contributi ai Comuni che redigono il Piano comunale amianto e realizzano i relativi interventi, e, a tali fini, autorizza la spesa di due milioni di euro, per l’esercizio finanziario 2017, a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020.
Il Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta che la Regione Siciliana, con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) 10 agosto 2016, n. 26 (Fondo sviluppo e coesione 2014-2020: Piano per il Mezzogiorno. Assegnazione risorse), ha avuto assegnati 2.320,0 milioni di euro nell’ambito del Fondo sviluppo e coesione; tuttavia tali risorse sono destinate alla realizzazione dei soli interventi inclusi nel Patto per il Sud, tra cui non sembra esservi quello previsto dall’art. 23 della legge impugnata. Conseguentemente la norma sarebbe in contrasto con l’art. 81, terzo comma, Cost. poiché priva di copertura finanziaria.
4.– Analoghe ragioni sorreggono l’impugnativa dell’art. 26 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che ha autorizzato la spesa di due milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione per la costituzione di un fondo di sostegno delle imprese e/o per favorirne la defiscalizzazione.
Secondo la difesa dello Stato anche tale intervento non sarebbe stato incluso nel Patto per il Sud e, pertanto, la norma, utilizzando somme vincolate per scopi diversi da quelli di destinazione, sarebbe priva di copertura finanziaria.
L’art. 26 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 è impugnato anche per un diverso profilo, ovvero per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, poiché contemplerebbe una misura di aiuto alle imprese e, quindi, avrebbe dovuto essere subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 43 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, assumendone il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché con gli artt. 14 e 17 dello statuto regionale, poiché la norma, nel prevedere la costituzione di un Comitato promotore delle "Vie del Vento”, non ha precisato che la partecipazione ad esso avvenga a titolo gratuito, come è imposto dal principio di coordinamento di finanza pubblica, espresso dall’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 31 maggio 2010, n. 122.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 48 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, ritenendo che violi gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 146 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nonché l’art. 14, lettera n), dello statuto regionale che, pur affidando alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, stabilisce che questa debba essere esercitata nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
Il ricorrente individua tre distinti profili di illegittimità costituzionale in relazione ai tre diversi commi dell’articolo impugnato.
Il ricorrente rileva, innanzitutto, che il comma 1 dell’art. 48, con riferimento alle opere qualificate come di pubblica utilità, realizzate da enti pubblici o società concessionarie di servizi pubblici (con la sola eccezione dell’impiantistica di trattamento dei rifiuti comprese le discariche), esclude la cosiddetta "opzione zero”, perché limita i vincoli che possono essere posti dal piano paesaggistico territoriale alle sole misure in grado di ridurre, compensare o eliminare le eventuali incompatibilità paesaggistiche, senza quindi prevedere la possibilità di fissare divieti assoluti di intervento.
Pertanto, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, opere di potenziale forte impatto paesaggistico, come parchi eolici, impianti per la produzione di energia idroelettrica, nonché opere di ricettività turistico-alberghiera, che fossero qualificate di pubblica utilità dalla legislazione regionale, risulterebbero, in base alla norma censurata, autorizzate ex lege, con sostanziale svuotamento della pur necessaria autorizzazione paesaggistica, in tal modo vincolata ad assentire l’intervento, in contrasto con quanto previsto dalla norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 146 cod. beni culturali, che assegna il potere di valutazione della compatibilità paesaggistica alla competenza tecnico-scientifica degli uffici amministrativi preposti alla tutela paesaggistica.
Inoltre, la detta disposizione regionale si porrebbe in contrasto anche con la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 143 cod. beni culturali che, nello stabilire i contenuti del piano paesaggistico, non esclude la possibilità che vengano posti divieti assoluti.
L’Avvocatura dello Stato ritiene costituzionalmente illegittima anche la disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo impugnato, secondo cui la procedura di valutazione, avviata con istanza del proponente, va conclusa, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, con delibera espressa della Giunta regionale, su proposta dell’assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana. Ciò in quanto la norma censurata attribuirebbe a un organo politico, la Giunta regionale, su proposta dell’assessore regionale, ogni decisione sulla procedura di valutazione, in palese contrasto con quanto stabilito dall’art. 146 cod. beni culturali, che attribuisce agli organismi tecnici un ruolo determinante nel procedimento di valutazione della compatibilità ambientale degli interventi.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale anche del comma 3 dell’art. 48 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che prevede che le opere che abbiano già ricevuto nulla osta, pareri favorevoli o autorizzazioni prima della data di adozione dei singoli piani paesaggistici territoriali, possano essere realizzate nel rispetto dei tempi, delle forme e delle modalità previste da questi atti, senza necessità di ulteriori valutazioni. Ciò in quanto tale disposizione contrasterebbe con l’art. 146 cod. beni culturali, stante la deroga operata dalla norma regionale al regime dell’autorizzazione paesaggistica stabilito dalla disciplina statale e la definizione favorevole ex lege di procedimenti ancora pendenti.
7. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 50 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, secondo cui «i canoni per l’utilizzo del demanio marittimo, ivi compresi i canoni ricognitori, non sono dovuti per lo svolgimento di feste religiose o civili riconosciute dalla Regione ed iscritte al libro delle celebrazioni nelle feste e nelle pratiche rituali del registro delle eredità immateriali della Regione siciliana».
Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata eccede le competenze attribuite alla Regione dagli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia e víola sia l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica – contrastando con l’art. 39, secondo comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione), che non contempla ipotesi di utilizzo gratuito del demanio marittimo –, sia il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., atteso che l’esenzione dal pagamento dei canoni sarebbe misura generalizzata e non limitata alle sole concessioni che, effettivamente interessate dallo svolgimento delle festività, potrebbero subire un pregiudizio in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività di impresa.
8.– Il ricorrente dubita della legittimità costituzionale anche dell’art. 54 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che aggiunge i commi 2-ter e 2-quater all’art. 90 della legge della Regione Siciliana 3 maggio 2001, n. 6 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2001), qualificando l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) quale ente del settore sanitario di cui al comma 3 dell’art. 4 della legge della Regione Siciliana 14 maggio 2009, n. 6 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2009), e di cui alla legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2008, n. 25 (Interventi finanziari urgenti per l’occupazione e lo sviluppo).
La norma, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, si porrebbe in contrasto sia con l’art. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute e di coordinamento della finanza pubblica, sia con l’art. 81, terzo comma, Cost., in quanto suscettibile di generare oneri a carico del Servizio sanitario nazionale non quantificati e non coperti, eccedendo inoltre le competenze di cui agli artt. 14 e 17, lettere b) e c), dello statuto della Regione Siciliana, sia con gli artt. 1, 3 e 4 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 55 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, secondo cui: «[a]l personale dipendente dell’Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente, ivi incluso il personale in posizione di comando, si applica il Contratto collettivo nazionale di lavoro sanità. Ai fini della riqualificazione professionale del personale dipendente trovano applicazione tutti gli istituti contrattuali previsti dal CCNL, ivi inclusi gli istituti di prima applicazione e le norme programmatiche che fino alla data della presente norma non abbiano trovato applicazione», ritenendo che la disposizione violi, con riferimento al personale comandato presso l’ARPA, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’«ordinamento civile», eccedendo inoltre le competenze di cui agli artt. 14 e 17 dello statuto regionale.
Secondo il ricorrente, infatti, la previsione in esame, laddove include anche il personale in posizione di comando nell’ambito applicativo del CCNL sanità, si pone in contrasto con la normativa statale vigente in materia e, in particolare, con il disposto dell’art. 70, comma 12, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), secondo cui «in tutti i casi, anche se previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare l’utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l’amministrazione che utilizza il personale rimborsa all’amministrazione di appartenenza l’onere relativo al trattamento fondamentale».
10.– Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 56 della medesima legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, ritenendo che esso – laddove «riconosce e valorizza le competenze degli operatori del settore motorio e sportivo», con particolare riferimento ai laureati in scienze motorie e ai diplomati ISEF – ecceda le competenze di cui agli artt. 14 e 17 dello statuto regionale e violi l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di «professioni».
Al riguardo il ricorrente evidenzia che i diplomati ISEF e i laureati in scienze motorie, in quanto operatori formati per il settore dell’istruzione e dello sport, non possono essere equiparati ai fisioterapisti, che sono professionisti sanitari il cui profilo è previsto dal il decreto del Ministro della sanità 14 settembre 1994, n. 741 (Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista), ed il cui percorso formativo è la laurea triennale abilitante all’esercizio della relativa professione sanitaria.
Sul punto il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che l’art. 2, comma 7, del decreto legislativo 8 maggio 1998, n. 178 (Trasformazione degli Istituti superiori di educazione fisica e istituzione di facoltà e di corsi di laurea e di diploma in scienze motorie a norma dell’articolo 17, comma 115, della legge 15 maggio 1997, n. 127) prevede che: «il diploma di laurea in scienze motorie non abilita all’esercizio delle attività professionali sanitarie di competenza dei laureati in medicina e chirurgia e di quelle di cui ai profili professionali disciplinati ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni», sottolineando che, in relazione alla materia delle «professioni», la costante giurisprudenza costituzionale afferma che il legislatore regionale è tenuto a rispettare il principio per cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi titoli abilitanti, è riservata allo Stato.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso depositato il 3 novembre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 17, 23, 26, 43, 48, 50, 54, 55 e 56 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), in riferimento agli artt. 3, 9, 81, terzo comma, 117, commi primo, secondo, lettere l) e s), e terzo, della Costituzione, nonché in riferimento agli artt. 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
Resta riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dal ricorrente.
2.– La prima norma impugnata è l’art 17 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che allarga la platea dei beneficiari dell’esenzione dal pagamento del ticket sanitario, includendo i minori affidati dall’autorità giudiziaria a famiglie ospitanti e i minori in adozione, per i primi due anni di presa in carico.
Ad avviso del ricorrente, essa introduce un ulteriore livello di assistenza sanitaria, rispetto a quella nazionale, che è informata al rispetto del principio sancito dall’art. 8, comma 16, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), secondo cui sono esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i cittadini di età inferiore ai sei anni di età o superiore ai sessantacinque anni, purché appartenenti ad un nucleo familiare con reddito complessivo, riferito all’anno precedente, non superiore a settanta milioni di lire.
2.1.– La questione non è fondata.
2.2.– L’art. 17, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, è intervenuto modificando l’art. 30 della legge della Regione Siciliana 14 aprile 2009, n. 5 (Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale), rubricato «Minori affidati dall’autorità giudiziaria».
Il testo del comma 2 del suddetto articolo risulta modificato con l’aggiunta del periodo seguente: «Lo stesso esonero si applica ai minori in adozione per un periodo iniziale di presa in carico pari ad anni due».
La normativa regionale già prevedeva l’esenzione dal ticket per i minori ospitati in case-famiglia, rientranti nella previsione dell’art. 1, comma 5, della legge della Regione Siciliana 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), che dispone: «Alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata».
Tali strutture sono destinate all’accoglienza in comunità di tipo familiare, con sede nelle civili abitazioni, la cui finalità è l’accoglienza di minorenni (oltreché di disabili e anziani in difficoltà), in alternativa alla loro "istituzionalizzazione”, sviluppando caratteristiche idonee a rendere tali strutture assimilabili ad un ambiente familiare.
Analoga esenzione era prevista dalla legge reg. Siciliana n. 5 del 2009 per i minori ospitati in comunità alloggio ovvero in strutture che, a differenza delle case famiglia, hanno un assetto ricettivo più ampio e più strutturato, ma adempiono alla medesima funzione di accoglienza.
2.3.– Anche la normativa statale sull’affidamento dei minori, segnatamente l’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), pone in via gradata l’inserimento in una famiglia, in una comunità di tipo familiare, e solo in via residuale, in un istituto di assistenza pubblico o privato, con ciò parificandone le funzioni.
2.4.– La norma regionale oggetto di impugnazione ha specificato la portata dell’intervento socio-assistenziale.
Le famiglie ospitanti consentono, infatti, analogamente alle case alloggio e alle case famiglia, l’accoglienza di minori che, temporaneamente o per situazioni di emergenza, non possono permanere presso il nucleo familiare originario e per i quali non è possibile altra forma di accoglienza e di sostegno educativo.
L’art. 30, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 5 del 2009 chiarisce e delimita la portata della norma riservata ai minori «affidati per disposizione dell’autorità giudiziaria» alle suddette istituzioni.
2.5.– L’ultima parte della norma regionale impugnata, relativa ai minori in adozione, necessita di un chiarimento interpretativo, in quanto la presa in carico di un minore in preadozione partecipa della stessa ratio dell’affidamento per disposizione dell’autorità giudiziaria.
Infatti, prima di giungere ad una pronuncia definitiva di adozione nell’interesse del minore è previsto un monitoraggio di durata biennale da parte dei servizi socio-assistenziali, che riferiscono al tribunale per i minorenni sullo svolgimento dell’affidamento preadottivo. È la legge n. 184 del 1983 che, all’art. 25, stabilisce che il tribunale provvede sull’adozione con sentenza in camera di consiglio, decorso un anno dall’affidamento preadottivo, prorogabile per un ulteriore anno.
Pertanto, la norma regionale, ove sia riferita non già solo all’adozione, ma anche all’affidamento preadottivo, può ritenersi svolgere una funzione sociale analoga alle altre tipologie di affidamento previste dalla norma.
2.6.– Alla luce delle considerazioni svolte, la questione posta dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., e agli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia, non è fondata in quanto, trattandosi in tutti i casi di minori destinati all’assistenza da parte dei servizi sociali, l’estensione alle famiglie ospitanti ovvero ai casi di affidamento preadottivo non è destinata ad alterare il numero dei beneficiari, altrimenti affidati alle già esonerate case-famiglia e case-alloggio.
La censura in ordine alla violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica derivante dalla sottoposizione della Regione Siciliana al piano di rientro da disavanzo sanitario va, quindi, disattesa, anche in ragione della natura sociale della spesa.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 23 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che autorizza la spesa di due milioni di euro, a valere sul fondo sviluppo e coesione 2014-2020, per la concessione di contributi ai Comuni che redigono il Piano comunale amianto e per rimuovere e smaltire i manufatti in amianto.
La difesa dello Stato ha dedotto la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., poiché le risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione possono essere utilizzate solo per finanziare i progetti inclusi nel Patto per il Sud, tra i quali non rientrano gli interventi per lo smaltimento dell’amianto.
3.1.– La questione è fondata.
3.2.– Il fondo per lo sviluppo e la coesione è disciplinato dal decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42), attuativo della legge delega 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) sul federalismo fiscale.
L’art. 4 del d.lgs. n. 88 del 2011 attribuisce al fondo la natura di strumento di finanziamento nazionale, che concorre alla realizzazione di interventi volti al riequilibrio economico e sociale nelle diverse aree del Paese.
Il fondo per lo sviluppo e la coesione rientra nell’ambito delle risorse aggiuntive a quelle dei fondi strutturali europei, per promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale, e ha carattere pluriennale, in coerenza con l’articolazione temporale della programmazione di fondi strutturali dell’Unione europea.
L’art. 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», ha disciplinato le modalità di utilizzo delle risorse assegnate al fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2014-2020, prevedendo, in particolare, che la dotazione finanziaria del fondo è impiegata per obiettivi strategici relativi ad aree tematiche nazionali, individuate dall’autorità politica per la coesione e ripartite dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) con propria delibera, in coerenza con le scelte di investimento effettuate per l’impiego dei Fondi strutturali europei e del relativo cofinanziamento nazionale.
Per effetto dell’art. 1, comma 703, citato, il CIPE approva in via programmatica l’allocazione delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione per area tematica di intervento e dispone l’assegnazione dei fondi destinati agli interventi già approvati in via programmatica.
La normativa suindicata ha impresso, dunque, alle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione una destinazione vincolata, che rende illegittima qualunque autorizzazione di spesa che ne preveda l’impiego al di fuori degli interventi programmati, traducendosi in un’assenza di copertura finanziaria derivante dall’indisponibilità delle somme (con riferimento all’obbligo di corrispondenza tra le risorse finanziarie e i vincoli normativi di destinazione, sentenza n. 272 del 2011).
3.3.– In attuazione dell’art. 1, comma 703, della legge n. 190 del 2014, il CIPE, il 10 agosto 2016, ha adottato due delibere, la n. 25 (Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 – aree tematiche nazionali e obiettivi strategici – ripartizione ai sensi dell’articolo 1, comma 703, lettere b e c della legge n. 190/2014), che ha allocato le risorse per la programmazione 2014-2020 per area tematica, e la n. 26 (Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020: Piano per il Mezzogiorno. Assegnazione risorse) che ha assegnato la dotazione finanziaria per la realizzazione degli interventi operativi contenuti in appositi accordi interistituzionali, denominati «Patti per il Sud».
In particolare, per effetto della delibera CIPE n. 26 del 2016, la Regione Siciliana ha avuto assegnate risorse pari a 2.320,4 milioni di euro, per l’attuazione degli interventi contenuti nel Patto per lo sviluppo della Regione Siciliana.
3.4.– Quest’ultimo Patto ha selezionato cinque settori prioritari: infrastrutture; ambiente; sviluppo economico ed attività produttive; turismo e cultura; sicurezza, legalità e vivibilità del territorio. Il Patto, all’interno di ciascuna area di riferimento, ha individuato gli interventi da realizzare; tuttavia quelli relativi al settore ambiente non comprendono alcun progetto relativo allo smaltimento dell’amianto, la cui copertura finanziaria non può, pertanto, essere individuata dalla Regione nelle risorse a destinazione vincolata del fondo per lo sviluppo e la coesione.
L’assenza di copertura finanziaria determina, dunque, l’illegittimità della previsione dell’art. 23 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 per violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
4.– Il Presidente del Consiglio di ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per assenza di copertura finanziaria, anche in riferimento all’art. 26 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che ha autorizzato la spesa di due milioni di euro, a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020, per istituire un fondo a sostegno delle imprese che abbiano subito danni dai cantieri per la realizzazione delle infrastrutture ed opere pubbliche ovvero per favorirne la defiscalizzazione.
Anche in relazione a tale previsione normativa la difesa dello Stato ha sostenuto che la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost. deriva dalla natura vincolata delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione e dal fatto che, tra i progetti inclusi nel Patto per il Sud, non rientrano quelli a sostegno delle imprese danneggiate dai cantieri pubblici.
4.1.– La questione è fondata.
Come si è detto, il vincolo di destinazione impresso alle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2014-2020 impone l’utilizzo delle somme assegnate alla Regione Siciliana solo per la realizzazione degli interventi inclusi nel Patto per lo sviluppo della medesima Regione Siciliana.
Il suddetto Patto, tra i settori di intervento individuati, ne ha incluso uno relativo allo Sviluppo economico e alle attività produttive; tuttavia in questo ambito non vi sono progetti destinati a sostenere le imprese che abbiano subito danni dai cantieri per la realizzazione delle infrastrutture ed opere pubbliche e, quindi, la misura prevista dall’art. 26 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 risulta priva di copertura finanziaria.
4.2.– L’accoglimento della questione per violazione dell’art. 81 Cost. comporta l’assorbimento di ogni altra censura.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 nella parte in cui prevede la costituzione di un Comitato promotore delle "Vie del Vento”, di cui fanno parte i delegati del Presidente del libero consorzio, i sindaci dei Comuni interessati e i rappresentati della locale camera di commercio e delle aziende, singole e associate, le cui attività economiche si svolgono nel territorio attraversato dalle "Vie del Vento”, senza precisare che la partecipazione al Comitato è a titolo gratuito.
Secondo la difesa statale, la norma contrasterebbe con l’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento al principio di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 31 maggio 2010, n. 122, che impone che la partecipazione agli organi collegiali di organi che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche debba avvenire a titolo gratuito, nonché con gli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia.
5.1.– La questione non è fondata.
Il suddetto Comitato promotore delle "Vie del Vento” ha la funzione di promuovere il riconoscimento di percorsi, segnalati e pubblicizzati con appositi cartelli, lungo i quali insistono valori naturali, culturali e ambientali, nell’ambito di territori ove si svolgono attività indotte e connesse alla vela, al turismo e alle discipline sportive legate alle energie naturali.
Il Comitato è composto dai delegati del Presidente del libero consorzio, dai sindaci dei Comuni interessati e dai rappresentanti della locale camera di commercio e delle aziende, singole e associate, le cui attività economiche si svolgono nel territorio attraversato dalle "Vie del Vento”.
5.2.– L’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, invocato quale parametro interposto, prevede che la partecipazione agli organi collegiali di organi che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche deve avvenire a titolo gratuito e costituisce, per espressa previsione del successivo comma 20, principio di coordinamento della finanza pubblica per le Regioni e le Province autonome.
La previsione è informata alla finalità di contenimento dei costi della politica e degli apparati amministrativi e riguarda anche il costo di funzionamento degli enti pubblici regionali (sentenze n. 211 e n. 161 del 2012) e, quale principio di coordinamento della finanza pubblica, si applica anche alle autonomie speciali (sentenze n. 46 del 2015 e n. 229 del 2001).
Nella specie, la norma regionale oggetto di censura non afferma espressamente la natura gratuita della partecipazione all’organo collegiale e, del resto, neppure prevede alcuna forma di compenso o indennità; peraltro, la gratuità dell’incarico si desume dal fatto che l’interesse dei componenti del Comitato, in ragione della qualifica soggettiva da essi posseduta, è già soddisfatto attraverso la promozione turistica del territorio, a cui il Comitato è funzionale.
La partecipazione al Comitato promotore delle "Vie del Vento” deve, quindi, intendersi senza oneri a carico della Regione e, pertanto, la questione non è fondata.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 48 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, evidenziando il suo contrasto, per eccedere le competenze attribuite alla Regione Siciliana dall’art. 14, lettera n), dello statuto in materia di tutela del paesaggio, con le norme di grande riforma economico-sociale contenute negli artt. 143 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e la conseguente violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Il ricorrente individua tre distinti profili di illegittimità costituzionale in relazione ai tre diversi commi dell’articolo impugnato.
Il comma 1 dell’art. 48, con riferimento alle opere qualificate come di pubblica utilità, realizzate da enti pubblici o società concessionarie di servizi pubblici (con la sola esclusione dell’impiantistica di trattamento dei rifiuti comprese le discariche), limita i vincoli derivanti dal piano paesaggistico territoriale alle sole misure in grado di ridurre, compensare o eliminare le eventuali incompatibilità paesaggistiche, senza prevedere la possibilità di stabilire divieti assoluti di intervento.
Tale previsione, secondo il ricorrente, ridurrebbe sostanzialmente il potere di valutazione della compatibilità paesaggistica riservato, dalla norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 146 cod. beni culturali, alla competenza tecnico-scientifica degli uffici amministrativi preposti alla tutela paesaggistica. Inoltre, la disposizione regionale si porrebbe in contrasto anche con la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 143 del detto codice che, nello stabilire i contenuti del piano paesaggistico, non prevede limitazioni della portata dei vincoli derivanti da esso.
L’Avvocatura dello Stato ritiene costituzionalmente illegittima anche la disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo impugnato, secondo cui la procedura di valutazione, avviata con istanza del proponente, va conclusa, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, con delibera espressa della Giunta regionale, su proposta dell’assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana. Ciò in quanto la norma in esame, attribuendo in via esclusiva a un organo politico, la Giunta regionale, su proposta dell’assessore regionale, la decisione sull’esito del procedimento, sottrarrebbe agli organi tecnici, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 146 cod. beni culturali, ogni valutazione in ordine alla compatibilità ambientale degli interventi proposti.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della costituzionalità anche del comma 3 dell’art. 48 della citata legge regionale, secondo cui le opere che abbiano già ricevuto nulla osta, pareri favorevoli o autorizzazioni prima della data di adozione dei singoli piani paesaggistici territoriali, possano essere realizzate nel rispetto dei tempi, delle forme e delle modalità previste in questi atti, senza necessità di ulteriori valutazioni. Ciò in quanto tale disposizione contrasterebbe con l’art. 146 cod. beni culturali, stante la deroga operata dalla norma regionale al regime dell’autorizzazione paesaggistica stabilito dalla disciplina statale e la definizione favorevole ex lege di procedimenti ancora pendenti.
6.1.– Le questioni sono fondate.
6.2.– Preliminarmente, va rilevato che, in molteplici occasioni, questa Corte ha affermato che la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenza n. 367 del 2007).
Quanto, poi, alla problematica dei rapporti tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale relativamente al riparto di competenze in materia di tutela paesaggistica, sono state dichiarate «costituzionalmente illegittime norme regionali che si ponevano in contrasto con disposizioni previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio, qualificate norme di grande riforma economico-sociale (sentenze n. 207 e 66 del 2012; n. 226 e n. 164 del 2009, n. 232 del 2008 e n. 51 del 2006)» (sentenza n. 238 del 2013).
Al riguardo, la Corte ha anche sottolineato che il legislatore statale, tramite l’emanazione di tali norme, conserva il potere, «nella materia "tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali (per tutte, sentenza n. 51 del 2006) […] di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, così che le norme qualificabili come "riforme economico-sociali” si impongono al legislatore di queste ultime» (sentenza n. 238 del 2013).
Gli artt. 143 e 146 cod. beni culturali debbono, pertanto, essere qualificati come norme di grande riforma economico-sociale che anche le Regioni a statuto speciale debbono osservare (in questo senso, anche la sentenza n. 189 del 2016).
6.3.– In relazione alla questione relativa al comma 1 dell’articolo 48 della legge regionale in esame, va notato che la disposizione impugnata, pur enunciando espressamente il «rispetto dei principi di cui all’articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», stabilisce che i piani paesaggistici territoriali, nell’individuare le specifiche aree di tutela e predisporre le correlate prescrizioni d’uso, «devono prevedere la possibilità che le opere di pubblica utilità, realizzate da enti pubblici o società concessionarie di servizi pubblici e con esclusione dell’impiantistica di trattamento dei rifiuti comprese le discariche, siano realizzabili, previa specifica valutazione da effettuarsi caso per caso della concreta compatibilità con i valori paesaggistici oggetto di protezione, considerando nel complesso del progetto anche le possibili soluzioni in grado di ridurre, compensare o eliminare le eventuali incompatibilità».
In altri termini, con riferimento ad opere qualificate come di pubblica utilità (con esclusione dell’impiantistica di trattamento dei rifiuti, comprese le discariche), la norma impugnata esclude che dal piano possano derivare divieti assoluti di intervento; e ciò contrasta, evidentemente, con la finalità principale del piano paesaggistico che è, appunto, quella della tutela dell’interesse primario alla conservazione del paesaggio.
Naturalmente, va riconosciuto che il piano paesaggistico ha la funzione di strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio.
In questa più ampia prospettiva, rilevano l’art. 135, comma 4, lettera d), e l’art. 143, comma 1, lettera h), cod. beni culturali, in base ai quali il piano deve provvedere alla individuazione «delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati» nonché «delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate».
Tuttavia, se la funzione del piano paesaggistico è quella di introdurre un organico sistema di regole, sottoponendo il territorio regionale a una specifica normativa d’uso in funzione dei valori tutelati, ne deriva che, con riferimento a determinate aree, e a prescindere dalla qualificazione dell’opera, il piano possa prevedere anche divieti assoluti di intervento. La possibilità di introdurre divieti assoluti di intervento e trasformazione del territorio appare, d’altronde, del tutto conforme al ruolo attribuito al piano paesaggistico dagli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, cod. beni culturali, secondo cui le previsioni del piano sono cogenti e inderogabili da parte degli strumenti urbanistici degli enti locali e degli atti di pianificazione previsti dalle normative di settore e vincolanti per i piani, i programmi e i progetti nazionale e regionali di sviluppo economico.
Sotto altro profilo, va poi riconosciuto che la disposizione impugnata contrasta anche con le previsioni dell’art. 146 cod. beni culturali, determinando un sostanziale svuotamento del contenuto dei poteri riservati dalla norma statale alla competenza tecnico-scientifica degli uffici amministrativi preposti alla tutela paesaggistica, ai quali soltanto spetta di compiere la verifica concreta di conformità tra l’intervento progettato e le disposizioni del piano paesaggistico, individuando la soluzione più idonea a far sì che l’interesse pubblico primario venga conseguito con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari.
6.4.– Costituzionalmente illegittima deve pure ritenersi la disposizione contenuta nel comma 2 dell’art. 48, della stessa legge regionale, secondo cui la procedura di valutazione della compatibilità paesaggistica deve essere definita con una delibera espressa della Giunta regionale da assumere, su proposta dell’assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, senza prevedere alcuna forma di partecipazione al procedimento da parte di organismi tecnici.
L’articolo 146 cod. beni culturali, infatti, non solo stabilisce, al comma 5, che «[s]ull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma l, salvo quanto disposto all’articolo 143, commi 4 e 5», ma prevede anche, al comma 6, che la Regione eserciti «la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l’esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, agli enti parco, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia».
Da ciò risulta l’evidente indispensabilità della partecipazione di organismi tecnici nel procedimento di valutazione della compatibilità paesaggistica.
6.5.– Pure fondata risulta la censura formulata dal ricorrente in relazione al comma 3 dell’art. 48, secondo cui, come visto, «[l]e opere di cui al comma 1 nonché le attività estrattive che, prima della data di adozione dei singoli Piani Paesaggistici Territoriali, abbiano già ricevuto nulla osta, pareri favorevoli o autorizzazioni comunque denominate da parte di una Amministrazione regionale o locale competente in materia di tutela paesaggistico territoriale ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004, ovvero per le quali la Regione abbia già rilasciato atti di intesa allo Stato, possono essere realizzate nel rispetto dei tempi, delle forme e delle modalità ivi previste, senza ulteriori valutazioni».
La disposizione regionale impugnata, infatti, non distinguendo tra procedimenti autorizzatori già conclusi e procedimenti ancora in itinere alla data di adozione dei piani paesaggistici territoriali, contrasta palesemente sia con la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica dettata dall’articolo 146 cod. beni culturali e, in particolare, sia con il comma 4 di tale articolo, secondo cui l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti gli interventi urbanistico-edilizi, sia con il successivo comma 5, il quale stabilisce che il parere del soprintendente venga reso nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano paesaggistico.
La disposizione regionale impugnata contrasta, peraltro, con il comma 4 dello stesso art. 146 cod. beni culturali, anche laddove questo, stabilendo che «l’autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. I lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell’autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l’anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo», prevede la reiterazione, in ogni caso, della procedura di autorizzazione trascorso detto lasso temporale.
6.6.– Va, per tali ragioni, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 48.
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna inoltre l’art. 50 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, secondo cui «i canoni per l’utilizzo del demanio marittimo, ivi compresi i canoni ricognitori, non sono dovuti per lo svolgimento di feste religiose o civili riconosciute dalla Regione ed iscritte al libro delle celebrazioni nelle feste e nelle pratiche rituali del registro delle eredità immateriali della Regione siciliana», ritenendo che ecceda le competenze statutarie di cui gli artt. 14 e 17 dello statuto della Regione Siciliana e violi sia l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica, contrastando con l’articolo 39, secondo comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione), che non contempla ipotesi di utilizzo gratuito del demanio marittimo, sia il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., atteso che l’esenzione dal pagamento dei canoni, anche ricognitori, sarebbe misura generalizzata e non limitata alle sole concessioni che, effettivamente interessate dallo svolgimento delle festività, potrebbero subire un pregiudizio in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività di impresa.
7.1.– La questione non è fondata.
7.2.– Va premesso che l’art. 39 cod. nav. stabilisce la fissazione di un canone «di mero riconoscimento» a fronte del rilascio di una concessione per fini di beneficenza o per altri fini di pubblico interesse e che il secondo comma dell’art. 37 del regolamento per l’esecuzione del medesimo codice attua ed integra detta previsione, stabilendo che «agli effetti dell’applicazione del canone, previsto dal secondo comma dell’art. 39 del codice, s’intendono per concessioni che perseguono fini di pubblico interesse diverse dalla beneficenza quelle nelle quali il concessionario non ritrae dai beni demaniali alcun lucro o provento».
Nel caso in esame, la norma impugnata, però, non introduce alcuna deroga al principio generale che impone, in presenza di una concessione, il versamento di un canone, ancorché meramente ricognitorio. Deve, infatti, ritenersi che l’utilizzazione di un bene demaniale per il limitato spazio temporale di una festività prescinda dal rilascio di un provvedimento di concessione, a cui, infatti, la norma regionale impugnata non fa alcun riferimento.
Pertanto, l’esenzione dal pagamento di qualsivoglia canone, ancorché ricognitorio, disposta, nel caso, dalla norma regionale impugnata, non risulta in contrasto con le norme costituzionali richiamate dal ricorrente.
8.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 54 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che aggiunge i commi 2-ter e 2-quater all’art. 90 della legge della Regione Siciliana 3 maggio 2001, n. 6 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2001), qualificando l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) quale ente del settore sanitario di cui al comma 3 dell’art. 4 della legge della Regione Siciliana 14 maggio 2009, n. 6 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2009), e di cui alla legge regionale 29 dicembre 2008, n. 25 (Interventi finanziari urgenti per l’occupazione e lo sviluppo).
La norma, secondo il ricorrente, si porrebbe in contrasto sia con l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di «tutela della salute» e di «coordinamento della finanza pubblica», sia con l’art. 81, terzo comma, Cost., in quanto suscettibile di generare oneri a carico del Servizio sanitario nazionale non quantificati e non coperti, eccedendo le competenze statutarie di cui agli artt. 14 e 17, lettere b) (igiene e sanità pubblica), e c) (assistenza sanitaria), dello statuto della Regione Siciliana.
8.1.– La questione è fondata con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di coordinamento della finanza pubblica.
8.2.– Le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente sono state istituite a seguito del referendum del 18 aprile 1993, che ha abrogato alcune parti della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale), eliminando le competenze ambientali della vigilanza e controllo locali del Servizio sanitario nazionale, esercitate tramite i presidi multizonali di prevenzione.
Tali competenze, a seguito della legge 21 gennaio 1994, n. 61 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, recante disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente), sono state affidate ad apposite agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA), istituite assieme all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA), divenuta poi APAT e nel 2008 confluita nell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).
Tanto premesso, l’attribuzione all’ARPA siciliana della natura di ente del settore sanitario da parte della norma impugnata viola il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, da ritenersi principio di coordinamento della finanza pubblica, sulla base di quanto già rilevato, in molteplici occasioni, da questa Corte (ex multis, sentenze n. 203 del 2008 e n. 193 del 2007).
Tale conclusione è avvalorata, da un lato, dalla considerazione che le funzioni spettanti all’ARPA sono solo in minima parte riconducibili a funzioni sanitarie stricto sensu e che, anche alla luce dei principi posti dalla recente legge 28 giugno 2016, n. 132 (Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), il sistema di finanziamento, di qualificazione e di controllo delle agenzie ambientali deve considerarsi nettamente distinto da quello degli enti del settore sanitario; dall’altro, dal fatto che la Regione Siciliana risulta impegnata nel piano di rientro dal disavanzo sanitario e che, quindi, l’inserimento di un ente, estraneo alle prestazioni di assistenza sanitaria, nel novero degli enti di cui al comma 3 dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2009 e di cui alla legge reg. Siciliana n. 25 del 2008, implicando l’assunzione a carico del bilancio regionale di oneri aggiuntivi in contrasto con gli obiettivi di risanamento del Piano di rientro, viola il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio di coordinamento della finanza pubblica e, in definitiva, l’art. 117, terzo comma, Cost.
Tale conclusione risulta, inoltre, convalidata dalla circostanza che la materia dell’assistenza sanitaria rientra tra quelle contemplate dall’art. 17 dello statuto siciliano, rispetto alle quali la Regione può esercitare la propria competenza legislativa solo nei limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione statale.
L’accoglimento della questione per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. comporta l’assorbimento di ogni altra censura.
9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 55 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, ritenendo che si ponga in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., eccedendo le competenze che gli artt. 14 e 17 dello statuto attribuiscono alla Regione Siciliana.
Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata, includendo nell’ambito applicativo del Contratto collettivo nazionale di lavoro sanità anche il personale in posizione di comando dell’ARPA, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che assegna allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile», contrastando con la normativa statale vigente in materia di comando e, in particolare, con il principio fondamentale stabilito dall’art. 70, comma 12, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), secondo cui «in tutti i casi, anche se previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare l’utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l’amministrazione che utilizza il personale rimborsa all’amministrazione di appartenenza l’onere relativo al trattamento fondamentale».
9.1.– La questione è fondata.
9.2.– Questa Corte ha già ripetutamente affermato la riconducibilità della regolamentazione del rapporto di pubblico impiego cosiddetto privatizzato ovvero contrattualizzato, ivi compreso quello relativo al personale delle Regioni a statuto speciale, alla materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (ex plurimis, le sentenze n. 257 del 2016, n. 211 del 2014, n. 151 del 2010 e n. 189 del 2007).
Né osta nel caso di specie la circostanza che, ai sensi dell’art. 14, lettera q), dello statuto della Regione Siciliana, a quest’ultima spetta la competenza legislativa esclusiva in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale. Tale potestà di regolazione in materia incontra, infatti, ai sensi di quanto previsto dallo stesso statuto regionale siciliano, i limiti derivanti dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
In proposito, questa Corte rileva che, in specifico riferimento alla regolazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, è l’art. 1, comma 3, del citato d.lgs. n. 165 del 2001, a stabilire, al terzo periodo, che per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano i principi desumibili dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), e dall’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e rispettive modificazioni e integrazioni, costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
In tale quadro, l’istituto del comando – che trova la sua originaria disciplina nell’art. 56 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) – assume peculiare rilievo quale strumento funzionale alle esigenze organizzative delle amministrazioni pubbliche, che incide, tuttavia, profondamente sulla regolazione giuridica del rapporto di lavoro, in riferimento alle stesse modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e della disciplina dei suoi diversi profili, anche retributivi.
Si configura, difatti, una peculiare situazione giuridica, e al tempo stesso fattuale, nella quale il soggetto in comando resta dipendente dell’amministrazione datrice di lavoro, ma espleta la prestazione presso una diversa amministrazione. Ciò implica la necessità di disciplinare i rapporti che intercorrono fra il dipendente e le due amministrazioni interessate, nonché gli stessi rapporti, anche sotto il profilo degli oneri connessi alla retribuzione del lavoratore in comando, tra amministrazione titolare del rapporto e amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio, posto che la gestione del rapporto spetta al primo, mentre all’ente in cui il dipendente espleta la propria attività compete la gestione della prestazione lavorativa. Aspetti tutti, dunque, riconducibili all’«ordinamento civile» e per i quali è necessario configurare una disciplina omogenea, nel concorso fra legge e autonomia collettiva, sul territorio nazionale in un quadro organico e funzionale, anche per evitare sovrapposizioni di discipline diversificate e non conciliabili.
A tal fine, non a caso il d.lgs. n. 165 del 2001, nel disciplinare il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, interviene anche sull’istituto in esame. In particolare, l’art. 30, comma 2-sexies, stabilisce che le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, «possono utilizzare in assegnazione temporanea personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto», come disposto al riguardo anche dal successivo art. 70, comma 12, richiamato dal Presidente del Consiglio dei ministri, che prevede il rimborso, da parte dell’amministrazione utilizzatrice, all’amministrazione di appartenenza, dell’onere relativo al trattamento fondamentale.
Il legislatore siciliano, nel disporre l’applicazione anche al personale comandato del contratto collettivo applicabile ai dipendenti dell’ARPA, interviene dunque oggettivamente in materia demandata alla competenza statale, violando in tal modo l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La sostituzione, con legge regionale, della disciplina contrattuale propria dell’ente di provenienza titolare del rapporto di lavoro con quella applicabile nell’ARPA, ove il soggetto presta attività in comando, implica effetti non compatibili con il descritto quadro giuridico. Tale sostituzione determina, difatti, il sovrapporsi della disciplina contrattuale vigente presso l’ARPA, quale ente ove il dipendente comandato espleta la propria attività, alla disciplina propria del rapporto con l’amministrazione datrice di lavoro, con conseguenti problemi, ad esempio in ordine all’inquadramento, alle progressioni economiche e di carriera, alla regolazione di specifici aspetti del rapporto di lavoro del dipendente in posizione di comando che si ripercuotono sugli stessi rapporti fra le amministrazioni coinvolte.
9.3.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017.
10.– Da ultimo, viene in considerazione la questione concernente la legittimità costituzionale dell’art. 56 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 che sostituisce l’art. l della legge regionale Siciliana 29 dicembre 2014, n. 29 (Norme in materia di promozione e tutela dell’attività fisico-motoria e sportiva), prevedendo che la Regione Siciliana riconosce e valorizza le competenze degli operatori del settore motorio e sportivo, con particolare riferimento ai laureati in scienze motorie e ai diplomati ISEF.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri la norma impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, eccedendo le competenze assegnate alla Regione Siciliana dagli artt. 14 e 17 dello statuto regionale.
In proposito, il ricorrente evidenzia che i diplomati ISEF e i laureati in scienze motorie, in quanto operatori formati per il settore dell’istruzione e dello sport, non possono essere equiparati dalla disposizione regionale ai fisioterapisti, che sono invece professionisti sanitari il cui profilo è previsto dal decreto del Ministro della sanità 14 settembre 1994, n. 741 (Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista), in quanto, secondo un costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, il legislatore regionale è tenuto a rispettare il principio fondamentale per cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi titoli abilitanti, è riservata allo Stato.
10.1.– La questione è fondata.
10.2.– Questa Corte, con orientamento costante, ha affermato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle "professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali» (sentenza n. 98 del 2013).
Nel caso di specie, va notato che la disposizione regionale censurata ha significativamente innovato rispetto al testo previgente, stabilendo che «[n]elle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private sia ai fini del mantenimento della migliore efficienza fisica nelle differenti fasce d’età e nei confronti delle diverse abilità sia ai fini di socializzazione e di prevenzione, la Regione riconosce l’esercizio dell’attività professionale esclusivamente svolta da soggetti in possesso di laurea in scienze motorie e o del diploma ISEF». La norma, riconoscendo l’esercizio dell’attività professionale svolta «esclusivamente» da soggetti in possesso di laurea in Scienze motorie o del diploma ISEF, omette ogni riferimento ai fisioterapisti, nonostante che il d.m. n. 741 del 1994 attribuisca solo a questi «gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, conseguenti a eventi patologici di varia natura, congenita o acquisita» e «l’attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando terapie fisiche, manuali e massoterapiche».
Né dalla disposizione censurata emerge, in alcun modo, quale collegamento vi sia tra la nuova disciplina e le esigenze della realtà territoriale siciliana, in relazione alle quali soltanto si potrebbe giustificare l’intervento legislativo regionale nella materia delle professioni. Escludendo i fisioterapisti dalle attività professionali da svolgere a fini di prevenzione nell’ambito delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, la norma regionale impugnata si pone, quindi, in palese contrasto con la regolazione delle competenze di tali operatori sanitari effettuata dalla normativa statale, e in tal modo viola l’art. 117, terzo comma, Cost., che, in materia di legislazione concorrente, riserva allo Stato la determinazione dei principi fondamentali, tra i quali va ricompreso quello della individuazione delle figure professionali e dei correlati titoli abilitanti.
10.3.– Va, perciò, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 56 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 23, 26, 48, 54, 55 e 56 – quest’ultimo nella sola parte in cui, al comma 1, sostituisce l’art. l della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2014, n. 29 (Norme in materia di promozione e tutela dell’attività fisico-motoria e sportiva) – [inciso aggiunto in sede di correzione dall'ord. n. 263 del 2021] della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e agli artt. 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., e agli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., e agli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2018.