Sentenza n. 21 del 1969

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SENTENZA N. 21

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, secondo comma, della legge 14 aprile 1956, n. 307; 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443; 15, terzo comma, della legge 28 luglio 1961, n. 830; e del D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, concernenti la misura dei contributi dovuti per l'assicurazione obbligatoria contro le malattie, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 6 dicembre 1967 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Magia Adriano, Orcesi Umbertp e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie, iscritta al n. 16 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 24 febbraio 1968;

2) ordinanza emessa il 29 novembre 1967 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Rossi Walter, iscritta al n. 20 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30 marzo 1968;

3) ordinanza emessa il 10 febbraio 1967 dal tribunale di Cagliari nel procedimento civile vertente tra l'Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna e l'Ente nazionale di previdenza per i dipendenti da enti di diritto pubblico, iscritta al n. 37 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968;

4) ordinanza emessa il 14 gennaio 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la ditta Termotecnica Russo e l'I.N.A.M., iscritta al n. 75 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 1 giugno 1968;

5) ordinanza emessa il 5 marzo 1968 dal tribunale di Como nel procedimento civile vertente tra la società S.A.L.V.I. e l'I.N.A.M., iscritta al n. 84 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 6 luglio 1968;

6) ordinanza emessa il 10 gennaio 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la Società generale esercizi automobilistici e l'I.N.A.M., iscritta al n. 127 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;

7) ordinanza emessa il 22 maggio 1968 dalla Corte d'appello di Caltanissetta nel procedimento civile vertente tra la società Etna trasporti e l'I.N.A.M., iscritta al n. 133 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;

8) ordinanza emessa il 10 aprile 1968 dal tribunale di Imperia nel procedimento civile vertente tra la Compagnia impianti elettrici e l'I.N.A.M., iscritta al n. 140 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;

9) ordinanza emessa il 27 febbraio 1968 dal tribunale di Livorno nel procedimento civile vertente tra la Compagnia impianti elettrici e l'I.N.A.M., iscritta al n. 146 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968;

10) ordinanze emesse il 29 maggio 1968 dal tribunale di Varese nei procedimenti civili vertenti tra la Società Cromos e l'I.N.A.M., iscritte ai nn. 147 e 148 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiate della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968;

11) ordinanza emessa il 31 maggio 1968 dal pretore di Piacenza nel procedimento penale a carico di Vita Finzi Zalmann Emilio Dattolo, iscritta al n. 164 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968;

12) ordinanza emessa il 14 maggio 1968 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra la Società Tirrenia gas e l'I.N.A.M., iscritta al n. 172 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968;

13) ordinanza emessa il 16 aprile 1968 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra la Compagnia impianti elettrici e l'I.N.A.M., iscritta al n. 183 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968;

14) ordinanza emessa il 29 maggio 1968 dal tribunale di Varese nel procedimento civile vertente tra la Compagnia impianti elettrici e l'I.N.A.M., iscritta al n. 196 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 261 del 12 ottobre 1968.

Visti gli atti di costituzione di Rossi Walter, della società Etna trasporti, dell'Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna, dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie e dell'Ente di previdenza per i dipendenti degli enti di diritto pubblico, e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 18 dicembre 1968 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi gli avvocati Giorgio Balladore Pallieri, Victor Uckmar e Lodovico Gallarati Scotti, per il Rossi, l'avv. Pietro Gismondi, per la società Etna trasporti, gli avvocati Arturo Carlo Jemolo e Antonio Sorrentino, per l'I.N.A.M., l'avv. Antonio Carbone, per l'E.N.P.D.E.P., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

  1. - Quindici ordinanze, di cui due emesse in procedimenti penali e tredici in giudizi di opposizione a decreti ingiuntivi, hanno proposto all'esame di questa Corte questioni di legittimità costituzionale di norme inerenti ai contributi per l'assicurazione obbligatoria delle malattie e all'addizionale per l'assistenza di malattia ai pensionati.

Si tratta delle seguenti ordinanze, elencate secondo l'ordine dell'iscrizione di esse nello speciale registro della cancelleria e riferentisi alle cause per ognuna di esse indicate:

  1. a) tribunale di Milano 6 dicembre 1967: Adriano Mangia e Umberto Orcesi contro Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie;
  2. b) pretore di Milano 29 novembre 1967: procedimento penale contro Walter Rossi;
  3. c) tribunale di Cagliari 10 febbraio 1967, pervenuta alla Corte addì 11 marzo 1968: Ente per la trasformazione fondiaria e agraria della Sardegna contro Ente di previdenza per i dipendenti da enti di diritto pubblico;
  4. d) tribunale di Milano 14 gennaio 1968: Termotecnica Russo contro Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie;
  5. e) tribunale di Como 5 marzo 1968: inerente S.A.L.V.I. contro l'Istituto predetto;
  6. f) tribunale di Milano 10 gennaio 1968: Società generale esercizi automobilistici contro l'Istituto citato e la Cassa di soccorso per i dipendenti della società stessa;
  7. g) Corte di appello di Caltanissetta 22 maggio 1968: Etna trasporti contro l'Istituto suddetto;
  8. h) tribunale di Imperia 10 aprile 1968: Compagnia impianti elettrici contro l'Istituto su indicato;
  9. i) tribunale di Livorno 10 aprile 1968: le stesse parti indicate per l'ordinanza che precede;

1) tribunale di Varese 23 maggio 1968: Società Cromos contro l'Istituto su ricordato;

  1. m) tribunale di Varese 29 maggio 1968: le parti di cui alla causa citata alla lettera precedente;
  2. n) pretore di Piacenza 31 maggio 1968: procedimento penale a carico di Vita Finzi Zalmann Emilio Dattolo;
  3. o) tribunale di Genova 14 maggio 1968: Tirrenia gas contro l'Istituto su citato;
  4. p) tribunale di Genova 16 aprile 1968: le medesime parti di cui all'ordinanza che precede;
  5. q) tribunale di Varese 29 maggio 1968: Compagnia impianti elettrici contro l'Istituto sopra indicato.
  6. - Per quanto concerne l'assicurazione contro la malattia dei lavoratori in attività di servizio, le ordinanze del tribunale di Genova del 14 maggio e 16 aprile 1968 denunciano l'art. 1, secondo comma, della legge 14 aprile 1956, n. 307, il quale stabilisce che la determinazione o la modificazione della misura dei contributi deve essere compiuta in relazione alle esigenze delle rispettive gestioni: esso lederebbe la regola dell'art. 76 della Costituzione, perché il riferimento a tali esigenze non é un criterio sufficiente a delimitare l'oggetto della delegazione conferita al Governo.

Siffatto assunto si trova ribadito nelle ordinanze del tribunale di Milano 6 dicembre 1967, del pretore di Milano 29 novembre 1967, dello stesso tribunale di Milano 14 e 10 gennaio 1968, della Corte di appello di Caltanissetta 22 maggio 1968, del tribunale di Imperia 10 aprile 1968, del tribunale di Livorno 10 aprile 1968, nelle tre del tribunale di Varese 29 maggio 1968 e in quella del pretore di Piacenza 31 maggio 1968. Le quali rilevano che l'art. 1, secondo comma, della citata legge 14 aprile 1956, n. 307, non solo non racchiude principi e criteri direttivi idonei a delimitare il compito dell'autorità delegata, ma non soddisfa nemmeno al precetto dell'art. 23 della Costituzione, perché non indica criteri idonei ad evitare che la determinazione della prestazione sia lasciata all'arbitrio dell'ente impositore. Le ordinanze dei pretori di Milano e di Piacenza osservano anzi che le esigenze della gestione assicurativa, limite dato all'autorità delegante e alla sua discrezionalità, sono, a loro volta, determinate dalla politica di gestione degli enti assicurativi, non controllata né controllabile a priori; e si tratta in ogni caso di esigenze future, quindi meramente discrezionali.

  1. - Con riguardo all'assistenza malattia per i pensionati, nell'ordinanza del tribunale di Como 5 marzo 1968, si sostiene che il conseguimento degli obiettivi indicati nel primo comma dell'art. 32 e nell'art. 38 della Costituzione, nella cui orbita sembra ricadere l'assistenza ai pensionati, é compito particolare dello Stato, e il relativo onere finanziario, costituendo vera e propria spesa pubblica, deve essere posto a carico della totalità dei cittadini in base alla loro capacità contributiva, non quindi gravare sui datori di lavoro e sui lavoratori in servizio mediante addizionali ai contributi ordinari. In conseguenza il tribunale predetto sostiene l'illegittimità costituzionale, ex artt. 32 e 38 della Costituzione:
  2. a) dell'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, che appunto dispone nel modo lamentato per l'addizionale ai contributi ordinari che esso istituisce al fine di finanziare l'assistenza malattia a favore dei pensionati;
  3. b) dell'art. 15, terzo comma, della legge 28 luglio 1961, n. 830, che determina la misura del contributo complessivo dovuto al fondo per la previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione, obbligando, per il 16,80 per cento, i datori di lavoro e, per il 5,80 per cento, gli agenti;
  4. c) dell'art. 1 del D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, che fissa la misura dell'addizionale ai sensi della predetta legge 31 dicembre 1961, n. 1443.

A sua volta, l'ordinanza del tribunale di Cagliari del 10 febbraio 1967 sostiene la natura legislativa del citato D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194 (in conformità, del resto, all'ordinanza del tribunale di Milano 6 dicembre 1967 e a quella della Corte di appello di Caltanissetta 22 maggio 1968); e, sulla base di questa qualifica, ne assume l'illegittimità in base all'art. 89 della Costituzione, perché manca la firma del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il decreto non potrebbe avere forza cogente se non avesse forza legislativa, data la riserva di legge contenuta nell'art. 23 della Costituzione; peraltro, si legittima unicamente ex art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, su ricordata, che indica il termine entro cui il potere normativo avrebbe potuto essere esercitato dal Governo e stabilisce criteri direttivi, sia pure non sufficientemente precisi.

Invece le ordinanze del tribunale di Genova del 14 maggio e 16 aprile 1968 prospettano la illegittimità costituzionale dell'art 5, quarto comma, della legge suindicata del 31 dicembre 1961, n. 1443, in quanto, nel dettare le modalità e le forme da seguire per la determinazione dell'addizionale, prescrive soltanto il limite del fabbisogno dell'assistenza malattia ai pensionati relativo a ciascuna gestione: il tribunale applica anche a tale norma le osservazioni che esso stesso ha proposto per l'art. 1, secondo comma, legge 14 aprile 1956, n. 307, concernente l'assicurazione generale, e i cui termini sono stati già riferiti.

Le citate ordinanze del tribunale di Milano 6 dicembre 1967, del pretore di Milano 29 novembre 1967, dello stesso tribunale di Milano 14 e 10 gennaio 1968, della Corte di appello di Caltanissetta 22 maggio 1968, del tribunale di Imperia 10 aprile 1968, del tribunale di Livorno 10 aprile 1968, le tre ordinanze del tribunale di Varese 29 maggio 1968 e quella del pretore di Piacenza 31 maggio 1968 prospettano l'illegittimità del terzo comma di detto art. 5 della legge del 1961, anziché del quarto. Questo terzo comma dispone che la misura dell'addizionale deve essere determinata con le medesime forme e le medesime modalità prescritte per la determinazione dei contributi principali; e nemmeno esso dà precisi principi e criteri direttivi secondo l'art. 76 della Costituzione o circoscrive la discrezionalità dell'ente impositore secondo l'interpretazione da dare all'art. 23 della Costituzione stessa.

  1. - Le ordinanze del pretore di Milano e di quello di Piacenza, essendo state pronunziate all'udienza, sono state notificate soltanto al Presidente del Consiglio dei Ministri; la notifica é avvenuta rispettivamente il 10 gennaio e il 19 giugno 1968. Sono state comunicate ai Presidente delle Camere del Parlamento rispettivamente il 4 gennaio e il 2 luglio 1968; sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 30 marzo e del 28 settembre 1968, nn. 84 e 248.

Le altre ordinanze sono state notificate alle parti nelle date seguenti: il 3 e 4 gennaio 1968 (tribunale di Milano 6 dicembre 1967), il 5 giugno 1967 (tribunale di Cagliari 10 febbraio 1967), il 15 e 18 marzo 1968 (tribunale di Milano 14 gennaio 1968), il 25 marzo 1968 (tribunale di Como 5 marzo 1968), il 2 maggio 1968 (tribunale di Milano 10 gennaio 1968), il 17 giugno 1968 (Corte d'appello di Caltanissetta 22 maggio 1968), il 26 giugno e 2 luglio 1968 (tribunale di Imperia 10 aprile 1968), il 26 marzo 1968 (tribunale di Livorno 10 aprile 1968), il 27 giugno 1968 (tribunale di Varese 29 maggio 1968, prima ordinanza), il 14 giugno 1968 (tribunale di Varese 29 maggio 1968, seconda ordinanza), il 13 luglio 1968 (tribunale di Genova 14 maggio 1968), il 15 e 16 maggio 1968 (tribunale di Genova 16 aprile 1968), il 6 e 7 agosto 1968 (tribunale di Varese, terza ordinanza).

Le tredici ordinanze predette sono state notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri nei giorni appresso indicati, elencati secondo l'ordine di cui sopra: 10 gennaio 1968, 12 giugno 1967, 15 marzo 1968, 26 marzo 1968, 8 marzo 1968, 20 giugno 1968, 11 maggio 1968, 10 luglio 1968, 20 giugno 1968 (per le due prime ordinanze del tribunale di Varese), 20 luglio 1968 e 24 luglio 1968, 12 agosto 1968. Le comunicazioni ai Presidente delle due Camere sono state effettuate nelle seguenti date, elencate nel suddetto ordine: 5 gennaio 1968, 8 giugno 1967, 14 marzo 1968, 26 marzo 1968, 3 maggio 1968, 14 giugno 1968, 5 giugno 1968, 10 luglio 1968, 24 giugno 1968 (per le due prime ordinanze del tribunale di Varese), 16 luglio 1968, 24 maggio 1968, 6 e 7 agosto 1968.

Tutte le quindici ordinanze, poi, sempre nell'ordine sopra citato, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica addì 24 febbraio 1968, n. 50, 20 aprile 1968, n. 102, 1 giugno 1968, n. 139, 6 luglio 1968, n. 170, 31 agosto 1968, n. 222 (per le tre ordinanze: tribunale di Milano 10 gennaio 1968, Corte d'appello di Caltanissetta 22 maggio 1968 e tribunale di Imperia 10 aprile 1968), 14 settembre 1968, n. 235 (per l'ordinanza del tribunale di Livorno 27 febbraio 1968 e per le prime due del tribunale di Varese del 29 maggio 1968), 28 settembre 1968, n. 248 (per ambedue le ordinanze del tribunale di Genova 14 maggio e 16 aprile 1968), 12 ottobre 1968, n. 261 (per la terza ordinanza del tribunale di Varese 29 maggio 1968).

Innanzi a questa Corte si sono costituiti, da una parte, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie e l'Ente nazionale di previdenza per i dipendenti da enti di diritto pubblico, quest'ultimo con riferimento alla causa promossa con ordinanza del tribunale di Cagliari 10 febbraio 1967, in cui non é parte l'Istituto predetto e, dall'altra, Walter Rossi (pretore di Milano 29 novembre 1967), l'Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria della Sardegna (tribunale di Cagliari 10 febbraio 1967), l'Etna trasporti (Corte d'appello di Caltanissetta 22 maggio 1968).

Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto nella causa promossa con l'ordinanza del tribunale di Milano 10 dicembre 1967 e in quella di cui all'ordinanza del tribunale di Como 5 marzo 1968.

  1. - Walter Rossi ha depositato deduzioni e memoria.

Dissentendo dall'ordinanza del pretore di Milano del 29 novembre 1967, egli opina che deve essere abbandonata la questione di illegittimità ex art. 76 della Costituzione, perché i decreti 26 agosto 1959, n. 870, e 31 dicembre 1963, n. 2194, che attuarono l'art. 1 della legge 14 aprile 1956, n. 307, e l'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, si presentano palesemente come atti amministrativi e non come decreti legislativi. Le due leggi suddette dispongono infatti che i contributi e l'addizionale debbano essere determinati con decreto del Presidente della Repubblica, di concerto con i ministri interessati, mentre la delegazione legislativa può essere data solo al Governo, ad esclusione di ogni altro organo, Capo dello Stato compreso. La legge 14 aprile 1956, n. 307, rinviava alle forme e alle modalità previste nelle deleghe precedenti; queste risultavano dal D.L.L. 19 aprile 1946, n. 231, ma la norma poteva avere carattere transitorio in attesa della nuova Costituzione, e, del resto, é principio certissimo che un decreto legislativo può essere modificato solo da legge ordinaria o da altri decreti oggetto di nuova delegazione, e che esula dalle possibilità del decreto legislativo di autorizzare l'emanazione di altri decreti legislativi. La stessa amministrazione non ritenne che le leggi 14 aprile 1956, n. 307, e 31 dicembre 1961, n. 1443, contenessero una delegazione, perché i decreti emanati in base alle medesime non si richiamano all'art. 76 della Costituzione, ma all'art. 87; uno di questi decreti non porta nemmeno la dichiarazione consueta che é nei decreti legislativi, riguardante la deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Le leggi impugnate non osservano l'art. 23 della Costituzione che esclude ogni potere discrezionale dell'amministrazione; nella specie é evidente che non si versa in una ipotesi di discrezionalità tecnica, perché la legge parla solo di una generica relazione tra entità del contributo ed imprecisate esigenze della gestione e non ricorre quella dovizia di elementi che la Corte ha richiesto per ritenere tecnico il giudizio (sentenze 8 luglio 1967, n. 122, e 11 luglio 1961, n. 48).

Sono imprecisate le esigenze della gestione perché ogni gestione può essere enormemente diversa a seconda delle disponibilità di bilancio; ed é la stessa autorità amministrativa che decide che cosa sia o non sia necessario fare, mentre il fabbisogno della gestione che delimiterebbe la discrezionalità amministrativa é, a sua volta, determinato da atti dell'amministrazione del tutto discrezionali; la Corte dei conti ha denunciato vari atti di liberalità compiuti dall'I.N.A.M. e un recente decreto del Ministro per il lavoro ha autorizzato l'acquisto di opere d'arte per adornare alcune sedi dell'I.N.A.I.L., per un totale di lire 65.500.000.

La giurisprudenza della Corte ha ritenuto sufficiente la delimitazione della discrezionalità mediante riferimento ai fini istituzionali dell'ente impositore in casi di imposizione estremamente modeste, quando, come per alcuni contributi consortili, l'imposizione doveva essere deliberata dagli stessi contribuenti, o quando concorrevano altri criteri; essa non ha mai generalizzato la regola che basti richiamarsi alla spesa necessaria, e ha sempre tenuto presente le peculiarità del caso particolare, ricercando volta per volta se le limitazioni contenute nella legge garantissero abbastanza i singoli; e nessuna delle fattispecie decise corrisponde a quella in esame.

Nella specie poi l'insufficienza della limitazione legislativa dei criteri dell'imposizione é confermata dal fatto che non v'é il più lontano rapporto fra ciò che l'Istituto elargisce sotto forma di assistenza e ciò che introita sotto forma di contributo; e dall'ulteriore fatto che, per quanto l'estensione dell'assistenza ai pensionati abbia coinvolto un numero di persone minore di quello dei lavoratori in servizio e comportato spese generali di minore entità, il contributo é stato elevato della metà: non v'é nemmeno un limite massimo alla discrezione.

É priva di rilevanza la considerazione che il D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, sia stato emanato sentito il consiglio di amministrazione degli enti gestori: si invoca la sentenza della Corte 14 febbraio 1962, n. 5, a proposito dell'Ente risi, non contrastata dalla successiva sentenza 3 maggio 1963, n. 55, che riguarda i consorzi di bonifica, organizzati su basi assembleari e con organi elettivi; e non conta nemmeno che la misura della prestazione é fissata da ministri, come la Corte ha deciso nella sentenza 16 dicembre 1960, n. 70, a proposito dello sconto sul prezzo dei medicinali.

Manca, infine, quel requisito su cui la Corte in tutte le sue sentenze ha insistito: l'esistenza di controlli che abbiano carattere ed efficacia di vera garanzia, e che, per la sentenza 30 gennaio 1962, n. 2, non possono consistere in pareri, seppure obbligatori, non vincolanti per l'amministrazione.

A questo punto il Rossi sostiene che l'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, deve essere inteso nel senso che deve aversi riguardo, nella determinazione dell'addizionale, non al globale fabbisogno dell'assistenza ai pensionati, come é stato fatto nel D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, ma ai fabbisogni dell'assistenza inerente a ciascun settore di attività dal quale i pensionati provengono: distingue inoltre tra gestioni erogatrici dei contributi e gestioni erogatrici dell'assistenza, per concludere e proporre il problema di una differenza di contribuzione in rapporto al diverso livello economico dei gruppi interessati e per rifarsi alla necessità di distribuire l'onere finanziario secondo il criterio della corrispondenza alla capacità contributiva.

  1. - L'Ente per la trasformazione fondiaria e agraria della Sardegna ripete gli argomenti adottati dal tribunale di Cagliari nella sua ordinanza 10 febbraio 1967; ed insiste nel richiedere che siano dichiarati illegittimi, in riferimento all'art. 89 della Costituzione, gli artt. 1, 2 e 3 del D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, che attuò la delegazione contenuta nell'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, relativa ai pensionati, e che é privo della controfirma del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L'Ente non ha depositato memorie.

  1. - L'Etna trasporti, nelle deduzioni e nella memoria, rileva in via preliminare l'inammissibilità della questione proposta dall'ordinanza della Corte di appello di Caltanissetta 22 maggio 1968, perché l'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, non può essere considerato norma delegante e l'art. 1 del D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, emesso in base alla prima legge, non può, per conseguenza, essere ritenuto norma delegata: fa proprio l'assunto esposto dal Rossi per cui il potere di determinazione dei contributi per l'assistenza ai pensionati é stato espressamente attribuito a singole autorità e non al Governo, come invece espressamente prescrive l'art. 76 della Costituzione. E pertanto ribadisce che i requisiti di legittimità della norma denunciata debbono ricercarsi nell'art. 23 della Costituzione.

Ora, é ben delimitata la potestà conferita ai ministri quando si é disposto che essi debbono far capo al fabbisogno dell'assistenza; e non si pongono generiche relazioni perché l'entità del fabbisogno va vista nel quadro della struttura normativa della particolare forma di assicurazione; al tempo dell'emanazione della legge investita dal giudice a quo esistevano già definiti una serie di almeno 5 costi annuali per ciascun settore di assistito, in grado di fornire una precisa indicazione sull'andamento del fabbisogno finanziario. Non può dubitarsi allora che fu attribuita all'autorità amministrativa una discrezionalità tecnica con riferimento a costi già noti, e in base altresì alla entità globale delle retribuzioni soggette a contribuzioni; all'amministrazione era demandata solo un'operazione matematica risolventesi nel tradurre il costo globale in percentuale di addizionale. Se le addizionali contributive si sono rivelate eccessive, é perché l'autorità amministrativa non ha tenuto conto dei criteri a lei dettati, il che dà luogo ad una illegittimità che deve essere dichiarata dal giudice ordinario; solo se si potesse scorgere nella norma in esame una attribuzione delegativa, la dichiarazione di illegittimità del provvedimento di attuazione potrebbe essere pronunziata per eccesso di delega.

In subordine l'Etna trasporti deduce che esso, per la legge 22 settembre 1960, n. 1054, assicura i propri lavoratori in servizio, non già presso l'Istituto nazionale per le assicurazioni contro le malattie, ma presso la propria Cassa di soccorso istituita ai sensi dell'all. B al R.D. 8 gennaio 1941, n. 148; cosicché può essere tenuta a corrispondere l'addizionale contributiva unicamente alla Cassa stessa.

In via più subordinata la società eccepisce l'incostituzionalità del quarto comma dell'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, nella parte che impone di corrispondere all'Istituto nazionale per le assicurazioni contro le malattie una unica addizionale contributiva; in via di estremo subordine deduce l'illegittimità costituzionale del rapporto norma delegante-norma delegata, per mancanza di principi e di criteri direttivi per l'esercizio del potere delegato, che ha prodotto la fissazione di aliquote non corrispondenti alle prestazioni effettivamente rese, o per lo meno non obiettivamente giustificate con opportuna motivazione, nonché per la ragione esposta dal Rossi che la norma delegata, il D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, non ha stabilito una addizionale per ciascuna gestione, come prescriveva il quarto comma dell'art. 5 della legge di delegazione in relazione al primo comma del medesimo articolo, e così ha dato causa alla pretesa dell'istituto di richiedere l'addizionale anche ad imprese che, per legge, non assicurano presso di esso i propri dipendenti.

  1. - L'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie ha depositato deduzioni nelle cause promosse dalle ordinanze del tribunale di Milano del 6 dicembre 1967 e 14 gennaio 1968, del pretore di Milano 29 novembre 1967, del tribunale di Imperia del 10 aprile 1968, del tribunale di Livorno 27 febbraio 1968, del tribunale di Varese 29 maggio 1968 (tre ordinanze), del pretore di Piacenza 31 maggio 1968, del tribunale di Genova 14 maggio e 16 aprile 1968. Ha poi presentato memorie nelle cause promosse dalle ordinanze del tribunale di Milano 6 dicembre 1967 e 10 gennaio 1968, del tribunale di Como 5 marzo 1968, del tribunale Imperia 10 aprile 1968, del tribunale di Livorno 10 aprile 1968, della Corte di appello di Caltanissetta 22 maggio 1968, del tribunale di Varese 29 maggio 1968.
  2. a) A proposito dell'art. 1 della legge 14 aprile 1956, n. 307, concernente i contributi principali, l'Istituto ha anzitutto rilevato che l'articolo predetto, ai fini della delegazione, richiama le forme e le modalità previste nei precedenti provvedimenti legislativi concernenti l'assicurazione stessa, che si identificano nei decreti legge 19 aprile 1946, n. 213, e 31 ottobre 1947, n. 1304, cosicché la questione di legittimità costituzionale del secondo comma di quell'articolo non avrebbe potuto essere sollevata senza proporre anche l'altra relativa ai precedenti atti normativi tanto più che la delegazione é stata attuata dal D.P.R. 26 agosto 1959, n. 870, con richiamo alla predetta legge del 1956. Comunque la questione fu proposta senza alcuna o senza congrua motivazione e, del resto, la norma denunciata determina puntualmente i principi e i criteri direttivi quando impone di tener conto delle esigenze delle gestioni. La legge impugnata assolve poi pienamente al dettato dell'art. 76 della Costituzione, perché la legge 11 gennaio 1943, n. 138, stabilisce l'entità delle prestazioni dovute dall'Istituto e la gestione é sottoposta, oltre che ad un organo di revisione di particolare competenza, al controllo della Corte dei conti, e quindi, attraverso la relazione di questa, del Parlamento: l'osservanza del limite sarebbe stata pienamente controllabile ove fosse stato dedotto che il legislatore delegato lo ha superato.
  3. b) Quanto all'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, relativo all'addizionale, secondo l'Istituto risultano rispettati gli artt. 23 e 76 della Costituzione, perché la norma denunciata fa riferimento, non alle necessità del bilancio dell'Istituto o degli altri enti erogatori, ma al fabbisogno dell'assistenza, che si identifica nel costo della medesima, e cioè nella spesa effettiva che l'ente impositore sostiene per l'espletamento del servizio computata in base a calcoli meramente matematici.

Circa il D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, che determinò la misura dell'addizionale, l'Istituto ne contesta il carattere legislativo e quindi la sua sindacabilità nel confronto con norme della Costituzione: a tal fine, dopo avere pure esso rilevato che il provvedimento reca in epigrafe la menzione dell'art. 87 della Costituzione, non dell'art. 76, osserva che la legge denunciata detta norme di formazione del decreto di fissazione dell'addizionale del tutto inconsuete per le delegazioni, perché chiama a partecipare all'iter legislativo i consigli di amministrazione degli enti pubblici interessati; aggiunge che l'art. 76 ha fatto suo il criterio tradizionale di considerare leggi delegate solo quelle che affidano al potere esecutivo l'emanazione, con libertà di apprezzamento e discrezionalità, di norme giuridiche primarie, solo facendo venire meno la possibilità di delegazioni piene: cosicché leggi delegate possono essere unicamente quelle riguardanti materia in cui é necessario stabilire principi giuridici, dettare una molteplicità di norme che, proprio per la loro complessità, per l'impossibilità della loro approvazione articolo per articolo, occorre affidare al potere esecutivo; mentre restano fuori dal loro ambito quegli atti che non pongono alcuna regola, alcun principio, ma fissano soltanto una cifra od una data od un perimetro entro cui dovrà avere vigore una norma.

Il decreto determinativo dei contributi non é stato emesso sulla base di una delegazione legislativa, non scorgendosi perché si dovrebbe pensare che siasi innovato alla nostra tradizione amministrativa, quale emerge soprattutto nella materia della finanza locale, della legge che stabilisce i tipi delle imposte, i soggetti imponibili e i criteri di applicazione, e lascia ai singoli enti di fissare la misura concreta, con deliberazioni amministrative ispirate alle circostanze e alle necessità: si deve ammettere che una legge stabilisca una prestazione obbligatoria, fissi le sue finalità, che ne costituiscono anche i limiti, e lasci ad un organo amministrativo di determinare la misura concreta, che si adegua alle finalità della prestazione. In tal caso il legislatore non possiede ancora i dati tecnici necessari, preferisce rimettersi ad una approfondita istruttoria di organi amministrativi, che nella specie implicava accertamenti indaginosi e complessi, diversi a seconda delle gestioni interessate; la semplice fissazione dei medesimi non poteva dar luogo ad una norma, comando generale ed estratto. Non si può esigere una nuova legge ad ogni variazione della misura contributiva; e nella specie era indispensabile distaccare dalla legge la fissazione della misura dell'aliquota, perché l'onere dell'assistenza malattia ai pensionati é in continuo aumento, perché occorreva guardare ad un periodo prossimo all'inizio di applicazione del nuovo sistema dell'assunzione dell'onere da parte delle gestioni dell'assicurazione contro le malattie dei lavoratori in attività di servizio. Occorreva partire dai dati noti fino a tutto il 1962 e compiere le estrapolazioni che si fossero riferite al ritmo di aumento della popolazione assicurata, all'età del pensionamento, alla crescente frequenza di ricorso alle prestazioni, ai costi medi unitari per prestazione; si trattava di compiere un accertamento attuariale, e il risultato di questa operazione doveva essere di tipo statistico ed aritmetico, non di tipo normativo, e in concreto non fu tenuto conto delle spese generali che continuarono a gravare e gravano nella gestione generale. Se si togliesse la possibilità di determinare la misura contributiva mediante atto amministrativo, il legislatore sarebbe costretto a fissare un massimo, perché dovrebbe considerare l'ipotesi del periodo sfavorevole, in cui occorra esigere la più alta misura del contributo; e i contribuenti finirebbero con il non corrispondere il giusto ammontare, per la tentazione che quel massimo suscita ad adeguarvi l'aliquota concreta.

Le esigenze della gestione sono determinate esclusivamente in base alle funzioni assistenziali che la legge assegna all'Istituto; il costo di tale assistenza emerge da conteggi precisi fino al centesimo, e il pericolo di arbitrio é, del resto, scongiurato dal fatto che la determinazione dell'aliquota avviene ad opera, non dello stesso ente impositore, ma di organi imparziali, e cioé i ministri per il lavoro e per il tesoro; ai quali giungono le istanze dei datori di lavoro, che sono i principali debitori dell'addizionale e che ben potrebbero far sentire le loro ragioni se ritenessero l'addizionale eccedente i bisogni dell'assistenza, ricordando ai ministri che i contributi, in definitiva, deprimono i valori e non favoriscono la piena occupazione; ogni organo che ha responsabilità di governo é, per ciò stesso, sensibile alla necessità di non gravare i datori di lavoro oltre la misura dello stretto. L'aliquota poi si determina sulla base dell'avviso espresso dai consigli di amministrazione degli enti interessati di cui fanno parte anche i rappresentanti delle categorie sindacali: tale avviso naturalmente deve essere accompagnato dai dati statistici da cui emerga la necessità di una data misura di addizionale, e che i ministri vagliano.

Quando si sostiene l'eccessività dell'addizionale non si considera che l'assistenza comprende non solo i pensionati per vecchiaia, ma anche i pensionati per invalidità (che spesso sono in giovane età e quindi gravano per molti anni sul bilancio dell'ente), e comprende pure le famiglie dei pensionati, con una popolazione assistita di 5-6 milioni di persone; non si considera inoltre che i pensionati, per la loro età o per le loro condizioni fisiche, sono soggetti ad una maggiore morbilità, che essi sono assistiti quale che sia la durata della loro infermità, che infine, secondo la interpretazione del Consiglio di Stato, l'assistenza di malattia ai pensionati comprende anche la tubercolosi. Chi ha seguito il corso delle leggi in materia, trova, negli atti preparatori, rilievi statistici e tabelle da cui appare come si tratti di un onere valutato con esattezza di cifre, e la stessa determinazione della misura dell'addizionale dimostra che non si procede con approssimazione e si richiede quanto occorrente e non più. Il decreto che stabilisce un'addizionale eccedente, essendo un atto amministrativo, sarebbe impugnabile al Consiglio di Stato, ed infatti fu impugnato davanti al Consiglio di Stato, che ne ritenne pienamente ammissibile il gravame.

In realtà l'assicurazione malattie é gestita col sistema finanziario della ripartizione: cioé si tratta di reperire per ogni anno, attraverso il gettito contributivo, l'onere delle prestazioni erogabili nell'anno stesso. In questo sistema la misura del contributo nasce dal rapporto in cui la spesa globale prevedibile si pone rispetto alla massa salariale: il consiglio di amministrazione previde, in base ai calcoli effettuati, che fosse in lire 34.793 il costo capitano medio del settore pensionati per il triennio 1964-66, ma questi costi vennero superati, sicché il gettito globale dell'addizionale del 3,80 per cento é stato inferiore di quasi dieci miliardi alla spesa effettivamente erogata, tenuto presente il sopravvenire di nuovi oneri legislativi (leggi 23 giugno 1964, n. 433, e 19 febbraio 1965, n. 31), la mancata emanazione dei provvedimenti necessari per la riscossione dei contributi rispetto a categorie, per cui si danno particolari sistemi di contribuzione (agricoltura, pescatori, apprendisti, ecc.), la disoccupazione e la contrazione degli orari di lavoro del 1966. La fiscalizzazione dell'aliquota dello 0,58 per cento e l'attribuzione all'Istituto di lire 34.800 milioni per l'art. 2 della legge 6 agosto 1966, n. 627, hanno poi rappresentato in fatto la perdita per l'Istituto di circa un miliardo rispetto alla somma che avrebbe percepito con riscossione diretta.

Con riguardo all'assunto per cui il costo dell'assistenza dei pensionati deve gravare sullo Stato, l'Istituto rileva che il pensionato non é un indigente e la garanzia che si ravvisasse nell'art. 32 della Costituzione a favore degli indigenti non entra in funzione; comunque l'articolo predetto non stabilisce affatto che alla gratuità dell'assistenza per l'indigente debba corrispondere una spesa a carico dello Stato: il quarto comma dell'art. 38 prevede proprio che ai compiti previsti nell'articolo provvedano "organi od istituti predisposti od integrati dallo Stato", non organi od istituti mantenuti dallo Stato. Questo ha la scelta fra la semplice predisposizione e la integrazione, la quale implica unicamente la possibilità di un aiuto statale; cosicché non si può escludere che quei compiti siano posti a carico di particolari categorie, come ha deciso la Corte nelle sentenze 16 dicembre 1960, n. 70, e 9 giugno 1965, n. 44. Il pensionamento deve considerarsi come un protrarsi della condizione di lavoratore, una conseguenza di questa, e il pensionato perciò non ricade nella massa indifferenziata dei cittadini né in quella dei poveri: in conseguenza viene a mancare ogni fondamento anche al richiamo dell'art. 53 della Costituzione.

Sfuggono all'attuale giudizio le questioni d'interpretazione della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, ai fini di stabilire quali siano gli enti gestori dell'assistenza a cui favore deve essere versata l'addizionale e se questa deve venire determinata in relazione agli enti che curano l'assistenza malattie ai pensionati o invece rispetto agli enti che curano l'assistenza dei lavoratori in attività di servizio (sentenza 18 giugno 1963, n. 93).

  1. - L'Ente nazionale di previdenza per i dipendenti da enti di diritto pubblico, parte nella causa promossa nell'ordinanza del tribunale di Cagliari 10 febbraio 1967, tanto nelle sue deduzioni, quanto in una memoria, ha pure contestato il carattere legislativo al citato D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, non solo perché la legge prevedeva un provvedimento di determinazione dell'aliquota adottato su proposta di un singolo ministro, ma anche perché la legge stessa non dice che l'ammontare di quell'addizionale avrebbe dovuto essere fissato con decreto legislativo o avente valore di legge, né in alcun modo fa presumere che ciò intese disporre: ha stabilito il criterio di commisurazione, per l'esigenza del rispetto della riserva di legge contenuta nell'art. 23 della Costituzione e non per circoscrivere l'oggetto di una delegazione; ha posto il 31 dicembre 1963 quale termine per l'emanazione del decreto, non in ottemperanza dell'art. 76 della Costituzione, ma perché il primo comma dell'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, faceva decorrere dal 1 gennaio 1964 l'onere per l'assistenza ai pensionati da parte degli enti gestori dell'assicurazione di malattia per i lavoratori in servizio, e doveva assicurarsi il finanziamento della gestione a far capo da quella data. Il decreto non doveva perciò recare la controfirma del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Quanto all'osservanza della riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione, l'Ente richiama la giurisprudenza di questa Corte, per la quale é sufficiente che essa non lasci all'arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione e stabilisca criteri che nel loro complesso soddisfino le esigenze sopra delineate; limite dell'imposizione potrebbe essere anche la spesa effettiva sostenuta dall'ente impositore, ed é rispettata quella riserva ogni qualvolta si impegna un apprezzamento tecnico. La prestazione non é determinata dall'ente impositore, e trova il suo ragguaglio nel fabbisogno per l'assistenza ai pensionati, la cui determinazione costringe ad effettuare soltanto un calcolo strettamente aritmetico, moltiplicando il numero dei pensionati assistiti per l'indice statistico del costo unitario di tale assistenza. Il calcolo opera su dati oggettivi facilmente accertabili da chiunque, quindi controllabili anche dal giudice amministrativo, e passati al vaglio di più organi, cioè dei consigli di amministrazione degli enti interessati e dei ministri per il lavoro e per il tesoro. Contro l'arbitrio é in tal modo apprestata una sufficiente garanzia, resa maggiormente operante dal fatto che per la determinazione é prescritto un decreto del Capo dello Stato.

  1. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha prodotto deduzioni e memorie.

Per la causa concernente l'ordinanza del tribunale di Milano del 6 dicembre 1967 afferma che v'é delegazione di potere legislativo nel secondo comma dell'art. 1 della legge 14 aprile 1956, n. 307, non nel quarto comma dell'art. 5 della legge 31 dicembre 1963, n. 1443, che non é stato emanato in base all'art. 76 della Costituzione, né sentito il Consiglio dei Ministri. Nella prima legge si rispettano i principi dell'art. 76 della Costituzione circa l'esigenza di delimitare l'oggetto della delegazione, e in essa, come nella seconda, non si ferisce la riserva di legge disposta dall'art. 23 della Costituzione: entrambe le due leggi, ponendo il limite delle esigenze di gestione e del fabbisogno dell'assistenza, rimandano a precisi criteri di discrezionalità tecnica, concretantisi nell'utilizzazione di dati precisi risultanti dal rapporto in cui le prestazioni erogate e le spese sostenute vengono a trovarsi con il finanziamento attribuito.

A proposito della questione sollevata dall'ordinanza del tribunale di Como del 5 marzo 1968, il Presidente del Consiglio dei Ministri esclude che la legge sui pensionati e la legge 28 luglio 1961, n. 830, sugli addetti ai pubblici trasporti in concessione, alle quali l'ordinanza si é riferita, violino il principio generale della tutela della salute di tutti i cittadini (art. 32 della Costituzione), ed anzi le norme impugnate lo attuano. Sotto il profilo dell'art. 38 della Costituzione, viene fatto richiamo alla sentenza di questa Corte 9 giugno 1965, n. 44, nella quale si affermò che l'obbligo statale inerente all'assistenza e previdenza dei lavoratori, posto dall'art. 38 suddetto, può essere soddisfatto anche imponendo prestazioni a carico di soggetti diversi dallo Stato, sulla base di una comunanza, specifica o generica, di interessi o di collegamento, diretto o indiretto, tra la causa della imposizione e le finalità da conseguire: questo rapporto esiste per gli imprenditori e i lavoratori. L'assistenza di malattia ai pensionati é una assicurazione protratta dopo la cessazione dell'attività lavorativa, e il modo del suo finanziamento non può essere che quello stesso adottato per l'assicurazione contro le malattie, erogata nel corso del rapporto di lavoro; l'art. 38 suddetto non impone che alla previdenza e all'assistenza debba provvedere direttamente lo Stato attraverso i suoi organi.

Sotto il profilo dell'art. 53 della Costituzione la preferenza accordata al sistema della mutualità su quello dell'accollo alla collettività é il risultato di una scelta che spetta al legislatore di compiere; e, nella specie, la spesa grava in parte sulla collettività, dati i non sporadici interventi operati dallo Stato ad integrazione del finanziamento mediante contributi.

  1. - All'udienza del 18 dicembre 1968 i difensori delle parti e del Presidente del Consiglio dei Ministri hanno ribadito le rispettive tesi e confermato le conclusioni già prese negli atti di costituzione e d'intervento.

 

Considerato in diritto

 

  1. - Le cause possono riunirsi perché riguardano le medesime questioni o questioni collegate.
  2. - Esse possono decidersi nel merito perché non sono attendibili le pregiudiziali proposte dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie.

Non é fondato infatti che le ordinanze dei giudici di merito mancano di motivazione o di congrua motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. Esse invece hanno dato sufficiente ragione della convinzione conclusiva, per un verso, quando si sono limitate a negare che le norme denunciate pongano criteri o principi direttivi o comunque limiti di discrezionalità all'organo chiamato al compito di determinare i contributi assicurativi generali e l'addizionale pensionati, e, per un altro verso, quando hanno unicamente rilevato che il decreto relativo all'addizionale manca della controfirma del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Non é poi accoglibile l'assunto secondo il quale l'art. 1, secondo comma, della legge 14 aprile 1956, n. 307, riguardante i contributi generali, non si sarebbe dovuto sottoporre al sindacato di costituzionalità senza promuovere eguale controllo per le leggi cui rimanda, circa le forme e le modalità di esercizio della potestà attribuita. Con tale rinvio la norma suddetta ha assunto le forme e le modalità richieste dalle leggi precedenti, come oggetto di una propria normativa in via di relatio; essa ha perciò una propria autonomia e può essere assoggettata al sindacato di questa Corte come norma completa, indipendente dalle altre richiamate, che sono state recepite nella loro integralità.

  1. - Non é giustificato l'assunto del tribunale di Como secondo cui l'onere finanziario dell'assicurazione malattia costituisce una spesa inerente ad un compito statale e deve gravare sulla totalità dei cittadini, anziché sui datori di lavoro e sui lavoratori. Esso é stato esposto con riferimento all'assicurazione dei pensionati, sulla quale soltanto si discusse innanzi a quel tribunale; ma ha una portata più ampia, per la sua idoneità a riflettersi anche sul sistema di finanziamento dell'assicurazione malattia dei lavoratori in attività di servizio. E va perciò esaminata in tale più vasta prospettiva.

Non giova però al suo sostegno il richiamo dell'art. 32 della Costituzione; esso garantisce cure gratuite agli indigenti privi di qualsiasi altra protezione sanitaria. Ma per i lavoratori l'assistenza malattia é oggetto del successivo art. 38, secondo comma; il quale vuole che lo Stato adotti le misure necessarie a rendere effettiva l'assistenza stessa, senza formulare decise soluzioni. L'art. 38, quarto comma, si limita a stabilire che ai compiti relativi provvedano organi ed istituti predisposti o integrati dello Stato, e nulla dispone di categorico sul finanziamento di tali organi e di tali istituti. É pertanto legittimo che si impongano ai datori di lavoro e ai lavoratori, prestazioni patrimoniali di copertura della spesa di assistenza malattia sul fondamento di meditate soluzioni di giustizia sociale e su questa linea é già la giurisprudenza di questa Corte, la quale, nelle sue sentenze 6 dicembre 1960, n. 70, 20 maggio 1965, n. 44, e 3 aprile 1968, n. 23, ha deciso che l'art. 38 della Costituzione non esclude che possano farsi gravare su singole categorie di soggetti gli oneri finanziari inerenti ai compiti cui esso si riferisce.

  1. - Le norme denunciate si mantengono sulla linea dell'art. 38, quarto comma, della Costituzione, perché fanno proprio il sistema del finanziamento per contributi calcolati sull'importo delle retribuzioni dovute ai lavoratori, senza respingere l'obbligo integrativo dello Stato che, infatti, negli ultimi anni com'é noto, ha trovato più di una attuazione.

La determinazione dei contributi, fino al 18 maggio 1963, fu rimessa, per l'assicurazione dei lavoratori in attività di servizio, ad un decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per il tesoro, sentito l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie e le organizzazioni nazionali sindacali interessate (art. 1, secondo comma, della legge 14 aprile 1956, n. 307, in relazione all'art. 1, terzo comma, del D.L. 9 aprile 1946, n. 212, all'art. 1, secondo comma, del D.L. 19 aprile 1946, n. 213, e all'art. 1, del D.L. 31 ottobre 1947, n. 1304). Per l'assicurazione a favore dei pensionati, la determinazione stessa fu deferita ad un decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro il 31 dicembre 1963, su proposta pure del Ministro per il lavoro, di concerto con quello per il tesoro, sentiti soltanto i consigli di amministrazione degli enti gestori dell'assicurazione di malattia interessati (art. 5, quarto comma, della legge 31 dicembre 1961, n. 1443); l'art. 15 della legge 28 luglio 1961, n. 830, concernente gli addetti ai pubblici servizi di trasporto, é denunciato unicamente ex artt. 32 e 38 della Costituzione, ed essendosi ritenuta non fondata la questione inerente a detti articoli, non viene più in esame.

Le questioni proposte fanno tutte centro su un dubbio sorto innanzi ai giudici di merito, circa la natura della potestà attribuita dalle norme predette per la determinazione dei contributi principali e dell'addizionale, e circa l'osservanza dei precetti contenuti negli artt. 23 e 76 della Costituzione per ciò che concerne i limiti da segnare all'attività, rispettivamente legislativa o amministrativa, da tali articoli consentita al potere esecutivo o all'autorità amministrativa.

  1. - É innegabile che, riguardo ai contributi principali, con l'art. 1, secondo comma, della legge 14 aprile 1956, n. 307, si é posta in essere una delegazione legislativa. L'articolo rinvia, per la determinazione dei contributi, alle forme e alle modalità previste nelle delegazioni risultanti dalla legislazione anteriore, e quindi a quelle indicate nei citati decreti legislativi 9 aprile 1946, n. 212, 19 aprile 1946, n. 213, e 31 ottobre 1947, n. 1304; i quali, a loro volta, rimandavano espressamente all'art. 3, n. 1, della legge 31 gennaio 1926, n. 100. In quei decreti non era nominato il Governo come destinatario della potestà; ma il riferimento, che vi si conteneva, all'art. 3, n. 1, della predetta legge 31 gennaio 1926, n. 100, consentiva di supplire all'omissione, perché tale articolo attribuiva al Governo la facoltà di emanare norme aventi forza di legge quando a ciò fosse stato delegato da una legge. Si rinnovavano, in tal modo, le delegazioni contenute nella legislazione precedente e le si adeguavano alle prescrizioni della sopravvenuta Costituzione, che le aveva rese inefficaci perché erano a tempo illimitato e non contenevano principi e criteri direttivi. La tecnica all'uopo adoperata può essere discutibile, ma la sostanza normativa é chiara; e, infatti, il D.P.R. 26 agosto 1959, n. 870, con il quale fu esercitata la delegazione concessa dalla legge del 1956, é stato emanato, sentito il Consiglio dei Ministri, com'é espressamente detto nella premessa, quindi é un atto promanante dal Governo, com'é anche per le delegazioni legislative. Esso si riporta, é vero, all'art. 87, comma quinto, della Costituzione, e non pure all'art. 76; ma ciò non é decisivo, perché quel comma riguarda, assieme all'emanazione dei regolamenti, l'esercizio della funzione presidenziale di promulgare le leggi e di emanare i decreti aventi forza di legge.

Per l'addizionale ai contributi principali deve però farsi un discorso diverso. La legge 31 dicembre 1961, n. 1443, all'art. 5, terzo comma, richiamò le forme e le modalità già usate per la determinazione della misura del contributo principale, senza far cenno alcuno a delegazione, come invece aveva espressamente fatto l'art. 1, primo e secondo comma, della legge 14 aprile 1956, n. 307. In tal modo essa manifestò unicamente la volontà di disporre che fossero adottati i procedimenti prescritti anteriormente, non quella di trasferire la potestà legislativa dal Parlamento al Governo, così staccando la forma del decreto presidenziale dal titolo di una delegazione. Ciò é confermato dal quarto comma dello stesso art. 5, ove si specifica che quelle forme dovevano consistere in un decreto del Presidente della Repubblica, senza alcun accenno a deliberazione del Consiglio dei Ministri, come invece era stato previsto nella legge del 1956, per l'indiretto richiamo all'art. 1, n. 3, della legge 31 gennaio 1926, n. 100; non é concludente osservare che il comma contiene un termine entro cui il potere si sarebbe dovuto esercitare, perché anche all'esercizio di una potestà amministrativa può assegnarsi un termine, che, nella specie, era acceleratore, dato che coincideva con la data in cui avrebbe iniziato il suo vigore un nuovo sistema di erogazione delle prestazioni assicurative. Che non vi sia delegazione legislativa é confermato poi dal fatto che l'iter formativo della legge si concluse il 31 dicembre 1961 con l'approvazione di essa, non da parte della Assemblea della Camera dei deputati, ma dalla sua XIII Commissione permanente (Camera dei deputati, Atti parlamentari, 1958-1963, Discussioni della XIII Commissione in sede legislativa, pag. 543) e quindi senza l'uso del procedimento previsto dall'art. 72, quarto comma, della Costituzione per le leggi che delegano al Governo l'esercizio della funzione legislativa. Ben poteva quindi il D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, essere emesso senza la controfirma del Presidente del Consiglio dei Ministri e senza la previa deliberazione del Consiglio stesso; epperò manca in esso la natura di atto avente forza di legge. É un atto amministrativo riconducibile alla riserva di cui all'art. 23 della Costituzione, ritenuta da questa Corte di portata relativa fin dalla sua sentenza 16 gennaio 1957, n. 4, quindi tale da permettere una determinazione di aliquote mediante atto dell'amministrazione: il richiamo che vi si fa all'art. 87, comma quinto, della Costituzione attiene stavolta alla potestà presidenziale di emanare i regolamenti.

  1. - La delegazione legislativa per la determinazione dei contributi generali non avrebbe potuto contenere più che l'indicazione di un modulo di misure dell'aliquota, in maniera da evitare ogni manifestazione di arbitrio; e l'attribuzione della potestà amministrativa di determinare l'addizionale per i pensionati non avrebbe potuto ricevere se non vincoli dipendenti da moduli di quel genere, escludenti qualsiasi discrezionalità. Le norme sottoposte al controllo di questa Corte rispondono a tali criteri.

Il contributo principale avrebbe dovuto essere determinato "in relazione alle esigenze della gestione" e l'addizionale "in relazione al fabbisogno dell'assistenza"; con ciò non si é però prescritta, come si sostiene, una generica relazione tra entità del contributo o dell'addizionale e imprecisate esigenze della gestione e dell'assistenza, ma si é portata l'assicurazione obbligatoria contro le malattie sotto il cosiddetto regime di ripartizione che, com'é noto, é una delle basi finanziarie che può sorreggere il rapporto di assicurazione, e che divide tra gli assicurati o tra gli obbligati al contributo il costo della prestazione dell'assicuratore. Siffatto regime riceve netti contorni nella scienza e nella tecnica assicurativa; e nella specie implica l'esigenza di un rapporto matematico fra il costo globale dell'assistenza e la massa salariale imponibile, l'una e l'altra calcolate sulla base dei risultati ponderati delle gestioni precedenti e delle probabilità di variazioni desunte da indici elaborati in modo obiettivo secondo precise regole attuariali, salve le contribuzioni integrative che lo Stato avesse ritenuto di disporre a favore dell'ente erogatore dell'assistenza e a sgravio dei soggetti obbligati ai contributi. In questo sistema, i coefficienti che concorrono a formare l'importo percentuale della prestazione dovuta si desumono da fattori demografici, economici, sanitari, organizzativi e simili, da rilevazioni e da giudizi formatisi in campo scientifico, quelli che si sogliono financo riassumere in vere e proprie formule algebriche. Onde la relazione ministeriale alla legge 14 aprile 1956, n. 307, poteva ben avvertire che l'ammontare del contributo doveva determinarsi mediante un procedimento di carattere squisitamente tecnico, dal quale avrebbero dovuto esulare apprezzamenti di natura discrezionale e politica. La relazione che illustra la legge 4 agosto 1955, n. 692, istitutiva dell'assicurazione malattia per i pensionati, procede poi elaborando indici tratti financo dall'esperienza straniera, che hanno permesso altresì di ricavare il costo medio dell'assistenza per ciascun pensionato con carico di famiglia; e sullo stesso terreno si pone pure la relazione alla legge 31 dicembre 1961, n. 1443, oggetto delle odierne cause. L'assicurazione obbligatoria contro le malattie, all'entrata in vigore delle leggi denunziate, era già in attuazione da lungo tempo, e le norme in esame non potevano non essersi riferite pure ai computi attuariali che si sarebbero potuto elaborare sulla base di tali esperienze.

Si può pertanto ritenere voluto dalle leggi denunziate l'uso di parametri precisi, i quali, men che ridurre ogni possibilità di apprezzamento libero da parte dell'organo designato alla funzione, la eliminavano; e la Corte che, fin dalla sua sentenza del 4 luglio 1957, n. 122, ha ritenuto legittima l'assegnazione ad organi amministrativi del compito di prefiggere elementi o presupposti di una prestazione imposta in applicazione di conoscenze tecniche, a fortiori deve ritenere che implichi principio o criterio direttivo per l'esercizio di una potestà delegata il rinvio a conoscenze del genere.

Non é a dire che, nella specie, il costo della prestazione contributiva, dovendo inoltre tener conto di quello dell'organizzazione amministrativa, avrebbe potuto risultare dal calcolo di componenti arbitrariamente maggiorate attraverso una politica di gestione destituita di severità o comunque indulgente alla spesa. Le leggi in esame, rapportandosi alle esigenze o al fabbisogno della gestione o dell'assistenza, hanno voluto che il contributo e l'addizionale si commisurassero ad un concetto di spesa che é in nesso di necessità con lo scopo da perseguire; e da tale profilo non si può ravvisare alcuna imprecisione di principi, di direttive, o di limiti. Le prestazioni dovute alla assicurazione sono tassativamente indicate dalle leggi rispettive, per tipo e per durata (art. 5 della legge 11 gennaio 1943, n. 138, e art. 3 della legge 4 agosto 1955, n. 692, modificato dall'art. 7 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443); che di costo di gestione si sarebbe potuto discorrere soltanto in ordine a ciò che fosse stato strettamente coordinato dalle finalità assicurative é confermato dall'art. 31, n. 4, della citata legge 11 gennaio 1943, il quale proibisce all'Istituto di impiegare i capitali disponibili nell'acquisto di beni immobili non destinati all'esplicazione delle sue funzioni sociali; si può anche ricordare che il trattamento economico del personale dell'Istituto era regolato dal D.L. 21 novembre 1945, n. 722, (oggi, più precisamente, dalla legge 29 maggio 1967, n. 337), che non dava margini di arbitrio; si può infine soggiungere che la stessa spesa del personale avrebbe potuto essere portata a base dell'aliquota in quanto fosse stata giustificata dalle occorrenze di servizio, quindi da una dimensione organizzativa a queste ragguagliata.

Non é esatto che i criteri stabiliti non erano suscettibili di controllo. A parte quello preventivo spettante ai ministri che dovevano assumere l'iniziativa dei decreti determinativi del contributo e dell'addizionale e a parte il controllo della Corte dei conti in sede di registrazione di tali decreti, si può rilevare che questi ultimi sono soggetti a controllo di legittimità, pienamente esercitabile da parte dei competenti organi di giustizia, dato il carattere tecnico dei criteri di base prescritti dalle leggi impugnate, ai fini di verificare se essi effettivamente hanno superato quei criteri. Comunque si deve rilevare che né si può giudicare la legittimità delle leggi impugnate dal modo come esse sono state attuate, né é utile accertare se le leggi stesse contengono norme di garanzie per gli anni futuri, in quanto la competenza dalle medesime attribuita si é del tutto esaurita con l'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica del 6 agosto 1959, n. 870, e del 31 dicembre 1963, n. 2194. Il vaglio di pericoli futuri si risolve nel sindacato sulla regolarità della gestione I.N.A.M. che nulla ha da vedere con il controllo costituzionale cui sono state sottoposte le due leggi del 1956 e del 1961: l'I.N.A.M. é stato assoggettato al riscontro della Corte dei conti con il D.P.R. 20 giugno 1961, e la giurisprudenza di detta Corte e le relazioni che essa ha presentato al Parlamento sui consuntivi dell'Istituto danno il segno della puntualità ed oculatezza con cui il riscontro stesso é stato esercitato.

Nemmeno v'é indeterminatezza di criteri e di limiti a causa del fatto che la gestione dell'I.N.A.M. é unitaria per l'assistenza ai pensionati: l'assunto non gioverebbe agli effetti della legge 14 aprile 1956, n. 307, perché quella unitarietà é stata disposta con la legge 26 febbraio 1963, n. 329, successiva anche al D.P.R. 26 agosto 1959, n. 870, che ha determinato i contributi principali. Il carattere globale della gestione non poté influire né sui criteri di delegazione riguardo all'assistenza generale, né sulla loro attuazione; e nemmeno può togliere precisione ai criteri indicati nella legge 31 dicembre 1961, n. 1443, per quanto concerne l'addizionale, essendo pure questa anteriore alla trasformazione del sistema di gestione: se in ipotesi avesse influito sul modo di attuazione della potestà amministrativa esercitata con il D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, potrebbe risultarne inficiato, a tutto voler concedere, questo decreto, non la norma attributiva della potestà stessa. Ciò esenta dal prendere in esame la fondatezza dell'osservazione fatta dall'Istituto, per cui la legge 26 febbraio 1963, n. 329, non vietò la contabilizzazione separata dei costi, e comunque l'analisi delle singole voci contabili; se pure fosse esatto che l'addizionale avrebbe dovuto essere destinata esclusivamente all'assistenza dei pensionati per il solo fatto di essere stata istituita per far fronte ai maggiori oneri che tale assistenza comportava.

  1. - I contribuenti hanno assunto che v'é sproporzione fra le aliquote determinate in base alle leggi denunziate, il costo delle prestazioni effettive e, di più, quanto all'addizionale, che il D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, avrebbe dovuto distinguere gestione da gestione ed escludere imprese che, per legge, non assicurano i propri dipendenti presso l'Istituto Ora, non solo non é stato denunciato il D.P.R. 26 agosto 1959, n. 870, che attuò la delegazione conferita con la legge 14 aprile 1956, n. 307, ma sfugge ad un sindacato di legittimità costituzionale il predetto D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, che si é qualificato atto non avente forza di legge.

Risulta poi irrituale l'istanza proposta direttamente a questa Corte per la dichiarazione dell'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, subordinatamente al caso in cui si decida che esso imponga un'unica addizionale contributiva; la Corte ha un potere di sindacato unicamente incidentale per ciò che ha riguardo alla prima delle ipotesi considerate nell'art. 134 della Costituzione, che é quella relativa alle questioni in esame; e comunque l'istanza tende a far decidere sulla legittimità del D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, che, come si é detto, non é assoggettabile a controllo di costituzionalità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse con le ordinanze elencate in epigrafe, concernenti:

1) l'art. 1, secondo comma, della legge 14 aprile 1956, n. 307, in riferimento agli artt. 23 e 76 della Costituzione;

2) l'art. 15, terzo comma, della legge 28 luglio 1961, n. 830, in riferimento agli artt. 32 e 38 della Costituzione;

3) l'art. 5 della legge 31 dicembre 1961, n. 1443, in riferimento agli artt. 32 e 38 della Costituzione;

4) l'art. 5, terzo e quarto comma, della stessa legge 31 dicembre 1961, n. 1443, in riferimento agli artt. 23 e 76 della Costituzione;

5) l'art. 1 del D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, in riferimento agli artt. 32 e 38 della Costituzione;

6) lo stesso D.P.R. 31 dicembre 1963, n. 2194, in riferimento all'art. 89 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1969.