SENTENZA N. 350
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 1, lettera b), numero
2, e 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici
e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998,
n. 288), e 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288 (Delega al Governo per la revisione della disciplina
concernente l’imposta sugli spettacoli e l’imposta unica di cui alla legge 22
dicembre 1951, n. 1379), promosso con
ordinanza del 25 febbraio 2005 dalla Commissione tributaria provinciale di
Pistoia sul ricorso proposto dalla Giada Bet s.r.l.
c/ l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Pescia, iscritta al n. 30 del registro
ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
7, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti l’atto di costituzione della Giada Bet s.r.l., nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2007 il
Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
udito l’avvocato Nicolò Zanon per la Giada Bet s.r.l. e l’Avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1. – La Commissione tributaria
provinciale di Pistoia, a séguito di dichiarazione di manifesta inammissibilità
(ordinanza n. 50
del 2004 della Corte costituzionale) della questione da essa proposta con
ordinanza del 30 settembre 2002, ha di nuovo sollevato, con ordinanza del 25 febbraio 2005, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b),
numero 2, del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta
unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma
2, della legge 3 agosto 1998, n. 288) relativa alla determinazione dell’imposta
unica sulle scommesse, precisando la censura precedentemente svolta, ed
estendendola ad altre disposizioni, in riferimento agli articoli 23, 53 e «73»
(recte: 76) della Costituzione.
La citata ordinanza di manifesta
inammissibilità è stata motivata da questa Corte per la contraddittoria
formulazione della questione, con prospettazione di due diverse interpretazioni
relative alle «quote di prelievo» (su cui l’imposta è calcolata), sia pure in
modo subordinato l’una all’altra, ora classificando le stesse come prestazioni
patrimoniali imposte ricadenti nella sfera di applicabilità dell’art. 23 Cost.,
ora ipotizzando la non appartenenza delle stesse a tale categoria di
prestazioni.
La rimettente rammenta che la Giada Bet s.r.l. (concessionaria del servizio di scommesse nel Comune di Montecatini Terme) ha
presentato ricorso per l’annullamento del provvedimento (atto n. 26572/2,
notificato il 10 luglio 2002) emesso
dall’Agenzia delle entrate di Pescia, riguardante l’applicazione dell’imposta
unica sulle scommesse relative ai risultati di avvenimenti sportivi. Riferisce
inoltre che la ricorrente ha depositato memoria illustrativa con istanza di
rinnovo della rimessione alla Corte costituzionale, con specificazione della
questione ed ampliamento dei parametri costituzionali di riferimento. Alla
richiesta di parte, la Commissione tributaria provinciale di Pistoia ha dato
séguito, procedendo ad una riformulazione delle questioni.
La Commissione rimettente dubita della
legittimità costituzionale:
– dell’art. 4, comma 1, lettera b),
numero 2, del citato decreto legislativo n. 504 del 1998, nella parte in cui calcola
l’imposta unica sulle scommesse applicando un’aliquota nominale su una base,
corrispondente alla quota di prelievo spettante al CONI, non risultante da un
atto avente forza di legge, per violazione dell’art. 23 Cost., essendo
attribuita ad un organo amministrativo la determinazione dell’aliquota
effettiva;
– dell’art. 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288 (Delega al Governo per la revisione della disciplina concernente l’imposta sugli spettacoli e l’imposta unica di cui alla 1egge 22 dicembre 1951, n. 1379), nella parte in cui rimette il calcolo dell’imposta unica sulle scommesse ad un atto non avente forza di legge, per violazione degli artt. 23 e 76 Cost., per indeterminatezza della delega relativa alla fissazione dell’aliquota per il calcolo dell’imposta unica sulle scommesse;
– dell’intero d.lgs. n. 504 del 1998, in quanto individua un soggetto passivo in materia di imposta sulle scommesse diverso da quello individuato nella normativa precedente, così istituendo una nuova imposta e non semplicemente riordinando la precedente, come invece stabilito dalla legge di delega n. 288 del 1998, in violazione dell’art. 76 Cost., per eccesso di delega;
– dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 2, del d.lgs. n. 504 del 1998, nonché dell’art. 1, comma 2, della citata legge n. 288 del 1998, nella parte in cui determinano l’ammontare dell’imposta unica sulle scommesse in base a formule e parametri fissati allo scopo di provvedere il CONI delle necessarie risorse, per violazione dell’art. 53 Cost, in quanto svincola l’imposta dalla capacità contributiva dei soggetti passivi.
Con riferimento all’art. 23 della
Costituzione, l’ordinanza di rimessione – premesso che, secondo la
giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 7 e
n. 323 del 2001,
n. 157 del 1996,
n. 27 del 1979,
n. 129 del 1969),
il legislatore ha l’obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente
criteri direttivi di base o linee generali idonee a limitare la discrezionalità
amministrativa nella produzione di fonti secondarie – evidenzia che la norma
relativa alle quote di prelievo (art. 3, comma 231, della legge 28 dicembre
1995, n. 549), alle quali, in percentuale, è commisurata l’imposta unica sulle
scommesse, si limita ad individuare il soggetto competente alla decisione
(Ministro delle finanze, con decreto) e la destinazione al CONI, al netto
dell’imposta unica e delle spese, mentre le percentuali, ed anche i criteri per
stabilirle, sono contenuti nella fonte secondaria (decreto ministeriale 15
febbraio 1999).
La rimettente rammenta che la riserva di legge in materia tributaria, a
carattere relativo, consente di delegare le "incombenze” agli organi
amministrativi, che però devono essere integrative della norma primaria ed
esclusivamente fondate su apprezzamenti di ordine tecnico: le scelte di
politica tributaria competono alla legge, attraverso l’individuazione
preliminare degli obiettivi perseguiti dall’applicazione del tributo e la
determinazione anche quantitativa del sacrificio patrimoniale imposto a carico
di categorie di soggetti dotati di capacità contributiva esattamente
individuata e quantificabile.
Secondo la rimettente, il d.lgs. n. 504
del 1998 predetermina la prestazione patrimoniale in cui consiste l’imposta
unica sulle scommesse, determinando il presupposto (la scommessa), la base
imponibile (la somma giocata), i soggetti passivi (i gestori del servizio,
anche in concessione), le aliquote (il 20,20 per cento della quota di prelievo
stabilita per ciascuna scommessa), le sanzioni, ma non la determinazione amministrativa delle quote di
prelievo, cui l’imposta sulle scommesse è commisurata, con la conseguenza che
un parametro quantitativo essenziale per l’applicazione del tributo è stabilito
da un atto discrezionale della pubblica amministrazione.
L’aliquota effettiva – secondo il
giudice a quo – rimane indeterminata, giacché quella nominale del 20,20
per cento non è applicata sulla base imponibile, bensì con riferimento ad una
entità non definita da un atto avente forza di legge, cioè alla «quota di
prelievo stabilita per ciascuna scommessa», la cui quantificazione è stata
precisata con il decreto del Ministro delle
finanze 15 febbraio 1999, in cui sono stabilite le aliquote di prelievo con riferimento
a nove fasce di eventi. Nel determinare uno dei fattori del prodotto per la
determinazione dell’aliquota effettiva, il Ministro – ad avviso della
rimettente – avrebbe svolto una funzione discrezionale di supplenza della
legge, non limitandosi ad una mera funzione tecnica: nella motivazione del
citato decreto 15 febbraio 1999, infatti, nel fissare gli obiettivi della lotta
al gioco clandestino (senza però chiarire il procedimento logico per la scelta
delle aliquote idonee al raggiungimento di tale scopo), nel mettere a
disposizione gli introiti idonei all’espletamento dei compiti istituzionali e
nell’ottenere il raggiungimento di un congruo livello di gettito erariale, ha
compiuto scelte di politica tributaria che competono al legislatore. L’imposta
sulle scommesse costituisce una tipologia di tributo assolutamente innovativa,
nella disciplina della quale il Ministro non ha potuto trovare linee guida in
precedenti analoghi, tali non potendo considerarsi l’imposta sulle
assicurazioni né quella sugli spettacoli e gli intrattenimenti. Non risulta
alcuna imposta la cui aliquota sia determinata in materia autonoma da un
provvedimento amministrativo, che non trovi determinata dalla legge almeno una
forbice ristretta che condizioni la scelta della percentuale di tassazione.
In conclusione, con la determinazione
amministrativa delle quote di prelievo, cui l’imposta sulle scommesse è
commisurata, un parametro quantitativo essenziale per l’applicazione del
tributo è stato stabilito da un atto discrezionale della pubblica
amministrazione, con la conseguente non manifesta infondatezza della questione
di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero
2, del d.lgs. n. 504 del 1998.
Con riguardo alla violazione dell’art.
76 Cost., osserva la rimettente che con l’evoluzione della normativa – che in
precedenza riservava al CONI e all’UNIRE la gestione delle scommesse e dei
concorsi pronostici collegati a manifestazioni sportive (con previsione di
«imposta unica sui giochi di abilità e sui concorsi pronostici», istituita dalla legge 22 dicembre 1951, n. 1379)
– è ora prevista, in forza della legge n. 549 del 1995, la concedibilità,
ad imprese affidabili, della gestione delle scommesse, riservandosi al CONI
quote di prelievo dell’introito delle scommesse, al netto dell’imposta unica e
delle spese.
L’art. 1, comma 2, della legge n. 288
del 1998, avente ad oggetto la disciplina dell’imposta unica di cui alla legge
n. 1379 del 1951, ha delegato il Governo ad emanare norme per il riordino
dell’imposta unica sui giochi di abilità e sui concorsi pronostici, prevista da
detta legge. La delega è stata esercitata con il d.lgs. n. 504 del 1998, che a
sua volta è stato completato dal decreto 15 febbraio 1999 del Ministero delle
finanze, che, come sopra rilevato, chiarisce gli obiettivi da perseguire e
prevede «fasce di eventi» con le rispettive quote di prelievo, precisando che
per le scommesse a quota fissa è destinato al CONI il 38 per cento del prelievo
fisso tabellare, al netto dall’imposta.
In realtà il d.lgs. n. 504 del 1998,
emanato in esecuzione della delega di cui alla legge n. 288 del 1998,
istituisce – secondo la rimettente, che riporta le argomentazioni della Giada Bet s.r.l., ricorrente del giudizio a quo – una
nuova imposta, non limitandosi a riordinare la precedente «tassa di lotteria»,
e non rientrando tra i criteri direttivi la modificazione del soggetto passivo,
che si è verificata in forza delle nuove disposizioni normative. In precedenza,
infatti, il tributo colpiva in misura forfettaria gli introiti lordi conseguiti
dal CONI (la differenza tra le somme corrisposte dagli scommettitori e
l’importo del prelievo era ripartito tra i vincitori), mentre la nuova imposta
colpisce la differente capacità contributiva costituita dalle risorse
finanziarie impiegate dai consumatori per scommettere.
Il CONI, mentre in passato svolgeva attività imprenditoriale, ed era
soggetto passivo del tributo, ora ne è soggetto attivo, giacché sono gli
imprenditori privati, in virtù di concessione, che gestiscono le scommesse, e a
carico di costoro sono imposti i sacrifici economici e gli obblighi connessi
alla liquidazione ed al pagamento delle imposte.
Tale trasformazione è stata indotta da radicali modificazioni delle scelte politiche, sia per la sopravvenuta incompatibilità della normativa preesistente con i princípi comunitari in materia tributaria e di libera prestazione di servizi all’interno dell’Unione europea, sia per la lotta alle scommesse illegali, rispetto alle quali le scommesse sportive in concessione si pongono in concorrenza.
In conclusione, l’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 individua soggetti passivi diversi rispetto a quelli individuati dal quadro normativo in precedenza vigente, senza che la norma delegante (art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998) l’avesse previsto.
Sempre per il giudice a quo, né
la legge delega, né l’art. 4 del d.lgs. n. 504 del 1998, né alcuna altra norma
di legge forniscono indicazioni per definire il concetto di «prelievo riferito
alle scommesse», e non precisano i criteri per procedere alla sua
quantificazione. Alla indeterminatezza supplisce il più volte citato d.m. 15 febbraio 1999, che compie scelte di politica
tributaria e di tutela dell’ordine pubblico, estranee alla sua competenza. In
sostanza, il riempimento di un vuoto normativo mediante un atto amministrativo
rivela la violazione dell’art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998, per
eccessiva indeterminatezza nella fissazione dei principi e dei criteri
direttivi richiesti a una delega legislativa.
Con riguardo alla violazione dell’art.
53 Cost., il rimettente, richiamando ancora la difesa della Giada Bet s.r.l.,
eccepisce che il quadro normativo emergente dal d.m.
15 febbraio 1999 e dal d.lgs. n. 504 del 1998 si riferisce ad una capacità
contributiva individuata e quantificata in modo irrazionale, al solo fine di
ottenere la dotazione per l’espletamento dei compiti istituzionali del CONI, ma
trascurando gli obiettivi di politica fiscale e di ordine pubblico, nel
rispetto dei principi generali. Le finalità della normativa dovrebbero
perseguire, come nel caso di altre imposte di consumo (idrocarburi, sigarette,
prodotti alcolici, intrattenimenti), scopi extrafiscali, per il contenimento
del consumo di certi beni e servizi. Quanto meno occorre verificare se le
modalità con cui si perseguono certi obiettivi siano coerenti con i vincoli
derivanti dai trattati comunitari.
Aggiunge la Commissione tributaria
rimettente che la capacità contributiva relativa alle scommesse, ovvero
l’insieme delle somme giocate, è soggetta a due forme di imposte di consumo che
sostanzialmente si sovrappongono: l’imposta unica e le quote di prelievo per il
CONI, che hanno tutti gli elementi in comune, tranne il soggetto attivo, che
nell’un caso è il CONI, nell’altro è l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di
Stato. L’aliquota per il calcolo dell’imposta unica è il prodotto dei due
fattori sopra evidenziati, mentre l’importo a favore del CONI è pari alla
differenza tra quota di prelievo lordo, quantificato in base al suddetto d.m. 15 febbraio 1999, e l’imposta unica già applicata
sullo stesso presupposto, cioè con riferimento a ciascuna ricevuta della
scommessa, tenendo presente che per le scommesse a quota fissa è destinato al
CONI il 38 per cento del prelievo fissato nella tabella al netto dell’imposta.
Il soggetto passivo, per entrambi i
tributi, è il concessionario.
La controversia all’esame del giudice a
quo ha per oggetto solo un accertamento in materia di imposta unica,
riguardo alla quale soltanto può discutersi della costituzionalità del criterio
di calcolo: che risulta comunque conseguenza automatica e acritica
dell’applicazione di una formula e di parametri originariamente individuati con
lo scopo dell’approvvigionamento finanziario del CONI, ma senza tener conto
della capacità contributiva dei soggetti passivi del rapporto tributario.
Sotto il profilo della rilevanza, il
giudice a quo assume che l’esito del giudizio è condizionato al
risultato dello scrutinio di costituzionalità, dipendendo l’accoglimento o il
rigetto del ricorso dalla conformità alla Costituzione delle norme che
disciplinano l’imposta unica.
2. Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Giada Bet s.r.l., parte del giudizio principale, che, con riserva
di ogni più ampia deduzione da esporre in successiva memoria, conclude per
l’ammissibilità e fondatezza della questione sollevata.
3. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
La difesa erariale chiede dichiararsi l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.
Con riguardo all’inammissibilità la difesa erariale eccepisce:
– l’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, limitandosi il rimettente ad affermare che la controversia concerne «solamente un accertamento in materia di imposta unica» sulle scommesse, senza precisare l’oggetto dell’accertamento (sanzioni o tributo), le ragioni della contestazione e se venga in rilievo un’imposizione relativa a scommesse al totalizzatore o scommesse a quota fissa;
– l’omessa verifica della possibilità di dare delle norme una lettura costituzionalmente orientata;
– l’omessa specificazione della perdurante rilevanza della questione, in conseguenza delle modifiche introdotte alla norma denunciata, anteriormente al deposito dell’ordinanza, dall’art. 1, commi 284 e 285, della legge 13 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2005);
– la riferibilità delle censure parametrate all’art. 76 Cost. alle allegazioni della ricorrente nel giudizio principale, senza alcuna valutazione di provenienza del rimettente (sentenze n. 372 del 1999 e n. 456 del 1992);
– la contraddittorietà e l’incoerenza derivanti dal fatto che sono denunciati sia una singola disposizione del d.lgs. n. 504 del 1998 (art. 4, comma 1, lettera b, numero 2), sia l’intero decreto legislativo.
Con riferimento al merito della controversia, la difesa erariale, dopo ampia premessa relativa alla narrazione del precedente giudizio incidentale di legittimità costituzionale, deciso con l’ordinanza n. 50 del 2004, di manifesta inammissibilità, sostiene l’infondatezza della questione sollevata, osservando, con riguardo al principio della riserva di legge:
– che tale riserva non può dirsi operante, poiché si versa in ipotesi in cui la prestazione patrimoniale richiesta, ivi comprese le modalità per la sua determinazione, è stata previamente e liberamente accettata dal soggetto su cui essa ricade, essendo l’attività di raccolta delle scommesse sportive pienamente libera, e perciò rientrante nella sfera di autonomia contrattuale del soggetto concessionario;
– che il ricorso alla normazione secondaria, sulla base di una norma primaria, ai fini della disciplina quantitativa del tributo, è legittima, purché la legge stabilisca i princípi generali relativi all’imposizione e il decreto ministeriale si limiti a dettare disposizioni particolari concernenti l’entità del tributo;
– che la rimodulazione dell’attuale sistema di imposizione e distribuzione degli introiti dei giochi gestiti dal CONI è stata attuata nel rispetto dei criteri generali della legge n. 288 del 1998, in particolare tenendosi conto dell’esigenza di mantenimento del livello complessivo del gettito (art. 1, comma 1, lettera o);
– che il rispetto della riserva di legge risulta anche dalla necessaria considerazione della natura delle quote di prelievo, costituenti il corrispettivo di un rapporto contrattuale di tipo privatistico, che, lungi dal rappresentare prestazioni imposte, si risolvono in costi di esercizio di un’attività liberamente scelta;
– che la rimessione, per la determinazione delle quote di prelievo, al Ministro, è accompagnata dalla fissazione di criteri atti a delimitare il potere discrezionale dell’amministrazione (esigenza di mantenimento del gettito, aliquote differenziate in relazione al grado di difficoltà delle scommesse e alla propensione degli scommettitori, intento di scoraggiare le scommesse clandestine, esigenza di garantire al CONI il raggiungimento di obiettivi di rilevanza costituzionale). Per non dire, poi, che la finalità di raggiungimento degli obiettivi è da ritenere idonea al rispetto della riserva di legge, anche in assenza di un’espressa indicazione legislativa di criteri, limiti e controlli sufficienti a determinare l’ambito di discrezionalità dell’amministrazione.
Con riguardo alla contestazione di eccesso di delega, per non essersi il legislatore delegato limitato a riordinare la precedente imposta, stabilendone invece una nuova caratterizzata da nuovi soggetti passivi, l’Avvocatura osserva che l’originaria disciplina sull’imposta unica ha subíto una fondamentale modifica, nel momento in cui l’art. 3, comma 229, della legge n. 549 del 1995 ha previsto la concedibilità a privati dell’organizzazione e dell’esercizio delle scommesse, in modo da scalfire il monopolio statale delle scommesse: modifica di cui il decreto delegato non poteva non tener conto. Inoltre, soggetto passivo dell’imposta resta il CONI, cui si affiancano i concessionari, ove l’attività venga svolta in concessione.
Con riferimento all’asserita indeterminatezza della legge delega, la difesa erariale rileva che il decreto ministeriale non fissa l’aliquota – essendo il decreto legislativo delegato a fissarla nella misura del 20,20 per cento – ma disciplina unicamente la quota di prelievo: il decreto ministeriale non integra la legge delega, ma il decreto delegato, che a sua volta fa riferimento alle quote di prelievo lasciandone la determinazione a una fonte secondaria.
Con riguardo al preteso mancato rispetto del principio di capacità contributiva, ad avviso dell’Avvocatura generale non si può parlare di doppia imposizione, in quanto la quota di prelievo non può essere qualificata come prestazione patrimoniale imposta, discendendo da un rapporto contrattuale che ricade nell’àmbito dell’autonomia privata del concessionario. L’attività di raccolta delle scommesse è totalmente libera e non essenziale ai bisogni della vita. Oltre al fatto che, nella specie, la base imponibile dell’imposta non è il reddito del concessionario, considerato globalmente, ma l’ammontare delle somme giocate per ciascuna scommessa.
4. – Nell’imminenza
dell’udienza pubblica, la Giada Bet s.r.l. ha
depositato memoria, con la quale insiste per l’accoglimento della questione
proposta.
La parte deduce che nelle more sono
intervenute modifiche legislative, che hanno semplicemente cambiato le aliquote
da applicare al prelievo, ai fini del calcolo dell’imposta unica sulle
scommesse, con la conseguente non necessità di restituzione degli atti al
giudice rimettente, non essendo comunque tali norme applicabili alla
controversia.
Con riferimento al merito, la società deduce che l’aliquota effettiva
dell’imposta unica sulle scommesse è il risultato di una moltiplicazione di
fattori, di cui uno (cioè il coefficiente desunto dalla quota di prelievo in
concreto applicata) non è determinato da un atto avente forza di legge, ma da
un decreto del Ministro delle finanze, che è atto amministrativo discrezionale,
senza che la legge abbia fornito la benché minima indicazione dei criteri cui
attenersi.
Pur essendo la riserva di legge da intendere in senso relativo, non può tuttavia mancare – si rileva nella memoria – una base legislativa che indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente impositore nell’esercizio del potere impositivo. Il rinvio ad una fonte secondaria per la determinazione quantitativa delle prestazioni è ammissibile, a condizione che la legge prescriva i princípi e i criteri direttivi e che la fonte secondaria intervenga per ragioni di competenza tecnica. Sono di conseguenza incostituzionali le norme che non siano idonee ad assicurare che la determinazione amministrativa delle prestazioni non si trasformi in arbitrio (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 48 del 1961, n. 70 del 1960, n. 26 del 1959).
Nella determinazione delle quote di prelievo cui applicare l’aliquota per la determinazione dell’imposta unica, invece, nessun criterio vige al fine di guidare e limitare la discrezionalità amministrativa.
Neppure si può pretendere, come fa l’Avvocatura dello Stato, di desumere i princípi direttivi dalla legge delega, in particolare dall’art. 1, comma 1, lettera o), e comma 2, lettera d), sia perché si tratta di indicazioni rivolte al legislatore delegato (e non atte a contenere la discrezionalità amministrativa, alla quale si deve sostanzialmente la fissazione delle quote di prelievo), sia perché né il mantenimento complessivo del gettito né la possibilità di stabilire aliquote differenziate sono all’evidenza criteri utili al fine di stabilire l’entità della quota di prelievo, che è l’unico elemento che rileva ai fini del rispetto della riserva di legge.
Criteri direttivi non sono neppure desumibili dalla norma che stabilisce le quote di prelievo (art. 3, comma 231, della legge n. 549 del 1995), che si limita a indicare il CONI come beneficiario e ad individuare le modalità di utilizzazione del gettito: sotto il primo profilo, la giurisprudenza costituzionale pretende che tale indicazione sia integrata da altri criteri (si richiamano le sentenze n. 112 del 1975 e n. 55 del 1963); sotto il secondo, gli obiettivi indicati dalla norma, relativi al finanziamento delle attività sportive, non assumono rilievo costituzionale, non valgono a limitare la discrezionalità a tutela del privato soggetto alla prestazione patrimoniale, e sono criteri che funzionano "a valle” dell’imposizione, e non già, come dovrebbe essere, "a monte” di essa.
Non esiste collegamento tra l’applicazione dell’imposta e le finalità che il CONI deve perseguire, affluendo la prima al bilancio dello Stato, e non del CONI. Il fabbisogno finanziario dell’ente opererebbe come limite soltanto globale, insufficiente a garantire i contribuenti delle singole imposte (sono citate le sentenze n. 2 del 1962 e 182 del 1994), occorrendo che il quantum sia correlato alla prestazione ricevuta dal privato (sentenza n. 127 del 1988).
I criteri atti a orientare la discrezionalità dell’amministrazione non possono certo cogliersi – si prosegue nella memoria – nello stesso decreto ministeriale che è espressione della discrezionalità: ma anche a voler esaminare il d.m. 15 febbraio 1999, questo dà solo parzialmente conto delle determinazioni adottate dall’autorità amministrativa in piena libertà, senza incontrare limiti in fonti superiori, senza spiegare, ad esempio, la ragione per la quale la quota di prelievo passa dal 30 per cento (come stabilito dal precedente d.m. 22 giugno 1998, che è il primo atto determinativo delle quote di prelievo), al 38 per cento, rimanendo immutate le generiche premesse dei due decreti: la propensione degli scommettitori alle scommesse, peraltro, non poteva essere conosciuta dall’amministrazione, essendo trascorso, dal precedente decreto ministeriale del 1998, un lasso di tempo inapprezzabile; la rimodulazione dei prelievi in proporzione al crescere delle difficoltà delle scommesse è una garanzia per il solo CONI, non per il concessionario delle scommesse; l’espletamento dei compiti istituzionali del CONI e l’esigenza di gettito erariale non delimita la discrezionalità, e non garantisce la sopravvivenza dei concessionari del servizio di raccolta scommesse, arrivando a giustificare paradossalmente aumenti illimitati delle quote di prelievo, con contestuale azzeramento delle capacità di previsione economica dei concessionari, in lesione dell’affidamento e delle scelte imprenditoriali.
I criteri emergenti dal d.m. 15 febbraio 1999 non attuano un’equa e ragionevole
composizione degli interessi pubblici (dell’erario e del CONI) e delle agenzie
concessionarie, come la giurisprudenza costituzionale richiede. Solo il
Ministero delle finanze è chiamato a decidere, senza che nessun meccanismo ne
verifichi la discrezionalità, il cui esercizio, diversamente, potrebbe essere
equilibrato dalla collaborazione di più organi, anche tecnici: il che dipende,
conclusivamente, dalla carente formulazione, alla luce dell’art. 23 Cost.,
dell’art. 3, comma 231, della legge n. 249 del 1995, che prevede le quote di
prelievo, e dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 2, del d.lgs. 504
del 1998, che, applicando l’aliquota su quelle, determina l’imposta unica sulle
scommesse.
Con riguardo alla dedotta violazione
dell’art. 76 Cost. da parte dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, laddove
individua soggetti passivi diversi rispetto a quelli di cui al quadro normativo
in precedenza vigente, senza che la norma delegante (art. 1, comma 2, della
legge n. 288 del 1998) l’avesse previsto, si osserva nella memoria che, secondo
la legislazione previgente, gli unici soggetti passivi dell’imposta erano il
CONI e l’UNIRE, cui il d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496, attribuiva la riserva
nell’esercizio dei giochi di abilità e del consorzio pronostici (art. 6, primo
comma) e l’imposizione di una tassa sugli introiti lordi conseguiti (art. 6,
terzo comma). La tassa assumeva la denominazione di imposta unica sui giochi di
abilità e sui concorsi pronostici, per effetto dell’art. 1 della legge n. 1379
del 1951, e diventava sostitutiva (art. 5) di ogni tassa sugli affari, sui
redditi e di qualsiasi altro tributo. E’ la legge n. 1379 del 1951 l’oggetto
del riordino disposto dalla delega, che non può comprendere il mutamento della
soggettività passiva dell’imposta. A tal proposito, la recente sentenza n. 303 del
2005 e l’ordinanza
n. 359 del 2005 della Corte costituzionale, hanno stabilito che la delega
legislativa (art. 3, comma 78, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) ad emanare
un regolamento per il riordino della materia delle scommesse relative alle
corse dei cavalli, non contenendo princípi in merito
ai soggetti passivi dell’imposta, «lascia immutata la disciplina legislativa concernente
gli elementi strutturali del tributo», imponendo al regolamento di
delegificazione di mantenere gli stessi soggetti passivi indicati dalla
legislazione preesistente. Se ne deduce che la delega volta semplicemente al
riordino della materia non autorizza previsioni innovative, precisando anzi
quelle pronunce che «la delega deve essere intesa – in assenza di principi e
criteri direttivi che giustifichino la riforma della normativa preesistente –
in un senso minimale, tale da non consentire, di per sé, l’adozione di norme
delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo». Con
riguardo alla questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di
Pistoia, dunque, la mancata previsione, nella legge delega, di princìpi e criteri
direttivi in relazione ai soggetti passivi comporta che il decreto legislativo,
che invece individua tra i soggetti passivi anche i concessionari, si pone in
contrasto con l’art. 76 della Costituzione.
Né rileverebbe che oggetto delle citate
pronunce del 2005 della Corte costituzionale fosse la delega ad un regolamento
di delegificazione, mentre nel caso attualmente all’esame si tratta di un
decreto legislativo: la portata minimale da attribuirsi alla previsione del
riordino è professata dalla Corte proprio nel rapporto tra legge delega e
decreto legislativo delegato (così le sentenze n. 354 del
1998, n. 305
del 1996 e n.
427 del 2000). Il riordino può comportare solo il coordinamento tecnico
della stratificazione normativa previgente.
In tale opera di riordino, relativa
alla legge n. 1379 del 1951, non può ammettersi che si tenga conto delle
modifiche che nella disciplina dell’imposta unica avrebbe introdotto l’art. 3,
comma 229, della legge n. 549 del 1995, che non ha modificato la prima.
Inoltre, le decisioni del 2005 della Corte costituzionale, intervenute quando
quest’ultima legge era già entrata in vigore, affermano che l’individuazione,
tra i soggetti passivi delle scommesse, dei soggetti privati gestori, contenuta
nel d.P.R. 8 aprile 1998, n. 169, non poteva essere
applicata, trovando invece applicazione la legge vigente in materia (la legge
n. 1379 del 1951). Ne conseguirebbe che anche la previsione della legge delega
n. 288 del 1998, che pure ha disposto il riordino dell’imposta disciplinata
dalla legge n. 1379 del 1951, in assenza di specifica previsione in ordine
all’individuazione dei soggetti passivi, non consentirebbe al decreto
legislativo delegato di mutarli.
Infine, la nuova disciplina delineata
da legge delega e decreto delegato ignorerebbe la capacità contributiva dei
soggetti passivi.
Il principio della capacità
contributiva si pone come limite sostanziale al potere discrezionale del
legislatore: ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in
indici rivelatori di ricchezza, e di conseguenza la misura massima del tributo
non può mai essere superiore alla capacità dimostrata dall’atto o dal fatto
economico. In particolare, la determinazione degli indici rivelatori non deve
essere irragionevole (Corte costituzionale, sentenze n. 156
e n. 155 del
2001).
L’art. 2 del d.lgs. n. 504 del 1998 stabilisce che la base imponibile per
le scommesse è costituita dall’ammontare della somma giocata per ciascuna
scommessa. Nelle scommesse a quota fissa, il gestore deve riconoscere allo
scommettitore vincente quanto versato dallo stesso, aumentato della quota
concordata: ciò può determinare un saldo negativo, in quanto l’importo delle
entrate per le scommesse può essere inferiore all’importo delle vincite
riconosciute, e l’imposta continua ad essere calcolata sull’importo della
scommessa, anche quella risoltasi in perdita, ovvero anche in assenza di
capacità contributiva. Non è un caso che, nel settore delle case da gioco, si
stabilisce che l’imposta (art. 3 del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 640) è applicata ad una base imponibile costituita
giornalmente dalla differenza attiva tra le somme introitate per i giochi e
quelle pagate ai giocatori, quindi con esclusivo riferimento ad una effettiva
manifestazione di ricchezza del soggetto passivo.
5. – Nell’imminenza dell’udienza
pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato memoria con cui
insiste nell’eccezione di inammissibilità della questione per insufficiente
descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, in particolare
per la scarsa chiarezza sull’oggetto del giudizio, se, cioè, si tratti di
scommesse al totalizzatore o a quota fissa, e per l’omesso esame della
rilevanza della normativa sopravvenuta (legge n. 311 del 2004). Assume inoltre
che il rimettente avrebbe recepito acriticamente le difese della ricorrente
Giada Bet in giudizio.
Nel merito deduce l’infondatezza della
questione.
Nella memoria, in particolare, si
osserva che la legge delega n. 288 del 1998 è intervenuta in un contesto
normativo in cui l’organizzazione e l’esercizio delle scommesse era già
affidabile in concessione a terzi (art. 3, comma 229, della legge n. 549 del
1995), in base a emanande norme regolamentari; lo
stesso art. 3 della citata legge n. 549 del 1995, al comma 230, prevedeva già
che il Ministero delle finanze stabilisse le quote di prelievo, da ricavare
dall’introito lordo delle scommesse, e da destinare al CONI, al netto
dell’imposta e delle spese di gestione. La quota di prelievo, dunque, è una
parte del prezzo pagato per la scommessa, che, depurata dell’imposta e
dell’aggio per il concessionario, costituisce il provento di spettanza
dell’organismo riservatario dell’attività in concessione.
La legge delega, dunque, non ha potuto
far altro che condividere e fare propria l’evoluzione legislativa, stabilendo come
criteri direttivi il «mantenimento complessivo del gettito» (art. 1, comma 1,
lettera o) e «la possibilità di stabilire un’aliquota percentuale
differenziata, commisurata all’entità del prelievo riferito alle scommesse»
(art. 1, comma 2, lettera d).
Con riguardo alla determinazione legislativa dell’imposta (art. 23 Cost.), si osserva che, alla luce della giurisprudenza costituzionale, è sufficiente che la legge stabilisca il limite massimo dell’imposta (sono citate le sentenze n. 301 del 2006, n. 105 del 2003, n. 257 del 1982, n. 15 del 1964). Nella fattispecie è facilmente identificabile l’importo massimo dell’imposta, che deriva dall’applicazione dell’aliquota prevista dalla legge sul gettito complessivo delle scommesse: risulta evidente che essendo comunque la base imponibile in concreto (la quota di prelievo lorda) minore, l’imposta sarà – variabile sì in base al mutare della quota di prelievo in proporzione alla difficoltà della scommessa, ma – comunque minore di quella misura massima.
Con riguardo alla previsione dei
soggetti d’imposta (art. 76 Cost.), si rileva che la gestione da parte di
concessionari era già prevista al momento della legge delega, dall’art. 3,
comma 229, della legge n. 549 del 1995.
Con riguardo alla dedotta violazione
del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), rileva l’Avvocatura che
il concessionario non può lamentare l’imposizione scissa da una propria
entrata, perché l’imposta e l’aggio del concessionario, nelle scommesse al
totalizzatore, vengono autonomamente calcolati dalla quota lorda di prelievo e
da essa prelevati.
Considerato
in diritto
1. – La Commissione tributaria provinciale di Pistoia dubita della legittimità costituzionale: a) dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 2, del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288), nel testo all’epoca vigente (2001), nella parte in cui calcola l’imposta unica sulle scommesse applicando un’aliquota nominale ad una base, quella relativa alla quota di prelievo spettante al CONI, non risultante da un atto avente forza di legge, per violazione dell’art. 23 Cost., per il fatto che viene affidato ad un organo amministrativo la determinazione dell’aliquota effettiva; b) dell’art. 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288 (Delega al Governo per la revisione della disciplina concernente l’imposta sugli spettacoli e l’imposta unica di cui alla 1egge 22 dicembre 1951, n. 1379), nella parte in cui rimette il calcolo dell’imposta unica sulle scommesse ad un atto non avente forza di legge, per violazione degli artt. 23 e 76 Cost., risultando indeterminata la delega relativa alla fissazione dell’aliquota per il calcolo dell’imposta unica sulle scommesse; c) dell’intero d.lgs. n. 504 del 1998, in quanto individua un soggetto passivo in materia di imposta sulle scommesse diverso da quello previsto dalla normativa precedente, così istituendo una nuova imposta e non semplicemente riordinando la precedente, come stabilito dalla legge di delega n. 288 del 1998, ed eccedendo perciò i limiti della delega, in violazione dell’art. 76 Cost.; d) dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 2, del d.lgs. n. 504 del 1998, nonché dell’art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998, nella parte in cui determinano l’ammontare dell’imposta unica sulle scommesse in base a formule e parametri fissati allo scopo di provvedere il CONI delle necessarie risorse finanziarie, e svincolano l’imposta dalla capacità contributiva dei soggetti passivi, in violazione dell’art. 53 Cost.
2. – Le molteplici eccezioni di inammissibilità delle questioni sollevate dalla difesa erariale non sono fondate. Al fine del rigetto delle stesse è sufficiente rilevare:
– che non sussiste la dedotta insufficienza della descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, potendo la stessa ricavarsi dalla lettura dell’ordinanza;
– che le modifiche legislative intervenute anteriormente al deposito
dell’ordinanza, che hanno mutato le aliquote
da applicare alla quota di prelievo, ai fini del calcolo dell’imposta unica
sulle scommesse, non sono applicabili alla controversia e non hanno fatto
venire meno la rilevanza della questione;
– che l’affermazione secondo cui il giudice a quo, in riferimento
alle censure parametrate all’art. 76 della Costituzione, si sarebbe limitato a
riportare le allegazioni della ricorrente nel giudizio principale, senza alcuna
propria valutazione, è smentita dal fatto che la Commissione tributaria,
proponendo la relativa censura ha, implicitamente, ma necessariamente, fatto
proprie le argomentazioni di parte;
– che nessuna contraddittorietà o incoerenza deriva dal fatto che sono denunciati sia una singola disposizione del d.lgs. n. 504 del 1998 (art. 4, comma 1, lettera b, numero 2), sia l’intero decreto legislativo, dal momento che, malgrado la denuncia, nel dispositivo, dell’incostituzionalità dell’intera legge, in realtà, nella motivazione è censurata l’incostituzionalità del solo articolo 3 dello stesso decreto legislativo.
3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 2, del d.lgs. n. 504 del 1998 non è fondata.
Il rimettente assume che tale disposizione – nello stabilire che, per le scommesse diverse da quelle TRIS e da quelle ad esse assimilabili, le aliquote dell’imposta unica sono stabilite nella misura del «20,20 per cento della quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa» – rinvierebbe, per la determinazione della base imponibile (cioè della quota di prelievo a favore del CONI), ad un atto amministrativo (decreto del Ministro delle finanze), attribuendo così alla pubblica amministrazione la facoltà di operare scelte discrezionali di politica tributaria in materia di prestazioni patrimoniali imposte che invece l’art. 23 Cost. riserva alla legge.
Il giudice a quo muove, però, dall’erroneo presupposto che, in base all’evocato parametro costituzionale, l’imponibile deve essere determinato integralmente dalla legge. Al contrario, va rilevato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. va inteso in senso relativo, in quanto si limita a porre al legislatore l’obbligo di determinare preventivamente sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (ex plurimis: sentenze n. 190 del 2007; n. 125 e n. 105 del 2005; n. 323 e n. 7 del 2001; n. 157 del 1996; n. 507 del 1988).
Nella specie, la normativa concernente l’imposta unica sulle scommesse diverse da quelle TRIS o ad esse assimilabili (imposta costituente l’oggetto del giudizio a quo) fornisce criteri e limiti idonei a soddisfare, anche in tema di base imponibile, il disposto dell’evocato art. 23 Cost.
In riferimento a detta imposta,
infatti, il d.lgs. n. 504 del 1998, in applicazione dei criteri direttivi posti
dall’art. 1 della legge n. 288 del 1998 (recante «Delega al Governo per
la revisione della disciplina concernente l’imposta sugli spettacoli e
l’imposta unica di cui alla legge 22 dicembre 1951, n. 1379»), individua in modo preciso il presupposto (la
scommessa), la base imponibile (quella parte della somma giocata corrispondente
alla «quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa» e devoluta al
CONI), i soggetti passivi (i gestori del
servizio, anche in concessione), l’aliquota (il «20,20 per cento della
quota di prelievo»). Quanto alla «quota di
prelievo», l’art. 3, comma 231, della legge 28 dicembre 1995, n. 549
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come sostituito dall’art.
24 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, stabilisce che: «Con decreto del
Ministro delle finanze sono stabilite le quote di prelievo sull’introito lordo
della scommesse, da destinarsi al CONI al netto dell’imposta unica di cui alla
legge 22 dicembre 1951, n. 1379, con aliquota del 5 per cento, e delle spese
relative all’accettazione e alla raccolta delle scommesse medesime e alla
gestione del totalizzatore nazionale. Il CONI deve destinare, d’intesa con gli
enti territoriali competenti, una quota dei proventi netti derivanti dalle
scommesse per favorire la diffusione dell’attività sportiva, attraverso
interventi destinati ad infrastrutture sportive, anche scolastiche,
segnatamente nelle zone più carenti, in particolare del Mezzogiorno e delle
periferie delle grandi aree urbane, in modo da facilitare la pratica motoria e
sportiva di tutti i cittadini nell’intero territorio nazionale. Il CONI deve
altresì destinare almeno il 5 per cento dei suddetti proventi alle attività dei
settori giovanili ed allo sviluppo dei vivai per le attività agonistiche
federali». Con riferimento al suddetto comma 231, il Ministro delle finanze, con decreto del 15 febbraio 1999, ha poi
provveduto a quantificare le quote di prelievo, stabilendo una quota per le
scommesse a quota fissa, nonché quote diverse per le altre scommesse, distinte in nove
categorie a seconda del numero di
eventi oggetto di scommessa.
Dalla descritta disciplina emerge che la quota di prelievo è determinata in relazione all’esigenza di finanziare in parte il funzionamento del CONI, in parte (attraverso la mediazione dello stesso CONI e degli enti territoriali competenti) le infrastrutture sportive, al fine di favorire la diffusione dello sport e della pratica motoria, particolarmente nelle zone carenti di impianti sportivi ed a favore delle attività agonistiche dei giovani. Tuttavia il legislatore non ha lasciato libera la pubblica amministrazione di fissare arbitrariamente l’entità delle risorse da impiegare per soddisfare la suddetta esigenza, ma ha posto al riguardo vari vincoli. L’art. 1, comma 1, lettera o), della legge n. 288 del 1998 ha stabilito, quale criterio direttivo cui deve attenersi il legislatore delegato alla revisione dell’imposta sulle scommesse, «il mantenimento del livello complessivo del gettito», nonostante le modifiche e le abrogazioni apportate alla precedente normativa fiscale in materia. Ciò comporta che le norme delegate devono essere interpretate nel senso che la quota di prelievo, influendo sul gettito dell’imposta unica, dovrà essere determinata in misura tale da non compromettere la suddetta invarianza del livello del gettito complessivo.
Nell’àmbito di tale limite generale, l’entità del finanziamento del CONI trova l’ulteriore limite quantitativo dell’effettivo fabbisogno dell’ente, quale risulta dai bilanci approvati e controllati.
In conclusione, l’indicazione con legge delle finalità perseguite dal Ministro delle finanze con la fissazione della quota di prelievo devoluta al CONI e delle modalità necessarie per la determinazione delle esigenze del CONI (proprie ed in relazione ai servizi resi in ambito sportivo) induce a ritenere obiettivamente e ragionevolmente limitata la discrezionalità dell’amministrazione nella integrazione tecnica della base imponibile dell’imposta unica e ad escludere, pertanto, la violazione dell’art. 23 Cost.
4. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998, nella parte in cui rimette il calcolo dell’imposta unica sulle scommesse ad un atto non avente forza di legge, per violazione degli artt. 23 e 76 Cost., per l’indeterminatezza della delega circa la fissazione dell’aliquota per il calcolo dell’imposta unica sulle scommesse, non è fondata.
4. 1. – La legge di delega pone varie proposizioni diversificate, che dovranno ispirare l’attività del legislatore delegato. Tra queste si colloca il mantenimento complessivo del gettito anche mediante la rimodulazione dell’attuale sistema di imposizione e distribuzione degli introiti derivanti dal Totocalcio, dal Totogol o da altri giochi gestiti dal CONI (art. 1, comma 1, lettera o) e la possibilità di stabilire un’aliquota percentuale differenziata, commisurata all’entità del prelievo riferito alle scommesse (art. 1, comma 2, lettera d).
Tali criteri direttivi sono sufficienti a indirizzare il legislatore delegato, che ragionevolmente ha stabilito l’applicazione dell’aliquota sulla «quota di prelievo» del CONI.
5. – La questione di legittimità costituzionale dell’intero d.lgs. n. 504 del 1998, in quanto adottato in eccesso di delega per aver individuato un soggetto passivo in materia di imposta sulle scommesse diverso da quello individuato nella normativa precedente, così istituendo una nuova imposta e non limitandosi a riordinare la precedente, come stabilito dalla legge di delega n. 288 del 1998, non è fondata.
5.1.– Come già osservato è da rilevare che la censura, mentre nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione investe l’intero d.lgs. n. 504 del 1998, nella motivazione è concentrata solo sull’art. 3 dello stesso decreto, cioè sulla disposizione che identifica i soggetti passivi dell’imposta («coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse»). La questione deve ritenersi sollevata esclusivamente in riferimento alla norma espressamente indicata in motivazione, perché è lecito ritenere che l’indicazione generica nel dispositivo è ispirata unicamente dal nesso di interdipendenza logica ricavabile fra le disposizioni della legge, e quindi dalla ovvia estensione dell’eventuale vizio di illegittimità di una di esse a tutte le altre (sentenza n. 8 del 1962).
5. 2. – Con riguardo alla suddetta censura, va premesso che la legge delega (n. 288 del 1998), all’art. 1, comma 2, prevede il riordino dell’imposta unica di cui alla legge n. 1379 del 1951. In base a quest’ultima legge i soggetti d’imposta sono (art. 5) gli enti indicati nell’art. 6 del d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496 (Disciplina delle attività di gioco).Tale norma, però, pur riservando al CONI e all’UNIRE l’organizzazione dei giochi e dei pronostici, prevede che, riguardo alle attività che i suddetti enti «non intendano svolgere», sia il Ministero delle finanze ad esercitarle, direttamente «o per mezzo di persone fisiche o giuridiche, che diano adeguata garanzia di idoneità»: in tal caso l’aggio e le modalità di gestione sono stabilite tramite convenzioni (art. 2).
Con riguardo ai soggetti d’imposta, questa Corte ha affermato che il soggetto passivo può essere implicito nella stessa individuazione del presupposto d’imposta (sentenza n. 56 del 1972) e, parallelamente, che, se la gestione del gioco viene per legge attribuita a soggetti diversi dal CONI e dall’UNIRE, sono i concessionari a doverla pagare.
La legge da riordinare prevede già, fra i possibili soggetti dell’imposta, i gestori della stessa, diversi da CONI, UNIRE e Ministero, il cui compenso sarebbe stato fissato tramite convenzione.
La necessità della indicazione di princípi e di criteri direttivi idonei a circoscrivere le diverse scelte discrezionali dell’esecutivo riguarda i casi in cui la revisione ed il riordino comportino l’introduzione di norme aventi contenuto innovativo rispetto alla disciplina previgente, mentre tale specifica indicazione può anche mancare allorché le nuove disposizioni abbiano carattere di sostanziale conferma delle precedenti (sentenza n. 66 del 2005).
Ciò è quanto si è verificato nella specie, dal momento che la gestione del servizio scommesse a mezzo concessionari può esser considerato un punto fermo del sistema già nella legge da riordinare.
E’ anche da osservare che l’art. 1, comma 2, alinea, della legge n. 288 del 1998 inquadra l’operazione legislativa di riordino dell’imposta unica «nell’esercizio della delega di cui al comma 1», la quale, testualmente, riguarda la materia dell’imposizione «su spettacoli, sport, giochi e intrattenimenti», in cui rientra, in particolare, l’imposta unica prevista dalla legge n. 1379 del 1951. Ciò significa che la delega non può essere atomisticamente concepita in funzione del riordino dell’imposta contemplata dalla legge n. 1379 del 1951, ma di tutta la materia fiscale in tema di giochi, spettacoli e intrattenimenti. Tanto più che le scommesse allora non erano previste: e infatti la stessa legge delega (art. 1, comma 2, lettera b), ne dispone la tassazione con il sistema dell’imposta unica.
In tale ottica va considerato che il comma 1, lettera a), ed il comma 3 prevedono, tra l’altro, la parziale abolizione dell’imposta sugli spettacoli di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, che contemplava già i gestori come soggetti passivi.
Non solo: anche l’art. 3, comma 229, della legge n. 549 del 1995, nel frattempo entrata in vigore, prevede la concedibilità del servizio scommesse riservate al CONI a persone fisiche, società ed altri enti che offrano adeguate garanzie.
Si tratta quindi di dati che il legislatore delegato, nell’indispensabile opera di riordino del settore (che ovviamente non può essere limitato ad una sola legge, ma deve tener conto della stratificazione normativa creatasi nel tempo sulla «imposta unica») non poteva ignorare.
L’organizzazione e l’esercizio delle scommesse e, in generale, di tutti i giochi e concorsi pronostici, che competono ora all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (art. 1 del d.P.R. 24 gennaio 2002, n. 33, in attuazione dell’art. 12 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, e art. 4 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178), prevedono, come sistema ordinario, lo strumento della concessione (art. 2 del d.m. 2 giugno 1998, n. 174, sostituito dall’art. 2 del d.m. 1° marzo 2006, n. 111).
Né argomenti contrari alle raggiunte conclusioni possono ricavarsi – come invece sostiene la società ricorrente nel giudizio a quo – da alcune recenti pronunce per le quali l’assenza di specifiche direttive in ordine ai soggetti passivi dell’imposta lascia immutata la disciplina concernente gli elementi strutturali del tributo, e tra questi i soggetti passivi, perché la delega, ove volta al riordino della materia, deve essere intesa in senso minimale (sentenza n. 303 del 2005; ordinanza n. 359 del 2005).
Secondo la società, infatti, dalle predette decisioni si può dedurre che la delega volta semplicemente
al riordino della materia non autorizza previsioni innovative, precisando anzi
quelle pronunce che «la delega deve essere intesa – in assenza di princípi e criteri direttivi che giustifichino la riforma
della normativa preesistente – in un senso minimale, tale da non consentire, di
per sé, l’adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al
sistema legislativo», con la conseguenza che la mancata previsione, nella legge
delega, di princípi e criteri direttivi in relazione
ai soggetti passivi, comporta che il decreto delegato, che invece individua tra
i soggetti passivi anche i concessionari, si pone in contrasto con l’art. 76
Cost.
Contrariamente all’assunto della parte, dalle citate pronunce di questa
Corte non è dato inferire che la norma denunciata abbia ecceduto i limiti della
legge di delegazione. La legge n. 662 del 1996, oggetto di quelle pronunce,
conteneva una delega alla delegificazione per il riordino di giochi e scommesse
relativi alle corse dei cavalli ed era stata censurata dal giudice a quo
perché non indicava espressamente i soggetti passivi dell’imposta. La Corte,
nel dichiarare non fondata la questione
così sollevata, ha precisato che, in quella fattispecie, la mancata indicazione
– nella legge di delegazione – dei soggetti passivi dell’imposta non comportava
violazione dell’art. 23 Cost., perché tali soggetti, trattandosi di una delega
legislativa volta al «riordino» della materia, dovevano desumersi dalla
legislazione preesistente. In particolare, le suddette pronunce si fermano a
tale precisazione e non procedono alla ricognizione in concreto dei soggetti
passivi che la preesistente disciplina sottoponeva ad imposta. L’ordinanza n. 359
del 2005 osserva anzi, al riguardo, che il giudice rimettente non aveva
neppure provveduto ad individuare i soggetti passivi dell’imposta.
La questione ora sottoposta al sindacato di costituzionalità riguarda, invece, i soggetti passivi d’imposta espressamente indicati nella legislazione delegata (d.lgs. n. 504 del 1998), la quale, come sopra rilevato, si è limitata a prendere atto della tassabilità dei concessionari, in quanto, nel sistema legislativo da riordinare, era già possibile ricorrere a gestori delle scommesse diversi da CONI, UNIRE e Ministero ed assoggettarli ad imposta.
6. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b), numero 2, del d.lgs. n. 504 del 1998, nonché dell’art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998, nella parte in cui determinano l’ammontare dell’imposta unica sulle scommesse in base a formule e parametri fissati allo scopo di provvedere il CONI delle necessarie risorse finanziarie, per violazione dell’art. 53 Cost., in quanto svincolati dalla capacità contributiva dei soggetti passivi, è manifestamente inammissibile.
6.1. – E’ infatti da rilevare che l’ordinanza di rimessione, dopo avere riportato la tesi della società ricorrente in merito alla violazione dell’art. 53 Cost., testualmente aggiunge: «Però le questioni relative alle quote di prelievo per il CONI comprese la loro qualificazione giuridica, esulano dalla controversia all’esame, la quale ha per oggetto solamente un accertamento in materia d’imposta unica, originariamente notificato dall’Agenzia delle entrate. La trattazione dell’eccezione sollevata con riferimento alla capacità contributiva, nei termini sopra esposti, è preclusa alla Commissione tributaria, in questa sede. La Commissione deve limitarsi a valutare il processo che determina il solo calcolo dell’imposta unica».
Da quanto richiamato emerge la contraddittorietà della posizione assunta dalla Commissione che, pur partendo dalla impossibilità della trattazione della eccezione di incostituzionalità sollevata dalla parte e, quindi, dall’irrilevanza della stessa nella controversia principale, conclude per l’accoglimento dell’eccezione stessa.
Da ciò la manifesta inammissibilità della questione proposta.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera b),
numero 2, del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici
e sulle scommesse, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998,
n. 288), sollevata, in riferimento all’art. 23 della Costituzione, dalla
Commissione tributaria provinciale di Pistoia con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 288 (Delega al Governo per la revisione della disciplina
concernente l’imposta sugli spettacoli e l’imposta unica di cui alla 1egge 22
dicembre 1951, n. 1379), sollevata, in riferimento agli artt. 23 e 76 della
Costituzione, dalla medesima Commissione tributaria provinciale con l’ordinanza
in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 3 del citato d.lgs. n. 504 del 1998, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla stessa
Commissione tributaria provinciale di Pistoia con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 1,
lettera b), numero 2, del citato d.lgs. n. 504 del 1998, nonché
dell’art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998, sollevata, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, dalla predetta
Commissione tributaria provinciale con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2007.
F.to:
Franco BILE,
Presidente
Alfio FINOCCHIARO,
Redattore
Giuseppe DI PAOLA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 26 ottobre 2007.