Sentenza n. 129 del 1969
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SENTENZA N. 129

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 del decreto legislativo 19 ottobre 1944, n. 348 e dell'art. 12 del decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 469, recanti provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata, promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1967 dal tribunale di Milano nei procedimento civile vertente tra la società Commercio industria lubrificanti e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 55 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968.

Visto l'atto di costituzione dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 18 giugno 1969 la relazione del Giudice Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 19 ottobre 1967 nel procedimento civile vertente tra la Società Commercio industria lubrificanti (S.A.I.C.I.L.) e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, il tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 del decreto legislativo 19 ottobre 1944 n. 348, e 12 del decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 469, concernenti il conferimento al Ministro per le finanze della facoltà di disporre la corresponsione dell'imposta sulle entrate, derivanti dal commercio di alcuni prodotti e dallo svolgimento di talune attività, mediante il pagamento di canoni ragguagliati al volume degli affari, calcolato in base a dichiarazione del soggetto, o mediante l'applicazione di aliquote o quote condensate, determinate in rapporto al presunto numero degli atti economici imponibili.

Osserva nell'ordinanza il tribunale che le cennate disposizioni mal si concilierebbero con la riserva di legge contenuta nell'art. 23 della Costituzione, ove é stabilito che le prestazioni a carico dei cittadini, ivi compresi i tributi, possono essere imposte solo in base alla legge, riserva che rappresenterebbe l'accoglimento in sede costituzionale del principio di legalità in materia tributaria. Invero, prosegue l'ordinanza, perché siffatto principio sia rispettato, occorrerebbe che, nel conferimento di una potestà tributaria secondaria, quale si avrebbe nella specie, la previsione legislativa sia sufficientemente precisa in ordine ai soggetti passivi, ai presupposti di fatto ed alle aliquote massime della imposizione stessa. Ciò che non potrebbe dirsi nelle ipotesi in esame, in cui si attribuirebbe invece all'organo del potere esecutivo la facoltà di stabilire di volta in volta diversi criteri della base imponibile.

L'ordinanza, notificata il 2 marzo 1968, é stata comunicata nei modi di legge ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968.

L'Avvocatura osserva che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione, secondo cui l'istituzione del tributo deve avvenire "in base alla legge", sarebbe osservata anche nel caso in cui sia rinviata a provvedimenti amministrativi la determinazione di elementi o di presupposti della prestazione che siano espressione di discrezionalità tecnica. Tale criterio risponderebbe, d'altra parte, esattamente all'esigenza che gli Enti impositori, per il miglior conseguimento dei fini istituzionali, e in attuazione del principio della capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione, debbono essere necessariamente investiti della potestà di sviluppare e di rendere determinati gli elementi del rapporto tributario enunciati dalla legge, la quale ben potrebbe limitarsi, quindi, a fissare i caratteri essenziali dell'obbligazione tributaria o la base giuridica per la loro determinazione, mediante criteri idonei a circoscrivere la discrezionalità della Pubblica Amministrazione dell'esercizio del potere di imposizione.

Le norme impugnate risponderebbero a tali concetti, giacché, in sostanza, con esse si attribuirebbe al Ministro soltanto il potere di stabilire speciali modalità di pagamento del tributo, con l'osservanza peraltro, di precisi limiti, indicati dalle norme stesse, sia per quanto riguarda le singole entrate, tassativamente previste, sia per quanto riguarda la misura del tributo, la cui aliquota condensata dovrebbe riflettere l'incidenza che l'imposta, in misura normale avrebbe nei passaggi imponibili che, effettuano in media, i prodotti considerati.

Conclude pertanto chiedendo dichiararsi infondata la questione come sopra sollevata.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dall'ordinanza del tribunale di Milano, avrebbe base nella non rispondenza all'art. 23 della Costituzione (riserva di legge per l'imposizione di prestazioni patrimoniali) degli artt. 10 del decreto legislativo luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 348, e 12 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 27 dicembre 1946, n. 469, che, in materia di imposta generale sull'entrata, conferiscono al Ministro per le finanze la facoltà di emanare, in determinati casi, decreti che, per la discrezionalità della valutazione della base imponibile, per i presupposti di fatto, i soggetti passivi dell'imposizione e le aliquote massime, non troverebbero preciso riferimento nella predetta normativa.

2. - La questione non é fondata.

Va osservato che il principio costituzionale, secondo cui l'imposizione di prestazioni patrimoniali é autorizzata solo "in base alla legge", esprime una riserva di legge soltanto relativa. La stessa formula espressa nell'art. 23 della Costituzione in sostituzione di altra formula più restrittiva, dapprima proposta, é indicativa di questo concetto.

La giurisprudenza di questa Corte (dalle sentenze nn. 4, 30 e 122 del 1957

 alle recenti n. 99 del 1968 e nn. 21 e 72 del 1969) é costante nel ritenere che non contrasti con l'art. 23 della Costituzione l'assegnazione ad organi amministrativi dei compiti, non soltanto meramente esecutivi (quali di fissare forme e termini per il pagamento di un'imposta come previsto dall'art. 26 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452) bensì anche dei compiti di determinare elementi, presupposti, o limiti, variamente individuabili, di una prestazione imponibile, in base a dati ed apprezzamenti tecnici.

Unica condizione é che siano preventivamente indicati, ed in modo sufficiente, i criteri direttivi di base o le linee generali da servire per delimitare la discrezionalità nella produzione di fonti secondarie della disciplina.

Verificandosi questa condizione, é da ritenere rispettato il principio di legalità dell'imposizione e sono altresì da ritenere soddisfatte quelle esigenze pratiche che il sistema palesa meritevoli di considerazione.

Questi criteri generali, applicati in particolare ai due decreti impugnati, conducono ad escluderne l'incostituzionalità.

Premesso che la questione proposta con l'ordinanza dà rinvio é limitata al punto concernente l'osservanza della riserva di legge va osservato che le norme in esame determinano particolari categorie di atti economici in relazione a quegli appartenenti alle singole categorie, le cui entrate sono passibili d'imposta, circoscrivendo così a priori l'ambito delle facoltà consentite al Ministro (quanto nel secondo decreto n. 469 del 1946 poteva apparire di generica ampiezza nell'indicazione di entrate per vendite al pubblico di qualunque materia, merce o prodotto é, poi, venuto meno, per effetto di nuove disposizioni della legge 18 dicembre 1959, n. 1070).

Inoltre, é da considerare che il sistema di imposizione mediante aliquote e misura delle stesse é delineato negli articoli da 1 a 5 che precedono, nel decreto legislativo luogotenenziale n. 348 del 1944, l'art. 10 impugnato (il successivo decreto n. 469 del 1946 contiene solo una estensione delle categorie assoggettabili).

Si ha, quindi, un collegamento tra atti normativi primari, cui solo spetta imporre tributi, e successivi provvedimenti ministeriali, che ne dipendono, al fine concreto di attuarne gli scopi, in base ad elementi, individuabili nel tempo, di natura tecnico-economica, e come tali discrezionalmente valutabili.

Tutto, compresa la fissazione della aliquota, si svolge e deve svolgersi sulla base di un procedimento indicato dalla legge e, perciò, immune da contraddizione sia al principio di legalità, sia a quello del riferimento alla capacità contributiva. Né ciò trova smentita nel fatto che il sistema consente di ricorrere a presunzioni, poiché il ricorso a tale metodo, che non può che ritenersi basato su elementi positivi, da cui derivare presunzioni qualificate, é giustificato in materia fiscale perché rappresenta il conseguimento di una verità giuridica, in caso di fatti reali di difficile accertamento (sentenza n. 99 del 1968).

D'altra parte, ad integrazione dei suesposti concetti, non é da trascurare che, nel quadro del sistema, rientra la garanzia data dalla possibilità del controllo giurisdizionale sulla legittimità dei provvedimenti ministeriali anche per contrastare eventuali esorbitanze di valutazione sotto le condizioni, forme e termini di cui ai decreti legislativi 27 dicembre 1946, n. 469, e 3 maggio 1948, n. 799.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata con ordinanza 19 ottobre 1967 del tribunale di Milano in riferimento all'art. 23 della Costituzione - dell'art. 10 del D.L.Lgt. 19 ottobre 1944, n. 348, recante "provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata" e dell'art. 12 del D.L.C.P.S. 27 dicembre 1946, n. 369, recante "nuovi provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1969.