SENTENZA N. 23
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge 5 luglio 1965, n. 798 (previdenza ed assistenza forense), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 febbraio 1966 dal pretore di Varese nel procedimento penale a carico di Cassani Mario Giuseppe, iscritta al n. 101 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 156 del 25 giugno 1966;
2) ordinanza emessa il 22 novembre 1966 dal Tribunale di Aosta sull'istanza di Cordone Maria, iscritta al n. 13 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967;
3) ordinanza emessa il 25 gennaio 1967 dal pretore di Avezzano sull'istanza di Ciangoli Antonio, iscritta al n. 27 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 25 marzo 1967;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 28 febbraio 1968 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;
udito il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con decreto penale del 31 agosto 1965 il pretore di Varese ha condannato Mario Giuseppe Cassani alla pena di lire quattromila di ammenda per contravvenzione all'art. 4 del D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393. Avverso detto decreto ha proposto opposizione il Cassani, deducendo come motivo l'incostituzionalità della norma, in applicazione della quale gli era stato intimato anche il pagamento della somma di lire duemila, quale contributo dovuto alla Cassa nazionale di previdenza e di assistenza a favore degli avvocati e del procuratori, e precisando di non essersi avvalso dell'opera di alcun legale. Il pretore, con ordinanza del 15 febbraio 1966, in accoglimento dell'eccezione dell'opponente, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 5 luglio 1965, n. 798, recante modifiche alle leggi 8 gennaio 1952, n. 6, e 25 febbraio 1963, n. 289 (nonché degli artt. 17, n. 3, e 2 della citata legge 1952, n. 6, e degli artt. 2 e 4 della citata legge 1963, n. 289), in riferimento agli artt. 3, 23, 38 e 53 della Costituzione. Le norme indicate, secondo il pretore, determinerebbero "nel livellamento contributivo, una disparità di trattamento del cittadini per effetto degli obblighi contributivi per il mantenimento" della Cassa, considerata "la finalità circoscritta di detta Cassa, la quale non può assurgere ad organo inteso al diretto soddisfacimento di un servizio generale dello Stato". Le anzidette norme, inoltre, sempre secondo il pretore, sarebbero in potenziale contrasto con l'art. 23 della Costituzione in quanto mancherebbe nella legge l'indicazione dei criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore e l'imposizione non avrebbe riguardo ad una effettiva pertinenza di servizi od interessi, capace di giustificarla. Un ulteriore motivo di illegittimità si riscontrerebbe in relazione all'art. 38 della Costituzione, "in quanto l'attività previdenziale si ritenga onere del lavoratori che ne beneficiano e del datori di lavoro del medesimi", nella mancata esclusione del cittadini privi di codesta legittimazione contributiva. Ed infine il più evidente motivo di illegittimità costituzionale sussisterebbe in riferimento all'art. 53 della Costituzione, "il quale - affermando l'obbligo di tutti i cittadini di concorrere alle spese pubbliche - ribadisce il criterio di una corrispondenza effettiva tra i contributi ed il carattere pubblico delle spese che essi sono destinati a sopperire, laddove il carattere pubblico sottintende precisamente un interesse collettivo non circoscritto ad un determinato ente ed a una determinata categoria di persone, quale che ne sia la funzione sociale".
2. - Con ordinanza del 25 gennaio 1967, il pretore di Avezzano, al quale era stato chiesto da Antonio Ciangoli lo svincolo di una indennità di espropriazione, ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale del succitato art. 3 della legge 1965, n. 798, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 42 e 53 della Costituzione. Il pretore, dichiarata la propria legittimazione a sollevare la questione, ha ritenuto manifesta "la ingiustizia della imposizione di un contributo a favore della Cassa di previdenza ed assistenza degli avvocati e del procuratori ed a carico del proprietario espropriato". Il contributo dovuto - secondo il pretore - non potrebbe essere considerato quale imposta, perché, a tacer d'altro, "i relativi proventi non sono destinati alle spese generali dello Stato, sebbene a fini di assistenza e di previdenza per gli avvocati e procuratori" e si prescinde "dalla capacità contributiva dell'obbligato". D'altra parte non si tratterebbe di un contributo in senso proprio "non corrispondendo a servizi pubblici che aggiungono all'utilità generale di tutti un vantaggio particolare per determinate persone". Detto contributo rientrerebbe nella categoria delle tasse (per altro non sarebbe una tassa giudiziaria) "essendo una prestazione in danaro dovuta ad un ente pubblico per il godimento di una parte di un pubblico servizio per natura divisibile". Il pretore, infine, ha osservato che la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento ma non anche dovere costituzionalmente sancito e che quindi l'imposizione del contributo non potrebbe essere giustificata della mera possibilità di avvalersi dell'opera di professionisti legali. Conseguentemente, la norma denunciata violerebbe l'art. 3 della Costituzione, in quanto il tributo sarebbe imposto indipendentemente dal vantaggio che il singolo cittadino avrebbe tratto dall'opera professionale degli avvocati e procuratori, e per ciò discriminerebbe tra cittadini abbienti e non abbienti. Per i motivi ora ricordati, sarebbero del pari violati gli artt. 24, comma secondo, e 53, comma primo, della Costituzione. La norma denunciata sarebbe, infine, in contrasto con l'art. 23 della Costituzione, in quanto l'imposizione di cui si tratta denuncerebbe un'evidente sproporzione tra le finalità in concreto perseguite ed i mezzi impiegati e sarebbe per ciò arbitraria; e con l'art. 42, comma terzo, della Costituzione, in quanto l'indennità di espropriazione dovuta in applicazione di tale norma non può essere soggetta ad ulteriori sacrifici di natura economica.
3. - Con una terza ordinanza - del 22 novembre 1966 del Tribunale di Aosta - é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 lett. b (recte: lett. a) della citata legge 1965 n. 798. Secondo il Tribunale di Aosta che ha provveduto in sede di incidente di esecuzione a seguito del rifiuto di Maria Cordone di pagare il contributo previsto dalla norma denunciata per il rilascio di un certificato del casellario giudiziale, e che, sul punto, ha accolto l'istanza della Cordone, l'art. 4, lett. a, che pone a carico del cittadini che richiedono un certificato penale un contributo in favore della Cassa di previdenza ed assistenza forense, sarebbe in contrasto con l'art. 53 della Costituzione, "il quale, prevedendo l'obbligo per tutti di concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità contributiva, per converso esclude che lo Stato possa creare ed imporre un tributo a favore di una Cassa avente proprie finalità ed amministrazione autonoma". Aderendo all'interpretazione prospettata dall'istante Cordone, il Tribunale di Aosta ha ritenuto che dalla norma impugnata non si poteva dedurre che "l'imposizione fosse limitata all'ipotesi di richiesta di certificati eseguita a mezzo di avvocati e procuratori" o che "il tributo fosse dovuto allo Stato ai fini di assicurare la copertura di spese erogate dallo Stato stesso per provvedere a determinate provvidenze a favore della classe forense". Ed ha concluso che in quelle ipotesi l'incostituzionalità della norma potrebbe apparire evidente, ma che ben più evidente ricorresse nella specie "in quanto (si) crea un tributo da imporsi indiscriminatamente alla collettività, non in favore dello Stato e per una spesa pubblica, ma perché venga introitato da una Cassa a carattere privato, che amministra ed eroga i fondi relativi con criteri e modalità proprie ed autonome".
4. - Le tre ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, rispettivamente del dì 25 giugno 1966 (n. 156), 25 marzo 1967 (n. 77) e 25 febbraio 1967 (n. 51) e iscritte rispettivamente al n. 101 del Registro ordinanze 1966 ed ai nn. 27 e 13 del Registro ordinanze 1967.
Nei tre provvedimenti non si é costituita nessuna delle parti private. É intervenuto invece il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.
Con gli atti d'intervento e deduzioni, depositati rispettivamente il 6 luglio 1966, il 25 marzo 1967 ed il 17 marzo 1967 e con la memoria (unica) depositata il 15 febbraio 1968 l'Avvocatura generale ha chiesto che fossero dichiarate infondate le dedotte questioni di illegittimità costituzionale: per quella messa avanti dal Tribunale di Aosta, ne ha prospettato, preliminarmente, l'inammissibilità. Per l'Avvocatura, a proposito di quest'ultima questione, potrebbero non ricorrere gli estremi della rilevanza ai fini del decidere, trattandosi di questione sorta nel corso di un incidente d'esecuzione.
Nel merito, considerando complessivamente le norme denunciate, non ricorrerebbero le pretese violazioni degli artt. 3, 23, 24, 38, 42 e 53 della Costituzione, per vari motivi e precisamente perché: l'obbligo di versamento del contributi de quibus non determina arbitrarie differenziazioni tra cittadini, bensì é collegato alla prestazione del servizio giudiziario; l'art. 23 della Costituzione é diretto alla tutela della libertà e proprietà individuale, col divieto che siano rimesse alla pubblica amministrazione l'imposizione e la determinazione di prestazioni personali o patrimoniali, e nei casi esaminati la determinazione del contributo é effettuata direttamente dalla legge; l'imposizione dei contributi non interferisce con il principio del diritto di difesa; l'art. 38 della Costituzione concerne materia del tutto diversa e non attinente alla legittimazione contributiva; non é consentito vedere, nell'art. 42, comma terzo, della Costituzione, un divieto di subordinare lo svincolo dell'indennità di espropriazione al versamento del contributo di cui all'art. 3 lett. i della legge 1965 n. 798; ed infine, l'art. 53 della Costituzione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non é applicabile ai tributi giudiziari.
A fondamento del dedotti rilievi, l'Avvocatura generale ha proceduto all'analisi della natura del contributi dovuti in base agli artt. 3 e 4 della citata legge.
Negli atti di intervento ha affermato che detti contributi vanno distinti da quelli previsti dall'art. 2 della ripetuta legge, che gravano direttamente sull'esercente la professione forense. I contributi in parola, dovuti impersonalmente od oggettivamente e posti a carico del soggetto tenuto alla registrazione del provvedimento o di chi richieda la prima copia di un provvedimento o di un atto ovvero il rilascio di certificazioni o atti notori, avrebbero carattere genericamente di tributi (e specificamente di tasse) collegati al servizio giudiziario. In quanto tali, per le norme che li prevedono non sarebbe fondata la questione di legittimità costituzionale.
Nella memoria l'Avvocatura generale, approfondendo ulteriormente il problema della natura di codesti contributi, ha ritenuto di dover mettere in evidenza l'esistenza, nella specie, di una spesa pubblica assunta in quanto tale dallo Stato e la correlativa previsione delle imposizioni proprio in funzione di quella spesa. E pertanto tali contributi avrebbero natura di imposta, e, in particolare, di imposta lato senso giudiziaria.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze del pretore di Varese, del pretore di Avezzano e del Tribunale di Aosta denunciano l'illegittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge 5 luglio 1965, n. 798, in riferimento a varie - ed in parte differenti - disposizioni della Costituzione. Le tre cause, avendo ad oggetto questioni parzialmente identiche e comunque connesse, possono essere riunite e decise con un'unica sentenza.
2. - Nel procedimento promosso dal Tribunale di Aosta, l'Avvocatura generale dello Stato ha prospettato l'eventuale inammissibilità della dedotta questione, rimettendone ogni valutazione all'esame della Corte. Secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri potrebbe dubitarsi della prospettabilità della questione in sede d'incidente d'esecuzione e circa la necessaria rilevanza, anche alla luce della sentenza n. 82 del 1966 di questa Corte.
Sennonché codesti rilievi e dubbi non sembrano fondati.
Come risulta dalla esposizione dei fatti che precede, a seguito del rigetto dell'istanza di rilascio di un certificato del casellario giudiziale, avanzata col rifiuto da parte della richiedente di versare il contributo di cui all'art. 4, lett. b (recto, come si é detto, lett. a) della citata legge 1965, n. 798, é stato sollevato incidente di esecuzione a sensi degli artt. 610, ultimo comma, e 628 del Codice di procedura penale, proponendosi ricorso al Tribunale di Aosta avverso il provvedimento (di rigetto della istanza) adottato dal Procuratore della Repubblica di quella città. Appare, per ciò, chiaro che la questione di legittimità é stata proposta nel corso di un giudizio davanti ad una autorità giurisdizionale.
Non può, d'altra parte, dubitarsi circa la rilevanza. Pur mancando nell'ordinanza ogni motivazione al riguardo, é evidente che il Tribunale non avrebbe potuto decidere nel merito senza l'espresso o implicito riconoscimento della legittimità costituzionale delle norme denunciate.
Né, infine, avrebbe potuto essere di ostacolo alla proposizione della questione, come sembrerebbe invece prospettare l'Avvocatura generale dello Stato, la sentenza di questa Corte n. 82 del 1966, perché con detta decisione si é fatta espressa salvezza (e quindi la Corte si é astenuta dal pronunciarsi) a proposito dei provvedimenti dei cancellieri relativi agli atti di cui al ripetuto art. 4.
3. - Considerato nel loro insieme le questioni come sopra sollevate, va osservato che, pur riferendosi le asserite illegittimità costituzionali specificamente alle disposizioni di cui all'art. 4, lett. a, e all'art. 3 lett. b ed i della citata legge 1965 n. 798, nelle tre ipotesi normative ricorre un dato o profilo comune, rappresentato dal fatto che a concorrere, con la corresponsione di contributi predeterminati, alle entrate della Cassa nazionale di previdenza e di assistenza a favore degli avvocati e dei procuratori legali, sono tenuti soggetti diversi dagli esercenti la professione di avvocato e procuratore o professionisti legali indipendentemente da tale qualità. Si é, in tal modo, in presenza di imposizioni, destinate ad operare nei confronti di tutti ed aventi ad oggetto prestazioni patrimoniali.
Secondo i pretori di Varese e di Avezzano, che denunziano l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 1965 in relazione all'art. 23 della Costituzione, pur dandosi atto che, nelle specie considerate, le relative imposizioni patrimoniali discendono direttamente dalla legge, dovrebbe aver rilievo la mancanza di una "effettiva pertinenza di servizi o di interessi", capace di giustificarle ovvero l'arbitrarietà di esse discendente dalla evidente "sproporzione tra le finalità in concreto perseguite ed i mezzi impiegati".
L'osservazione non ha però pregio. Della effettività, pertinenza e proporzione si potrebbe dubitare se si dovesse mettere a raffronto il singolo fatto del servizio giudiziario e la singola e rispettiva prestazione patrimoniale. Non é consentito farlo, invece, qualora si proceda, come sembra necessario, ad una valutazione dei modi di essere di detto servizio, nel loro complesso, e della indiscutibile correlazione delle prestazioni imposte e del servizio di assistenza legale con l'esercizio della funzione giudiziaria. Anzi, così facendosi, si constata che la imposizione, per legge, difetta di ogni arbitrarietà ed appare affatto ragionevole.
4. - Non sembra, altresì, possibile vedere, a proposito delle disposizioni denunciate, la violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Per effetto degli obblighi contributivi per il mantenimento della Cassa, non si determina, nel livellamento contributivo, una disparità di trattamento (come invece sostiene il pretore di Varese), perché, se nell'ipotesi di cui all'art. 2 della legge 1965 può giocare la possibilità di far ricorso all'opera del professionista legale - ed in quelle di cui al successivo art. 3 codesta possibilità non ricorre o comunque non rileva - , non sussiste l'asserita disparità di trattamento, stante che l'imposizione della prestazione in favore della Cassa opera egualmente nei confronti di quanti (si avvalgano o meno, e si possano o meno avvalere dell'opera del legale) si giovano, divisibilmente, del servizio giudiziario e non possono essere indifferenti di fronte all'esigenza della previdenza degli esercenti la professione forense, i quali, oltre a essere collaboratori essenziali degli organi della giurisdizione, sono anche tenuti a svolgere gratuitamente talune delle loro attività nell'interesse della comunità. E del pari, non é ravvisabile, in relazione sempre al denunciato art. 3 della legge 1965, una arbitraria discriminazione (come invece vorrebbe il pretore di Avezzano) tra coloro che siano in grado di pagare il contributo in favore della Cassa e coloro che non ne abbiano la capacità economica, perché una discriminazione del genere, che per altro non ricorre, non sarebbe nella legge, ma tutt'al più rileverebbe, come eventualità successiva e accidentale in fatto ed in quanto tale insuscettibile d'essere assunta a presupposto o contenuto della previsione normativa.
5. - Rilievi di maggiore impegno, sulla legittimità degli artt. 3 e 4 della legge 1965, sono mossi in relazione agli artt. 38 e 53 della Costituzione. La peculiarità del fenomeno e della disciplina legislativa di esso, comporta che di codesti rilievi si debba dire contestualmente. Si é, infatti, in presenza di norme che da un lato prevedono l'imposizione e la riscossione di contributi per il compimento o in dipendenza del compimento di atti o attività nei confronti o da parte di organi o uffici facenti parte dell'organizzazione giudiziaria, e che dall'altro prevedono la destinazione del contributi, così imposti e riscossi, alla realizzazione della previdenza ed assistenza in favore degli avvocati e del procuratori legali. La funzionalizzazione delle entrate, in tal modo attuata, non urta contro le norme ed i principi costituzionali indicati nelle ordinanze del giudici di merito. Ad avviso della Corte, non può vedersi la prospettata violazione dell'art. 53 della Costituzione, perché essenzialmente le prestazioni patrimoniali imposte con gli artt. 3 e 4 denunciati, sono da considerare tributi lato sensu giudiziari ed in quanto tali, estranei all'ambito di applicazione dell'art. 53 della Costituzione. Come, infatti, la Corte ha avuto modo di precisare (sentenza n. 30 del 1964) l'art. 53 della Costituzione non si riferisce ai tributi giudiziari, e ciò perché col richiamo "alla capacità contributiva e alla progressività rispettivamente come indice di imponibilità e come criterio di imposizione", tale disposizione "ha avuto riguardo soltanto a prestazioni di servizi il cui costo non si può determinare divisibilmente". A proposito della progressività, inoltre, nella stessa decisione si é precisato che codesto principio ha ragione di essere solo in rapporto al sistema fiscale nel suo complesso e non già in relazione ai singoli tributi, con la conseguenza che sono certamente consentite imposizioni ispirate a principi diversi. Ulteriore conseguenza di ciò é stata ravvisata nella possibilità che "la spesa per i servizi generali sia coperta da imposte dirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell'ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l'attività".
Da ciò consegue che non é pertinente la indagine diretta a determinare, in modo più approfondito, la natura del contributi di cui si tratta. Basta, al riguardo, ribadire che detti contributi sono imposti e riscossi non soltanto in occasione della prestazione del servizio giudiziario ma anche e soprattutto al fine di conseguire atti o attività propri di quel servizio.
E siffatto collegamento non puramente estrinseco o occasionale, dà adeguato fondamento e giustificazione alla qualificazione del contributi come tributi giudiziari in senso lato.
6. - Le considerazioni fin qui svolte consentono di ritenere legittime le norme relative alla imposizione e alla riscossione del contributi in oggetto. L'imposizione non é né arbitraria né ingiusta, e si fonda sulla necessità discrezionalmente ma ragionevolmente avvertita dal legislatore di far gravare oneri di carattere patrimoniale sopra oggetti che godono divisibilmente del servizio giudiziario. Alla imposizione é strettamente connessa la destinazione delle somme che di conseguenza vengono riscosse.
Rimanendo entro l'ambito segnato dall'art. 53 della Costituzione, non sembra alla Corte contestabile il carattere pubblico della spesa. La semplice constatazione che i contributi, attraverso il particolare sistema di riscossione e versamento previsto dalla legge 8 gennaio 1952, n. 6, e successive modificazioni, affluiscono alle casse dell'ente di previdenza ed assistenza in favore degli avvocati e procuratori, non autorizza a ritenere che la destinazione (e quindi la spesa) non risponda alla tutela di un interesse pubblico.
Ma codesto carattere della spesa risulta ancor meglio, solo che ci si rivolga all'esame dell'asserita illegittimità delle norme denunciate in relazione all'art. 38 della Costituzione.
A quest'ultimo riguardo, va precisato che non si ha violazione dell'art. 38 qualora le prestazioni patrimoniali necessarie per l'assolvimento del compiti previsti dal quarto comma, siano poste a carico di soggetti diversi dallo Stato, determinabili sulla base di una comunanza, specifica o generica, di interessi o di un collegamento, diretto o indiretto, tra la causa dell'imposizione e le finalità da conseguire. Non rileva, sopra codesto piano, che il perseguimento di dette finalità anziché avvenire mediante erogazioni poste direttamente a carico dello Stato o con gli ordinari strumenti, si attui con mezzi diversi ed in particolare con l'imposizione, da parte di leggi dello Stato, di "prestazioni patrimoniali nella forma del contributi" (sentenza n. 70 del 1960). In tutti questi casi, se la finalità da perseguire risponde alla tutela di un interesse pubblico, codesto interesse non viene meno né viene snaturato solo che alla sua realizzazione si tenda in uno o in altro dei modi consentiti dall'ordinamento giuridico.
Orbene, nella specie, é vero che la riscossione dei contributi previsti dagli artt. 3 e 4 della legge 1965 avviene a mezzo di organi o uffici giudiziari o amministrativi dello Stato, ma a favore della Cassa e che le somme in tal modo riscosse vengono a far parte delle entrate della Cassa stessa. Ma da tale circostanza non può farsi derivare alcun contrasto tra le norme denunciate e l'art. 38 della Costituzione. Al riguardo, giova anzitutto considerare che il precetto costituzionale non impone che alla previdenza e assistenza debba provvedere direttamente lo Stato attraverso i suoi organi. A codesti compiti possono legittimamente attendere "organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato". Il sistema previdenziale e assistenziale può articolarsi in vario modo. Ed uno dei modi consentiti é rappresentato da quello previsto per gli avvocati ed i procuratori legali, il quale poggia sulla Cassa nazionale cui sono iscritti di ufficio gli avvocati ed i procuratori che esercitano la libera professione con carattere di continuità. Giova, altresì, chiarire che agli oneri previdenziali e assistenziali non si deve necessariamente far fronte con contributi che facciano carico ai soggetti, che siano parti nel rapporto di lavoro subordinato ovvero ai lavoratori autonomi, ma si può far fronte, e si tende sempre più a far fronte anche attraverso varie forme di intervento del pubblici poteri, anche con il concorso finanziario dello Stato. E quest'ultima forma può atteggiarsi o in maniera tipica, con un diretto esborso di somme da parte dello Stato o in maniera atipica (come appunto avviene nella specie).
Nel sistema previsto per i professionisti legali, i fini istituzionali della Cassa nazionale sono conformi al dettato costituzionale, perché inservienti alla tutela previdenziale di una categoria dei lavoratori, e quindi di un interesse pubblico. E lo sono anche gli strumenti predisposti per consentire alla Cassa la realizzazione di quei fini.
Sono entrate della Cassa, oltre i beni non facenti parte del patrimonio ed i redditi del patrimonio, i contributi direttamente e definitivamente a carico degli iscritti (art. 1 nn. 5 e 6 legge 1965) ed i contributi che la legge dello Stato - realizzando il sistema di intervento per via indiretta di cui si é detto - pone a carico dei soggetti della comunità statale che, con o senza l'ausilio di un professionista legale, si giovano del servizio giudiziario e dell'organizzazione giudiziaria (art. 1 nn. 3 e 4 cit. legge). E vi concorre, infine, lo Stato, direttamente attraverso l'attribuzione per legge alla Cassa del residui del depositi del valori bollati e delle somme versate per spese di cancelleria previsti rispettivamente dalle leggi 11 dicembre 1939, n. 1969, e 7 febbraio 1956, n. 65. In tal modo, il sistema previdenziale ed assistenziale in oggetto, per quanto attiene al reperimento del fondi operato con le norme denunciate, appare perfettamente conforme al disposto dell'art. 38 della Costituzione.
7. - Secondo il pretore di Avezzano, l'obbligo di pagare il contributo a favore della Cassa potrebbe essere giustificato solo nei procedimenti in cui, per volontà espressa della legge, fosse obbligatoria l'assistenza del professionisti legali, e non nella specie sottoposta al suo esame, riguardante l'art. 3 della legge 1965, dato che "non risulta obbligatoria l'assistenza di professionisti legali". Per spiegare quell'obbligo, si dovrebbe ammettere un'implicita obbligatorietà, nella specie, dell'assistenza a mezzo di legale: e ciò comporterebbe una compressione o menomazione del diritto di difesa (con la violazione dell'art. 24 Cost.).
La questione così prospettata non ha fondamento. In altra occasione, la Corte, proprio in relazione all'art. 24 della Costituzione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 17 della legge 31 luglio 1956, n. 991 (che ha aggiunto quattro commi all'art. 69 della legge 8 gennaio 1952, n. 6) limitatamente agli atti previsti dagli artt. 27 e 28 del R.D. 25 giugno 1940, n. 954 (sentenza n. 82 del 1966), precisando però che la dichiarazione di incostituzionalità derivava dalla preclusione che quelle disposizioni facevano discendere per la difesa in giudizio e andava circoscritta entro i limiti segnati dagli atti di parte non ricevibili dai competenti uffici. Il diritto, costituzionalmente garantito alla difesa, non é né può essere compromesso e ostacolato, invece, nel caso in esame, perché l'obbligo di corresponsione del contributo e più specificamente la mancata corresponsione non si ripercuote in alcun modo sul libero esercizio di quel diritto. In particolare, nella specie sottoposta all'esame del pretore di Avezzano, il cittadino che ha subito l'espropriazione per pubblica utilità può liberamente chiedere ed ottenere il provvedimento di autorizzazione al pagamento della indennità spettantegli. La corresponsione del contributo condiziona solo il rilascio della prima copia di tale provvedimento da parte della cancelleria. Quindi nel relativo procedimento il pieno e libero esercizio del diritto alla difesa non viene toccato.
8. - Ed infine, ad avviso della Corte, non sussiste l'illegittimità costituzionale dello stesso art. 3 della legge 1965 (sollevata anche questa, dal pretore di Avezzano) in relazione all'art. 42, comma terzo, della Costituzione. Non vi é alcuna riduzione, diretta o indiretta, dell'indennizzo dovuto in dipendenza dell'espropriazione; né si ha una prestazione patrimoniale che possa porsi accanto o sullo stesso piano dell'espropriazione. É di tutta evidenza, infatti, che nelle due ipotesi giocano interessi ed esigenze di differente natura e che quelli posti a fondamento dell'imposizione della prestazione patrimoniale de qua non operano né incidono sul terreno della proprietà privata garantita (anche) dall'art. 42, comma terzo, della Costituzione.
9. - La Corte, conclusivamente, ritiene non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative agli artt. 3 e 4 della legge 1965, n. 798, sottoposte al suo esame. Di conseguenza, non é necessario prendere in considerazione le denunce, avanzate dal pretore di Varese, a proposito degli artt. 17, n. 3, e 22 della legge 8 gennaio 1952, n. 6, e 2 e 4 della legge 25 febbraio 1963, n. 289 (modificati dai detti artt. 3 e 4 della legge 1965) concernenti e disciplinanti la stessa materia con identici criteri.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni, proposte con le ordinanze indicate in epigrafe, di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge 5 luglio 1965, n. 798 (previdenza ed assistenza forense), in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 38, 42 e 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 1968.
Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 17 aprile 1968.