Sentenza n. 354/98

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SENTENZA N.354

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Cesare MIRABELLI, Presidente

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, lettera t), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell’art. 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sia nel testo anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575 (Regolamento recante la disciplina dei procedimenti per il rilascio e la duplicazione della patente di guida di veicoli), che nel testo sostituito dall’art. 5, comma 1, del citato d.P.R. n. 575 del 1994, promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1997 dal Tribunale amministrativo regionale della Campania sul ricorso proposto da Gioacchino De Rosa contro il Prefetto della Provincia di Napoli, iscritta al n. 680 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 22 aprile 1998 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

  1. — Il Tribunale amministrativo regionale della Campania solleva, con ordinanza del 24 giugno 1997, questione di costituzionalità dell’art. 2, lettera t), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) - sia nel testo anteriore che in quello successivo alla sostituzione operata con l’art. 5, comma 1, del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575 (Regolamento recante la disciplina dei procedimenti per il rilascio e la duplicazione della patente di guida di veicoli) -, in riferimento agli artt. 3, 4 e 76 della Costituzione, secondo i profili che si espongono di seguito.

  2. — Il Tribunale amministrativo rimettente é chiamato a decidere sul ricorso, proposto dall’interessato, per l’annullamento di un provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, adottato in conseguenza della sottoposizione del titolare alla misura di sicurezza della libertà vigilata, misura disposta con provvedimento del competente magistrato di sorveglianza.

  Il giudice a quo riferisce innanzitutto la sequenza cronologica delle vicende che interessano il procedimento: con sentenza dell’11 novembre 1986 della Corte d’Appello di Napoli, il soggetto veniva condannato e contestualmente era disposta la sua sottoposizione alla misura di sicurezza della libertà vigilata, per la durata di due anni (successivamente ridotta a un anno con provvedimento del 3 dicembre 1992 del magistrato di sorveglianza di Napoli); la misura di sicurezza era applicata fino al 26 ottobre 1994, quando il competente ufficio di sorveglianza ne disponeva la revoca, per il venir meno della pericolosità sociale del prevenuto anche alla luce dell’attività lavorativa di autotrasportatore nel frattempo intrapresa; successivamente, peraltro, all’interessato veniva notificato (in data 13 novembre 1996) il provvedimento, adottato il 12 aprile 1995, con il quale il prefetto di Napoli, riscontrato il venir meno di un requisito morale stabilito dalla legge, aveva revocato la patente di guida nel frattempo rilasciata.    

  Osserva al riguardo il rimettente che il provvedimento impugnato risulta adottato, ratione temporis, in applicazione dell’allora vigente art. 130 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (cod. strada), che, al comma 1, lettera b), prescriveva che la revoca della patente conseguisse, vincolativamente, al venir meno dei "requisiti morali previsti dall’art. 120"; quest’ultimo a sua volta escludeva il possesso dei requisiti anzidetti in coloro che "... sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali... fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi".

  Questa disciplina - prosegue il rimettente - é stata poi aggiornata con il d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, entrato in vigore a partire dal 1° ottobre 1995 (ex art. 2, comma 2, del decreto-legge 25 novembre 1995, n. 501, convertito in legge 5 gennaio 1996, n. 11) e dunque prima della data di notifica del provvedimento del prefetto; ma l’art. 120 cod. strada é rimasto sostanzialmente immutato relativamente alla parte che rileva ai fini della questione sollevata, giacchè esso continua a ritenere privo dei requisiti "morali" per il valido possesso del titolo di abilitazione alla guida chi sia, o sia stato, sottoposto a misure di sicurezza personali, fatti sempre salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, e continua dunque a prescrivere la revoca della patente in presenza di dette circostanze.

  3. — Il giudice a quo effettua quindi una disamina del complessivo sistema normativo che viene in rilievo nella fattispecie, in particolare dell’art. 120 cod. strada, osservando che la sottoposizione a una misura di sicurezza, in atto o anche esaurita, fa scattare il dovere di revocare la patente di guida, senza che risulti influente il fatto che, a seguito di riesame della pericolosità, la misura di sicurezza sia stata a sua volta revocata.

  La revoca della misura di sicurezza (art. 207 cod. pen.) ha lo scopo, infatti, di delimitare il principio di indeterminatezza nel tempo delle misure di sicurezza, applicabili in concreto fino al venir meno dello stato di pericolosità, e vale a contenere, nel concorso delle regole dettate dal codice penale e da quello di rito sulla durata minima della misura e sui modi del riesame della pericolosità, l’efficacia della misura rispetto al tempo. La revoca in argomento, quindi, "lascia impregiudicata" la circostanza che la misura sia stata eseguita con provvedimento non più impugnabile. Se ciò sia avvenuto, come é nella specie, la possibilità per l’interessato di ottenere una nuova patente di guida é condizionata all’intervento di un provvedimento di riabilitazione (art. 178 cod. pen.), che non può certamente farsi coincidere con la revoca della misura di sicurezza ex art. 207 cod. pen., quella presupponendo questa (art. 179, quarto comma, numero 1), cod. pen.).

  Dunque, la misura di sicurezza, sia essa fondata su un provvedimento definitivo o ancora soggetto a rimedi, va eseguita, e tale esecuzione integra la circostanza sufficiente al doveroso intervento del prefetto, che può essere contrastato o può venir meno solo a seguito di riabilitazione.

  Tale é il senso del disposto letterale dell’art. 120 cod. strada, che include nella propria previsione coloro che "sono o sono stati" sottoposti a una misura di sicurezza, innovando sul punto, in senso rigoristico, il precedente codice (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), che, all’art. 82, considerava solo la misura in atto ("sono sottoposti").

  Deriva, da quanto detto, la legittimità del provvedimento prefettizio impugnato e dunque la necessità di una verifica di costituzionalità delle norme sulla cui base esso é stato emanato.

  4. — Il Tribunale amministrativo prospetta tre censure: le prime due, definite "formali", entrambe riferite al parametro dell’art. 76 della Costituzione, in relazione di subordinazione tra loro; la terza, definita "sostanziale", sollevata in riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione.

  4.1. — Per un primo aspetto, é rimessa all’esame della Corte la verifica della conformità all’art. 76 della Costituzione della normativa di delegazione, assumendosi dal giudice a quo il difetto di indicazione dei principi e criteri direttivi necessari ai fini della valida delega al Governo della funzione legislativa.

  Dalla norma generale dell’art. 1 della legge n. 190 del 1991 (con la quale il Governo é stato delegato a "...rivedere e riordinare, apportandovi le modifiche opportune o necessarie in conformità dei principi e criteri direttivi di cui all’art. 2, la legislazione vigente concernente la disciplina della motorizzazione e della circolazione stradale, comprese le disposizioni dei testi unici..." recanti le codificazioni precedenti) e dal successivo art. 2, lettera t), che indica i principi e criteri relativi alla disciplina "del ritiro, della sospensione e della revoca della patente di guida, anche con riferimento ai soggetti sottoposti a misure di sicurezza personale" o di prevenzione, si desume, ad avviso del rimettente, una portata estremamente ampia della delega, che riguarda tutta la preesistente disciplina della motorizzazione e della circolazione; la seconda norma, in particolare, sembra attribuire al Governo una sorta di delega in bianco, in cui i limiti della funzione legislativa conferita sono rappresentati solo dalla materia e, al suo interno, dal solo parametro dell’esigenza di tutela della sicurezza stradale che rappresenta, ex art. 2, primo periodo, della legge-delega, il minimo comune denominatore che si associa ai diversi principi e criteri direttivi, elencati nelle diverse lettere che seguono ma assenti proprio nella lettera t) oggetto di impugnativa.

  Una delega così configurata viola, ad avviso del Tribunale amministrativo, i principi costituzionali in tema di delegazione, che prescrivono direttive vincolanti e limitatrici della discrezionalità del Governo.

  E’ vero - prosegue il giudice a quo - che, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, non può eliminarsi ogni margine di discrezionalità, poichè il Governo deve poter valutare le specifiche fattispecie da regolare, ma non può comunque ritenersi conforme a Costituzione il conferimento di una delega così generica e tale da far assurgere proprio il libero apprezzamento del Governo quale criterio direttivo, ciò che é agli antipodi della legislazione vincolata.

  Neppure é invocabile il principio, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, che ammette il ricorso a deleghe per relationem rispetto all’intero contesto della legge ovvero ad altri specifici atti normativi; nella specie, infatti, da un lato il richiamo agli atti normativi concerne i precedenti codici della strada del 1933 e del 1959 che sono l’oggetto della revisione, dall’altro l’esame dell’intero testo della legge-delega rafforza i dubbi di costituzionalità, perchè tutti i diversi punti dell’art. 2 paiono assistiti, in diverso grado, dall’indicazione dei principi e criteri direttivi, con l’eccezione proprio e soltanto del punto collocato alla lettera t).

  Nè, infine, varrebbe in contrario a giustificare una delega di carattere così generico la eventuale considerazione della limitatezza delle finalità che essa deve raggiungere. Al contrario: la delega si configura come legge di revisione e riordino dell’intera materia della circolazione stradale, e coinvolge pertanto obiettivi certamente non circoscritti.

  Relativamente a questo primo profilo della censura, il Tribunale amministrativo richiede una dichiarazione di incostituzionalità della norma delegante (art. 2, lettera t), della legge n. 190 del 1991), nonchè, conseguentemente, dell’art. 120 cod. strada, sia nella versione anteriore al d.P.R. n. 575 del 1994 (nella parte in cui negava, per difetto dei requisiti morali, la possibilità di rilascio della patente a coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza), sia nella versione successiva a detto d.P.R. (nella parte in cui, sempre per difetto dei requisiti morali, prescrive la revoca della patente nei confronti dei soggetti che versano nella situazione anzidetta).

  4.2. — Una seconda censura, riferita al medesimo parametro dell’art. 76 della Costituzione, é sollevata dal Tribunale amministrativo, subordinatamente a quella detta al punto precedente, nei riguardi della sola normativa delegata.

  Per l’ipotesi, infatti, che la norma di delegazione sia ritenuta conforme a Costituzione, il giudice a quo reputa l’art. 120 cod. strada - nelle due versioni e con i contenuti già indicati - incostituzionale per eccesso di delega. Una volta ammessa la possibilità di una delega ampia e non caratterizzata da principi e criteri specifici, la valutazione del rispetto dell’art. 76 della Costituzione si sposta sul terreno della ratio della delega, dovendosi verificare se vi sia rispondenza tra la norma delegata e gli obiettivi che hanno ispirato il delegante, secondo la logica del naturale "rapporto di riempimento" tra i due piani normativi.

  Non risultando espresse nell’art. 2, lettera t), della legge-delega, per quanto si é detto, direttive specifiche, l’unica ratio che il Tribunale amministrativo ritiene desumibile dalla norma é quella di una generica valutazione non positiva della disciplina anteriore; ma allora il legislatore delegato non poteva estendere la disciplina in argomento anche a soggetti diversi da quelli che erano considerati dal precedente codice e dalla stessa norma di delega, che avevano e hanno entrambi riguardo - rispettivamente, negli artt. 82, primo comma e 91, dodicesimo comma, del codice della strada del 1959; e nell’art. 2, lettera t), più volte citato - soltanto a coloro che "sono" sottoposti a misure di sicurezza, e non anche a coloro che "sono stati" sottoposti ad esse.

  Questa estensione dell’ambito soggettivo di applicazione della disciplina non può essere ritenuta un completamento e uno sviluppo delle scelte del delegante, poichè nessun elemento in tale senso può ravvisarsi nel testo della delega. Del resto, lo schema originario del testo regolamentare proposto per il parere del Consiglio di Stato e poi divenuto il d.P.R. n. 575 del 1994, cui si deve l’attuale versione dell’art. 120 cod. strada, prevedeva, radicalmente, l’eliminazione dei casi di diniego della patente ai sottoposti - in atto o in precedenza - alle misure di sicurezza e finanche ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza nonchè ai condannati a pena detentiva non inferiore a tre anni.

  La seconda censura é, conclusivamente, rivolta a una dichiarazione di incostituzionalità, per violazione dell’art. 76 della Costituzione, dell’art. 120 cod. strada, anche in questo caso sia nella versione antecedente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 575 del 1994 (in cui il difetto del requisito morale consistente nel non essere stati sottoposti a misura di sicurezza vale come ostacolo al rilascio della patente) che nella versione conseguente a tale d.P.R. (in cui la stessa circostanza vale come ragione di revoca della patente).

  4.3. — La terza censura dedotta é di carattere "sostanziale", ed é riferita agli artt. 3 e 4 della Costituzione.

  Come si é già accennato, il d.P.R. n. 575 del 1994 era diretto, nello schema originario, a eliminare ogni incidenza delle vicende penali e preventive dell’interessato sul titolo abilitativo, con ciò mirando a "livellarsi con le tendenze da tempo in atto nella maggioranza dei paesi comunitari", prevedendo altresì l’eliminazione del valore di documento identificativo e la semplificazione del procedimento di rilascio. E’ stato il Consiglio di Stato, in sede di parere, a rilevare che l’eliminazione delle disposizioni in parola si collocava al di fuori dell’area consentita dalla delega regolamentare (art. 2, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537), trattandosi di innovazioni sostanziali e non solamente procedimentali. In particolare, il Consiglio di Stato ha sottolineato il persistere di ineludibili esigenze di tutela delle ragioni di pubblica sicurezza, che devono essere contemperate con quelle di snellimento e semplificazione del rilascio del titolo, ma che non possono essere soppresse.

  Ne é risultato - prosegue il giudice a quo - un evidente compromesso nel testo attuale dell’art. 120 cod. strada, la cui rubrica é rimasta immutata e continua a essere riferita ai requisiti morali per il "rilascio" della patente, mentre la norma configura una ipotesi di revoca obbligatoria di un titolo già rilasciato, in presenza dei presupposti ivi indicati, secondo uno schema analogo a quello previsto dall’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 in tema di revoca delle licenze di polizia amministrativa.

  In tal modo, la soluzione che é prevalsa é stata quella di lasciare complessivamente inalterata la disciplina di maggior rigore del nuovo codice, rispetto al precedente testo unico del 1959, che precludeva il rilascio - e imponeva la revoca - della patente solo nei confronti di coloro che "sono sottoposti", implicitamente escludendo dal proprio ambito coloro che avessero già esaurito l’applicazione della misura.

  Ma questa scelta del legislatore, anteriore come successiva al d.P.R. n. 575 del 1994, é, ad avviso del rimettente, irragionevole e perciò lesiva dell’art. 3 della Costituzione.

  L’indiscutibile riserva alla discrezionalità legislativa delle scelte di carattere sanzionatorio deve infatti comunque rispettare il limite della ragionevolezza, giacchè il legislatore non é arbitro assoluto di tali scelte ma deve collegare ogni previsione a un effettivo interesse da tutelare, bilanciandolo col sacrificio imposto al destinatario della previsione sanzionatoria.

  Un siffatto equilibrio non é, per il Tribunale amministrativo, ravvisabile nella specie, poichè l’equiparazione tra chi é in atto persona socialmente pericolosa (ed é perciò sottoposto a misura di sicurezza) e chi non lo é più, essendovi stato sottoposto, accomuna irragionevolmente condizioni differenti, affievolisce l’interesse del soggetto che non sia più pericoloso a un pieno recupero della socialità anche attraverso il lavoro e privilegia, sempre non ragionevolmente, l’interesse generale al controllo della persona, in vista della prevenzione di possibili ulteriori attività illegali, rispetto alla posizione del singolo.

  Inoltre, tali obiettivi generali sono tutelati in modo più apparente che reale, poichè, mentre le norme in discorso compromettono effettivamente la posizione dell’ex-prevenuto che sia motivato a mutare condotta, esse risultano per converso di dubbia efficacia nei riguardi di chi sia intenzionato a delinquere: questi non esiterà a guidare pure senza titolo abilitante, ovvero ricorrerà a espedienti diversi per aggirare il divieto. In definitiva, il sacrificio imposto a chi sia stato sottoposto a misura di sicurezza appare eccessivo e sbilanciato rispetto all’interesse pubblico alla sicurezza, il quale poi, a ben vedere, finisce anch’esso per risultare poco tutelato, se si considera che in genere le occasioni di lavoro lecito che sono offerte dal mercato alle categorie di persone in discorso richiedono, di fatto, il possesso della patente.

  Si profila, quindi, anche la violazione dell’art. 4 della Costituzione, per irragionevole limitazione nell’accesso al lavoro, quale aspetto del diritto garantito dalla citata norma costituzionale, sovente qualificato dalla Corte come fondamentale diritto di libertà della persona.

  Anche sotto questo aspetto, le limitazioni che la legge può porre a tutela di altri interessi aventi protezione costituzionale - nel caso, la sicurezza della collettività - non possono giungere al punto di determinare la pratica soppressione o comunque la grave compromissione del diritto individuale.

  Tale evenienza é ravvisabile, conclude il giudice a quo, nella situazione descritta, in cui, facendosi applicazione dell’art. 120 cod. strada e privandosi così del titolo di guida chi già ne sia in possesso, si impone al soggetto una limitazione dei propri diritti e in particolare di quello alla ricerca e al mantenimento di un lavoro che non é giustificata ed é eccessiva rispetto alle finalità che la norma vuole raggiungere.

  Per questo terzo profilo, la censura ha per oggetto ancora l’art. 120 cod. strada e ancora una volta secondo la bipartizione ratione temporis (prima e dopo il d.P.R. n. 575 del 1994) sopra riferita per i due precedenti profili.

  5. — E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo il quale la questione é infondata sotto ogni profilo.

  5.1. — Quanto alla prospettata genericità della legge delega, l’Avvocatura ricorda che il requisito della determinazione dei principi e criteri direttivi non può estendersi fino a coprire interamente l’area riservata al legislatore delegato, ma deve solo rispettare un coefficiente di adeguatezza in vista dell’indirizzo nei riguardi dell’attività normativa del Governo, e inoltre che il sindacato sulla posizione dei principi e criteri esorbita dal controllo di costituzionalità là dove perviene a investire il merito e l’opportunità delle linee direttive prescelte.

  Benchè vincolato ai prescritti parametri, poi, al Governo, nell’adozione della normazione delegata, deve comunque riconoscersi un margine di discrezionalità tecnica, indispensabile per disciplinare in dettaglio la materia, poichè altrimenti, se la legge delegante raggiungesse un eccessivo grado di puntualità, non sarebbe più neppure utile il ricorso allo schema della delegazione. Non può dunque condividersi la censura circa l’asserita "delega in bianco", poichè il criterio direttivo impugnato circoscrive sufficientemente la materia, i soggetti e gli obiettivi sui quali é chiamato a legiferare il Governo delegato.

  5.2. — Del pari infondata é, per l’Avvocatura erariale, la censura di eccesso di delega.

  In primo luogo, la norma delegante (art. 2, lettera t), della legge n. 190 del 1991) considera, con un riferimento generale, i "soggetti sottoposti" a determinate misure e dunque non esclude affatto, neppure dal punto di vista dell’interpretazione letterale, coloro che "sono stati" sottoposti in precedenza a dette misure.

  In secondo luogo, proprio le più generali ragioni di tutela della sicurezza e di revisione della disciplina tutta della circolazione fondano l’esigenza di innovare, legittimamente, rispetto alla precedente normativa, comprendendo ora anche coloro che "sono stati" sottoposti alle misure di sicurezza (o di prevenzione), in vista di una più marcata tutela delle anzidette ragioni di carattere obiettivo.

  5.3. — Ad avviso dell’interveniente, infine, é infondata anche la censura "sostanziale".

  Non é corretta - osserva l’Avvocatura - la distinzione radicale, prospettata dal rimettente, tra coloro che siano sottoposti in atto a misura di sicurezza e coloro che lo siano stati in precedenza, nel senso che solo i primi e non i secondi sarebbero qualificabili come pericolosi. Inoltre, non é neppure sostenibile che la titolarità della patente di guida costituisca sempre un presupposto necessario per svolgere una qualsiasi attività lavorativa. Il legislatore, nel comprendere anche la pregressa sottoposizione a misura ai fini che interessano, ha inteso accentuare l’azione di contrasto a fronte di fenomeni di criminalità che sono sicuramente agevolati dalla possibilità di condurre veicoli; esso ha dunque valorizzato esigenze di prevenzione di carattere più generale, secondo una linea che ispira anche altre disposizioni contenute in diversi settori normativi, come l’art. 28, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55, o come l’art. 2, comma 4, lettera e), della legge 15 agosto 1991, n. 287.

  D’altra parte, la scelta del legislatore tiene ragionevolmente conto dell’impossibilità, a partire dal 1988, di negare il rilascio della patente di guida alle persone diffidate ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1423 del 1956, come invece era possibile nella precedente disciplina della circolazione stradale (art. 82, secondo comma, del T.U. n. 393 del 1959). A seguito della legge 3 agosto 1988, n. 327, infatti, detta possibilità é venuta meno, in conseguenza della soppressione dell’istituto della diffida.

  Resasi impossibile una valutazione caso per caso dei motivi di pubblica sicurezza ostativi al rilascio della patente, in precedenza effettuabile attraverso l’istituto della diffida, il legislatore ha ritenuto di trasferire la preclusione al possesso del titolo sul piano degli effetti dell’applicazione di una più grave misura di sicurezza o di prevenzione, adottata dal giudice, garantendo al contempo l’eliminazione di tali effetti sfavorevoli al sopraggiungere della riabilitazione, penale o di prevenzione.

  Una scelta, questa, ragionevole e di contemperamento tra opposte esigenze, che appare immune da censure di incostituzionalità.

Considerato in diritto

  1. — Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, chiamato a decidere su un ricorso per l'annullamento di un provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, adottato nei confronti di persona già sottoposta alla misura di sicurezza della libertà vigilata, misura successivamente revocata prima del momento di adozione del provvedimento, dubita sotto diversi aspetti della legittimità costituzionale della disciplina vigente in materia, dalla cui applicazione dipende l'esito del giudizio innanzi a esso pendente.

  Innanzitutto, il giudice rimettente solleva dubbi sulla conformità alle regole costituzionali concernenti la delegazione legislativa al Governo (art. 76) del procedimento legislativo delegato che ha portato all'approvazione della norma che prevede la revoca della patente di guida nei confronti di coloro che siano "stati sottoposti a misure di sicurezza personali" (combinato disposto degli artt. 120 e 130 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 - Nuovo codice della strada).

  Ad avviso del rimettente, l'art. 2, lettera t), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale), nel disporre il "riesame della disciplina del ritiro, della sospensione e della revoca della patente di guida, anche con riferimento a soggetti sottoposti a misure di sicurezza personale e a misure di prevenzione", senza indicazione di principi o criteri direttivi alla cui stregua tale revisione dovesse avvenire, sarebbe di per sè lesivo del procedimento di delegazione legislativa previsto dall'art. 76 della Costituzione. Esso, infatti, non contempla la possibilità di abbandonare alle determinazioni del Governo, tramite deleghe "in bianco", le scelte legislative fondamentali e di indirizzo relative alle materie regolate, esigendo al contrario che, in proposito, si manifesti la valutazione politica preminente del Parlamento.

  All'incostituzionalità della norma legislativa di delega conseguirebbe l'illegittimità della norma del decreto legislativo adottata su tale base, risultante dagli artt. 120 e 130 del decreto legislativo n. 285 del 1992 che, tra i "requisiti morali" la cui perdita comporta la revoca della patente di guida, prevedono per l'appunto, oltre al "non essere", anche il "non essere stati" sottoposti a misure di sicurezza personali (salvi gli effetti di eventuali provvedimenti riabilitativi). L'illegittimità denunciata si estenderebbe poi, ad avviso del rimettente, anche all'art. 120 nella versione che risulta dal d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, un regolamento di delegificazione adottato dal Governo, ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla base dell'art. 2, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, il quale, "sostituendo" con il suo art. 5 l'art. 120 del decreto legislativo n. 285 del 1992, ha però ribadito la norma che prevede la revoca della patente di guida a coloro che "sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali".

  In via gradata, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale del procedimento di legislazione delegata sotto un differente aspetto. Sulla base di un'interpretazione rigorosa dell'ambito della delega conferita al Governo nella materia indicata dall'art. 2, lettera t), della legge n. 190 del 1991 - un'interpretazione che, in mancanza di diverse espresse indicazioni innovative da parte del legislatore delegante, comporterebbe per il legislatore delegato la necessità di non discostarsi dalle scelte sostanziali della legislazione previgente - lo stesso art. 120 del codice della strada, nelle due versioni anteriore e posteriore all'intervento di "delegificazione" operato con il menzionato d.P.R. n. 575 del 1994, risulterebbe lesivo della legge di delega e quindi incostituzionale per violazione dell'art. 76 della Costituzione in quanto prevede un caso di indegnità morale, e quindi di revoca della patente, non riscontrabile nella legislazione preesistente.

  Infine, lasciato il terreno dell'art. 76 della Costituzione, il giudice rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 120 del codice della strada, nelle due versioni sopra indicate, per violazione degli artt. 3 e 4 della Costituzione, sotto il profilo sia dell'irragionevolezza della determinazione normativa rispetto al principio costituzionale di uguaglianza, sia dell'irrazionalità dell'equiparazione, rispetto alla revoca della patente, di chi "sia stato" sottoposto a misura di sicurezza e quindi non sia più "socialmente pericoloso" a chi "sia" in atto sottoposto a tale misura e quindi sia ancora "socialmente pericoloso".

  2. — Preliminarmente all'esame del merito delle censure di incostituzionalità così proposte dal giudice rimettente, occorre escludere dal presente giudizio di costituzionalità la disposizione contenuta nell'art. 5 del d.P.R. n. 575 del 1994, "sostitutiva" dell'originario art. 120 del codice della strada, in seguito alla "delegificazione" prevista dall'art. 2, comma 7, della legge n. 537 del 1993.

  Indipendentemente dai problemi nascenti dalla successione nel tempo delle due versioni dell'art. 120, contenute, la prima, in una disposizione avente valore di legge e, la seconda, in un atto regolamentare; in particolare: indipendentemente dal valore normativo da attribuirsi alla disposizione contenuta nel regolamento, nella parte in cui indica le condizioni sostanziali della revoca della patente (materia non soggetta a "delegificazione" a norma dell'art. 2, comma 7, della legge n. 537 del 1993); indipendentemente dalla operatività, in relazione a tale parte "sostanziale" della disposizione "delegificata", della clausola abrogativa dell'originario art. 120 del codice della strada, contenuta nell'art. 2, comma 8, della legge n. 537 del 1993; indipendentemente dal problema della sindacabilità in sede di giudizio costituzionale delle norme, già legislative, conferite tramite "delegificazione" all'ambito di competenza dell'esecutivo (problema adombrato nella sentenza n. 23 del 1989 di questa Corte); indipendentemente, infine, da ogni valutazione circa l'eventualità di una disposizione composta da elementi risultanti da atti legislativi o aventi valore di legge e da atti aventi valore secondario; indipendentemente da tutto ciò, risulta dai fatti di causa, secondo l'esposizione dell'ordinanza di rimessione, che l'unica disposizione di cui il giudice rimettente deve fare applicazione é l'art. 120 del codice della strada nella sua versione anteriore all'intervento di "delegificazione".

  Infatti, il provvedimento di revoca della patente di guida, sulla cui legittimità il Tribunale amministrativo ha da pronunciarsi, é del 12 aprile 1995, mentre il d.P.R. n. 575 del 1994 di delegificazione - per effetto del suo art. 16 e della modifica a esso apportata con l'art. 2, comma 2, del decreto-legge 25 novembre 1995, n. 501, convertito in legge 5 gennaio 1996, n. 11 - é entrato in vigore solo successivamente, il 1° ottobre 1995. Non risultando, d'altra parte, alcun motivo che induca a discostarsi, nella specie, dalle ordinarie regole circa la determinazione del diritto da applicarsi alla fattispecie concreta, formatasi sotto la vigenza dell'originario art. 120 del codice della strada, é di questo che il giudice rimettente deve fare applicazione ed é ugualmente di questo, esclusivamente, che questa Corte può essere chiamata a vagliare la legittimità costituzionale.

  Pertanto, la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 5 del d.P.R. n. 575 del 1994, "sostitutivo" dell'originario art. 120 del codice della strada, deve essere dichiarata inammissibile.

  3. — La questione ritualmente proposta, circoscritta all'art. 120, da intendersi, alla stregua dell’ordinanza di rinvio, in relazione di combinato disposto con l'art. 130 del codice della strada, anch’esso nella sua formulazione originaria, é fondata sotto il profilo della violazione dell'art. 76 della Costituzione per contrasto tra il decreto delegato e la legge di delegazione.

  3.1. — La legge 13 giugno 1991, n. 190, contiene la delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale. A norma dell'art. 1, il Governo é stato delegato ad adottare disposizioni aventi valore di legge intese a "rivedere e riordinare" la legislazione vigente concernente la disciplina della motorizzazione e della circolazione stradale, "apportandovi le modifiche opportune o necessarie in conformità dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 2". Tale articolo stabilisce innanzitutto e in generale che "il codice della strada dovrà essere informato alle esigenze di tutela della sicurezza stradale" e poi ai principi e criteri direttivi previsti nelle seguenti lettere da a) a gg). La lettera a) prevede, anch'essa in generale, l'adeguamento alla normativa comunitaria e internazionale, nonchè all'evoluzione tecnica e all'aumentata complessità del traffico, specialmente nei centri urbani, anche per mezzo di piani di circolazione e di traffico. Nelle lettere successive, da b) a gg), vengono poi indicati numerosi specifici aspetti della materia che il nuovo codice della strada deve regolare, per lo più corredati dall'indicazione del senso da imprimere alla nuova disciplina, attraverso criteri e principi ad hoc.

  La lettera t) dell'art. 2, che qui interessa in particolare, prevede il "riesame della disciplina … della revoca della patente di guida, anche con riferimento ai soggetti sottoposti a misure di sicurezza personale", nonchè a misure di prevenzione. Questa indicazione, tuttavia, indubitabilmente - contrariamente a quanto il legislatore delegante ha inteso nell'incipit dell'art. 2, ove le lettere da a) a gg) sono qualificate quali "criteri e principi direttivi" - ha a che vedere piuttosto con la definizione e la specificazione della materia oggetto di delegazione, nell'ambito della generica materia della "disciplina della circolazione stradale".

  Il giudice rimettente ritiene questa essere quindi una norma di delegazione indeterminata, quanto al modo di svolgimento della disciplina da parte del Governo, e la sottopone al giudizio di costituzionalità per violazione dell'art. 76 della Costituzione, là dove esso impone al legislatore di circostanziare, tramite l'apprestamento di principi e criteri direttivi, il potere normativo il cui esercizio viene consentito al Governo.

  Una considerazione complessiva della legge di delega in questione e del suo significato di riforma del codice della strada anteriore, induce tuttavia a superare questo dubbio.

  Innanzitutto, pur mancando principi e criteri direttivi ad hoc nella disposizione contenuta nella lettera t) dell'art. 2, valgono indubbiamente anche rispetto alla materia ivi indicata le previsioni orientatrici poste in generale dall'art. 2 della legge di delega, vale a dire la tutela della sicurezza stradale e l'adeguamento alla normativa comunitaria e internazionale (oltre alla considerazione dell'evoluzione tecnica e dell'aumentata complessità del traffico, nella specie evidentemente priva di rilevanza).

  In secondo luogo, come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 305 del 1996, l'art. 1, comma 1, della legge n. 190 del 1991, delegando il Governo all'adozione di disposizioni aventi valore di legge intese a "rivedere e riordinare" la legislazione vigente in materia di disciplina della motorizzazione e della circolazione stradale, ha identificato direttamente, quale "base di partenza dell'attività delegata", il codice della strada previgente. Nell'ambito di una delega avente questo carattere, la revisione e il riordino - l'innovazione dunque - ma non già la sostanziale conferma della normativa previgente, necessitano di principi e criteri direttivi, idonei a circoscrivere le nuove scelte discrezionali dell'esecutivo. Cosicchè, la lettera t) dell'art. 2, che delega il Governo a operare un "riesame" della disciplina concernente la revoca della patente di guida, in mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino la riforma, deve essere intesa in un senso minimale, tale da non consentire, di per sè, l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente o, se del caso, richieste dal coordinamento con nuove norme apprestate dal legislatore delegato.

  3.2. — Ma proprio la ricostruzione anzidetta della normativa di delegazione induce a ritenere che l'art. 120 del codice della strada, nella parte in cui (in combinazione con l'art. 130 del codice medesimo) comporta la revoca della patente nei confronti delle persone che "sono state" sottoposte a misure di sicurezza, violi l'art. 2, lettera t), della legge n. 190 del 1991 e quindi l'art. 76 della Costituzione.

  La previsione del nuovo codice della strada non trova infatti riscontro nella legislazione previgente, nella quale (art. 82, primo comma, e art. 91, tredicesimo comma, numero 2, del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393) la revoca della patente era prevista nei confronti di coloro che fossero, ma non "fossero stati", sottoposti a misure di sicurezza.

  Trattandosi dunque di una innovazione, la si dovrebbe poter giustificare alla stregua dei principi e criteri direttivi posti in generale dalla legge di delegazione. Ma ciò non é.

  La norma impugnata prevede una misura amministrativa accessoria, rimuovibile soltanto per effetto di provvedimenti riabilitativi, conseguente alla circostanza di essere stati sottoposti a misura di sicurezza personale. Il che presuppone (artt. 202 e 203 cod. pen.) la commissione di un reato (o il compimento di un fatto non previsto come reato, ma considerato dalla legge, ai fini che qui interessano, equivalente) e un giudizio di pericolosità sociale, cioé di probabilità rispetto alla commissione di nuovi illeciti penali. La misura della revoca della patente si può spiegare, allora, in una luce o sanzionatoria o preventiva, in ogni caso in una logica, in senso lato, penalistica.

  Ma, indipendentemente dalla ragionevolezza di una simile determinazione legislativa, nessun principio o criterio direttivo, in tale logica, risulta dalla legge delega, nè direttamente, nè indirettamente per il tramite del riferimento agli impegni comunitari o internazionali assunti dallo Stato italiano. Cosicchè deve concludersi che il legislatore delegato non era abilitato a modificare in senso innovativo e restrittivo la disciplina dettata in proposito dalla precedente legislazione, con la conseguenza che la norma denunciata d'illegittimità costituzionale viola la legge di delegazione e, per essa, l'art. 76 della Costituzione.

  4. — La dichiarazione d'incostituzionalità per violazione dell'art. 76 della Costituzione assorbe le ulteriori censure mosse all'art. 120, per violazione degli artt. 3 e 4 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 120, comma 1, e 130, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella versione anteriore al d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, nella parte in cui prevede la revoca della patente nei confronti di coloro che "sono stati" sottoposti a misure di sicurezza personali;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come sostituito dall'art. 5, comma 1, del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, lettera t), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 ottobre 1998.

Presidente: Cesare MIRABELLI

Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 21 ottobre 1998.