SENTENZA N. 307
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI
"
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
degli artt. 5, commi 15 e 18, 6, commi 1, lettera f), 3 e 6, 7, commi 5 e 6,
13, comma 1, 16, comma 2, e 18, comma 2, ultima parte, della legge della
Regione Puglia 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione dell’uso dell’energia da
fonti rinnovabili), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con
ricorso notificato il 22-27 novembre 2012, depositato in cancelleria il 30
novembre 2012 ed iscritto al n. 181 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 24 settembre 2013 il
Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 22–27
novembre 2012, depositato il successivo 30 novembre, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale,
degli artt. 5, commi 15 e 18; 6, commi 1, lettera f), 3 e 6; 7, commi 5 e 6;
13, comma 1; 16, comma 2; 18, comma 2, ultima parte, della legge della Regione
Puglia 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili), pubblicata nel Bollettino Ufficiale di detta Regione n. 138 del
25 settembre 2012, in riferimento agli artt. 23, 81, comma quarto, 117, comma
secondo, lettere e) ed s), e comma terzo, della Costituzione.
1.1.– La difesa statale impugna,
innanzitutto, l’art. 5, comma 15, della legge della Regione Puglia n. 25 del
2012, nella parte in cui stabilisce che l’autorizzazione unica per la
costruzione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili «può
prevedere misure compensative a favore dei Comuni interessati, nel rispetto di
quanto previsto» dalle Linee guida statali, e che «dette misure vengono
stabilite con i provvedimenti conclusivi delle procedure di VIA o di verifica
di assoggettabilità a VIA, se previste». Tale norma, rinviando la definizione
delle misure compensative ai «provvedimenti conclusivi delle procedure di VIA o
di verifica di assoggettabilità a VIA, se previste», finirebbe con l’escludere
la partecipazione dei Comuni alle procedure di VIA o di verifica di
assoggettabilità, pregiudicando, di fatto, le prerogative proprie delle
amministrazioni locali, in contrasto con il paragrafo 14.15. del decreto
ministeriale 10 settembre 2010 del Ministro dello sviluppo economico di
concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
e con il Ministro per i beni e le attività culturali (Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), in base al
quale «le amministrazioni competenti determinano in sede di riunione di
Conferenza di servizi eventuali misure di compensazione a favore dei Comuni, di
carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniali o economiche
in conformità ai criteri di cui all’Allegato 2 delle presenti Linee guida».
Essa, pertanto, eccederebbe dalla competenza della Regione in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art.
117, terzo comma, Cost.
1.2.– Anche il citato art. 5, comma 18,
sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione del terzo comma dell’art.
117 Cost.
Ad avviso del ricorrente, detta norma,
nella parte in cui stabilisce che «la convocazione della conferenza dei servizi
di cui all’articolo 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 è subordinata alla
produzione, da parte del proponente, di un piano economico e finanziario
asseverato da un Istituto bancario o da un intermediario iscritti nell’elenco
speciale di cui all’articolo 106 (Albo degli intermediari finanziari) del testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, emanato con decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, che ne attesti la congruità»,
contrasterebbe sia con l’art. 12, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell’elettricità), secondo cui la Conferenza dei servizi deve essere
convocata dalla Regione entro il termine di trenta giorni dalla presentazione
dell’istanza, senza che tale convocazione sia subordinata ad alcuna
circostanza, sia con la lettera i) (recte: j) del
paragrafo 13.1. dell’Allegato alle Linee guida statali, il quale prevede che
l’istante presenti, all’atto dell’avvio dei lavori, «una cauzione a garanzia
della esecuzione degli interventi di dismissione e delle opere di messa in
pristino da versare a favore dell’amministrazione procedente mediante
fideiussione bancaria o assicurativa secondo l’importo stabilito in via
generale dalle Regioni o dalle Province delegate in proporzione al valore delle
opere di rimessa in pristino, o delle misure di reinserimento o recupero
ambientale» e non un generico piano economico e finanziario dai contenuti
imprecisati e senza alcun richiamo alla finalità propria dello strumento
fideiussorio in questione. Anche tale norma, pertanto, eccederebbe dalla
competenza della regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia», violando il terzo comma dell’art. 117 Cost.
Inoltre, nella parte in cui subordina la
convocazione della conferenza dei servizi alla produzione da parte proponente
del piano economico e finanziario pregiudicherebbe, il libero accesso al
mercato dell’energia, creando, fra l’altro, una situazione di artificiosa
alterazione della concorrenza fra le diverse aree del Paese, in violazione
della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della
concorrenza.
1.3.– Il ricorrente impugna, inoltre,
l’art. 6, comma 1, lettera f), per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.
Tale disposizione, nella parte in cui stabilisce che la procedura abilitativa
semplificata «a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge
[…] trova applicazione anche per gli […] impianti idroelettrici di taglia non
superiore a 1 MWe», si porrebbe in contrasto con il
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
che, all’Allegato IV, punto 2 «Industria energetica ed estrattiva», alla
lettera m), prevede che gli impianti per la produzione di energia idroelettrica
con potenza installata superiore a 100 kW rientrano nel novero delle opere
soggette alla procedura di assoggettabilità a VIA di competenza regionale.
Sulla base della disciplina statale, pertanto, risulterebbero sottoposti
all’autorizzazione ambientale di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 152 del 2006
tutti gli «impianti per la produzione di energia idroelettrica con potenza
installata superiore a 100 kW», tra i quali rientrano anche quelli previsti dal
citato art. 6, comma 1, lettera f). La norma regionale, nel prevedere
genericamente la sottoposizione a procedure semplificate di tutti gli impianti
fino a 1 MW, e quindi anche degli impianti con potenza installata superiore a
100 kW, si discosterebbe e si porrebbe in contrasto con le norme statali di
principio in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia».
La disposizione sarebbe poi lesiva anche
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., posto che essa, sottoponendo a
procedure semplificate tutti gli impianti fino a 1 MW e quindi anche quelli con
potenza installata superiore a 100 kW per i quali l’art. 6, comma 9, del
decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) impone, anche a
tutela dell’ambiente e del paesaggio, il più gravoso procedimento
dell’autorizzazione unica, inciderebbe sulla sfera di competenza legislativa
statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.
1.4.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna anche i commi 3 e 6 dell’art. 6 della legge regionale n. 25
del 2012, in quanto, disponendo che «sono altresì soggetti a procedure
semplificate gli interventi per i quali leggi nazionali prevedono quale titolo autorizzativo la comunicazione o ogni altra procedura
abilitativa semplificata, comunque denominata» e che «il Comune, a richiesta
del soggetto che ha dato avvio alla PAS o alla comunicazione o a qualsiasi
altra procedura semplificata, rilascia una dichiarazione attestante che il
titolo abilitativo assentito costituisce titolo idoneo alla realizzazione
dell’impianto», si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali dettati
dal legislatore statale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia», di cui al d.lgs. n. 28 del 2011, che individua in
maniera tassativa i titoli abilitativi in materia di impianti alimentati da
fonti rinnovabili. Secondo il ricorrente, tenuto conto di quanto stabilito dal
legislatore statale, la Regione non avrebbe potuto dare rilievo ed attribuire
effetti giuridici a procedure abilitative ulteriori e diverse da quelle
indicate dalla legge statale, eccedendo in tal modo dalla competenza regionale.
1.5.– L’art. 7, comma 5, della legge
regionale n. 25 del 2012 è censurato dal ricorrente in riferimento al terzo
comma dell’art. 117, Cost. Tale norma, nella parte in cui dispone che «le
variazioni di tracciato degli elettrodotti e di posizionamento delle cabine di
trasformazione, pur se costituenti modifiche sostanziali, possono essere
autorizzate con le procedure della legge regionale 9 ottobre 2008, n. 25 […] a
condizione che il punto di connessione alla rete rimanga invariato e che non
sia modificata la tipologia di elettrodotto (aereo o sotterraneo)», si porrebbe
in contrasto con l’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo cui
«la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica
alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento,
rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa
vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla
costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una
autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla
regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela
dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico–artistico, che
costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico».
La norma regionale, escludendo dal
regime dell’autorizzazione unica le variazioni di tracciato degli elettrodotti
e di posizionamento delle cabine di trasformazione, «pur se costituenti
modifiche sostanziali», si porrebbe in contrasto con quanto previsto dal
legislatore statale, posto che le categorie di lavori contemplate dalla norma
regionale costituirebbero certamente «opere connesse e infrastrutture
indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati a
fonti rinnovabili». Pertanto, il legislatore regionale non poteva assoggettarle
al regime particolare dettato dalla legge regionale 9 ottobre 2008, n. 25
(Norme in materia di autorizzazione alla costruzione ed esercizio di linee e
impianti elettrici con tensione non superiore a 150.000 volt), sottraendole in
tal modo ai principi della semplificazione amministrativa e della celerità che
connotano la legislazione statale in materia.
1.6.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri censura, inoltre, l’art. 7, comma 6, della legge regionale n. 25 del
2012, nella parte in cui, stabilendo che «le modifiche non sostanziali sono
soggette alla procedura semplificata o alla comunicazione di cui all’articolo
6» e che sono altresì soggette alla procedura abilitativa semplificata
dell’art. 6 « le varianti progettuali relative agli impianti inferiori a 1 MW
elettrico assentiti con procedure semplificate» perfezionatesi, ai sensi
dell’art. 27 della legge regionale 19 febbraio 2008, n. 1 (Disposizioni
integrative e modifiche della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 – Disposizioni
per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale
2008-2010 della Regione Puglia e prima variazione al bilancio di previsione per
l’esercizio finanziario 2008) e dell’art. 3 della legge regionale 21 ottobre
2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e
per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale),
anteriormente alla pubblicazione della sentenza della Corte
costituzionale n. 119 del 2010, si porrebbe in contrasto con l’art. 5,
comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011. La norma regionale, contrariamente a quanto
stabilito dal legislatore statale, non precisando che le varianti, per gli
interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici,
che ricadono nell’ambito della procedura abilitativa semplificata, non devono
comportare «variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della
volumetria, delle strutture e dell’area destinata a ospitare gli impianti
stessi, né delle opere connesse», nonché, con specifico riguardo agli impianti
a biomassa, bioliquidi e biogas, non precisando che
dette varianti non possono avere ad oggetto il combustibile o la potenza
termica installata, violerebbe i principi fondamentali stabiliti dal
legislatore statale in materia di fonti rinnovabili, dettati dal d.lgs. n. 28
del 2011.
1.7.– Viene, poi, impugnato l’art. 13,
comma 1, della medesima legge regionale, nella parte in cui dispone che «la
Regione promuove la costituzione di un organismo, anche sotto forma di
consorzio, per il recupero, riciclaggio e/o smaltimento degli impianti in
dismissione nel rispetto della normativa UE e nazionale in materia, stipulando
anche eventuali accordi con altre Regioni, lo Stato e/o altri Stati membri». La
costituzione di un organismo di tale specie, anche se in forma consorziale, si
porrebbe in contrasto con l’art. 9, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con
invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale
delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, che, ai fini del coordinamento
della finanza pubblica, stabilisce il divieto per gli enti locali di istituire
enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica,
che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro
conferite ai sensi dell’art. 118 Cost. La citata norma regionale si porrebbe,
pertanto, in contrasto con i principi fondamentali del coordinamento della
finanza pubblica.
1.8.– Il ricorrente censura, altresì,
l’art. 16, comma 2, della legge regionale n. 25 del 2012, per violazione
dell’art. 81, comma quarto, Cost. La norma regionale, nella parte in cui
istituisce l’archivio delle imprese che, in ambito regionale, esercitano
impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti di energia
rinnovabili, pur comportando oneri, la cui presenza non sarebbe esclusa dalla
clausola di invarianza finanziaria, non indicherebbe, infatti, i mezzi per fare
fronte alla spesa correlata.
1.9.– È, infine, censurato l’art. 18,
comma 2, ultima parte, della legge regionale n. 25 del 2012, là dove prevede
che «la determinazione del sistema degli oneri e delle garanzie con riguardo
alle tipologie degli impianti oggetto di autorizzazione unica», avviene con
provvedimento della Giunta regionale, senza fornire alcuna ulteriore
indicazione volta a fissare i criteri cui deve ispirarsi detto organo nello
svolgimento di tale compito. Così disponendo la norma regionale violerebbe il
precetto di cui all’art. 23 Cost. secondo il quale «nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», volto a
garantire i privati da un’illimitata discrezionalità degli organi
amministrativi.
Il medesimo art. 18, comma 2, ultima
parte, è anche censurato per violazione del terzo comma dell’art. 117 Cost.
Demandando ad un provvedimento della Giunta regionale non ulteriormente
definito nei suoi contenuti la determinazione degli oneri per gli impianti
suddetti, riserverebbe, infatti, a tale organo il potere di adottare
determinazioni di contenuto diversificato e non coincidente con i criteri dettati
dalle Linee guida statali (art. 9 del d.m. 10
settembre 2010), le quali costituiscono principi fondamentali in materia di
fonti rinnovabili, vincolanti per le Regioni.
2.– Si è costituita in giudizio la
Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale,
chiedendo che la Corte dichiari inammissibili o comunque infondate le questioni
di legittimità costituzionale.
2.1.– Le censure concernenti il citato
art. 5, comma 15, sarebbero inammissibili per genericità.
Nel merito, la questione sarebbe
infondata, in quanto, da un lato, sarebbe del tutto inconferente
il richiamo alla disciplina delle procedure di VIA di competenza regionale,
all’interno delle quali la partecipazione dei Comuni sarebbe anche pienamente
garantita secondo le previsioni della legge regionale 12 aprile 2001 n. 11
(Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale); dall’altro, il preteso
contrasto con la normativa statale sarebbe inesistente. La previsione che la
sede per la determinazione delle misure compensative è quella dei provvedimenti
conclusivi delle procedure di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA,
ossia dei provvedimenti espressamente contemplati nel paragrafo 14.13.
dell’Allegato alle Linee guida nazionali, il quale ne stabilisce la confluenza
"nella conferenza dei servizi” preposta al rilascio dell’autorizzazione unica,
non escluderebbe affatto che quella stessa determinazione delle misure
compensative avvenga con il pieno coinvolgimento dei Comuni territorialmente
interessati.
Anche le censure promosse, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., nei confronti del comma 18
dell’art. 5 della citata legge regionale, sarebbero prive di fondamento, posto
che le Linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010
riconoscono in termini espressi il potere delle Regioni di integrare il
contenuto minimo dell’istanza che dà avvio al procedimento di autorizzazione
unica, e stabiliscono che solo il ricevimento di una istanza completa di tutta
la documentazione prescritta è in grado di consentire il formale avvio del
procedimento e, dunque, anche la convocazione della conferenza dei servizi.
Nella specie, pertanto, il legislatore regionale non avrebbe fatto altro che
utilizzare il potere che le Linee guida nazionali riconoscono alle Regioni di
integrare con indicazioni aggiuntive la documentazione necessaria da allegare
all’istanza del soggetto proponente, al tempo stesso prevedendo che la mancata
presentazione di tale ulteriore documentazione (il piano economico e
finanziario asseverato) costituisca, ai sensi del paragrafo 14.4. dell’Allegato
alle Linee guida, impedimento all’avvio del procedimento e alla conseguente
convocazione della conferenza dei servizi. Nessuna violazione vi sarebbe, poi,
della lettera j) del paragrafo 13.1. dell’Allegato alle Linee guida nazionali,
in quanto il comma 9 del medesimo art. 5 della legge regionale in esame
stabilisce che l’istanza di autorizzazione unica deve essere corredata da
quanto indicato al paragrafo 13 dell’Allegato alle Linee guida statali.
Del pari infondata sarebbe la censura di
violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost. promossa nei
confronti del medesimo comma 18 dell’art. 5, considerato che proprio le Linee
guida nazionali autorizzerebbero espressamente le Regioni ad integrare il
contenuto minimo della documentazione che il proponente deve allegare
all’istanza di autorizzazione unica, escludendo in tal modo in radice che la
semplice imposizione da parte della Regione di un onere aggiuntivo a carico del
proponente in sede di presentazione dell’istanza possa di per sé costituire un
pregiudizio per il libero accesso al mercato ed una causa di alterazione della
concorrenza tra le diverse aree del Paese.
Con riferimento, poi, alle censure
promosse nei confronti dell’art. 6, comma 1, lettera f), la Regione ne deduce
l’infondatezza, sia con riguardo alla pretesa violazione dell’art. 117, terzo
comma, Cost., che con riguardo alla ipotizzata lesione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
La sottoposizione alla procedura
abilitativa semplificata, disciplinata dall’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011,
infatti, non escluderebbe l’applicazione della procedura di assoggettabilità a
VIA imposta dalle citate norme del d.lgs. n. 152 del 2006, in specie dai commi
2, ultimo periodo, e 5 del richiamato art. 6. Tali previsioni renderebbero
evidente che l’applicazione della PAS agli impianti idroelettrici di taglia non
superiore a 1 MW, disposta dalla norma censurata, sarebbe perfettamente
compatibile con l’applicazione della procedura di verifica di assoggettabilità
a VIA di competenza regionale, come disposto dall’art. 20 e dall’allegato IV
alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006. Del pari erroneo sarebbe il
presupposto interpretativo a fondamento della seconda censura prospettata dal
ricorrente nei confronti della norma in esame. Infatti, la disposizione
legislativa assunta a parametro interposto, ossia l’art. 6, comma 9, del d.lgs.
n. 28 del 2011, abiliterebbe le Regioni ad «estendere» i casi di applicazione
della procedura semplificata a tutti gli impianti con potenza nominale fino ad
1 MW elettrico, abilitandole altresì a «definire» i casi di perdurante
applicazione della procedura di autorizzazione unica ove siano previste
«autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni
diverse dal Comune».
La questione di legittimità
costituzionale dei commi 3 e 6 dell’art. 6 sarebbe, in primo luogo,
inammissibile, e comunque infondata.
Essa sarebbe inammissibile per la
generica individuazione della normativa legislativa statale utilizzata quale
parametro interposto, posto che il ricorrente si limita a dedurre la violazione
dell’intero d.lgs. n. 28 del 2011, senza tuttavia individuare né le specifiche
disposizioni del predetto d.lgs. che risulterebbero violate, né i titoli abilitativi
previsti dal legislatore statale rispetto ai quali le norme regionali impugnate
si configurerebbero in termini derogatori. Nel merito, detta questione sarebbe,
comunque, priva di fondamento, per erroneità del presupposto interpretativo. Le
disposizioni regionali censurate, infatti, si sarebbero limitate a fare
esplicito rinvio esclusivamente a quanto previsto dal legislatore statale, nei
termini di un classico "rinvio mobile” non solo alla legislazione statale
attualmente vigente, ma anche a tutte le ulteriori previsioni legislative che
lo Stato riterrà opportuno introdurre.
La Regione Puglia contesta, inoltre, la
fondatezza delle censure mosse nei confronti dell’art. 7, comma 5, in quanto le
«variazioni di tracciato» degli elettrodotti e le «variazioni di
posizionamento» delle cabine di trasformazione, specie allorquando il «punto di
connessione alla rete rimanga invariato e che non sia modificata la tipologia
di elettrodotto (aereo o sotterraneo)», non ricadrebbero necessariamente
nell’ambito di applicazione della procedura di autorizzazione unica prevista
dalla norma statale, invocata quale parametro interposto, ambito riferito ai
soli «impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti
rinnovabili» e non anche alle «opere connesse e infrastrutture indispensabili
alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi». Oltre a ciò, la
resistente osserva anche che il più volte richiato
art. 12, comma 3, ha previsto in termini espliciti la sottoposizione al regime
dell’autorizzazione unica dei soli «interventi di modifica come definiti dalla
normativa vigente»: pertanto, nella perdurante assenza di tale «definizione»
sarebbe da escludere in radice qualunque ipotesi di contrasto tra la norma
regionale censurata ed il predetto art. 12, comma 3.
Anche le censure proposte nei confronti
del citato art. 7, comma 6, sarebbero palesemente infondate, considerato che la
norma regionale impugnata, al precedente comma 3, conterrebbe tutte le
«precisazioni» della cui presunta assenza si duole il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Le questioni aventi ad oggetto l’art.
13, comma 1, della legge regionale n. 25 del 2012, sarebbero infondate,
innanzitutto perché meramente ipotetiche ed eventuali e quindi inidonee ad
invadere ambiti costituzionalmente riservati allo Stato; poi, perché la norma
regionale impugnata vincolerebbe espressamente la propria attuazione, in
concreto, al rispetto di tutti i limiti imposti a livello sovranazionale e
statale, compresi i principi di coordinamento della finanza pubblica.
Inammissibile, in quanto formulata
genericamente, prima ancora che infondata, sarebbe, poi, la questione
concernente l’art. 16, comma 2, della citata legge regionale, in riferimento
all’art. 81, comma quarto, Cost., in quanto la presenza della cosiddetta
clausola di invarianza finanziaria non sarebbe imposta da alcuna disposizione
rinvenibile nella Costituzione o nella legislazione statale e quindi la pretesa
violazione dell’obbligo di copertura delle nuove spese derivanti
dall’applicazione della legge sarebbe del tutto ipotetica.
Infine, anche le censure promosse nei
confronti dell’art. 18, comma 2, ultima parte, sarebbero infondate perché
basate su erronei presupposti interpretativi. La norma censurata, lungi
dall’attribuire alla Giunta regionale una «illimitata discrezionalità», avrebbe
dato specifica attuazione proprio al paragrafo 9 dell’Allegato alle Linee guida
nazionali adottate con il d.m. 10 settembre 2010,
limitandosi ad attribuire alla predetta Giunta lo stesso potere che la
normativa statale affida alle Regioni, nel rispetto dei criteri fissati dalla
norma statale quali altrettanti parametri di legittimità del potere attribuito
alla Giunta.
3.– All’udienza pubblica le parti hanno
insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri dubita della legittimità costituzionale di numerose disposizioni della
legge della Regione Puglia 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili).
2.– In particolare, viene, in primo
luogo, impugnato l’art. 5, comma 15, di detta legge regionale, nella parte in
cui, stabilendo che l’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili «può prevedere misure
compensative in favore dei Comuni interessati, nel rispetto di quanto previsto»
dalle Linee guida statali di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010 del
Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le
attività culturali (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili), e che «dette misure vengono stabilite con i
provvedimenti conclusivi delle procedure di VIA o di verifica di
assoggettabilità a VIA, se previste», violerebbe l’art. 117, terzo comma, della
Costituzione. Tale norma, rinviando la definizione delle misure compensative ai
«provvedimenti conclusivi delle procedure di VIA o di verifica di assoggettabilità
a VIA, se previste», finirebbe con l’escludere la partecipazione dei Comuni
alle procedure di VIA o di verifica di assoggettabilità, pregiudicando, di
fatto, le prerogative proprie delle amministrazioni locali, e si porrebbe in
contrasto con il paragrafo 14.15. dell’Allegato al d.m.
10 settembre 2010, in base al quale «le amministrazioni competenti determinano
in sede di riunione di Conferenza di servizi eventuali misure di compensazione
a favore dei Comuni, di carattere ambientale e territoriale e non meramente
patrimoniali o economiche, in conformità ai criteri di cui all’Allegato 2 delle
presenti Linee guida».
2.1.– In via preliminare, va disattesa
l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Puglia, in ragione della
pretesa genericità della formulazione della questione che renderebbe oscuro ed
indeterminato il petitum.
Dal tenore del ricorso risulta chiaro
che il ricorrente, deducendo il contrasto fra la norma regionale secondo la
quale le misure di compensazione a favore dei Comuni interessati «vengono
stabilite con i provvedimenti conclusivi delle procedure VIA o di verifica di
assoggettabilità a VIA, se previste», e la norma delle Linee guida statali
(paragrafo 14.15.), che stabilisce che «le amministrazioni competenti
determinano in sede di riunione di Conferenza di servizi eventuali misure di
compensazione a favore dei Comuni», ha inteso denunciare la violazione dei
principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». In particolare,
la censura investe il paragrafo 14.15. dell’Allegato alle Linee guida adottate
in attuazione dell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricità), che imporrebbero la partecipazione dei Comuni alla
determinazione delle misure compensative, nell’ambito del procedimento di
rilascio dell’autorizzazione unica alla realizzazione degli impianti di energia
prodotta da fonti rinnovabili.
2.2.– Nel merito, la questione non è
fondata.
2.2.1.– Occorre premettere che, secondo
l’indirizzo di questa Corte, la disciplina degli impianti di energia da fonti
rinnovabili deve essere ricondotta alla materia di competenza legislativa
concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenza n. 275 del
2012), i cui principi fondamentali, vincolanti le Regioni, sono contenuti
nelle norme del d.lgs. n. 387 del 2003 ed in specie nell’art. 12 (sentenze n. 224 del 2012,
n. 192 del 2011,
n. 124 del 2010
e n. 282 del
2009), nonché nelle norme del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28
(Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia
da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE) ed in specie negli artt. 5, 6 e 7 (sentenze n. 275 del 2012
e n. 99 del 2012).
Quanto alle Linee guida di cui al d.m. 10 settembre
2010, adottate in attuazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, si è già
precisato che la vincolatività delle stesse nei
confronti delle Regioni deriva dal fatto che esse, che costituiscono
«necessaria integrazione delle previsioni contenute nell’art. 12 del d.lgs. n.
387 del 2003» (sentenza
n. 275 del 2012), sono state adottate, in ragione degli ambiti materiali
che vengono in rilievo, in sede di Conferenza unificata e quindi nel rispetto
del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni (sentenza n. 308 del
2011). Pertanto, la «ponderazione concertata» imposta dal comma 10
dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 ai fini del bilanciamento fra esigenze
connesse alla produzione di energia ed interessi ambientali (sentenza n. 192 del
2011) assegna alle predette Linee guida lo stesso carattere di «principi
fondamentali» delle norme dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, alle quali
quindi le Regioni devono attenersi.
2.2.2.– Nella specie, l’Allegato 2
(punto 2) alle predette Linee guida riconosce la possibilità che
l’autorizzazione unica alla realizzazione degli impianti di energia prodotta da
fonti rinnovabili preveda «l’individuazione di misure compensative, a carattere
non meramente patrimoniale, a favore degli stessi Comuni e da orientare su
interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti
riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di
diffusione di installazioni di impianti a fonti rinnovabili e di
sensibilizzazione della cittadinanza sui predetti temi». Tali misure devono
essere adottate nel rispetto di una serie di criteri fra i quali quello, di cui
alla lettera f), secondo cui «le misure compensative sono definite in sede di
conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di quanto
stabilito da eventuali provvedimenti regionali e non possono essere fissate
unilateralmente da un singolo Comune»; nonché quello di cui alla lettera g), in
base al quale «nella definizione delle misure compensative si tiene conto
dell’applicazione delle misure di mitigazione in concreto già previste, anche
in sede di valutazione di impatto ambientale (qualora sia effettuata) […]». A
tale indicazione si collega quanto previsto dal paragrafo 14 dell’Allegato alle
medesime Linee guida, il quale, disciplinando il procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione unica, che «si svolge tramite conferenza di servizi»
(14.1.), stabilisce che «gli esiti delle procedure di verifica di
assoggettabilità o di valutazione di impatto ambientale, comprensive, ove
previsto, della valutazione di incidenza, nonché di tutti gli atti autorizzatori comunque denominati in materia ambientale di
cui all’art. 26 del decreto legislativo n. 152 del 2006 […] sono contenuti in
provvedimenti espressi e motivati che confluiscono nella conferenza dei
servizi» (14.13.), nell’ambito della quale le amministrazioni competenti
determinano eventuali misure di compensazione a favore dei Comuni (14.15.).
Considerato che la ratio
della determinazione in sede di conferenza di servizi delle misure di
compensazione, prescritta dalle Linee guida, è quella di evitare che esse siano
unilateralmente fissate da un singolo Comune (così l’Allegato 2, punto 2,
lettera f) e di favorire la considerazione congiunta delle eventuali «misure di
mitigazione in concreto già previste, anche in sede di valutazione di impatto
ambientale» (Allegato 2, punto 2, lettera g), in ragione della loro natura non
meramente patrimoniale, ma di riequilibrio ambientale, non sussiste il
denunciato contrasto fra il citato art. 5, comma 5, e la normativa statale
interposta.
La norma regionale, imponendo
espressamente il rispetto di quanto previsto nell’Allegato 2 delle Linee guida
statali, si limita infatti a prevedere, in linea con la normativa statale ed in
attuazione di essa, che, nell’ambito del procedimento unico per il rilascio
dell’autorizzazione alla realizzazione degli impianti di energia prodotta da
fonti rinnovabili, allorquando sia richiesta anche la valutazione di impatto
ambientale o la verifica di assoggettabilità a VIA, le misure compensative
vengano determinate, in sede di riunione della conferenza di servizi, tramite
la quale si svolge il procedimento unico (14.1. delle Linee guida) e nella
quale confluiscono i provvedimenti di VIA (14.13. delle Linee guida),
congiuntamente con i predetti provvedimenti, tenendo conto delle misure di
mitigazione eventualmente adottate in quella sede (Allegato 2, punto 2, lettera
g), delle Linee guida).
3.– Il comma 18 dell’art. 5 della legge
regionale n. 25 del 2012 è impugnato nella parte in cui stabilisce che «la
convocazione della conferenza dei servizi di cui all’articolo 12 del d.lgs. n.
387 del 2003 è subordinata alla produzione da parte del proponente di un piano
economico e finanziario asseverato da un istituto bancario o da un
intermediario iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 106 (Albo degli
intermediari finanziari) del testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, emanato con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, che ne
attesti la congruità».
Tale norma è censurata, in primo luogo,
per contrasto con i principi fondamentali in materia di energia, che sarebbero
contenuti sia nell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo cui la
conferenza dei servizi deve essere convocata dalla Regione entro il termine di
trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, senza che tale convocazione sia
subordinata ad alcuna circostanza, sia nella lettera i) (recte:
j) del paragrafo 13.1. dell’Allegato alle Linee guida nazionali. Tale
disposizione prevede che l’istante presenti, all’atto dell’avvio dei lavori,
«una cauzione a garanzia della esecuzione degli interventi di dismissione e
delle opere di messa in pristino da versare a favore dell’amministrazione
procedente mediante fideiussione bancaria o assicurativa secondo l’importo
stabilito in via generale dalle Regioni o dalle Province delegate in
proporzione al valore delle opere di rimessa in pristino o delle misure di
reinserimento o recupero ambientale» e non un generico piano economico e
finanziario dai contenuti imprecisati e senza alcun richiamo alla finalità
propria dello strumento fideiussorio in questione.
La medesima norma è, altresì, censurata
nella parte in cui, subordinando la convocazione della conferenza dei servizi
alla produzione da parte del proponente di un piano economico e finanziario,
pregiudicherebbe il libero accesso al mercato dell’energia, creando una
situazione di artificiosa alterazione della concorrenza fra le diverse aree del
Paese e violando la competenza legislativa esclusiva statale in materia di
tutela della concorrenza.
3.1.– Entrambe le questioni non sono
fondate.
3.1.1.– La norma regionale impugnata
(art. 5, comma 18), che subordina la convocazione della conferenza dei servizi
di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 (relativa al procedimento unico
volto al rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione degli impianti
di energia da fonti rinnovabili) alla presentazione del predetto piano
economico e finanziario, deve essere letta alla luce del comma 9 del medesimo
art. 5. Quest’ultimo espressamente stabilisce che l’istanza di autorizzazione
unica deve essere corredata da quanto indicato al paragrafo 13.1. dell’Allegato
alle Linee guida statali e quindi anche da quanto prescritto alla lettera j)
dello stesso, che impone di presentare all’atto dell’avvio dei lavori «una
cauzione a garanzia della esecuzione degli interventi di dismissione e delle
opere di messa in pristino, da versare a favore dell’amministrazione procedente
mediante fideiussione bancaria o assicurativa». L’obbligo di presentare il
citato piano economico e finanziario, imposto dall’art. 5, comma 18, della
legge regionale n. 25 del 2012, quindi, si aggiunge e non si sostituisce a
quanto prescritto dalla lettera j) del paragrafo 13.1.dell’Allegato alle Linee
guida.
Non sussiste, pertanto, il denunciato
contrasto con i principi fondamentali fissati in materia di fonti di energia
rinnovabile dalla lettera j) del paragrafo 13.1. dell’Allegato alle Linee
guida, di cui la predetta norma regionale impone il rispetto.
Neppure sussiste il preteso contrasto
con i principi fondamentali di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del
2003. Quest’ultimo si limita a stabilire che «la conferenza dei servizi è
convocata dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di
autorizzazione». Tale domanda, tuttavia, ai sensi del paragrafo 13.1.
dell’Allegato alle Linee guida, deve essere corredata dalla documentazione ivi
elencata, che «è considerata contenuto minimo dell’istanza ai fini della sua
procedibilità» (paragrafo 14.2. delle Linee guida), nonché dalla
«documentazione imposta dalle normative di settore e indicata dalla regione o
dalle province delegate […]» (paragrafo 13.2.) – che è «aggiuntiva rispetto a
quella indicata al paragrafo 13.1. dell’Allegato alle Linee guida» (così
paragrafo 6.1. delle medesime Linee guida).
Sulla base di tali indicazioni, risulta
pertanto che le Regioni possono prevedere che l’istanza – da cui si fanno
decorrere i trenta giorni per la convocazione della conferenza dei servizi –
sia corredata da documenti ulteriori rispetto a quelli di cui al paragrafo 13
delle richiamate Linee guida. Nella specie, la norma regionale impugnata, nella
parte in cui impone che la domanda di autorizzazione debba essere corredata da
un «piano economico e finanziario asseverato da un istituto bancario o da un
intermediario iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 106 (Albo degli
intermediari finanziari) del testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, emanato con d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia), che ne attesti la congruità», non
costituisce altro che l’esercizio, da parte della Regione Puglia, della predetta
facoltà.
3.1.2.– Egualmente non fondata, sulla
base di analoghi argomenti, è la dedotta violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost.
La stessa normativa statale (paragrafo
6. e paragrafo 13. dell’Allegato alle Linee guida) attribuisce alle Regioni il
potere di prevedere che l’istanza di autorizzazione venga corredata da
ulteriore documentazione e che tale onere aggiuntivo è imposto dalla legge
regionale nei confronti di tutti i soggetti che propongano l’istanza, senza
discriminazioni a livello regionale, e, quindi, la previsione regionale non
determina alcuna artificiosa alterazione della concorrenza, costituendo
legittimo esercizio da parte della Regione della propria competenza legislativa
concorrente.
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna, poi, l’art. 6, comma 1, lettera f), della citata legge regionale,
nella parte in cui stabilisce che la procedura abilitativa semplificata «a
decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge […] trova
applicazione anche per gli […] impianti idroelettrici di taglia non superiore a
1 MWe».
Tale norma violerebbe i principi
fondamentali in materia di energia, in quanto, nel prevedere genericamente la
sottoposizione a procedure semplificate di tutti gli impianti fino a 1 MW, e
quindi anche degli impianti con potenza installata superiore a 100 kW, si
porrebbe in contrasto con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme
in materia ambientale), che, All’allegato IV, punto 2 "Industria energetica ed
estrattiva”, alla lettera m), prevede che gli impianti per la produzione di
energia idroelettrica con potenza installata superiore a 100 kW rientrano nel
novero delle opere soggette alla procedura di assoggettabilità a VIA di
competenza regionale.
Essa lederebbe, inoltre, la competenza
statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, in quanto, sottoponendo a
procedure semplificate tutti gli impianti fino a 1 MW e quindi anche quelli con
potenza installata superiore a 100 kW, si porrebbe in contrasto con l’art. 6,
comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2011, il quale impone, a tutela dell’ambiente e
del paesaggio, il più gravoso procedimento dell’autorizzazione unica.
4.1.– La questione proposta in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., non è fondata.
I principi fondamentali in materia di
energia che si assumono violati dalla norma regionale, che estende la procedura
abilitativa semplificata per la realizzazione degli impianti di energia agli
impianti idroelettrici di taglia non superiore a 1 MW, vengono individuati dal
ricorrente nell’Allegato IV, punto 2, lettera m), alla Parte seconda del d.lgs n. 152 del 2006 (cosiddetto Codice dell’ambiente).
Quest’ultimo, tuttavia, lungi dallo stabilire principi in materia di energia ed
in specie in tema di procedure autorizzatorie per la
realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, individua gli
impianti sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza delle
Regioni e delle Province autonome, includendovi quelli «per la produzione di
energia idroelettrica con potenza nominale di concessione superiore a 100 kW».
Il vincolo in esso contemplato riguarda, pertanto, la mera assoggettabilità a
VIA degli impianti di produzione di energia idroelettrica. Esso costituisce,
quindi, parametro inconferente nella specie, considerato
che la sottoposizione alla procedura abilitativa semplificata, stabilita dalla
norma regionale impugnata, non esclude l’applicazione della procedura di
assoggettabilità a VIA imposta dalle citate norme del d.lgs. n. 152 del 2006,
in specie dai commi 2, ultimo periodo, e 5 del richiamato art. 6.
4.2.– Anche la questione promossa in
relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non è fondata.
L’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, che
disciplina la «procedura abilitativa semplificata» per l’attività di
costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, al
comma 9 dispone che «le Regioni e le Province autonome possono estendere la
soglia di applicazione della procedura di cui al comma 1 [procedura abilitativa
semplificata] agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico,
definendo altresì i casi in cui, essendo previste autorizzazioni ambientali o
paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la
realizzazione e l’esercizio dell’impianto e delle opere connesse sono
assoggettate all’autorizzazione unica di cui all’articolo 5». Tale norma
statale attribuisce quindi alle Regioni sia la facoltà di estendere la soglia
di applicazione della procedura abilitativa semplificata agli impianti di
potenza nominale fino ad 1 MW elettrico, che quella di «stabilire i casi in
cui, essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di
amministrazioni diverse dai Comuni, gli stessi impianti debbono invece
ritenersi assoggettati all’autorizzazione unica, di cui all’art. 5» (sentenza n. 275 del
2012).
La norma regionale impugnata, nella
parte in cui estende la procedura abilitativa semplificata agli impianti
idroelettrici di taglia non superiore a 1 MWe, per i
quali è prescritta la verifica di assoggettabilità a VIA, costituisce pertanto
applicazione di quanto stabilito dal citato comma 9 dell’art. 6 del d.lgs. n.
28 del 2011, posto che quest’ultimo non solo non obbliga le Regioni, ma anzi attribuisce
loro il potere di decidere in quali casi, pur trattandosi dei predetti
impianti, essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di
amministrazioni diverse dai Comuni, la realizzazione e l’esercizio degli stessi
e delle opere connesse devono rimanere assoggettate all’autorizzazione unica.
5.– L’art. 6 della legge regionale in
esame è, inoltre, censurato, in relazione ai commi 3 e 6, nella parte in cui
dispongono che «sono altresì soggetti a procedure semplificate gli interventi
per i quali leggi nazionali prevedono quale titolo autorizzativo
la comunicazione o ogni altra procedura abilitativa semplificata, comunque
denominata» e che «il Comune, a richiesta del soggetto che ha dato avvio alla
PAS o alla comunicazione o a qualsiasi altra procedura semplificata, rilascia
una dichiarazione attestante che il titolo abilitativo assentito costituisce
titolo idoneo alla realizzazione dell’impianto».
Tali norme si porrebbero in contrasto
con i principi fondamentali dettati dal legislatore statale in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui al
d.lgs. n. 28 del 2011, il quale individua in maniera tassativa i titoli
abilitativi in materia di impianti alimentati da fonti rinnovabili, impedendo
al legislatore regionale di dare rilievo ed attribuire effetti giuridici a
procedure abilitative ulteriori e diverse da quelle indicate dalla legge
statale.
5.1.– La Regione, in linea preliminare,
ha eccepito l’inammissibilità della questione, a causa della generica individuazione
della normativa legislativa statale utilizzata quale parametro interposto.
5.1.1.– L’eccezione è fondata.
Il ricorrente si è limitato, infatti, a
denunciare la violazione dell’intero d.lgs. n. 28 del 2011, affermando
genericamente che, in esso, i titoli abilitativi in materia di impianti
alimentati da fonti di energia rinnovabile sono individuati in termini
tassativi, mediante un numerus clausus,
senza tuttavia alcuna individuazione né delle specifiche disposizioni del
predetto decreto che risulterebbero violate, né dei titoli abilitativi previsti
dal legislatore statale rispetto ai quali le norme regionali impugnate si
configurerebbero in termini derogatori.
La questione, pertanto, è inammissibile.
6.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna, poi, l’art. 7, comma 5, della legge regionale n. 25 del 2012,
nella parte in cui dispone che «le variazioni di tracciato degli elettrodotti e
di posizionamento delle cabine di trasformazione, pur se costituenti modifiche
sostanziali, possono essere autorizzate con le procedure della legge regionale
9 ottobre 2008, n. 25» (e cioè con le procedure semplificate previste per la
realizzazione di linee e impianti elettrici con le relative opere accessorie)
«a condizione che il punto di connessione alla rete rimanga invariato e che non
sia modificata la tipologia di elettrodotto (aereo o sotterraneo)».
Tale norma violerebbe i principi
fondamentali in materia di «energia» fissati dal legislatore statale, in
quanto, escludendo dal regime dell’autorizzazione unica le variazioni di
tracciato degli elettrodotti e di posizionamento delle cabine di
trasformazione, «pur se costituenti modifiche sostanziali», si porrebbe in
contrasto con l’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, che impone
l’autorizzazione unica per le «opere connesse e le infrastrutture
indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti» alimentati da
fonti rinnovabili.
6.1.– La questione è fondata.
L’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387
del 2003 stabilisce che «la costruzione e l’esercizio degli impianti di
produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi
di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come
definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture
indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono
soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province
delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di
tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento
urbanistico». Tale disposizione, che reca un "principio fondamentale” della
materia vincolante le Regioni (sentenza n. 366 del 2011), chiaramente impone
che, ogniqualvolta si intenda realizzare una modifica sostanziale all’impianto
per la cui realizzazione è stata rilasciata l’autorizzazione unica, sia
necessaria una nuova autorizzazione unica.
Pertanto, la norma regionale impugnata,
nella parte in cui assoggetta le "variazioni di tracciato” degli elettrodotti e
le "variazioni di posizionamento” delle cabine di trasformazione, «pur se
costituenti modifiche sostanziali», ad una procedura abilitativa semplificata,
in deroga all’autorizzazione unica, vìola l’art. 12,
comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003 e, conseguentemente, l’art. 117, terzo
comma, Cost.
L’assenza di una puntuale definizione
degli interventi di modifica soggetti al regime dell’autorizzazione unica da
parte del legislatore regionale rende ancora più evidente il contrasto tra la
normativa regionale ed il predetto art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del
2003, posto il chiaro intento del citato art. 12 di assoggettare al più
rigoroso regime dell’autorizzazione unica tutti gli interventi atti a
determinare una modifica sostanziale dello stato degli impianti in esame.
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5, della legge regionale n.
25 del 2012, nella parte in cui dispone che «le variazioni di tracciato degli
elettrodotti e di posizionamento delle cabine di trasformazione, pur se
costituenti modifiche sostanziali, possono essere autorizzate con le procedure
della legge regionale 9 ottobre 2008, n. 25».
7.– L’art. 7 della citata legge
regionale n. 25 del 2012 è impugnato, con riguardo al comma 6, nella parte in
cui stabilisce che «le modifiche non sostanziali sono soggette alla procedura
semplificata o alla comunicazione di cui all’articolo 6» e che sono, altresì,
soggette alla procedura abilitativa semplificata dell’art. 6 «le varianti
progettuali relative agli impianti inferiori a 1 MW elettrico assentiti con
procedure semplificate» perfezionatesi, ai sensi dell’art. 27 della legge
regionale 19 febbraio 2008, n. 1 (Disposizioni integrative e modifiche della
legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 – Disposizioni per la formazione del
bilancio di previsione 2008, e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione
Puglia – e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio
finanziario 2008) e dell’art. 3 della legge regionale 21 ottobre 2008, n. 31
(Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la
riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), anteriormente alla
pubblicazione della sentenza della
Corte costituzionale n. 119 del 2010.
Tale norma, non precisando che le
varianti, per gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici,
idroelettrici ed eolici, che ricadono nell’ambito della procedura abilitativa
semplificata, non devono comportare «variazioni delle dimensioni fisiche degli
apparecchi, della volumetria, delle strutture e dell’area destinata a ospitare
gli impianti stessi, né delle opere connesse», nonché non precisando, con
specifico riguardo agli impianti a biomassa, bioliquidi
e biogas, che dette varianti non possono avere ad oggetto il combustibile o la
potenza termica installata, violerebbe i principi fondamentali stabiliti dal
legislatore statale in materia di fonti rinnovabili nell’art. 5, comma 3, del
d.lgs. n. 28 del 2011.
7.1.– La questione non è fondata.
L’art. 7 della legge regionale n. 25 del
2012, al comma 3, stabilisce che «ai soli fini dell’individuazione della
disciplina procedimentale applicabile, sino all’individuazione, per ciascuna
tipologia di impianto, da parte del Ministero dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare – d’intesa con la Conferenza unificata – degli interventi di modifica
sostanziale degli impianti da assoggettare ad AU, sono considerati non
sostanziali gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici,
idroelettrici ed eolici esistenti e di quelli dotati del prescritto titolo autorizzativo, di qualsiasi potenza nominale, che non
comportino variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della
volumetria delle strutture e dell’area destinata a ospitare gli impianti
stessi, né delle opere connesse. […] Per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas non sono considerati sostanziali i
rifacimenti parziali e quelli totali che non modificano la potenza termica
installata e il combustibile rinnovabile utilizzato».
Esso, in altri termini, al citato comma
3, recepisce tutte le precisazioni di cui al predetto art. 5, comma 3, del
d.lgs. n. 28 del 2011, cosicché le varianti, per gli interventi da realizzare
sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici, che ricadono nell’ambito
della procedura abilitativa semplificata, indicate nell’impugnato comma 6 del
medesimo art. 7, sono precisamente quelle consentite dal legislatore statale.
8.– Il comma 1 dell’art. 13 della legge
regionale in esame è impugnato nella parte in cui dispone che «la Regione
promuove la costituzione di un organismo, anche sotto forma di consorzio, per
il recupero, riciclaggio e/o smaltimento degli impianti in dismissione nel
rispetto della normativa UE e nazionale in materia, stipulando anche eventuali
accordi con altre Regioni, lo Stato e/o altri Stati membri».
Tale norma violerebbe i principi di
coordinamento della finanza pubblica, in quanto, prevedendo la costituzione di
un organismo di tale specie, anche se in forma di consorzio (e specie nella
misura in cui possa ricevere, come potenzialmente non escluso dalla norma,
contributi regionali), si porrebbe in contrasto con l’art. 9, comma 6, del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, dalla dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,
che, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, stabilisce il divieto
per gli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati
e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali
e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 Cost.
8.1.– In via preliminare, va disattesa
l’eccezione di inammissibilità di detta censura sollevata dalla Regione Puglia
sull’assunto che sarebbe ipotetica ed eventuale, essendo la norma impugnata di
per sé inidonea ad invadere ambiti costituzionalmente riservati allo Stato, in
quanto meramente programmatica.
La disposizione impugnata, infatti, nel
prevedere che «la Regione promuove la costituzione di un organismo, anche sotto
forma di consorzio, per il recupero, riciclaggio e/o smaltimento degli impianti
in dismissione», detta una disciplina inerente alla istituzione del predetto
organismo nel richiamato ambito, disciplina di per sé idonea a determinare una
lesione del riparto di competenza.
8.2.– Nel merito, la questione non è
fondata.
L’art. 9, comma 6, del d.l. n. 95 del
2012, che si assume violato nella parte in cui pone il divieto agli enti locali
«di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi
natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative
loro conferite ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione» è norma
espressamente ed esclusivamente riferita agli enti locali, finalizzata alla
«riduzione dei costi relativi agli enti strumentali degli enti locali nella
misura almeno del 20 per cento, anche mediante la soppressione o l’accorpamento
dei medesimi» (sentenza
n. 236 del 2013). Essa, quindi, non si rivolge alle Regioni. Sono,
pertanto, prive di fondamento le censure di violazione dei principi di
coordinamento della finanza pubblica, contenuti nel predetto art. 9, comma 6,
del d.l. n. 95 del 2012, promosse nei confronti della norma regionale
impugnata, atteso che detti principi hanno un ambito di applicazione che non
riguarda le Regioni.
9.– È, inoltre, impugnato l’art. 16,
comma 2, della legge regionale in esame, nella parte in cui istituisce
l’archivio delle imprese che, in ambito regionale, esercitano impianti di
produzione di energia elettrica alimentati da fonti di energia rinnovabili.
Tale norma è censurata per violazione
dell’art. 81, quarto comma, Cost. in quanto, pur comportando oneri, la cui
presenza non sarebbe esclusa dalla clausola di invarianza finanziaria, non
indicherebbe i mezzi per fare fronte alla spesa correlata.
9.1.– In via preliminare, deve essere
dichiarata priva di fondamento l’eccezione di inammissibilità della censura
sollevata dalla Regione, sul presupposto che essa sarebbe formulata
genericamente, non essendo fornita alcuna dimostrazione in ordine al fatto che
la norma regionale impugnata comporti effettivamente «nuove o maggiori spese»
rispetto alle leggi regionali di bilancio in vigore.
Nella specie, non può escludersi che la
norma regionale in esame, nella parte in cui istituisce presso la Regione
Puglia un archivio delle imprese e delinea i compiti di quest’ultimo, comporti
nuove spese, ancorché il suo carattere generico non ne consenta una precisa
determinazione. Considerato che il rispetto dell’art. 81 Cost. impone che,
ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in
via ipotetica, determinare nuove spese, occorra sempre indicare i mezzi per
farvi fronte, non costituisce ostacolo all’ammissibilità della questione
l’assenza di una specifica dimostrazione circa il fatto che effettivamente la
norma regionale impugnata comporti nuove o maggiori spese rispetto alle leggi
regionali di bilancio in vigore.
9.2.– Nel merito, la questione è
fondata.
La giurisprudenza costituzionale ha più
volte precisato che il legislatore regionale non può sottrarsi a quella
fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost.
si ispira (sentenze n. 131 del 2012,
n. 272 e n. 106 del 2011,
n. 141 e n. 100 del 2010, n. 386 del 2008
e n. 359 del
2007) ed ha anche chiarito che la copertura di nuove spese «deve essere
credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in
equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri»
(sentenze n.131
del 2012, n.
100 del 2010 e n. 213 del 2008).
Nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale di numerose norme di leggi regionali che, pur comportando spese,
nulla disponevano circa la relativa copertura finanziaria, questa Corte ha
precisato che «esiste […] uno stretto collegamento tra la legge, la nuova e
maggior spesa che essa comporta e la relativa copertura finanziaria, che non
può essere ricercata in altre disposizioni, ma deve essere indicata nella legge
medesima, al fine di evitare che gli effetti di essa (eventualmente in deroga
alle altre disposizioni) possano realizzare stanziamenti privi della corrispondente
copertura» (sentenza
n. 106 del 2011).
La norma regionale impugnata, istitutiva
dell’archivio delle imprese che, in ambito regionale, esercitano impianti di
produzione di energia elettrica alimentati da fonti di energia rinnovabili, pur
comportando, almeno in via potenziale, spese, non fornisce alcuna indicazione
circa la copertura finanziaria delle stesse, venendo così meno a quell’obbligo
di indicazione, nella stessa legge, dei mezzi per far fronte alle spese
implicate dall’attuazione della norma. Essa, pertanto, deve essere dichiarata
costituzionalmente illegittima.
10.– È, infine, impugnato l’art. 18,
comma 2, ultima parte, della legge regionale in esame, ove prevede che «la determinazione
del sistema degli oneri e delle garanzie con riguardo alle tipologie degli
impianti oggetto di autorizzazione unica» avviene con provvedimento della
Giunta regionale, senza fornire alcuna ulteriore indicazione volta a fissare i
criteri cui deve ispirarsi detto organo nello svolgimento di tale compito.
Tale norma è censurata per violazione
dell’art. 23 Cost. secondo il quale «nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», volto a garantire i
privati da un’illimitata discrezionalità degli organi amministrativi; nonché
per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, demandando ad un
provvedimento della Giunta regionale non ulteriormente definito nei suoi
contenuti la determinazione degli oneri per gli impianti suddetti, riserverebbe
a tale organo il potere di adottare determinazioni di contenuto diversificato e
non coincidente con i criteri dettati dalle Linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010.
10.1.– La questione proposta in
riferimento all’art. 23 Cost. è fondata.
L’art. 18 della legge regionale n. 25
del 2012, intitolato «Norma finanziaria», provvede, al suo primo comma, ad
individuare la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’istituzione del
Fondo per lo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili; al comma 2,
stabilisce, poi, che «per lo svolgimento dei compiti di cui all’articolo 15,
comma 1, [vigilanza] è riconosciuta ai Comuni parte dei proventi di cui al
punto 4.3 della Delib. G.R.
30 dicembre 2010, n. 3029 o da successive deliberazioni di Giunta» e prosegue
prescrivendo, con la norma impugnata, che «La determinazione del sistema degli
oneri e delle garanzie, con riguardo alle tipologie di impianti oggetto di AU,
avviene con provvedimento di Giunta regionale».
Detta norma, nella parte in cui demanda
ad un provvedimento della Giunta regionale l’individuazione degli oneri e delle
garanzie, quindi delle prestazioni imposte in ordine al rilascio
dell’autorizzazione unica per le varie tipologie di impianti di energia da fonti
rinnovabili, senza fornire indicazioni circa i criteri di determinazione dei
predetti oneri e senza alcun rinvio alle norme di legge che individuano i
suddetti criteri (come, ad esempio, il paragrafo 9 delle Linee guida), idonei a
restringere la discrezionalità dell’organo legislativo, vìola
la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost., che impone al legislatore
l’obbligo di determinare preventivamente sufficienti criteri direttivi di base
e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (sentenze n. 33 del 2012
e n. 350 del
2007).
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 2, ultima parte, della legge
regionale n. 25 del 2012, là dove prevede che «la determinazione del sistema
degli oneri e delle garanzie con riguardo alle tipologie degli impianti oggetto
di autorizzazione unica» avviene con provvedimento della Giunta regionale,
senza fornire alcuna ulteriore indicazione volta a fissare i criteri cui deve
ispirarsi detto organo nello svolgimento di tale compito.
10.2.– Resta assorbita la questione
proposta in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5, della legge della Regione
Puglia 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, della legge della Regione
Puglia 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili);
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 2, ultimo periodo, della legge
della Regione Puglia 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili);
4) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 3 e
6, della legge della Regione Puglia 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione
dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili), sollevata, in riferimento all’art.
117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 15,
della legge regionale n. 25 del 2012, sollevata, in riferimento all’art. 117,
terzo comma, Cost. dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe;
6) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 18,
della legge regionale n. 25 del 2012, sollevata, in riferimento all’art.117,
secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1,
lettera f), della legge regionale n. 25 del 2012, sollevata, in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost. dal Presidente
del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 6,
della legge regionale n. 25 del 2012, sollevata, in riferimento all’art. 117,
terzo comma, Cost. dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe;
9) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1,
della legge regionale n. 25 del 2012, sollevata, in riferimento all’art. 117,
terzo comma, Cost. dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre
2013.