SENTENZA N. 286
ANNO 2019
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Aldo
CAROSI;
Giudici: Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS,
Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 30, 32, 37, 38, 39, 40, 42, 43 e 52
della legge
della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al
bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di
scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione
Basilicata), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 21-29 gennaio 2019, depositato in cancelleria il 29 gennaio 2019,
iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Basilicata;
udito nell’udienza
pubblica del 3 dicembre 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello
Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Nicoletta Pisani per la Regione Basilicata.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ricorso
notificato il 21-29 gennaio 2019, depositato il 29 gennaio 2019 e iscritto al
n. 7 del registro ricorsi per il 2019, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, degli artt.
30, 32, 37, 38, 39, 40, 42, 43 e 52 della legge della Regione Basilicata 22
novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale
2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei
vari settori di intervento della Regione Basilicata).
2.– Nel terzo motivo di
ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 30 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018. Tale disposizione introduce l’art. 2-bis
nella legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei
criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli
impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010),
intitolato «Cumulabilità degli impianti da FER ai fini della verifica di
assoggettabilità alla VIA».
L’art. 2-bis dispone
quanto segue:
«1. Al fine di evitare
l’elusione della normativa di tutela dell’ambiente e di impedire la
frammentazione artificiosa di un progetto di produzione di energia da fonte
rinnovabile, di fatto riconducibile ad un progetto unitario, e/o di considerare
un singolo progetto anche in riferimento ad altri progetti appartenenti alla
stessa categoria localizzati nel medesimo contesto territoriale ed ambientale,
che per l’effetto cumulo determinano il superamento della soglia dimensionale
fissata dall’allegato IV - Parte II del D.Lgs. 3
aprile 2006, n. 152, l’ambito territoriale da considerare, ai sensi dell’art. 4
del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, per la verifica di
assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (VIA) è definito da una
fascia:
- Individuata dal
raggio di 1 km misurato a partire dal centro per le opere puntuali, elevato a
2,00 km nelle aree non idonee individuate dalla presente legge;
- di 1 km misurato a partire
dal perimetro esterno dell’area occupata per le opere areali, elevato a 2 km
nelle aree non idonee ai sensi della presente legge;
- di 500 metri
dall’asse del tracciato per le opere lineari.
2. La sussistenza
contemporanea di almeno due delle condizioni di cui al comma 1 comporta la
riduzione al 50% delle soglie relative alla specifica categoria progettuale
riportata nell’allegato IV Parte II del D.Lgs. 3
aprile 2006, n. 152.
3. Sono esclusi
dall’applicazione del criterio di cumulo i progetti previsti da un piano o
programma sottoposto alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS)
ed approvato ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 3
aprile 2006, n. 152, nonché i progetti per i quali la procedura di verifica di
cui all’art. 20 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è
integrata dalla VAS».
Il ricorrente rileva
che l’art. 30, commi 1 e 2 (recte: l’art. 2-bis,
commi 1 e 2, della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015), disciplina
«l’estensione delle aree nelle quali più iniziative possono integrare casi di
cumulo degli impianti FER - Fonte di energia rinnovabili ai fini della
preliminare verifica della assoggettabilità a VIA». Tale norma si risolverebbe
«in un ingiustificato aggravio procedimentale» in quanto applicherebbe «alla
preliminare verifica di assoggettabilità alla VIA ciò che è previsto per la
sola VIA in modo coerente con il sistema e le soglie di potenza per
l’assoggettamento alla medesima VIA».
Il ricorrente richiama
l’art. 4 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva
2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante
modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), il
cui comma 3 dispone che, «[a]l fine di evitare l’elusione della normativa di
tutela dell’ambiente, del patrimonio culturale, della salute e della pubblica
incolumità, fermo restando quanto disposto dalla Parte quinta del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, e, in
particolare, dagli articoli 270, 273 e 282, per quanto attiene
all’individuazione degli impianti e al convogliamento delle emissioni, le
Regioni e le Province autonome stabiliscono i casi in cui la presentazione di
più progetti per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e
localizzati nella medesima area o in aree contigue sono da valutare in termini
cumulativi nell’ambito della valutazione di impatto ambientale».
L’aggravio
procedimentale sarebbe poi «acuito dalla previsione di cui al comma 2 dell’art.
30 [recte: comma 2 dell’art. 2-bis della legge reg.
Basilicata n. 54 del 2015] dove le soglie sono dimezzate in caso di ricorrenza
di due delle condizioni previste al comma n. 1».
La norma regionale
impugnata contrasterebbe, dunque, «con l’esigenza di uniformità normativa sotto
il profilo della tutela ambientale […] e sotto il profilo dell’autorizzazione
degli impianti alimentati a fonte rinnovabile», violando l’art. 117, secondo comma,
lettera s), e terzo comma (con riferimento alla materia dell’energia), della
Costituzione.
3.– Nel quarto motivo
di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 32 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.
Tale disposizione
sostituisce l’art. 6 della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8
(Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili), come
già modificato dall’art. 6 della legge della Regione Basilicata 11 settembre
2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n.
1 "Norme in materia di energia e piano di indirizzo energetico ambientale
regionale – d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007; 26
aprile 2012, n. 8 "Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica
da fonti rinnovabili” e 30 dicembre 2015, n. 54 "Recepimento dei criteri per il
corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di
energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010”), con il seguente:
«Articolo 6
Limiti all’utilizzo
della PAS per gli impianti eolici e fotovoltaici
1. Ai fini della
sicurezza nonché della tutela territoriale ed ambientale, la costruzione e
l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili con potenza nominale non superiore a 200 kW è consentita nel
rispetto delle condizioni e prescrizioni di seguito riportate:
a) impianti eolici
a.1) devono rispettare
le indicazioni riportate nel paragrafo 1.2.2. "Gli impianti di piccola
generazione” dell’Appendice A del P.I.E.A.R.;
a.2) parere
paesaggistico favorevole rilasciato dalla Regione sulla compatibilità
dell’impianto con l’area interessata, se classificata non idonea dalla L.R. 30
dicembre 2015, n. 54;
a.3) devono avere una
distanza dagli altri impianti eolici o impianti FER presenti, ovvero
autorizzati, non inferiore ad 1 km misurato tra i punti più vicini del
perimetro dell’area occupata dall’impianto;
b) impianti solari di
conversione fotovoltaica
b.1) devono rispettare
le indicazioni riportate nel paragrafo 2.2.2. "Procedure per la costruzione e
l’esercizio degli impianti fotovoltaici di microgenerazione” dell’Appendice A
del P.I.E.A.R.;
b.2) parere
paesaggistico favorevole rilasciato dalla Regione sulla compatibilità
dell’impianto con l’area interessata, se classificata non idonea dalla L.R. 30
dicembre 2015, n. 54.
b.3) devono avere una
distanza dagli altri impianti fotovoltaici o impianti FER presenti, ovvero
autorizzati, non inferiore ad 1 km misurato tra i punti più vicini del
perimetro dell’area occupata dall’impianto;
b.4) devono avere la
disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a 3 volte la
superficie del generatore fotovoltaico, attraverso l’asservimento di particelle
catastali contigue, sul quale non potrà essere realizzato altro impianto di
produzione di energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile.
2. Qualora i progetti
di due o più impianti eolici ovvero fotovoltaici siano riconducibili ad un solo
soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, ovvero siano riconducibili allo
stesso centro decisionale ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile o per
qualsiasi altra relazione sulla base di univoci elementi che fanno presupporre
la costituzione di un’unica centrale eolica ovvero fotovoltaica, si trovino
nelle condizioni di cui al comma 1 del presente articolo, saranno assoggettati
cumulativamente ad una autorizzazione regionale, rilasciata ai sensi e per gli
effetti dell’art. 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n.
387, nel caso in cui:
- abbiano una potenza
complessiva superiore a 200 kW;
- siano reciprocamente
posti rispetto ad altri ad una distanza inferiore ad 1 Km valutata a partire
dal centro di ciascun aerogeneratore».
3.1.– Il ricorrente
premette che il nuovo art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012 fissa in
200 kW la soglia di potenza nominale massima entro la quale è possibile
ricorrere per gli impianti eolici e fotovoltaici alla procedura abilitativa
semplificata (PAS), nell’esercizio del potere (attribuito alle regioni dal
d.lgs. n. 28 del 2011) di elevare tale soglia fino a 1 MW.
La medesima
disposizione regionale, nella parte in cui prevede, alle lettere a.3) e b.3)
del comma 1, una distanza minima tra i predetti impianti e gli altri impianti
eolici o fotovoltaici (o altri impianti da fonti rinnovabili - FER - presenti
ovvero autorizzati) «non inferiore ad 1 km misurato tra i punti più vicini del
perimetro dell’area occupata dall’impianto» violerebbe l’art. 117, terzo comma,
Cost., in quanto la condizione di accesso alla PAS così introdotta
contrasterebbe con i principi fondamentali nella materia «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell’energia», attribuita alla competenza legislativa
concorrente dello Stato.
Tali principi
fondamentali sarebbero dettati, nell’ambito della disciplina delle procedure
per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili, dalle seguenti norme statali di riferimento:
- l’art. 12, comma 10,
del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE
relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), alla cui stregua «[i]n
Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di
concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del
Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo
svolgimento del procedimento di cui al comma 3 [id est, il procedimento di
autorizzazione unica cui sono soggetti la costruzione e l’esercizio degli
impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili,
gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e
riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse
e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli
impianti stessi]. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un
corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti
eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono
procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di impianti. Le regioni adeguano le rispettive discipline
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso
di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida
nazionali»;
- il paragrafo 1.2 del
decreto ministeriale 10 settembre 2010, adottato in attuazione del citato art.
12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e recante «Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», secondo cui
«[l]e sole Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti
in atti di tipo programmatorio o pianificatorio per
l’installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti
rinnovabili ed esclusivamente nell’ambito e con le modalità di cui al paragrafo
17»;
- il paragrafo 17.1
delle stesse linee guida, richiamato al precedente paragrafo 1.2, che recita:
«Al fine di accelerare l’iter di autorizzazione alla costruzione e
all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione
delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province
autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla
installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al
presente punto e sulla base dei criteri di cui all’Allegato 3. L’individuazione
della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita
istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla
tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle
tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che
identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in
determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali
determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle
valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli esiti dell’istruttoria, da
richiamare nell’atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a
ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie
e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate
con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate».
Le linee guida adottate
con il d.m. 10 settembre 2010 costituirebbero norme
secondarie che completano in settori squisitamente tecnici la normativa
primaria, formando con essa «un corpo unico», destinato a individuare le
specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto
legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio
nazionale (è citata la sentenza di questa
Corte n. 99 del 2012).
Ad avviso del
ricorrente, in base alla giurisprudenza costituzionale in subiecta
materia è consentito alle regioni soltanto individuare, caso per caso, «aree e
siti non idonei» con specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse
taglie di impianto, in via di eccezione e solo se necessario per proteggere
interessi costituzionalmente rilevanti, mentre al legislatore regionale non
sarebbe permesso di stabilire limiti generali, specie nella forma di distanze
minime. Ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione
delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in
conformità alla normativa dell’Unione europea (sono citate le sentenze di questa
Corte n. 69 del 2018 e n. 13 del 2014,
che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali
prescrittive di distanze minime per la costruzione e collocazione di impianti a
fonte rinnovabile applicabili in via generale sul territorio regionale).
Il principio di massima
diffusione delle fonti di energia rinnovabili deriverebbe in particolare dalla direttiva
n. 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001,
sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità e dalla direttiva
n. 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili,
recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e
2003/30/CE, in attuazione delle quali sono stati emanati il d.lgs. n. 387
del 2003, il d.lgs. n. 28 del 2011 e le linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010.
La soluzione adottata
dalla Regione Basilicata con la norma impugnata, nello stabilire in via
generale distanze minime non previste dalla normativa statale, destinate a
limitare gli impianti da fonti energetiche rinnovabili senza istruttoria e
valutazione in concreto dei luoghi nell’ambito del procedimento amministrativo,
come richiedono i principi di efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza
di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi),
violerebbe i citati principi e non permetterebbe un’adeguata tutela dei
molteplici interessi coinvolti. Solo nella sede procedimentale prevista al
paragrafo 17.1 delle citate linee guida, sarebbe possibile individuare la non
idoneità delle aree attraverso la valutazione di tutti i pertinenti interessi
pubblici, e in particolare di quelli della salute, del paesaggio, dell’ambiente
e dell’assetto urbanistico del territorio, in presenza dei quali il principio
di massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile potrebbe
subire un’eccezione (sono citate le sentenze di questa
Corte n. 13 del 2014 e n. 224 del 2012).
Per le stesse ragioni
la norma regionale impugnata violerebbe anche l’art. 97 Cost., e
segnatamente i principi di legalità e di buon andamento dell’amministrazione,
nonché l’art. 117,
primo comma, Cost., per contrasto con le richiamate direttive comunitarie,
e ancora l’art. 117,
terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali nella materia
«tutela della salute», assegnata alla regione in regime di competenza
ripartita.
3.2.– L’art. 32 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 è impugnato anche nella parte in cui introduce
la lettera b.4) nel comma 1 del nuovo art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8
del 2012, ove è previsto, quale ulteriore condizione per la costruzione e
l’esercizio degli impianti FER con potenza nominale non superiore a 200 kW, che
gli impianti solari di conversione fotovoltaica «devono avere la disponibilità
di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a 3 volte la superficie del
generatore fotovoltaico, attraverso l’asservimento di particelle catastali
contigue, sul quale non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di
energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile».
La norma violerebbe in
primo luogo l’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto, ledendo il «principio cardine in
materia richiamato», introdurrebbe un aggravamento ingiustificato degli oneri a
carico dell’operatore anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative
nell’area, in contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e
con il paragrafo 1.2 delle citate linee guida di cui al d.m.
10 settembre 2010, che rinvia, come visto, al successivo paragrafo 17 per le
modalità di individuazione delle aree non idonee.
Essa violerebbe altresì
l’art. 41 Cost.
«sulla libertà di iniziativa economica privata» e l’art. 117, primo comma,
Cost., «in riferimento all’art. 1 del D.Lgs. n.
79/1999, che sancisce, in attuazione della Direttiva 96/92/CE, la
liberalizzazione del mercato elettrico, ivi comprese le attività di produzione
di energia elettrica».
3.3.– Il ricorrente
impugna inoltre l’art. 32, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018
là dove abroga e sostituisce l’art. 6, comma 2, della legge reg. Basilicata n.
8 del 2012, prevedendo che devono essere assoggettati cumulativamente a una
sola autorizzazione regionale, rilasciata ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n.
387 del 2003, i progetti di due o più impianti eolici o fotovoltaici che,
singolarmente considerati, hanno potenza inferiore a 200 kW, «qualora [...]
siano riconducibili ad un solo soggetto, sia esso persona fisica o giuridica,
ovvero siano riconducibili allo stesso centro decisionale ai sensi
dell’articolo 2359 del Codice Civile o per qualsiasi altra relazione sulla base
di univoci elementi che fanno presupporre la costituzione di un’unica centrale
eolica ovvero fotovoltaica […]».
La norma violerebbe gli
artt. 97 e 117, primo e terzo
comma, Cost., in quanto, introducendo «un vincolo per l’applicazione della
PAS in ragione di un criterio estremamente soggettivo e generico, riferito a
una relazione anche di fatto, non suscettibile di riscontro», oltre a rivelare
i profili di illegittimità già richiamati in tema di distanze tra gli impianti,
porrebbe limitazioni al regime abilitativo non previste dal d.lgs. n. 387 del
2003 e dal d.lgs. n. 28 del 2011, in contrasto con i principi fondamentali
dettati dallo Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia».
4.– Nel quinto motivo
di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 37
della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, il quale aggiunge il comma 5
nell’art. 14 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, stabilendo quanto
segue: «Dalla data della comunicazione ai comuni interessati dell’avviso di
avvio del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica regionale di
cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, è sospesa
ogni determinazione comunale in ordine alle domande di permesso di costruire,
nonché di Procedura Abilitativa Semplificata (PAS), nell’ambito delle aree
potenzialmente impegnate che nel caso di impianti eolici sono individuate dal perimetro
virtuale ottenuto congiungendo le pale degli aerogeneratori esterni, mentre per
le altre tipologie di impianti circoscritta dal perimetro esterno
dell’impianto, fino alla conclusione del procedimento autorizzativo. In ogni
caso la misura di salvaguardia perde efficacia decorsi i termini previsti dal D.Lgs. n. 28/2011 a partire dalla data della comunicazione
dell’avvio del procedimento, salvo il caso in cui la Regione ne disponga per lo
stesso fine, per una sola volta, la proroga non superiore ad un anno per
sopravvenute esigenze istruttorie e procedimentali relative al rilascio del
provvedimento autorizzativo».
Il ricorrente osserva
che tale norma «introduce una moratoria per le PAS», fino alla fine del
procedimento di autorizzazione unica regionale, in relazione alle aree
impegnate da progetti presentati per l’autorizzazione stessa. La disposizione
de qua violerebbe «i principi fondamentali che disciplinano il regime
abilitativo degli impianti tra i quali il termine di conclusione dei
procedimenti di cui all’art. 12, comma 4, del D.Lgs.
n. 387/2003»: tale norma statale sarebbe ispirata alla semplificazione
amministrativa e rappresenterebbe principio fondamentale della materia (vengono
citate le sentenze
di questa Corte n. 168 del 2010, n. 282 del 2009
e n. 364 del
2006), applicabile anche nel caso delle autorizzazioni semplificate. Di qui
la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Inoltre l’art. 37 si porrebbe in contrasto anche con la citata
direttiva n. 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia rinnovabile, e
con il d.lgs. n. 28 del 2011, recante attuazione della direttiva stessa, in
quanto le moratorie per l’abilitazione degli impianti a fonte rinnovabile
violerebbero l’art. 117, primo comma, Cost., «per il favor che le Direttive
europee e gli Accordi riconoscono alla massima diffusione delle fonti
rinnovabili».
5.– Il sesto motivo di
ricorso ha per oggetto gli artt. 38, 39 e 40 della legge reg. Basilicata n. 38
del 2018, che modificano, rispettivamente, i paragrafi 1.2.1., 1.2.2. e 2.2.2.
dell’Appendice A del piano di indirizzo energetico ambientale regionale (PIEAR)
approvato con la legge della Regione Basilicata 19 gennaio 2010, n. 1 (Norme in
materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale. D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 L.R. n. 9/2007).
Tali disposizioni sono
impugnate nella parte in cui «contengono varie prescrizioni sulle distanze,
rispettivamente, in relazione a "impianti di grande generazione”, a "impianti
di piccola generazione” e a "impianti fotovoltaici di microgenerazione”».
Esse violerebbero gli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost.
per le stesse ragioni dedotte con riferimento all’art. 6, comma 1, lettere a.3)
e b.3), della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, nel testo introdotto
dall’art. 32 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, in tema di distanze
che gli impianti eolici e fotovoltaici con potenza massima non superiore a 200
kW devono rispettare dagli altri impianti per consentire l’utilizzo della PAS.
Secondo il ricorrente,
anche le previsioni contenute negli artt. 38, 39 e 40 che introducono limiti
generali per la collocazione degli impianti eolici e fotovoltaici, nella forma
di distanze minime valevoli sull’intero territorio regionale senza istruttoria
e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, si porrebbero in
contrasto sia con i principi fondamentali delle materie a competenza ripartita
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «tutela della
salute», contenuti nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e nei
paragrafi 1.2 e 17.1 delle linee guida approvate con il d.m.
10 settembre 2010, sia con il principio di legalità e di buon andamento
dell’amministrazione, non essendo garantita l’imparzialità della scelta e il
perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario.
5.1.– Nel successivo
motivo di ricorso, identificato anch’esso con il numero 6, è impugnato l’art.
42 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, secondo cui «le disposizioni di
cui agli articoli 29, 30, 31, 34 e 36 si applicano anche ai procedimenti
pendenti», nella parte in cui si riferisce all’art. 30.
Richiamate le ragioni
poste a fondamento dell’impugnazione di tale ultima disposizione, il ricorrente
lamenta che la sua immediata applicazione ai procedimenti in corso
consentirebbe di derogare immediatamente «al sistema nazionale» in una materia
di competenza legislativa concorrente «ai sensi dell’art. 117, comma 3, della
Costituzione, quale quella del governo del territorio».
6.– Nel settimo motivo
di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 43 e 52
della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018. Il primo reca integrazioni
all’allegato A della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Tale allegato indica
i siti «non idonei» all’installazione di impianti alimentati da fonti
rinnovabili. La norma introdotta dall’art. 43 stabilisce che «[i] Buffer di cui
al punto 1.2 Beni monumentali 1.4 Beni paesaggistici: in riferimento a laghi ed
invasi artificiali, fiumi, torrenti e corsi d’acqua, centri urbani, centri
storici, 2.4 Rete Natura 2000, così come individuati e definiti nell’Allegato A
della legge regionale n. 54/2015 e ss.mm.ii., trovano
applicazione esclusivamente nelle aree territoriali visibili dal bene
monumentale vincolato se l’impianto FER in progetto non risulta in correlazione
visiva con lo stesso bene vincolato da punti di vista privilegiati» .
Secondo il ricorrente,
«[l]’attuazione delle previsioni contenute nell’art. 43 […] riduce
drasticamente l’applicazione dei "Buffer”», limitando «l’applicazione di tutte
le aree "Buffer”, a prescindere dalla natura delle medesime, a due circostanze:
1) che intorno dell’area di "Buffer” medesima sia presente un bene monumentale;
2) che l’impianto FER sia in "correlazione visiva con lo stesso bene vincolato
da punti di vista privilegiati”». Tali circostanze sarebbero «in contrasto con
i principi ispiratori posti alla base della individuazione delle "aree non
idonee” stabiliti dall’Allegato 3 (paragrafo 17)» delle linee guida del 2010.
L’applicazione «del parametro della "correlazione visiva” con un bene
vincolato» sarebbe, infatti, «assolutamente strumentale alla significativa
riduzione della natura e specificità delle diverse categorie di aree ritenute
particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o
del paesaggio, elencate nell’Allegato 3 del su citato Decreto del 2010».
Inoltre, l’art. 43
vanificherebbe «l’istruttoria condotta dal Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali, di concerto con la Regione Basilicata, che ha portato alla
definizione delle aree di "Buffer” di cui agli allegati A e C e agli elaborati
di cui all’allegato B» della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015.
L’art. 52 della legge
reg. Basilicata n. 38 del 2018 stabilisce quanto segue: «1. È definita area
attinente ad un parco eolico la porzione di territorio delimitato dalla
poligonale chiusa e non intrecciata ottenuta collegando tra loro gli
aerogeneratori più esterni del parco stesso. 2. I progetti di ottimizzazione di
un parco eolico, che non comportano un aumento della potenza elettrica
complessiva del progetto originario (compresi gli spostamenti di viabilità
interna al parco eolico, spostamenti di elettrodotti di servizio, spostamento
di aereogeneratori, cambio dell’aereogeneratore, ecc.), previsti all’interno
dell’area attinente, come definita al precedente comma 1, sono considerati
varianti non sostanziali a condizione che l’area attinente al Parco eolico si
riduca e che le aree interessate dalle modifiche siano nella disponibilità del
soggetto proponente il parco eolico».
Secondo il ricorrente,
tale norma interverrebbe su una materia «già ampiamente regolamentata dalla
legislazione statale con il D.Lgs. n. 152 del 2006» e
stabilirebbe «un nuovo criterio per la definizione della sostanzialità delle
varianti ai parchi eolici, che, sostituendosi ai criteri elencati nell’allegato
V alla parte II del medesimo D.Lgs. n. 152/2006, crea
conflitti normativi e incertezze applicative, soprattutto nei procedimenti di
verifica di assoggettabilità a VIA statale di cui all’art. 19 del D.Lgs. citato che […] riguarda anche gli impianti eolici di
potenza superiore ai 30 MW».
Gli impugnati artt. 43
e 52 rappresenterebbero una «contraddittorietà interna» rispetto alle altre
disposizioni della stessa legge regionale e «un mancato rispetto degli impegni
assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa per la elaborazione del
Piano Paesaggistico Regionale, stipulato ai sensi dell’articolo 143, comma 2,
del D.Lgs. n. 42 del 2004, tra il Ministero dei Beni
e delle Attività Culturali, il Ministero dell’Ambiente […] e la Regione
Basilicata, in data 14 settembre 2011». In definitiva, essi violerebbero le
norme poste a tutela dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
recante «Norme in materia ambientale») e del patrimonio culturale (decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137») e
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
7.– La Regione Basilicata
si è costituita in giudizio con memoria depositata il 28 febbraio 2019.
In essa rileva, innanzi
tutto, che l’art. 30 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, insieme ad
altre disposizioni, sarebbe il frutto di un lavoro svolto d’intesa tra la
Regione ed il Ministero per i beni e le attività culturali (di seguito: MIBAC),
e che il parere dell’Ufficio legislativo di quest’ultimo del 27 dicembre 2018
richiederebbe l’abrogazione degli artt. 43 e 52 della legge reg. Basilicata n.
38 del 2018, e non dell’art. 30.
La Regione osserva
inoltre che la disciplina sulla cumulabilità degli impianti da FER ai fini
della verifica di assoggettabilità a VIA sarebbe stata attribuita alla Regione
dal decreto ministeriale n. 52 del 30 marzo 2015 (Linee guida per la verifica
di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dei progetti di
competenza delle regioni e province autonome, previsto dall’articolo 15 del
decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge
11 agosto 2014, n. 116), il cui allegato al punto 4.1 regola il «Cumulo con
altri progetti», stabilendo fra l’altro che «[l]’ambito territoriale è definito
dalle autorità regionali competenti in base alle diverse tipologie progettuali
e ai diversi contesti localizzativi, con le modalità previste al paragrafo 6
delle presenti linee guida». Dunque, il legislatore regionale avrebbe solo
«ottemperato a quanto previsto dal D.M. sopra richiamato al fine di evitare che
i titolari di impianti da FER in modo artato possano eludere l’applicazione»
del codice dell’ambiente.
La Regione contesta poi
che l’art. 32 vìoli l’art. 117, terzo comma, Cost. e ne afferma invece la
coerenza con il riparto delle competenze tra lo Stato e le regioni nonché con
la disciplina statale della materia.
Sotto quest’ultimo
profilo, sarebbe stata rispettata la previsione dell’art. 6 del d.lgs. n. 28
del 2011, che consente alle regioni di disciplinare l’estensione della PAS agli
impianti di potenza fino a 1 MW senza dettare limitazioni all’esercizio di tale
facoltà. La disposizione impugnata, oltre a estendere la PAS agli impianti
fotovoltaici con potenza non superiore a 200 kW, avrebbe pertanto stabilito
anche le condizioni in base alle quali è possibile ricorrere alla PAS in luogo
dell’autorizzazione unica.
La prescrizione della
distanza di 1 km dagli impianti esistenti troverebbe «fondamento giuridico non
solo nella ratio dell’art. 4.1 del D.M. n. 52/2015, tesa a evitare l’elusione
della verifica di assoggettabilità alla procedura di V.I.A., ma anche nella prevalente
esigenza di tutela del paesaggio», che secondo la giurisprudenza amministrativa
dovrebbe essere sempre considerata, insieme alla tutela dell’ambiente, nei
bilanciamenti concretamente operati dal legislatore e dalle pubbliche
amministrazioni, non essendo ipotizzabile la tutela "ad ogni costo”
dell’interesse ambientale in forza di un’aprioristica gerarchia che inverte la
scala dei valori, giungendo così a consentire un’eccessiva proliferazione degli
impianti da fonti rinnovabili. Con il censurato art. 32, la Regione avrebbe
dunque stabilito le condizioni dirette a garantire il concreto bilanciamento
dei richiamati interessi «ovvero l’equo contemperamento tra la tutela del
paesaggio e lo sviluppo degli impianti da FER».
In relazione all’art.
37, che prevede la sospensione delle PAS, la Regione osserva che tale
disposizione sarebbe il frutto di un lavoro svolto d’intesa con il MIBAC, che
rispetto ad esso non avrebbe riscontrato alcun vizio di incostituzionalità. La
norma impugnata troverebbe fondamento nell’art. 1-sexies, comma 3, del
decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e
lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di
energia elettrica), in base al quale «[l]’autorizzazione di cui al comma 1 è
rilasciata a seguito di un procedimento unico svolto entro il termine di
centottanta giorni […] Il procedimento può essere avviato sulla base di un
progetto preliminare o analogo purché evidenzi, con elaborato cartografico, le
aree potenzialmente impegnate sulle quali apporre il vincolo preordinato
all’esproprio, le eventuali fasce di rispetto e le necessarie misure di
salvaguardia. Dalla data della comunicazione dell’avviso dell’avvio del
procedimento ai comuni interessati, è sospesa ogni determinazione comunale in
ordine alle domande di permesso di costruire nell’ambito delle aree
potenzialmente impegnate, fino alla conclusione del procedimento autorizzativo.
In ogni caso la misura di salvaguardia perde efficacia decorsi tre anni dalla
data della comunicazione dell’avvio del procedimento, salvo il caso in cui il
Ministero dello sviluppo economico ne disponga, per una sola volta, la proroga
di un anno per sopravvenute esigenze istruttorie». A sua volta, il comma 1
dispone che, «[a]l fine di garantire la sicurezza del sistema energetico e di
promuovere la concorrenza nei mercati dell’energia elettrica, la costruzione e
l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto
dell’energia elettrica sono attività di preminente interesse statale e sono
soggetti a un’autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le
infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi, rilasciata dal
Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e previa intesa con la regione o le regioni
interessate […]».
Secondo la Regione, la
sospensione (non moratoria) prevista dall’art. 37 sarebbe «misura di
salvaguardia per la tutela del paesaggio», tutela «che potrebbe essere
altrimenti compromessa in considerazione del fatto che la procedura di PAS ha
un tempo di conclusione più veloce rispetto al procedimento per il rilascio
dell’Autorizzazione Unica (AU)».
Sulle questioni
relative agli artt. 38, 39, 40 e 42, la Regione ha richiamato gli argomenti
svolti per resistere all’impugnazione dell’art. 32, aggiungendo che «le
contestazioni sollevate attengono a riferimenti normativi regionali vigenti ed
entrati in vigore da tempo e mai osservati dalla Presidenza del Consiglio».
Con riferimento agli
artt. 43 e 52 la Regione non ha svolto difese.
8.– La Regione,
inoltre, ha depositato il 5 giugno 2019 un atto denominato «note
interlocutorie», nel quale ha chiesto, tra l’altro, che questa Corte dichiari
cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 42 e 47 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018,
sul presupposto della loro sopravvenuta abrogazione (limitata, per quanto
riguarda l’art. 47, al solo comma 1) ad opera della legge della Regione Basilicata
13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori
d’intervento della Regione Basilicata).
9.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, previa conforme delibera del Consiglio dei ministri del
30 maggio 2019, ha depositato il 19 giugno 2019 atto di rinuncia al ricorso
limitatamente all’impugnazione, tra l’altro, dell’art. 42 della legge reg.
Basilicata n. 38 del 2018.
10.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, inoltre, ha depositato una memoria integrativa il 5
novembre 2019, in cui ribadisce le censure già svolte nel ricorso e contesta le
difese della Regione, osservando, con specifico riferimento all’art. 32, che
esse si soffermerebbero sulla sola esigenza di tutela del paesaggio «senza
considerare la coesistenza di plurimi interessi costituzionalmente protetti che
devono trovare composizione [n]el procedimento
amministrativo».
Considerato
in diritto
1.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato, con ricorso iscritto al n. 7 del registro
ricorsi per il 2019, diverse disposizioni della legge della Regione Basilicata
22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione
pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini
legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), alcune
delle quali riguardano gli impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili (di seguito: impianti FER): si tratta degli artt. 30, 32, 37, 38,
39, 40, 42, 43 e 52.
1.1. – Resta riservata
a separata sentenza la decisione delle ulteriori questioni di legittimità
costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con lo stesso
ricorso.
2.– Nel terzo motivo di
ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 30 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018. Tale disposizione introduce l’art. 2-bis
nella legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei
criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli
impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010),
intitolato «Cumulabilità degli impianti da FER ai fini della verifica di
assoggettabilità alla VIA».
La norma censurata
indica i casi in cui diversi progetti di impianti FER vanno considerati in modo
cumulativo per la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto
ambientale (di seguito: VIA), «[a]l fine di evitare l’elusione della normativa
di tutela dell’ambiente e di impedire la frammentazione artificiosa» dei
progetti (art. 2-bis, comma 1).
Secondo l’Avvocatura,
l’art. 2-bis sarebbe in contrasto con l’art. 4 del decreto legislativo 3 marzo
2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione
delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), perché, mentre questo riferisce la
valutazione cumulativa alla VIA, la norma regionale impugnata la "anticipa”
alla fase di verifica di assoggettabilità a VIA. Il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma della
Costituzione, in quanto l’art. 4 indicato costituirebbe sia standard uniforme
di tutela ambientale sia principio fondamentale nella materia dell’energia.
2.1.– La questione non
è fondata.
Il ricorso trascura un
significativo dato normativo: il decreto ministeriale n. 52 del 30 marzo 2015
(Linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto
ambientale dei progetti di competenza delle regioni e province autonome,
previsto dall’articolo 15 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito,
con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116). Tale decreto riguarda
specificamente la verifica di assoggettabilità a VIA dei progetti di competenza
regionale e, al punto 4.1 dell’allegato, regola la valutazione cumulativa dei
progetti «localizzati nel medesimo contesto ambientale e territoriale»,
stabilendo, fra l’altro, che «[l]’ambito territoriale è definito dalle autorità
regionali competenti in base alle diverse tipologie progettuali e ai diversi
contesti localizzativi, con le modalità previste al paragrafo 6 delle presenti
linee guida».
Dopo le modifiche
apportate al codice dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
recante «Norme in materia ambientale») dal decreto legislativo 16 giugno 2017,
n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE,
concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti
pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015,
n. 114), due diverse disposizioni confermano che la verifica di
assoggettabilità deve essere svolta sulla base del citato d.m.
30 marzo 2015. L’art. 6, comma 6, lettera d), cod. ambiente sottopone a
verifica di assoggettabilità «i progetti elencati nell’allegato IV alla parte
seconda del presente decreto, in applicazione dei criteri e delle soglie
definiti dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare del 30 marzo 2015». L’art. 19, comma 10, cod. ambiente dispone che
«[p]er i progetti elencati nell’allegato II-bis e
nell’allegato IV alla parte seconda del presente decreto la verifica di
assoggettabilità a VIA è effettuata applicando i criteri e le soglie definiti
dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
del 30 marzo 2015».
Lo stesso codice
dell’ambiente, inoltre, nell’indicare i «Criteri per la verifica di
assoggettabilità di cui all’art. 19», dispone che «[l]e caratteristiche dei
progetti debbono essere considerate tenendo conto, in particolare […] del
cumulo con altri progetti esistenti e/o approvati» (così l’Allegato V alla
parte II del cod. ambiente). Ancora, si può ricordare che la sentenza n. 86 del
2019 di questa Corte ha annullato diverse disposizioni legislative della
Regione Basilicata in materia di fonti di energia rinnovabili ma ha fatto salve
le norme regionali antielusive, cioè quelle che «mirano al medesimo scopo,
individuato dal legislatore statale, di evitare comportamenti surrettizi dei
privati che, mediante una artificiosa parcellizzazione degli interventi di
propria iniziativa, risultino in concreto preordinati a eludere l’applicazione
di una normativa che potrebbe rivelarsi più gravosa rispetto a un’altra» (punto
3.3.2 del Considerato in diritto; si veda anche il punto 3.7.2).
Infine, anche la
riduzione della soglia prevista dall’art. 2-bis, comma 2, della legge reg.
Basilicata n. 54 del 2015 (pure censurata nel ricorso) risulta coerente con il d.m. 30 marzo 2015, il cui allegato contempla un’analoga
riduzione delle soglie (si veda il punto 4.1).
L’art. 30 della legge
reg. Basilicata n. 38 del 2018 è dunque in linea con la normativa statale in
materia, con conseguente non fondatezza della censura.
3.– Nel quarto motivo
di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 32
della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, che sostituisce l’art. 6 della
legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di
produzione di energia da fonti rinnovabili), come già sostituito dall’art. 6
della legge della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed
integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 "Norme in materia di
energia e piano di indirizzo energetico ambientale regionale – d.lgs. n. 152
del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007; 26 aprile 2012, n. 8
"Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili” e 30 dicembre 2015, n. 54 "Recepimento dei criteri per il corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia
rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010”).
Il nuovo art. 6 della
legge reg. Basilicata n. 8 del 2012 detta «[l]imiti all’utilizzo della PAS per
gli impianti eolici e fotovoltaici».
In via generale, esso determina
in 200 kW la soglia di potenza nominale massima entro la quale è possibile
ricorrere per gli impianti eolici e fotovoltaici alla procedura abilitativa
semplificata (PAS) disciplinata dall’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011. In
questi termini, la disposizione non è contestata, costituendo legittima
attuazione del potere di elevare la soglia massima di cui sopra fino a 1 MW,
attribuito alle regioni dall’art. 6, comma 9, dello stesso d.lgs. n. 28 del
2011. Dall’esame dei motivi del ricorso si evince invece che l’oggetto delle
questioni, benché formalmente esteso a tutto l’art. 32, è limitato alle lettere
a.3), b.3) e b.4) del comma 1 nonché al comma 2 del nuovo testo dell’art. 6
della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.
3.1.– In primo luogo,
la disposizione è impugnata per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
nella parte in cui prevede, alle suddette lettere a.3) e b.3), una distanza
minima tra gli impianti eolici o fotovoltaici e gli altri impianti dello stesso
tipo (o altri impianti FER presenti ovvero autorizzati) «non inferiore ad 1 km
misurato tra i punti più vicini del perimetro dell’area occupata
dall’impianto», in quanto la condizione per accedere alla PAS così introdotta
contrasterebbe con i principi fondamentali nella materia «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell’energia», attribuita alla competenza legislativa
concorrente dello Stato.
Gli evocati principi
fondamentali sarebbero desumibili innanzitutto dalle previsioni dell’art. 12,
comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta
da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), che
demanda la disciplina tecnica per l’autorizzazione degli impianti da fonti
rinnovabili a «linee guida» da approvare in sede di Conferenza unificata e da
adottare con decreto ministeriale, prescrivendo che esse siano «volte, in
particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con
specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio», e che le regioni,
dandovi attuazione, possano procedere «alla indicazione di aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti». Il ricorrente
indica poi, allo stesso fine, i paragrafi 1.2 e 17.1 del decreto ministeriale
10 settembre 2010, recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili» e adottato in attuazione del citato art. 12,
comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003. Il paragrafo 1.2 prevede che «[l]e sole
Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti in atti di
tipo programmatorio o pianificatorio per
l’installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti
rinnovabili ed esclusivamente nell’ambito e con le modalità di cui al paragrafo
17». A sua volta il paragrafo17.1, nel disciplinare tali modalità, subordina
l’individuazione da parte delle regioni dell’inidoneità delle aree a
«un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni
volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e
artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del
paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con
l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di
impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione», prescrivendo, altresì,
che gli esiti dell’istruttoria «dovranno contenere, in relazione a ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con
gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate».
3.1.1.– La questione è
fondata.
Questa Corte ha
affermato più volte, anche di recente, «che "la disciplina del regime
abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili rientra, oltre che
nella materia ‘tutela dell’ambiente’, anche nella competenza legislativa
concorrente, in quanto riconducibile a ‘produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia’ (art. 117, terzo comma, Cost.), nel cui ambito i
principi fondamentali sono dettati anche dal d.lgs. n. 387 del 2003 e, in
specie, dall’art. 12 (ex multis, sentenza n. 14 del
2018)” (sentenza
n. 177 del 2018). Pertanto, il legislatore statale "attraverso la
disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che […] non tollerano
eccezioni sull’intero territorio nazionale” (sentenze n. 69 del
2018 e n. 99
del 2012). Principi che si desumono dalle "Linee guida” di cui al d.m. 10 settembre 2010, adottate in attuazione dell’art.
12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, da quest’ultimo decreto e dal d.lgs.
n. 28 del 2011, e il cui rispetto si impone al legislatore regionale» (sentenza n. 86 del
2019).
In particolare, le
citate linee guida sono atti di normazione secondaria che, in settori
squisitamente tecnici, completano la normativa primaria, sicché «[e]ssi rappresentano un corpo unico con la disposizione
legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le
specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto
legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio
nazionale» (sentenza
n. 69 del 2018). Tale vincolatività è confermata anche dal fatto che esse
sono state adottate in sede di Conferenza unificata, in ragione degli ambiti
materiali che vengono in rilievo, e quindi nel rispetto del principio di leale
collaborazione tra Stato e regioni (sentenza n. 308 del
2011).
Alle regioni è
consentito soltanto di individuare, caso per caso, aree e siti non idonei,
avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto,
in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi
costituzionalmente rilevanti, all’esito di un procedimento amministrativo nel
cui ambito deve avvenire la valutazione sincronica di tutti gli interessi
pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, come prevede il paragrafo 17.1.
delle linee guida (sentenza n. 69 del
2018).
Il margine di
intervento riconosciuto al legislatore regionale per individuare le aree e i
siti non idonei non permette invece che le regioni prescrivano limiti generali
inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di
distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di
massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal
legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea (sentenza n. 13 del
2014).
Pertanto, la soluzione
legislativa adottata dalla Regione Basilicata, stabilendo in via generale – ed
escludendo così un’istruttoria e una valutazione in concreto dei luoghi da
operare in sede procedimentale – vincoli di distanze minime per la collocazione
degli impianti non previste dalla disciplina statale e valevoli sull’intero
territorio regionale, non garantisce il rispetto dei descritti principi
fondamentali e non permette un’adeguata tutela dei molteplici e rilevanti
interessi coinvolti (sentenza n. 69 del
2018; nello stesso senso, sentenze n. 13 del
2014 e n. 44
del 2011), in violazione del principio di derivazione europea della massima
diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili, attuato dal
legislatore statale con il d.lgs. n. 28 del 2011, che puntualmente disciplina
le varie ipotesi in cui l’installazione di impianti di energia da fonti
rinnovabili è possibile all’esito di una procedura abilitativa semplificata
(PAS).
La norma impugnata
rinnova sostanzialmente i vizi che hanno condotto questa Corte, con la citata sentenza n. 86 del
2019, a dichiarare l’illegittimità degli artt. 5 e 7 della legge reg.
Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui introducevano gli artt. 5, commi
1 e 2, e 6-bis, comma 1, della stessa legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.
Anch’essa, infatti, pur muovendosi secondo quanto previsto dal comma 9
dell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, nella parte in cui estende
l’applicazione della PAS agli impianti di potenza fino a 200 kW, introduce poi
previsioni che si traducono in ingiustificati aggravi per la realizzazione e
l’esercizio di questi impianti attraverso la previsione di condizioni diverse e
aggiuntive rispetto a quelle stabilite dal legislatore statale per il rilascio
della PAS.
Il contrasto con il
principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili
si fa ancora più radicale per il fatto che, in base al nuovo art. 6 – che
presenta, in questo, contenuto analogo a quello del già dichiarato illegittimo
art. 6-bis, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012 – il mancato
rispetto delle condizioni in esso previste comporta l’inapplicabilità del
regime dell’autorizzazione unica regionale, prevista invece per gli impianti
fotovoltaici ed eolici con potenza massima fino a 200 kW dai previgenti artt.
5, comma 2, e 6, comma 2, della stessa legge regionale. Con la conseguenza che
gli ingiustificati aggravi imposti dall’art. 32 della legge reg. Basilicata n.
38 del 2018 possono giungere fino al punto di impedire del tutto la costruzione
e l’esercizio degli impianti.
Si deve quindi
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 della legge reg.
Basilicata n. 38 del 2018, nella parte in cui ha introdotto le lettere a.3) e
b.3) del comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.
Le altre questioni,
promosse in riferimento agli artt. 97 e 117, primo e terzo comma (quest’ultimo,
in relazione alla competenza concorrente in materia di «tutela della salute»),
Cost., restano assorbite.
3.2.– L’art. 32 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 è censurato anche nella parte in cui ha
introdotto la lettera b.4) del comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata
n. 8 del 2012, che prevede, quale ulteriore condizione per la costruzione e
l’esercizio degli impianti FER con potenza nominale non superiore a 200 kW, che
gli impianti solari di conversione fotovoltaica «devono avere la disponibilità
di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a 3 volte la superficie del
generatore fotovoltaico, attraverso l’asservimento di particelle catastali
contigue, sul quale non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di
energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile».
La norma violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost., ancora sotto il profilo della competenza
concorrente dello Stato nella materia «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia», in quanto introdurrebbe un aggravamento ingiustificato
degli oneri a carico dell’operatore, anche per il divieto di altre iniziative
nell’area, in contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e
con i paragrafi 1.2 e 17 delle citate linee guida.
Essa violerebbe,
altresì, l’art. 41 Cost. «sulla libertà di iniziativa economica privata» e
l’art. 117, primo comma, Cost., «in riferimento all’art. 1 del D.Lgs. n. 79/1999, che sancisce, in attuazione della
Direttiva 96/92/CE, la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi comprese le
attività di produzione di energia elettrica».
3.2.1.– La questione
promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. è fondata.
Come visto, la
disciplina sul regime abilitativo degli impianti alimentati da fonti di energia
rinnovabili è riconducibile alla materia «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia», i cui principi fondamentali, vincolanti per il
legislatore regionale, si desumono dalle linee guida contenute nel d.m. 10 settembre 2010, adottato in attuazione dell’art.
12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, da quest’ultimo decreto e dal d.lgs.
n. 28 del 2011. Tale normativa è ispirata nel suo insieme al principio
fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, in
conformità con la normativa dell’Unione europea. L’assenza, nel contesto dei
detti principi, della previsione di superfici minime per l’accesso alla PAS di
impianti fotovoltaici, fa sì che non sia compatibile con essi la previsione
impugnata, che, richiedendo invece la disponibilità di una superficie pari
almeno al triplo di quella del generatore, si traduce in un ingiustificato
aggravio per la realizzazione e l’esercizio degli impianti, in contrasto con il
più volte ricordato principio di massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabili.
Inoltre, anche in
questo caso, per effetto della norma censurata la condizione stabilita dal
legislatore regionale può addirittura precludere in assoluto la realizzazione
degli impianti, poiché non è prevista l’applicabilità del regime
dell’autorizzazione unica ove la condizione non sia rispettata.
In definitiva, emergono
con riguardo alla disposizione in esame vizi di illegittimità, per violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., analoghi a quelli che la sentenza n. 86 del
2019 ha accertato con riferimento all’art. 6-bis, comma 1, della legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012 (inserito dall’art. 7 della legge reg. Basilicata n.
21 del 2017), che prescriveva (oltre a vincoli di distanze) lotti minimi per
gli impianti eolici (comma 1, n. 1, lettera c) e un determinato «rapporto
superficie radiante dei pannelli/superficie disponibile» per gli impianti
fotovoltaici a terra (comma 1, n. 2, lettera a).
Si deve quindi
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 della legge reg.
Basilicata n. 38 del 2018, nella parte in cui ha introdotto la lettera b.4) del
comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.
Le altre questioni,
promosse in riferimento agli artt. 41 e 117, primo comma, Cost., restano
assorbite.
3.3.– Un’ulteriore
censura è mossa al comma 2 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del
2012, come sostituito dall’art. 32 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.
La disposizione assoggetta a un’unica autorizzazione regionale, rilasciata ai
sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, i progetti di due o più impianti
eolici o fotovoltaici che, singolarmente considerati, hanno potenza inferiore a
200 kW, ma che, ove considerati cumulativamente, abbiano una potenza
complessiva superiore a tale soglia, «qualora [...] siano riconducibili ad un
solo soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, ovvero siano riconducibili
allo stesso centro decisionale ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile o
per qualsiasi altra relazione sulla base di univoci elementi che fanno
presupporre la costituzione di un’unica centrale eolica ovvero fotovoltaica».
La norma violerebbe gli
artt. 97 e 117, primo e terzo comma, Cost., in quanto, introducendo «un vincolo
per l’applicazione della PAS in ragione di un criterio estremamente soggettivo
e generico, riferito a una relazione anche di fatto, non suscettibile di
riscontro», oltre a presentare i profili di illegittimità già richiamati in
tema di distanze tra gli impianti, porrebbe limitazioni al regime abilitativo
non previste dal d.lgs. n. 387 del 2003 e dal d.lgs. n. 28 del 2011, in
contrasto con i principi fondamentali dettati dallo Stato in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
3.3.1.– La questione
promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. non è fondata.
Anche di questa
disposizione regionale, come delle previgenti norme regionali della Basilicata
di analogo contenuto – che nella già citata sentenza n. 86 del
2019 hanno superato indenni censure del tutto sovrapponibili a quelle qui
in esame (artt. 5, comma 3, 6, comma 3, e 6-bis, comma 3, della legge reg. Basilicata
n. 8 del 2012, come introdotti dalla legge reg. Basilicata n. 21 del 2017) – si
può affermare che mira al medesimo scopo antielusivo individuato nel paragrafo
11.6 delle linee guida di cui al d.m. 10 settembre
2010 e nell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011. E più precisamente mira
a evitare comportamenti surrettizi dei privati che, attraverso un’artificiosa
parcellizzazione degli interventi di propria iniziativa, risultino in concreto
preordinati a eludere l’applicazione della normativa più gravosa riservata agli
impianti più grandi. A tal fine, la norma impugnata individua alcuni indici
sintomatici dell’unicità dell’operazione imprenditoriale, suggeriti dal
legislatore statale, indici che si compendiano nel criterio dell’unicità
dell’interlocutore che ha curato i rapporti con l’amministrazione e
dell’identità della società alla quale vanno imputati gli effetti giuridici
della domanda, criterio non disgiunto da quello della contiguità spaziale,
richiesto dalla normativa statale ed espresso dalla previsione regionale che
gli impianti «siano reciprocamente posti rispetto ad altri ad una distanza
inferiore ad 1 Km valutata a partire dal centro di ciascun aerogeneratore»
(art. 6, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall’art.
32).
Si tratta dunque «di
previsioni che, lungi dal porsi in contrasto con i principi fondamentali
fissati dal legislatore statale in materia di energia, in specie contenuti
nelle linee guida del d.m. 10 settembre 2010, ne
costituiscono specifica attuazione e comunque implicano il rispetto di tutti i
requisiti spaziali stabiliti a tal proposito dalla normativa statale» (sentenza n. 86 del
2019).
3.3.2.– Come visto, il ricorrente
prospetta altresì i «profili di illegittimità già richiamati in tema di
distanze tra impianti», così lamentando la violazione anche degli artt. 97 e
117, primo comma, Cost., già evocati, quali parametri ulteriori, nell’ambito
delle censure mosse alle previsioni dell’art. 32 aventi ad oggetto le distanze.
La conformità della
norma regionale impugnata ai principi fondamentali fissati dalla disciplina
statale, della quale la prima costituisce attuazione specifica in funzione
antielusiva, ne conferma anche il rispetto dei principi di legalità e di buon
andamento, sicché anche la questione ex art. 97 Cost.
si deve considerare non fondata.
Quanto all’asserita
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la questione è inammissibile.
Il ricorrente lamenta
«il mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario»,
evocando nella loro interezza la direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica
prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità,
e la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile
2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante
modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE,
senza indicare le specifiche norme interposte violate.
Per costante
giurisprudenza costituzionale, «il ricorso in via principale deve identificare
esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali
(ed eventualmente interposte) e ordinarie, la definizione del cui rapporto di
compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione (tra
tutte, sentenza
n. 63 del 2016), poiché, altrimenti, non sarebbe possibile individuare
correttamente i termini della questione di costituzionalità (ex multis, sentenze n. 311 del
2013 e n.
199 del 2012)», con la conseguenza che «è pacificamente esclusa
l’ammissibilità delle questioni nelle quali non siano specificate le norme
interposte violate, lesive del parametro di cui all’art. 117, primo comma,
Cost., recanti un mero rinvio all’intero corpo di una direttiva o di un altro
atto normativo comunitario (sentenze n. 156
e n. 63 del 2016,
n. 311 del 2013, n. 199 del 2012,
n. 325 del 2010
e n. 51 del 2006)»
(ex plurimis, ordinanza n. 201
del 2017).
Ancora più
precisamente, in una fattispecie analoga, nella quale una disposizione
regionale era impugnata perché, incidendo negativamente «sulla produzione di
energia da fonti rinnovabili, [avrebbe comportato la violazione del]l’art. 117,
primo comma, Cost., in relazione agli obblighi internazionali e comunitari
rispettivamente fissati dal Protocollo di Kyoto […] e dalle direttive 27
settembre 2001, n. 2001/77/CE […] e 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE», questa Corte
ha già dichiarato «[l]a censura [...] inammissibile per genericità, non avendo
il ricorrente indicato i parametri interposti, limitandosi ad un rinvio
all’intero corpo di due direttive comunitarie e di un trattato internazionale»
(sentenza n. 156
del 2016).
4.– Nel quinto motivo
di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 37
della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, che aggiunge il comma 5 nell’art.
14 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, stabilendo la sospensione della
PAS nelle aree interessate da progetti presentati per il rilascio
dell’autorizzazione unica regionale di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del
2003 fino alla conclusione del procedimento autorizzativo. Secondo il
ricorrente, tale «moratoria» violerebbe il principio relativo al termine di
conclusione dei procedimenti di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del
2003 (e dunque l’art. 117, terzo comma, Cost.), applicabile anche alla
procedura semplificata. Inoltre, l’art. 37 violerebbe anche la direttiva n.
2009/28/CE, attuata dal d.lgs. n. 28 del 2011, espressiva del favor che il
diritto europeo riconosce «alla massima diffusione delle fonti rinnovabili»: di
qui l’asserita violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
4.1.– La prima
questione non è fondata.
Il ricorrente censura
la sospensione della PAS ma invoca la norma che fissa il termine in relazione
al procedimento di autorizzazione unica regionale, affermandone l’applicabilità
anche in relazione alla PAS. Tale assunto si rivela inesatto in quanto la PAS è
disciplinata, come visto, dall’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011. Il ricorso
invoca dunque un parametro interposto inconferente, con conseguente
infondatezza della questione (sentenza n. 156 del
2016, riguardante un caso del tutto analogo). Una volta «acclarato che il
ricorso ha ben individuato il nucleo essenziale della censura, su cui si può
esercitare il diritto di difesa della parte resistente, l’eventuale inconferenza dei parametri costituzionali ritualmente
indicati, rispetto al contenuto sostanziale della doglianza, costituisce non
già motivo di inammissibilità, ma piuttosto di infondatezza» (sentenza n. 290 del
2009).
4.2.– La seconda
questione è inammissibile.
In primo luogo, il
ricorrente invoca la direttiva 2009/28/CE e il d.lgs. n. 28 del 2011 ma non
indica la specifica norma che sarebbe violata: proprio in materia di fonti
rinnovabili questa Corte ha dichiarato inammissibili censure formulate in tal
modo (sentenze
n. 156 del 2016 e n. 307 del 2013),
come visto sopra in relazione all’art. 32.
Inoltre, occorre
rilevare che la motivazione della questione si riduce all’affermazione del
contrasto della norma censurata con il principio del favor per la massima
diffusione delle fonti rinnovabili, e che tale motivazione risulta
insufficiente. La norma impugnata prevede una sospensione delle PAS temporanea
e limitata a certe aree, cercando di conciliare l’interesse ambientale
(tutelato dalla diffusione delle FER) e quello imprenditoriale con quello alla
tutela del paesaggio (potenzialmente pregiudicato dalla concentrazione di
impianti nella stessa area). Ai fini dell’ammissibilità della questione sarebbe
stato, dunque, necessario dare conto dell’irragionevolezza di tale
bilanciamento, soffermandosi in modo argomentato sulla durata della sospensione
e sui possibili effetti della sovrapposizione dei procedimenti.
Questa Corte ha
costantemente affermato che «"l’esigenza di un’adeguata motivazione a
fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone
in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale
rispetto a quelli instaurati in via incidentale” (tra le tante, sentenze n. 32 del
2017 e n.
141 del 2016). Pertanto, "il ricorso in via principale deve contenere "una
seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta
declaratoria di illegittimità costituzionale della legge. In particolare,
l’atto introduttivo al giudizio non può limitarsi a indicare le norme
costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o
incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma
deve contenere [...] anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a
sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che
l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente
assertiva” (ex plurimis, sentenza n. 107 del
2017 che richiama anche le sentenze n. 251,
n. 153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015)”
(sentenza n. 152
del 2018; nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 109 del
2018, n. 261
e n. 169 del
2017)» (da ultimo, sentenza n. 198 del
2019).
5.– Nel sesto motivo di
ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 38, 39
e 40 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, che modificano i paragrafi
1.2.1., 1.2.2. e 2.2.2. dell’Appendice A del piano di indirizzo energetico
ambientale regionale (PIEAR) approvato con legge della Regione Basilicata 19
gennaio 2010, n. 1 (Norme in materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico
Ambientale Regionale. D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006
L.R. n. 9/2007).
Tali norme sono
impugnate nella parte in cui «contengono varie prescrizioni sulle distanze, in
relazione, rispettivamente, a "impianti di grande generazione”, a "impianti di
piccola generazione” e a "impianti fotovoltaici di microgenerazione”». Esse
violerebbero gli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost. per le stesse ragioni
dedotte con riferimento all’art. 32, nella parte in cui introduce l’art. 6,
comma 1, lettere a.3) e b.3), della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, in tema
di distanze che gli impianti eolici e fotovoltaici con potenza massima non
superiore a 200 kW devono rispettare dagli altri impianti per consentire
l’utilizzo della PAS.
Secondo il ricorrente,
anche la previsione, negli artt. 38, 39 e 40, di limiti generali per la
collocazione degli impianti eolici e fotovoltaici, nella forma di distanze
minime valevoli sull’intero territorio regionale senza istruttoria e
valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, si porrebbe in
contrasto sia con i principi fondamentali delle materie «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell’energia» e «tutela della salute», espressi
nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e nei paragrafi 1.2 e 17.1
delle linee guida adottate con il d.m. 10 settembre
2010, sia con il principio di legalità e di buon andamento
dell’amministrazione.
5.1.– Il PIEAR
costituisce «parte integrante» della legge reg. Basilicata n. 1 del 2010, ai
sensi dell’art. 1, comma 1, della stessa legge regionale. Può essere modificato
«quando sopravvengano importanti ragioni normative o tecnico-scientifiche che
determinino la necessità o la convenienza di prevedere limitazioni
all’installazione in relazione a specifiche tipologie progettuali e costruttive
di impianti nel rispetto degli obiettivi generali e delle misure nazionali
obbligatorie per l’uso dell’energia da fonti rinnovabili di cui alla Direttiva
2009/28/CE» (art. 1, comma 3), «con le stesse procedure previste per la sua
formazione» (art. 1, comma 4), quindi con atto legislativo.
Il PIEAR è composto
anche da alcune Appendici. L’Appendice A, suddivisa in paragrafi, detta i
«Principi generali per la progettazione, la realizzazione, l’esercizio e la
dismissione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili». Il paragrafo 1.2.
e i successivi si occupano delle «Procedure per la costruzione e l’esercizio
degli impianti eolici», distinguendo tra impianti «di grande generazione» e
impianti «di piccola generazione». Il paragrafo 1.2.1. definisce «di grande
generazione» gli impianti eolici «di potenza nominale superiore a 1 MW»,
aggiungendo che essi «devono possedere requisiti minimi di carattere
territoriale, anemologico, tecnico e di sicurezza,
propedeutici all’avvio dell’iter autorizzativo». Il paragrafo 2.2. e i
successivi, infine, riguardano gli impianti fotovoltaici.
L’art. 38 impugnato
incide sui successivi paragrafi 1.2.1.4., 1.2.1.5. e 1.2.1.6.
L’art. 39 sostituisce
il testo dei paragrafi 1.2.2. e 1.2.2.1, che si occupano invece degli impianti
eolici «di piccola generazione» (i quali devono soddisfare, ai fini del PIEAR,
la duplice condizione di avere potenza nominale massima complessiva non
superiore a 200 kW e un numero massimo di 2 aerogeneratori).
L’art. 40 incide,
sostituendone il testo, sul paragrafo 2.2.2., che disciplina le procedure per
la costruzione e l’esercizio degli impianti fotovoltaici «di microgenerazione»
(i quali devono soddisfare, ai fini del PIEAR, una delle seguenti condizioni:
«a) integrati e/o parzialmente integrati; b) non integrati con potenza nominale
massima non superiore a 200 kW»).
5.2.– Occorre
preliminarmente rilevare che, nel corso del giudizio, la lettera d-ter) del
paragrafo 1.2.1.4. dell’Appendice A del PIEAR, introdotta dall’art. 38, comma
1, della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, è stata modificata dall’art. 10,
comma 1, della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori
disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata),
nei seguenti termini: «1. Al comma 1 dell’art. 38 alla lettera d-ter) le parole
"e comunque non inferiore a 200 m” sono sostituite dalle parole "e comunque non
inferiore a 150 m”.». Per effetto della modifica, la distanza minima degli
impianti eolici di grande generazione dalle strade comunali, stabilita dal
PIEAR tra i requisiti di sicurezza che tali impianti devono rispettare, è
ridotta da 200 a 150 metri.
L’art. 10 della legge
reg. Basilicata n. 4 del 2019 è stato impugnato dal Presidente del Consiglio
dei ministri, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con ricorso
iscritto al n. 60 reg. ric. 2019.
Considerato che la
sopravvenuta modifica normativa, limitandosi a ridurre la distanza minima prima
fissata, non ha sostanzialmente alterato il contenuto della disposizione
impugnata in relazione ai motivi di ricorso e non soddisfa perciò le pretese
del ricorrente, e considerata altresì l’autonoma impugnazione dello ius superveniens da parte del
Governo, si deve escludere che sia cessata in parte qua la materia del
contendere, e parimenti che la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 38 debba essere trasferita o estesa al nuovo testo della lettera
d-ter).
5.3.– Si deve esaminare
in via preliminare la difesa della Regione secondo cui «le contestazioni
sollevate attengono a riferimenti normativi regionali vigenti ed entrati in
vigore da tempo e mai osservati dalla Presidenza del Consiglio». In altri
termini, la Regione sembra eccepire che il ricorso costituirebbe una tardiva e
perciò inammissibile censura di precedenti leggi regionali regolarmente
promulgate in materia senza rilievi.
L’eccezione è
infondata. Per costante giurisprudenza costituzionale, ogni provvedimento
legislativo esiste a sé e può formare oggetto di autonomo esame ai fini
dell’accertamento della sua legittimità: l’istituto dell’acquiescenza non si
applica invero ai giudizi in via principale, atteso che la norma impugnata ha
comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a
ricorrere dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 237,
n. 98 e n. 60 del 2017,
n. 39 del 2016,
n. 215 e n. 124 del 2015).
5.4.– Nondimeno, le
questioni sono inammissibili, anche se per una diversa ragione.
Il ricorso in via
principale, come detto, deve identificare esattamente la questione nei suoi
termini normativi, indicando le norme costituzionali, e le norme ordinarie eventualmente
interposte, il cui rapporto di compatibilità o incompatibilità con la
disposizione impugnata costituisce l’oggetto della questione. Deve inoltre
contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria
di illegittimità costituzionale.
Gli artt. 38, 39 e 40
hanno contenuto eterogeneo, di natura tecnica, diretto a modificare diversi paragrafi
dell’Appendice A del PIEAR in materia di impianti eolici (di grande e piccola
generazione) e di impianti fotovoltaici (di microgenerazione), talvolta
sostituendone il testo integrale. Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna tali norme cumulativamente e indistintamente nella parte in cui
«contengono varie prescrizioni sulle distanze [...]», senza indicarle
precisamente e limitandosi a riprodurre, in nota e senza specificazioni di
sorta, i (complessi e articolati) testi delle disposizioni impugnate.
Dalla loro lettura
emerge una congerie di prescrizioni di distanze minime, spesso inserite in
lunghi elenchi di requisiti tecnici: distanze da strade (statali, provinciali e
comunali) e autostrade, dai confini di proprietà, dal limite dell’ambito
urbano, da edifici e/o abitazioni, tra gli aerogeneratori o tra le loro file,
ecc. Distanze strumentali a esigenze diverse (sicurezza, tutela ambientale e
compatibilità acustica, non interferenza con le attività dei centri di
osservazione astronomiche e di rilevazione di dati spaziali, ecc.) e congegnate
in modi diversi (rispetto a strade, confini, ambiti urbani, edifici e/o
abitazioni subordinano le distanze minime a «studi» di carattere tecnico, e
prescrivono comunque, sebbene non in tutti i casi, distanze minime inderogabili
determinate ex lege o rinviando a parametri fissi come, per esempio, il
diametro del rotore più grande nel caso di aerogeneratori).
Per consentire la
definizione dell’oggetto del giudizio, il ricorrente avrebbe dovuto individuare
e indicare in dettaglio, nel coacervo delle previsioni modificate dagli artt.
38, 39 e 40, quelle ritenute illegittime, e avrebbe dovuto distinguere fra esse
in relazione ai diversi caratteri dei vari vincoli introdotti con la legge
regionale. Anche se una ricerca testuale consentirebbe di reperire, nel testo
complessivo delle norme impugnate, i vari frammenti normativi che trattano di
distanze, non è comunque possibile stabilire quali specifici contenuti della
normativa regionale siano incompatibili con i parametri evocati e nemmeno in
quali esatti termini (sentenza n. 63 del
2016).
Come visto, nella
maggioranza dei casi la distanza minima è «subordinata» a studi tecnici,
dovendo in ogni caso essere «non inferiore» a una certa misura lineare, ma il
ricorrente non precisa se sono impugnate solo queste previsioni (che impongono
una distanza inderogabile) o anche quelle che fanno dipendere il rispetto di
distanze minime, per ipotesi superiori a quelle inderogabili, da specifici
studi tecnici da indicare nei progetti sottoposti ad autorizzazione unica
regionale o a PAS: previsioni, queste ultime, che implicano la necessità di una
valutazione caso per caso, in sede procedimentale, mostrando dunque una
fisionomia non incompatibile ictu oculi con gli
evocati principi fondamentali della materia. Questa radicale incertezza sui
termini delle questioni, che si rispecchia anche nella genericità della
motivazione – non chiarendo il ricorrente la portata lesiva delle singole norme
sulle distanze nel loro contenuto concreto – conduce alla loro inammissibilità.
6.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 42 della legge reg. Basilicata
n. 38 del 2018, nella parte in cui stabilisce l’applicazione, tra gli altri,
dell’art. 30 della stessa legge regionale ai procedimenti pendenti, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
Dopo l’instaurazione
del giudizio, l’art. 42 è stato integralmente abrogato dall’art. 18 della legge
reg. Basilicata n. 4 del 2019 e il Presidente del Consiglio dei ministri ha di
conseguenza rinunciato in parte qua al ricorso. Trattandosi di rinuncia non
accettata formalmente, va dichiarata sul punto la cessazione della materia del
contendere, come espressamente richiesto dalla Regione, che ha così palesato la
mancanza di interesse a coltivare il giudizio (ex plurimis,
sentenze n. 234
del 2017, n.
263, n. 239
e n. 82 del 2015).
7.– Nel settimo motivo
di ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 43 e 52
della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.
7.1.– Il primo reca
integrazioni all’allegato A della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Tale
allegato indica i siti non idonei all’installazione di impianti FER. La norma
introdotta dall’art. 43 stabilisce che i cosiddetti Buffer (fasce di rispetto
relative alle aree non idonee) «di cui al punto 1.2 Beni monumentali 1.4 Beni
paesaggistici: in riferimento a laghi ed invasi artificiali, fiumi, torrenti e
corsi d’acqua, centri urbani, centri storici, 2.4 Rete Natura 2000, così come
individuati e definiti nell’Allegato A della legge regionale n. 54/2015 e ss.mm.ii., trovano applicazione esclusivamente nelle aree
territoriali visibili dal bene monumentale vincolato se l’impianto FER in
progetto non risulta in correlazione visiva con lo stesso bene vincolato da
punti di vista privilegiati». La norma censurata prevede, dunque, una deroga
alle fasce di rispetto nel caso in cui non ci sia un "contatto visivo” fra
l’impianto e il sito protetto.
Secondo il ricorrente,
l’art. 43 si porrebbe «in contrasto con i principi ispiratori posti alla base
della individuazione delle "aree non idonee” stabiliti dall’Allegato 3
(paragrafo 17)» delle linee guida del 2010, e inoltre vanificherebbe
«l’istruttoria condotta dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, di
concerto con la Regione Basilicata, che ha portato alla definizione delle aree
di "Buffer” di cui agli allegati A e C e agli elaborati di cui all’allegato B»
della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015, con conseguente «mancato rispetto
degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa per la
elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale, stipulato ai sensi
dell’articolo 143, comma 2, del D.Lgs. n. 42 del
2004» il 14 settembre 2011, tra il Ministero per i beni e le attività
culturali, il Ministero dell’Ambiente e la Regione Basilicata. Di qui la
violazione delle norme poste a tutela del paesaggio e del patrimonio culturale
(decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»)
e, dunque, dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
7.2.– La questione
relativa all’art. 43 è fondata.
La disciplina delle
aree non idonee all’installazione di impianti FER «si pone al crocevia fra la
materia della "tutela dell’ambiente” e quella della "produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia”» (sentenza n. 86 del
2019).
Come già illustrato
esaminando le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 32,
l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 dispone che «le regioni possono
procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di impianti» in attuazione delle linee guida previste
dallo stesso comma 10, che «sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto
inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel
paesaggio». Sia il testo di tale disposizione sia l’evidente "vocazione”
dell’individuazione delle aree non idonee confermano, dunque, il nesso tra la
disciplina di tali aree e la materia della tutela del paesaggio, ragion per cui
le linee guida contenute nel d.m. 10 settembre 2010
sono vincolanti per le regioni, in quanto standard omogenei di tutela
dell’ambiente (comprensivo del paesaggio), espressivi del principio fondamentale
di uniformità nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia» (sentenza
n. 86 del 2019).
Ciò precisato, il punto
17.1 delle citate linee guida del 2010 stabilisce, come visto, che
«[l]’individuazione della non idoneità dell’area è operata dalle Regioni
attraverso un’apposita istruttoria», i cui esiti sono «da richiamare nell’atto
di cui al punto 17.2» (cioè, in un atto di programmazione). L’allegato 3
dispone che «[l]’individuazione delle aree non idonee dovrà essere effettuata
dalle Regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti
di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, secondo le modalità
indicate al paragrafo 17», e che le Regioni «possono procedere ad indicare come
aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti
le aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni
territoriali o del paesaggio, ricadenti all’interno di quelle di seguito
elencate […] le aree non comprese in quelle di cui ai punti precedenti ma che
svolgono funzioni determinanti per la conservazione della biodiversità (fasce
di rispetto o aree contigue delle aree naturali protette)».
Questa Corte ha di
recente confermato che «i criteri fissati dal paragrafo 17 delle linee guida di
cui al d.m. 10 settembre 2010 […] impongono, fra
l’altro, un’istruttoria adeguata, volta a prendere in considerazione tutti gli
interessi coinvolti» (sentenza n. 86 del
2019).
Nella regione
Basilicata l’istruttoria in questione è stata svolta tramite una concertazione
con organi statali (come risulta dall’art. 2, comma 1, e dall’allegato A della
legge reg. Basilicata n. 54 del 2015) e i suoi esiti sono stati recepiti negli
allegati della stessa legge regionale.
Prevedendo una deroga
alle fasce di rispetto delle aree non idonee stabilita in via generale, senza
istruttoria e senza un’adeguata valutazione in concreto dei luoghi in sede
procedimentale, l’art. 43 viola dunque i criteri fissati dalle linee guida del
2010 e, di conseguenza, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (da
ultimo, sentenza
n. 86 del 2019, che ha dichiarato costituzionalmente illegittime norme
analoghe della stessa Regione Basilicata).
Resta assorbita la
censura relativa alla violazione dell’Intesa stipulata il 14 settembre 2011 e,
dunque, del d.lgs. n. 42 del 2004.
7.3.– La questione
relativa all’art. 52 è inammissibile.
La disposizione
censurata definisce come varianti non sostanziali determinati «progetti di
ottimizzazione» dei parchi eolici. La qualifica di variante non sostanziale
esclude la necessità dell’autorizzazione unica (art. 5, comma 1, del d.lgs. n.
28 del 2011).
Secondo il ricorrente,
la norma stabilirebbe «un nuovo criterio per la definizione della sostanzialità
delle varianti ai parchi eolici, che, sostituendosi ai criteri elencati
nell’allegato V alla parte II del medesimo D.Lgs. n.
152/2006, crea conflitti normativi e incertezze applicative, soprattutto nei
procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA statale di cui all’art. 19
del D.Lgs. citato che […] riguarda anche gli impianti
eolici di potenza superiore ai 30 MW». Inoltre, l’art. 52 rappresenterebbe un
mancato rispetto del Protocollo di Intesa del 2011, sopra citato. Da ciò
deriverebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La questione sollevata
risulta oscura. L’allegato V alla parte II del codice dell’ambiente detta i
«Criteri per la verifica di assoggettabilità di cui all’art. 19» e non si
occupa affatto della distinzione tra varianti sostanziali e non sostanziali.
Inoltre, non è chiaro come l’art. 52 possa rappresentare una violazione
dell’Intesa del 14 settembre 2011, dal momento che, a differenza dell’art. 43,
non riguarda le aree non idonee all’installazione di impianti FER. Infine,
occorre rilevare che la verifica di assoggettabilità a VIA statale (allegato
II-bis alla parte II del cod. ambiente) non comprende impianti eolici.
L’oscurità della
censura, dunque, ne implica l’inammissibilità (sentenze n. 137
e n. 103 del
2018, n. 175
e n. 114 del
2017, n. 127
e n. 43 del 2016).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata
pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale
promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 della legge
della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al
bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di
scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione
Basilicata), nella parte in cui ha introdotto le lettere a.3), b.3) e b.4) del
comma 1 dell’art. 6 della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8
(Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 della legge
reg. Basilicata n. 38 del 2018;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, nella parte in cui ha sostituito il comma
2 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, promossa dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo
comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 37 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, promossa dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 38, 39 e 40 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, promosse
dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 97 e 117,
terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 52 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, promossa dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione
di legittimità costituzionale dell’art. 42 della legge reg. Basilicata n. 38
del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento
all’art. 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 30 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, promossa dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera s), e terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 32 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, nella parte in cui ha
sostituito il comma 2 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012,
promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt.
97 e 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 37 della legge reg. Basilicata n. 38 del
2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento
all’art. 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre
2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente
Daria de PRETIS,
Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 23 dicembre 2019.