SENTENZA N. 140
ANNO 2018
Commento
alla decisione di
Marco Galdi
per g.c. dell’Osservatorio sulle fonti
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO
”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 4, comma 1, lettera e), della legge
della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19 (Misure di semplificazione e linee
guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 21 agosto 2017, depositato in cancelleria il 22 agosto 2017,
iscritto al n. 56 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti l’atto di costituzione
della Regione Campania, nonché l’atto di intervento dell’Associazione Italiana
per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Silvana
Sciarra;
uditi l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio
dei ministri e l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso spedito
per la notificazione il 21 agosto 2017 e depositato il successivo 22 agosto
(reg. ric. n. 56 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso,
in riferimento agli artt.
117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione –
quest’ultimo in relazione ai principi fondamentali della legislazione dello
Stato nella materia «governo del territorio» – questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 4, comma 1, lettera e), della legge
della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19 (Misure di semplificazione e linee
guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio).
1.1. – Il ricorrente
premette che il comma 1 dell’art. 2 della legge reg. Campania n. 19 del 2017
prevede che, al fine di perseguire indirizzi uniformi in ambito regionale, la
Giunta regionale, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della medesima
legge, «adotta linee guida non vincolanti per supportare gli enti locali nella
regolamentazione ed attuazione, se ne ricorrono i presupposti, di misure
alternative alla demolizione degli immobili abusivi ai sensi dell’articolo 31,
comma 5 del D.P.R. n. 380/2001». Tali linee guida sono approvate dalla Giunta
regionale entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge regionale, su
proposta della struttura amministrativa regionale competente in materia di
governo del territorio, «con riferimento a quanto previsto dal comma 2»
(secondo periodo).
L’impugnato comma 2 dello
stesso art. 2 stabilisce quindi che, «[f]erma restando l’autonoma valutazione
dei Consigli comunali sull’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto
alla procedura di demolizione dei beni acquisiti al patrimonio comunale, i
Comuni, nell’ambito delle proprie competenze, possono avvalersi delle linee
guida di cui al presente articolo per approvare, in conformità e nel rispetto
della normativa nazionale vigente in materia, atti regolamentari e d’indirizzo
riguardanti: a) i parametri e criteri generali di valutazione del prevalente
interesse pubblico rispetto alla demolizione; b) i criteri per la valutazione
del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o
di rispetto dell’assetto idrogeologico; c) la regolamentazione della locazione
e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per
inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli
occupanti per necessità al fine di garantire un alloggio adeguato alla
composizione del relativo nucleo familiare; d) i criteri di determinazione del
canone di locazione e del prezzo di alienazione ad onerosità differenziata fra
le superfici adeguate alla composizione del nucleo familiare e quelle in
eventuale eccedenza; e) i criteri di determinazione del possesso del requisito
soggettivo di occupante per necessità, anche per quanto riferito alla data di
occupazione dell’alloggio; f) i criteri di determinazione del limite di adeguatezza
dell’alloggio alla composizione del nucleo familiare; g) le modalità di
accertamento degli elementi di cui alle lettere e), f) e del possesso dei
requisiti morali di cui all’articolo 71, comma 1, lettere a), b), e), f) del
decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno); h) le modalità di
comunicazione delle delibere consiliari approvate ai sensi dell’articolo 31,
comma 5 del D.P.R. n. 380/2001 all’autorità giudiziaria che abbia ordinato, per
gli stessi immobili, la demolizione ai sensi dell’articolo 31, comma 9 del
D.P.R. n. 380/2001».
Il ricorrente rammenta che
l’art. 31 (rubricato: «Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire,
in totale difformità o con variazioni essenziali») del decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)»,
dopo avere definito, al comma 1, gli «interventi eseguiti in totale difformità
dal permesso di costruire», dispone che: l’amministrazione comunale, accertata
l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal
medesimo o con variazioni essenziali, «ingiunge al proprietario e al
responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione» (comma 2); se il
responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello
stato dei luoghi entro novanta giorni dall’ingiunzione, «il bene e l’area di
sedime […] sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune»
(comma 3); l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire
«costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei
registri immobiliari» (comma 4); per gli interventi abusivamente eseguiti su
terreni sottoposti a vincolo di inedificabilità, «l’acquisizione gratuita, nel
caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a
favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del
vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive
ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell’abuso.
Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l’acquisizione si verifica a favore del
patrimonio del comune» (comma 6).
Il ricorrente evidenzia
poi, in particolare, la disposizione del comma 5 dell’art. 31 del d.P.R. n. 31 del 2001 – «espressamente richiamato nella
legge regionale […] a fondamento delle linee guida per le "misure alternative
alla demolizione degli immobili”» abusivi – secondo cui «[l]’opera acquisita è
demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio
comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione
consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e
sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici,
ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico».
Da tale disposizione
risulterebbe, sempre ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, che
la possibilità di non demolire l’opera acquisita è contemplata «in via del
tutto eccezionale ed in deroga alla doverosa conclusione demolitoria» ed è
«un’ipotesi ammessa nei soli limiti indicati dalla normativa statale», giacché
l’acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile non demolito «si atteggia
come una sanzione impropria, preordinata principalmente alla demolizione dello
stesso».
A tale proposito, il
ricorrente asserisce che il Consiglio di Stato ha più volte chiarito che la
sanzione amministrativa della demolizione costituisce un’attività vincolata
diretta a ristabilire la legalità mediante il ripristino di una situazione di
fatto conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
1.1.1. – Tenuto conto di
ciò, l’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017 violerebbe,
anzitutto, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo
Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia «tutela dell’ambiente».
A proposito di tale
violazione, il ricorrente afferma che la disposizione impugnata, col prevedere,
alla lettera c), la regolamentazione, da parte dei Comuni, della locazione e
dell’alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale in seguito
all’inottemperanza all’ordine di demolirli, sembra prefigurare, anche alla luce
delle successive lettere da d) a h), «una sorta di prelazione nell’assegnazione
o nell’alienazione degli immobili acquisiti dagli stessi occupanti, anche nel
caso in cui i medesimi occupanti siano stati anche gli autori dell’illecito
edilizio sanzionato con la demolizione».
Sempre ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, «[l]’accorpamento di argomenti
assolutamente eterogenei tra i contenuti degli atti di indirizzo comunali
previsti alle […] lettere a), b), e c)» indurrebbe a ritenere «che la mancata
ottemperanza all’ordine di demolizione e la conseguente acquisizione al
patrimonio comunale determinino il venir meno della pretesa demolitoria, a
prescindere dalle necessarie valutazioni di cui all’art. 31, comma 5 decreto
del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001».
Secondo il ricorrente, in
definitiva, a fronte di una disciplina statale in base alla quale la
demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune
«costituisce la doverosa risposta sanzionatoria per reprimere l’illecito»,
salve le sole ipotesi previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R.
n. 380 del 2001, con la disposizione impugnata «si ha che il bene, una volta
acquisito al patrimonio comunale, non viene demolito, ma assegnato, sulla base
di una apposita procedura, agli stessi occupanti, a prescindere che questi
siano anche gli autori dell’illecito e senza l’effettiva verifica sulla
ricorrenza delle circostanze previste, solo in via eccezionale, nel citato art.
31, comma 5».
Il ricorrente conclude sul
punto affermando che, in tale modo, la disposizione impugnata «incide,
sminuendone la portata deterrente e repressiva, sulle norme statali poste a
tutela dell’ambiente, violando la competenza esclusiva statale, ex art. 117,
comma 2, lettera s) della Costituzione».
Sempre con riguardo alla
violazione di tale parametro, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma
inoltre che le lettere c) e d) del comma 2 dell’art. 2 della legge reg.
Campania n. 19 del 2017 realizzerebbero, «nella sostanza, un effetto analogo a
quello di un "condono edilizio straordinario”, in quanto consent[ono] che immobili abusivi siano "regolarizzati” e assegnati
agli autori degli abusi stessi».
A questo proposito, il
ricorrente richiama la sentenza di questa
Corte n. 233 del 2015 (in particolare, il punto 3.1. del
Considerato in diritto), in cui si chiarisce, tra l’altro, che «esula dalla
potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria
straordinaria per il solo territorio regionale»; ciò che, invece, si verificherebbe
con l’impugnato art. 2, comma 2.
1.1.2. – Tale disposizione
violerebbe, «in ogni caso», l’art. 117, terzo comma, Cost.
Secondo il ricorrente, come
sarebbe reso evidente dalla stessa rubrica dell’art. 2 legge reg. Campania n.
19 del 2017 («Linee guida per le misure alternative alle demolizioni di
immobili abusivi»), tale intervento legislativo si collocherebbe nell’ambito
materiale di legislazione concorrente del governo del territorio, comprensivo,
in linea di principio, di tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla
localizzazione di impianti o attività.
Essa contrasterebbe,
tuttavia, con i principi fondamentali del d.P.R. n.
380 del 2001, cui, a norma degli artt. 1 e 2, commi 1 e 3, dello stesso testo
unico dell’edilizia, le Regioni devono attenersi nell’esercizio della potestà
legislativa concorrente.
In proposito, il Presidente
del Consiglio dei ministri afferma che, mentre i commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 configurano l’acquisizione
dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune «come una sanzione impropria,
preordinata principalmente alla demolizione dello stesso», secondo l’impugnato
art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017, viceversa,
l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire e la conseguente acquisizione al
patrimonio comunale «determinano […] un sostanziale venire meno della pretesa
demolitoria, a prescindere dalle valutazioni richieste dalla normativa statale,
ex art. 31, comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, in
ordine all’esistenza "di prevalenti interessi pubblici” alla conservazione
dell’opera abusiva e all’accertamento che la stessa "non contrasti con
rilevanti interessi urbanistici, ambientali, o del rispetto dell’assetto
idrogeologico”».
Inoltre, le lettere c) e d)
dell’impugnato comma 2 produrrebbero, «nella sostanza, un effetto analogo a
quello di un "condono edilizio straordinario”, in quanto si consente che
immobili abusivi siano "regolarizzati” e assegnati agli autori degli abusi
stessi, con evidente elusione dei limiti della potestà legislativa concorrente
della Regione (Corte
Cost. n. 233/2015 cit.)».
Il Presidente del Consiglio
dei ministri ritiene non si possa ragionevolmente sostenere che l’applicabilità
della normativa statale sulla repressione degli abusi edilizi sia, nella
sostanza, subordinata alla previa valutazione discrezionale del competente
ufficio comunale in ordine alla sussistenza di un perdurante interesse pubblico
alla rimessione in pristino rispetto all’affidamento dell’immobile abusivo al
privato, atteso che l’interesse di questi al mantenimento dello stesso è
recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa
urbanistico-edilizia e al corretto governo del territorio (è nuovamente citata
la sentenza n.
233 del 2015). Ciò in quanto – sempre ad avviso del ricorrente –
l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce un’attività vincolata
dell’amministrazione, non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione,
tanto che, ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione, non è necessario
l’invio della comunicazione di avvio del procedimento.
Da ciò il contrasto della
disposizione impugnata con l’art. 117, terzo comma, Cost.
1.2. – Quanto alla seconda
delle disposizioni impugnate, l’art. 4, comma 1, lettera e), legge reg.
Campania n. 19 del 2017, inserisce, dopo il comma 4-bis dell’art. 44 della
legge della Regione Campania 22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del
territorio), un comma 4-ter, il quale dispone che, «[n]ei Comuni sprovvisti di
strumento urbanistico comunale, nelle more dell’approvazione del Piano
urbanistico comunale, per edifici regolarmente assentiti, adibiti ad attività
manifatturiere, industriali e artigianali, sono consentiti ampliamenti che
determinano un rapporto di copertura complessivo fino ad un massimo del 60 per
cento».
Il ricorrente afferma che
tale disposizione contrasta con l’art. 9 d.P.R. n. 380
del 2001, «che limita, invece, gli interventi edilizi realizzabili in assenza
di pianificazione generale e attuativa e che costituisce un principio
fondamentale in materia di governo del territorio».
1.2.1. – L’impugnato art.
4, comma 1, lettera e), «risultando non conforme alla citata legislazione di
settore», violerebbe, anzitutto, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Sarebbe infatti evidente
che gli ampliamenti da esso consentiti «introducono un’indebita estensione
della potestà legislativa regionale, in violazione dell’anzidetto parametro
costituzionale, e sono idonei, tra l’altro, a realizzare una disparità di
trattamento di situazioni analoghe sul territorio, atteso che, ciò che è stato
escluso a livello nazionale dal testo unico in materia di edilizia, verrebbe
[…] consentito […] per la sola Regione Campania».
1.2.2. –Ad avviso del
ricorrente, la disposizione impugnata, inoltre, ponendosi in contrasto con i
principi fondamentali contenuti nel d.P.R. n. 380 del
2001 – ai quali i legislatori regionali si dovrebbero attenere a norma degli
artt. 1 e 2, commi 1 e 3, dello stesso t.u. edilizia
– «eccede dalla sfera di competenza regionale concorrente in materia di
"governo del territorio”».
A tale proposito, il
Presidente del Consiglio dei ministri richiama la sentenza di questa
Corte n. 84 del 2017, in cui è stato statuito che i limiti all’edificazione
nelle cosiddette "zone bianche”, previsti dall’art. 9 d.P.R.
n. 380 del 2001, hanno «le caratteristiche intrinseche del principio
fondamentale della legislazione statale in materia di governo del territorio» e
sottolinea come gli stessi costituiscano dei «limiti minimi, derogabili dalle
regioni solo nella direzione dell’innalzamento della tutela», come riconosciuto
dalla stessa sentenza
n. 84 del 2017, nonché dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione
quarta, 12 marzo 2010, n. 1461.
2. – Si è costituita in
giudizio la Regione Campania, chiedendo che le questioni proposte siano
dichiarate inammissibili o non fondate.
3. – È intervenuta
l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS,
chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate fondate.
4. – In prossimità
dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato una memoria
illustrativa.
4.1. – La Regione
resistente ribadisce, in primo luogo, l’inammissibilità e, comunque,
l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
2, legge reg. Campania n. 19 del 2017.
4.1.1. – Con riguardo
all’inammissibilità di esse, la Regione Campania rappresenta la necessità che
il giudizio di legittimità costituzionale, anche in via principale, abbia a
oggetto questioni «concrete e non […] ipotetiche o astratte o premature». Sulla
base di tale premessa, la stessa Regione, considerato che l’impugnato art. 2,
comma 2, «riguarda l’adozione di linee guida per atti comunali meramente
facoltativi, e quindi ipotetici ed eventuali, di cui non è dato ipotizzare […]
alcuna lesione delle competenze legislative statali», eccepisce che «risulta
precluso impugnare una legge lamentando la mera possibilità che un atto
attuativo della legge medesima possa contrastare, eventualmente ed
ipoteticamente, con l’art. 117 della Costituzione».
4.1.2. – Con riguardo
all’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017, la Regione nega che tale
disposizione si ponga in contrasto con gli invocati parametri costituzionali.
4.1.2.1. – Quanto, in primo
luogo, all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il denunciato vulnus
a tale parametro sarebbe palesemente insussistente, in quanto la legge reg.
Campania n. 19 del 2017 atterrebbe all’urbanistica e all’edilizia, che, secondo
il costante orientamento della Corte costituzionale, dovrebbero essere
ricondotte alla materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost. e non alla
materia «tutela dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost.
La Regione Campania
aggiunge che, in ogni caso, la disposizione impugnata non modifica in peius il
livello di tutela assicurato dall’art. 31, comma 5, d.P.R.
n. 380 del 2001.
4.1.2.2. – Quanto all’art.
117, terzo comma, Cost., la Regione Campania deduce anzitutto che il potere delle
Regioni di adottare atti di indirizzo nella materia urbanistico-edilizia
sarebbe stato riconosciuto dalla Corte costituzionale (è citata la sentenza n. 84 del
2017). La mancata impugnazione del comma 1 dell’art. 2 legge reg. Campania
n. 19 del 2017 confermerebbe, del resto, che neppure il ricorrente dubita
dell’esistenza di tale potere.
Ciò precisato, la Regione
resistente sottolinea le previsioni sia di tale comma, là dove stabilisce
l’adozione di linee guida non vincolanti a supporto dei Comuni nella
regolamentazione e attuazione di misure alternative alla demolizione, «ai sensi
dell’art. 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001», sia dell’impugnato comma 2, là
dove dispone che gli atti regolamentari e d’indirizzo che gli stessi Comuni
potranno approvare avvalendosi delle linee guida siano adottati «in conformità
e nel rispetto della normativa nazionale vigente in materia».
L’art. 2 legge reg.
Campania n. 19 del 2017 prevederebbe quindi soltanto l’adozione, da parte della
Regione, di un atto orientativo, di indirizzo, privo di portata normativa e
sprovvisto, perciò, del potere di condizionare i Comuni; i quali potranno
decidere di seguire i criteri elencati alle lettere da a) ad h) dell’impugnato
comma 2 – dettati per esigenze di omogeneità nel territorio regionale – oppure
di compiere delle scelte autonome, difformi dalle linee guida regionali.
Dal tenore letterale del
comma impugnato emergerebbe dunque che esso non impone alcun comportamento in
contrasto con la normativa nazionale, in particolare, con il d.P.R. n. 380 del 2001, ma si limita a prevedere una
facoltà, in capo ai Comuni, di adottare atti regolamentari coerenti con le
linee guida.
Né l’art. 2 legge reg.
Campania n. 19 del 2017 configurerebbe un condono straordinario, giacché tale
disposizione, là dove fa riferimento alla locazione e all’alienazione degli
immobili – che sarebbero pacificamente consentite –, «non contempla alcuna
regolarizzazione in favore dell’autore dell’illecito».
Sarebbe, altresì,
palesemente infondata la tesi del ricorrente secondo cui lo stesso art. 2
escluderebbe la demolizione indipendentemente dalle valutazioni richieste, a
tale fine, dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del
2001, atteso che questo parametro interposto è espressamente richiamato dal
medesimo art. 2.
La Regione resistente
rappresenta infine che, in attuazione di tale articolo, la Giunta regionale
della Campania, con la delibera 6 febbraio 2018, n. 57, ha approvato le «Linee
guida relative ai problemi dell’abusivismo edilizio». La stessa Regione
sottolinea che in esse si ribadisce la mancanza di «precettività e
vincolatività» e se ne conferma la coerenza con la normativa statale di
principio, in particolare, con l’art. 31, comma 5, d.P.R.
n. 380 del 2001. Tale disposizione, peraltro, «non offre una elencazione dei
"prevalenti” interessi pubblici, la cui concreta determinazione è rimessa, per
legge, in forma esclusiva e discrezionale, al Consiglio Comunale».
4.2. – La Regione
resistente, deduce, in secondo luogo, l’«improcedibilità»
del ricorso per la parte relativa all’impugnazione dell’art. 4, comma 1,
lettera e), legge reg. Campania n. 19 del 2017.
Nell’affermare
l’infondatezza della questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., in quanto la disposizione
regionale afferisce alla materia «governo del territorio», la Regione Campania
rappresenta che il comma 4-ter dell’art. 44 legge reg. Campania n. 16 del 2004,
aggiunto dall’impugnato art. 4, comma 1, lettera e), è stato abrogato dall’art.
14, comma 2, della legge della Regione Campania 29 dicembre 2017, n. 38
(Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il
triennio 2018-2020 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale per il
2018), e «non risulta avere avuto applicazione nel periodo della sua vigenza».
5. – Il 30 maggio 2018, la
Regione Campania ha depositato nella cancelleria della Corte costituzionale due
note (numeri 344158 e 344256 del 29 maggio 2018) della Direzione generale per
il governo del territorio, i lavori pubblici e la protezione civile, in cui si
attesta che, dall’esame delle banche dati, erano quindici i Comuni della
Regione Campania che, nel periodo della vigenza della disposizione impugnata,
risultavano sprovvisti di pianificazione urbanistica; tali quindici Comuni,
espressamente indicati, attestano di non avere rilasciato, nello stesso
periodo, titoli abilitativi in base alla disposizione impugnata.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 4,
comma 1, lettera e), della legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19
(Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di
governo del territorio), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera
s), e terzo comma, della Costituzione.
2.– In via preliminare, deve essere dichiarata
l’inammissibilità dell’intervento in giudizio spiegato dall’Associazione
Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS.
Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, infatti, «il giudizio di costituzionalità delle
leggi, promosso in via d’azione ai sensi dell’art. 127 Cost.
e degli artt. 31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), si svolge
esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette
l’intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando, per costoro, ove
ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale
eventualmente esperibili» (da ultimo, sentenza n. 170 del
2017, punto 3. del Considerato in diritto; nello
stesso senso, ex plurimis,
sentenze n. 110
e n. 63 del 2016,
n. 251, n. 118 e n. 31 del 2015).
3.– Il ricorrente impugna, anzitutto, l’art. 2,
comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017.
3.1.– Il comma 1 di tale articolo prevede che, al
fine di perseguire indirizzi uniformi in ambito regionale, la Giunta regionale
«adotta linee guida non vincolanti per supportare gli enti locali nella
regolamentazione ed attuazione, se ne ricorrono i presupposti, di misure
alternative alla demolizione degli immobili abusivi ai sensi dell’articolo 31,
comma 5 del D.P.R. n. 380/2001» (primo periodo). Tali linee guida sono
approvate dalla Giunta regionale entro novanta giorni dall’entrata in vigore
della legge regionale, su proposta della struttura amministrativa regionale
competente in materia di governo del territorio, «con riferimento a quanto
previsto dal comma 2» (secondo periodo).
L’impugnato comma 2
stabilisce quindi che, «[f]erma restando l’autonoma valutazione dei Consigli
comunali sull’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto alla
procedura di demolizione dei beni acquisiti al patrimonio comunale, i Comuni,
nell’ambito delle proprie competenze, possono avvalersi delle linee guida di
cui al presente articolo per approvare, in conformità e nel rispetto della
normativa nazionale vigente in materia, atti regolamentari e d’indirizzo riguardanti:
a) i parametri e criteri generali di valutazione del prevalente interesse
pubblico rispetto alla demolizione; b) i criteri per la valutazione del non
contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di
rispetto dell’assetto idrogeologico; c) la regolamentazione della locazione e
alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza
all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità
al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo
familiare; d) i criteri di determinazione del canone di locazione e del prezzo
di alienazione ad onerosità differenziata fra le superfici adeguate alla
composizione del nucleo familiare e quelle in eventuale eccedenza; e) i criteri
di determinazione del possesso del requisito soggettivo di occupante per
necessità, anche per quanto riferito alla data di occupazione dell’alloggio; f)
i criteri di determinazione del limite di adeguatezza dell’alloggio alla
composizione del nucleo familiare; g) le modalità di accertamento degli
elementi di cui alle lettere e), f) e del possesso dei requisiti morali di cui
all’articolo 71, comma 1, lettere a), b), e), f) del decreto legislativo 26
marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi
del mercato interno); h) le modalità di comunicazione delle delibere consiliari
approvate ai sensi dell’articolo 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001
all’autorità giudiziaria che abbia ordinato, per gli stessi immobili, la demolizione
ai sensi dell’articolo 31, comma 9 del D.P.R. n. 380/2001».
3.2.– Secondo il Presidente
del Consiglio dei ministri, l’impugnato comma 2, prevedendo che i Comuni della
Regione Campania possano non demolire gli immobili abusivi acquisiti al proprio
patrimonio a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione – in
particolare, che possano locarli o alienarli, anche agli occupanti (e anche
quando questi siano i responsabili dell’abuso) – indipendentemente dalla
verifica delle circostanze in presenza delle quali l’art. 31, comma 5, del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo
A)», consente di non procedere alla demolizione degli stessi, violerebbe:
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché
«incide, sminuendone la portata deterrente e repressiva, sulle norme statali
poste a tutela dell’ambiente»; l’art. 117, terzo comma, Cost.,
perché contrasta con il principio fondamentale della materia «governo del
territorio» stabilito dall’art. 31, commi da 3 a 6, d.P.R.
n. 380 del 2001, i quali «configura[no] l’acquisizione al patrimonio del comune
dell’immobile abusivo come una sanzione […] preordinata principalmente alla
demolizione dello stesso».
Sempre ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, l’impugnato comma 2 e, in particolare,
le disposizioni delle lettere c) e d), dello stesso, sarebbero in contrasto con
l’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., anche perché
«realizza, nella sostanza, un effetto analogo a quello di un "condono edilizio
straordinario”, in quanto consente che immobili abusivi siano ‘regolarizzati’ e
assegnati agli autori degli abusi stessi».
3.3.– La Regione Campania ha eccepito l’inammissibilità
di tali questioni perché «ipotetiche o astratte o premature».
Secondo la Regione, in
particolare, considerato che la disposizione impugnata «riguarda l’adozione di
linee guida per atti comunali meramente facoltativi, e quindi ipotetici ed
eventuali, di cui non è dato ipotizzare […] alcuna lesione delle competenze
legislative statali», sarebbe «precluso impugnare una legge lamentando la mera
possibilità che un atto attuativo della […] medesima possa contrastare,
eventualmente ed ipoteticamente, con l’art. 117 della Costituzione».
L’eccezione non è fondata.
Deve anzitutto osservarsi
che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Regione Campania, le qualificazioni
di questione ipotetica, questione astratta e questione prematura sono state
elaborate e utilizzate da questa Corte esclusivamente con riferimento alle
questioni di legittimità costituzionale in via incidentale e non anche in via
principale; segnatamente, in relazione al requisito della rilevanza delle
questioni incidentali, requisito per cui si richiede che esse abbiano a oggetto
disposizioni effettivamente (e non solo eventualmente o solo successivamente)
applicabili nel giudizio a quo.
In secondo luogo,
diversamente da quanto affermato dalla Regione resistente, nel ricorso è
lamentata la violazione dell’art. 117 Cost. non da parte degli atti regolamentari o di indirizzo che i
Comuni campani potranno eventualmente approvare in attuazione dell’art. 2,
comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017, ma da parte di questa stessa
disposizione.
Né è possibile dubitare
dell’interesse dello Stato all’impugnazione di essa. La previsione
dell’adozione, da parte della Giunta regionale della Campania, di linee guida
per le misure alternative alle demolizioni di immobili abusivi, con
riferimento, in particolare, a quanto previsto dall’impugnato comma 2, aventi
la funzione di fornire criteri che possano orientare i Comuni nell’esercizio
della discrezionalità amministrativa loro riconosciuta dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, appare potenzialmente idonea a
recare un vulnus alle invocate competenze statali in materia.
3.4.– La risoluzione del merito delle questioni
sopra indicate richiede, preliminarmente, di individuare l’ambito materiale cui
la disposizione impugnata deve essere ricondotta.
Il comma 2 dell’art. 2
legge reg. Campania n. 19 del 2017 riguarda – come esplicitamente risulta dalla
rubrica («Linee guida per le misure alternative alle demolizioni di immobili
abusivi»), oltre che dal contenuto di tale articolo – interventi edilizi,
qualificati, dalla stessa disposizione regionale, «abusivi», e in particolare
fa riferimento alla disciplina della demolizione o, «alternativamente», della
conservazione di essi.
Ne consegue che viene in
rilievo «l’insegnamento costante di questa Corte secondo cui l’urbanistica e
l’edilizia vanno ricondotte alla materia "governo del territorio”, di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost.» (sentenza
n. 68 del 2018, punto 9.1. del Considerato in diritto;
nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 84 del
2017). La sentenza
n. 233 del 2015, in particolare, ha ascritto alla materia «governo del
territorio» una disciplina regionale attinente alla esclusione della sanzione
della demolizione (nonché della «succedanea acquisizione gratuita delle aree al
patrimonio comunale, in caso di inadempimento dell’ordine di demolizione») di
opere e interventi edilizi abusivi (punto 3.1. del
Considerato in diritto).
In tale «materia di
legislazione concorrente […] lo Stato ha il potere di fissare i principi
fondamentali, mentre spetta alle Regioni il potere di emanare la normativa di
dettaglio» (sentenza
n. 84 del 2017, punto 7. del Considerato in diritto;
nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 233 del
2015).
3.5.– Individuato nel
«governo del territorio» l’ambito materiale cui va ascritto l’impugnato comma 2
dell’art. 2 legge reg. Campania n. 19 del 2017, deve ora essere esaminata la
censura con cui il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., il
contrasto di tale comma con il principio fondamentale, stabilito dall’art. 31,
commi da 3 a 6, d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui
l’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune a seguito
dell’inottemperanza all’ordine di demolirlo si «configura come una sanzione […]
preordinata principalmente alla demolizione dello stesso».
La questione è fondata.
3.5.1.– Ai fini dello scrutinio della stessa, è
anzitutto necessario considerare, nel più ampio contesto dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, il contenuto precettivo dei commi
da 3 a 6, invocati dal ricorrente a parametro interposto, e valutare se esso
sia qualificabile come principio fondamentale della materia «governo del
territorio».
3.5.1.1.– Inserito nel Capo
II (intitolato «Sanzioni») del Titolo IV (intitolato «Vigilanza sull’attività
urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni») del d.P.R.
n. 380 del 2001, il citato art. 31 appresta l’apparato sanzionatorio per le
violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia – segnatamente, gli
interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o
con variazioni essenziali rispetto a esso – prevedendo, di conseguenza, le
sanzioni più rigorose.
Per cogliere appieno la
funzione assegnata a tali sanzioni, è utile ricostruire le due fasi in cui
l’irrogazione delle stesse si articola.
Nella prima fase –
disciplinata dal comma 2 dell’art. 31 d.P.R. n. 380
del 2001 – il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale,
accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, in
totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso, notifica al
proprietario e al responsabile dell’abuso l’ingiunzione a demolire le opere (o
a rimuovere gli effetti degli interventi posti in essere senza la realizzazione
di trasformazioni fisiche), indicando l’area che, in caso di inottemperanza
all’ordine, sarà acquisita al patrimonio del Comune ai sensi del comma 3.
A tale riguardo, l’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, con la recente sentenza 17 ottobre 2017, n. 9,
ha affermato il principio di diritto che il provvedimento con cui si ingiunge
la demolizione di un immobile abusivo, «per la sua natura vincolata e
rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in
diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse
(diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono
la rimozione dell’abuso». Tale principio «non ammette deroghe neppure
nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo
dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile
dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di
ripristino» (nello stesso senso, successivamente, Consiglio di Stato, sezione
quarta, sentenza 11 dicembre 2017, n. 5788). Il menzionato potere di
repressione degli abusi edilizi non è soggetto a termini di decadenza o di
prescrizione (ex plurimis,
Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 5 gennaio 2015, n. 13). Quanto alle
caratteristiche della sanzione amministrativa della demolizione, il Consiglio
di Stato ha affermato che essa «ha ad oggetto esclusivamente la res abusiva;
non consiste in una misura afflittiva volta a punire la condotta illecita bensì
a ristabilire l’equilibrio urbanistico violato»; sicché lo stesso Consiglio
l’ha definita «sanzione ripristinatoria» (sezione sesta, sentenza 22 maggio
2017, n. 2378).
Se il responsabile
dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi
entro novanta giorni dalla notificazione dell’ingiunzione a demolire, si apre
la eventuale seconda fase della procedura sanzionatoria, contemplata dagli
invocati commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380
del 2001.
Il bene immobile abusivo e
l’area di sedime (nonché quella necessaria, secondo le prescrizioni
urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive) sono
acquisiti, di diritto e gratuitamente, al patrimonio del Comune (comma 3
dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).
L’atto con cui si accerta
l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire entro il termine di novanta giorni
costituisce, previa notifica all’interessato, titolo per l’immissione nel
possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari (comma 4 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).
A proposito
dell’acquisizione dell’immobile abusivo e dell’area di sedime al patrimonio
comunale, questa Corte ha chiarito che essa costituisce una sanzione in senso
stretto, distinta dalla demolizione, che «rappresenta la reazione
dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue
un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla» (sentenza n. 345 del
1991, punto 2. del Considerato in diritto; nello
stesso senso, sentenza
n. 427 del 1995 e ordinanza n. 82 del
1991; analogamente, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 26
gennaio 2006, n. 1693).
Infatti, «l’operatività
dell’ingiunzione a demolire non presuppone sempre necessariamente la preventiva
acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, perché l’ingiunzione è un
provvedimento amministrativo di natura autoritativa che, in quanto tale, è
assistito […] dal carattere della esecutorietà insito nel potere di
autotutela». Sicché «appare evidente che, qualora non ricorrano i presupposti
per l’acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l’area sia di
proprietà del terzo [estraneo all’illecito], la funzione ripristinatoria
dell’interesse pubblico violato dall’abuso, sia pur ristretta alla sola
possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi
comunali di darvi esecuzione d’ufficio» (sentenza n. 345 del
1991, punto 3. del Considerato in diritto).
L’inottemperanza all’ordine
di demolizione è presidiata anche dalla sanzione pecuniaria prevista dal comma
4-bis dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 (comma
aggiunto dall’art. 17, comma 1, lettera q-bis, del decreto-legge 12 settembre
2014, n. 133, recante «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la
ripresa delle attività produttive», convertito, con modificazioni, nella legge
11 novembre 2014, n. 164).
Il fatto che, con
l’acquisizione al patrimonio comunale, il bene diventi pubblico non comporta,
tuttavia, che l’opera diventi legittima sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Essa è destinata a essere «demolita con ordinanza del dirigente o del
responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili
dell’abuso» (comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del
2001).
La regola della demolizione
ammette una deroga. Lo stesso comma 5, in via eccezionale, prevede la
possibilità di conservare l’opera quando, «con deliberazione consiliare […] si
dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera
[stessa] non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di
rispetto dell’assetto idrogeologico».
Queste ultime disposizioni
hanno, all’evidenza, un ruolo decisivo nello scrutinio della questione in
esame. Il legislatore statale ha dettato innanzi tutto la regola secondo cui
l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale deve essere demolita e ha
consentito, in via di eccezione a tale regola, ai singoli Comuni – con
attribuzione della relativa competenza al consiglio comunale – di utilizzare,
anziché demolire, l’opera abusiva quando ritengano l’esistenza di un interesse
pubblico alla conservazione e la prevalenza di esso sul concorrente interesse,
anch’esso pubblico, al ripristino della conformità del territorio alla
normativa urbanistico-edilizia. L’interesse pubblico alla conservazione dell’opera,
inoltre, può essere preso in considerazione – e ritenuto, eventualmente,
prevalente – sempre che non sussistano le situazioni preclusive costituite dal
contrasto dell’opera «con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di
rispetto dell’assetto idrogeologico».
Per gli interventi
abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in conformità a leggi statali o
regionali, a vincoli di inedificabilità, l’acquisizione gratuita, nel caso di
inottemperanza all’ingiunzione a demolire, «si verifica di diritto a favore
delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo», le
quali «provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello
stato dei luoghi», sempre a spese dei responsabili dell’abuso (primo e secondo
periodo del comma 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del
2001).
È infine utile ricordare
che, per le opere abusive contemplate nello stesso art. 31, il giudice penale,
con la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 44 d.P.R.
n. 380 del 2001, ne ordina la demolizione, qualora non sia stata altrimenti
eseguita (comma 9 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del
2001).
3.5.1.2.– Ricostruito il contenuto precettivo dei
commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001,
occorre ora valutare se la demolizione dell’immobile abusivo acquisito al
patrimonio comunale – con le sole deroghe previste dal comma 5 dello stesso
articolo – costituisca o no un principio fondamentale della materia «governo
del territorio».
La risposta non può che
essere affermativa.
L’aver previsto che, a
fronte delle violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia – quali
sono la realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale
difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso – si debba fare luogo,
da parte dello stesso responsabile dell’abuso o, in difetto, del Comune che
abbia perciò acquisito il bene, alla demolizione dell’opera abusiva, esprime
una scelta fondamentale del legislatore statale. Quest’ultimo, in considerazione
della gravità del pregiudizio recato all’interesse pubblico dai menzionati
abusi, ha inteso imporne la rimozione – e, con essa, il rispristino
dell’ordinato assetto del territorio – in modo uniforme in tutte le Regioni.
Le deroghe al principio della
demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune –
previste dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del
2001 – sono fondate su un rapporto di stretta connessione con la regola base.
In ragione di questo collegamento esse contribuiscono a definire la portata del
principio fondamentale.
Pertanto, se pure si
volesse ignorare l’autoqualificazione, in questo caso corretta, data dall’art.
1, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, vi sono solide
ragioni per affermare che la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al
patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio
fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale
di dettaglio in materia di «misure alternative alle demolizioni».
3.5.2.– Alla luce di quanto detto, l’impugnato art.
2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017 viola il principio fondamentale,
espresso dai commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n.
380 del 2001, perché, attraverso gli atti regolamentari e d’indirizzo, i Comuni
della Regione Campania, avvalendosi delle linee guida, possono eludere
l’obbligo di demolire le opere abusive acquisite al proprio patrimonio.
Come si è visto (punto
3.1.), oltre al comma 1 e alla previsione dell’adozione di linee guida non
vincolanti per supportare gli enti locali nella regolamentazione e attuazione
di misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi «ai sensi
dell’articolo 31, comma 5 del D.P.R. n. 380/2001», si deve tenere presente
l’alinea dell’impugnato comma 2, in cui si precisa che i Comuni se ne possono
avvalere per approvare atti regolamentari e d’indirizzo «in conformità e nel
rispetto della normativa nazionale vigente in materia», ferma restando
l’autonoma valutazione dei consigli comunali sull’esistenza di prevalenti
interessi pubblici rispetto alla demolizione dei beni acquisiti al patrimonio
comunale.
Tuttavia, i richiami alle
disposizioni della legislazione statale – su cui insiste la difesa della
Regione Campania – sono contraddetti da quanto stabilito nelle lettere da a) ad
h) dell’impugnato comma 2, ovvero dai contenuti degli atti regolamentari e
d’indirizzo adottabili dai Comuni.
A un esame complessivo
risulta che, dopo l’indicazione nelle lettere a) e b), rispettivamente dei
«parametri e criteri generali di valutazione del prevalente interesse pubblico
rispetto alla demolizione» e dei «criteri per la valutazione del non contrasto
dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto
dell’assetto idrogeologico», la lettera c) prevede, specificamente, che gli
atti regolamentari e d’indirizzo dei Comuni «regolament[ino
la] locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per
inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli
occupanti per necessità al fine di garantire un alloggio adeguato alla
composizione del relativo nucleo familiare». Tutte le successive lettere, da d)
a g), riguardano aspetti connessi e strumentali rispetto alla locazione e alla
alienazione.
La citata lettera c)
dell’impugnato comma 2 riveste un ruolo centrale per la definizione della
questione in esame.
Più nel dettaglio, col
prevedere la regolamentazione della locazione e dell’alienazione degli immobili
abusivi acquisiti al patrimonio comunale «anche con preferenza per gli
occupanti per necessità», essa comporta che le stesse potrebbero essere a
favore sia degli occupanti per necessità, anche «con preferenza» (al fine di
garantire loro un alloggio adeguato alla composizione del nucleo familiare),
sia di qualsiasi altro soggetto, persona fisica o ente, non occupante per
necessità.
In entrambe tali ipotesi,
la lettera c) non esclude – e, quindi, consente – che la locazione o
l’alienazione siano a favore del responsabile dell’abuso. Nella prima ipotesi
si può plausibilmente affermare che l’occupante per necessità si trovi
solitamente a coincidere con il responsabile dell’abuso e che a questi venga
accordata una «preferenza» nella locazione e alienazione degli immobili.
Quale che sia il soggetto
cui gli immobili abusivi, acquisiti al patrimonio comunale, potrebbero essere
locati o alienati, è di tutta evidenza che locazione e alienazione sono
contemplate dall’impugnato comma 2 come esiti "normali” verso cui destinare i
suddetti immobili.
Ne consegue che l’impugnato
comma 2, considerato nel suo insieme per le strette implicazioni delle
disposizioni in esso contenute, viola il principio fondamentale espresso dai
commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001.
Tale principio implica che l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale
debba, di regola, essere demolita e che possa essere conservata, in via
eccezionale, soltanto se, con autonoma deliberazione del consiglio comunale
relativa alla singola opera, si ritenga, sulla base di tutte le circostanze del
caso, l’esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conservazione della
stessa e la prevalenza di questo sull’interesse pubblico al ripristino della
conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia, nonché l’assenza
di un contrasto della conservazione dell’opera con rilevanti interessi
urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico. Si noti che
la facoltà riconosciuta ai Comuni, di non demolire le opere abusive di cui qui
si discute deve implicare un’analisi puntuale delle caratteristiche di ognuna
di esse, rispettosa dei canoni individuati dalla legge statale, che sola può
garantire uniformità sull’intero territorio nazionale.
Il disallineamento della
disciplina regionale rispetto al principio fondamentale della legislazione
statale – quello che individua nella demolizione l’esito "normale” della
edificazione di immobili abusivi acquisiti al patrimonio dei comuni – finisce
con intaccare e al tempo stesso sminuire l’efficacia anche deterrente del regime
sanzionatorio dettato dallo Stato all’art. 31 d.P.R.
n. 380 del 2001, incentrato, come si è visto, sulla demolizione dell’opera
abusiva, la cui funzione essenzialmente ripristinatoria non ne esclude
l’incidenza negativa nella sfera del responsabile.
L’effettività delle
sanzioni risulterebbe ancora più sminuita nel caso di specie, in cui
l’interesse pubblico alla conservazione dell’immobile abusivo potrebbe
consistere nella locazione o nell’alienazione dello stesso all’occupante per
necessità responsabile dell’abuso.
Per queste ragioni, l’art.
2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017 deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
3.6.– L’accoglimento della questione promossa in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., sotto
il profilo indicato, comporta l’assorbimento delle altre censure mosse dal
ricorrente avverso l’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017.
4.– Il ricorrente impugna, in secondo luogo,
l’art. 4, comma 1, lettera e), legge reg. Campania n. 19 del 2017.
4.1. – Tale lettera
inserisce, dopo il comma 4-bis dell’art. 44 della legge della Regione Campania
22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del territorio), un comma 4-ter, in
cui si prevede che, «[n]ei Comuni sprovvisti di strumento urbanistico comunale,
nelle more dell’approvazione del Piano urbanistico comunale, per edifici
regolarmente assentiti, adibiti ad attività manifatturiere, industriali e
artigianali, sono consentiti ampliamenti che determinano un rapporto di
copertura complessivo fino ad un massimo del 60 per cento».
4.2. – Secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri, tale disposizione, col consentire, nei
Comuni della Campania sprovvisti di strumento urbanistico, nelle more
dell’approvazione del piano urbanistico comunale, ampliamenti degli edifici
regolarmente assentiti adibiti ad attività manifatturiere, industriali e
artigianali in deroga ai più ristretti limiti previsti, per l’attività edilizia
nei Comuni sprovvisti di pianificazione urbanistica, dall’art. 9 d.P.R. n. 380 del 2001, si porrebbe in contrasto con l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., perché
invaderebbe l’ambito materiale della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e
dei beni culturali»; e con l’art. 117, terzo comma, Cost.,
perché violerebbe il principio fondamentale della materia «governo del
territorio» espresso dal predetto art. 9.
4.3. – In ordine a tali
questioni, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
4.3.1. – Al riguardo, si
deve anzitutto confermare il costante orientamento di questa Corte secondo cui
la materia del contendere «cessa solo se lo ius superveniens ha carattere satisfattivo delle pretese
avanzate con il ricorso e se le disposizioni censurate non hanno avuto medio
tempore applicazione» (sentenza n. 68 del
2018, punto 14.1. del Considerato in diritto;
nello stesso senso, tra le più recenti, sentenze n. 44, n. 38 e n. 5 del 2018).
Entrambe tali condizioni
ricorrono nel caso di specie.
4.3.1.1. – Quanto alla
prima, il comma 4-ter dell’art. 44 della legge reg. Campania n. 16 del 2004 –
cioè il comma aggiunto a tale articolo dall’impugnato art. 4, comma 1, lettera
e) – è stato abrogato dal successivo art. 14, comma 2, della legge della Regione
Campania 29 dicembre 2017, n. 38 (Disposizioni per la formazione del bilancio
di previsione finanziario per il triennio 2018-2020 della Regione Campania -
Legge di stabilità regionale per il 2018), con effetto evidentemente
satisfattivo delle doglianze mosse con il ricorso avverso la suddetta impugnata
disposizione.
4.3.1.2. – Quanto alla
seconda condizione, premesso che il comma 4-ter dell’art. 44 legge reg.
Campania n. 16 del 2004 è rimasto in vigore dal 22 giugno 2017 al 31 dicembre
2017, la Regione Campania, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato
nella cancelleria della Corte due note (numeri 344158 e 344256 del 29 maggio
2018) della Direzione generale per il governo del territorio, i lavori pubblici
e la protezione civile in cui si attesta che, dall’esame delle banche dati, i
Comuni della Regione Campania che, nel periodo della vigenza del citato comma
4-ter, erano sprovvisti di pianificazione urbanistica erano quindici. Oltre
alla specifica indicazione degli stessi, sono prodotte le attestazioni di
ciascuno di essi di non avere rilasciato, nel medesimo periodo, titoli
abilitativi in base allo stesso comma 4-ter.
Tale documentazione risulta
idonea a comprovare – in assenza, tra l’altro, di contestazioni da parte del
ricorrente – la mancata applicazione medio tempore della disposizione
impugnata.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile l’intervento dell’Associazione Italiana per
il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS nel giudizio promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della
legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19 (Misure di semplificazione e
linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio);
3) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera e), della legge
reg. Campania n. 19 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria
il 5 luglio 2018.