Sentenza n. 44 del 1965
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SENTENZA N. 44

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai Signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, promosso con ordinanza emessa il 26 febbraio 1964 dal Pretore di Ferrara nel procedimento civile vertente tra Zampolli Remo e Holzl Erich, iscritta al n. 50 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 108 del 2 maggio 1964.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio di Zampolli Remo;

udita nell'udienza pubblica del 7 aprile 1965 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi l'avv. Vezio Crisafulli, per Zampolli Remo, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un giudizio promosso davanti al Pretore di Ferrara dal lavoratore agricolo Remo Zampolli contro il proprio datore di lavoro Erich Holzl, per ottenerne la condanna al pagamento delle retribuzioni - intera per il giorno dell'infortunio e del 60 per cento per i sei giorni successivi di carenza della assicurazione -, il convenuto sosteneva anzitutto che la norma invocata dall'attore (art. 4 della legge 19 gennaio 1963, n. 15) avrebbe dovuto essere dichiarata applicabile solo al settore dell'industria o ad altri equiparati ad esso; successivamente, nella comparsa conclusionale, lo stesso convenuto deduceva che, in ogni caso, tale norma avrebbe dovuto essere dichiarata costituzionalmente illegittima, in relazione agli artt. 3, 23 e 28 della Costituzione.

Con ordinanza in data 26 febbraio 1964 il Pretore ha ritenuto la questione non manifestamente infondata.

Ha osservato che l'obbligo posto a carico del datore di lavoro non sembra avere carattere retributivo, mancando la prestazione d'opera da parte dell'infortunato, e che, non trattandosi di contributo imposto per consentire agli istituti assistenziali l'espletamento dei compiti loro spettanti, ma di "prestazione assistenziale diretta del singolo datore di lavoro in favore del lavoratore dipendente infortunato e limitatamente al periodo di carenza dell'assicurazione", si potrebbe ravvisare nella norma una violazione dell'art. 38 della Costituzione.

L'ordinanza rileva poi una differenza ingiustificata nel trattamento dei lavoratori, e quindi degli imprenditori, nel settore agricolo e in quello industriale, diversi essendo i periodi (rispettivamente di sei e di tre giorni dopo quello dell'infortunio) di carenza della assicurazione, per i quali é disposto l'onere a carico dei datori di lavoro, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione. Prospetta infine anche la possibilità di ravvisare una violazione dell'art. 23 della Costituzione, nel dubbio che la prestazione patrimoniale imposta al datore di lavoro risponda ai criteri informatori stabiliti dalla norma costituzionale.

L'ordinanza, notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 2 maggio 1964, n. 108.

Nel presente giudizio si é regolarmente costituito il solo Zampolli ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato.

Nell'atto di costituzione la difesa della parte privata osserva, a proposito della supposta violazione dell'art. 3 della Costituzione, che la norma denunciata non introduce alcuna differenza di trattamento fra imprenditori industriali e agricoli, limitandosi a stabilire che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore infortunato l'intera retribuzione per la giornata nella quale é avvenuto l'infortunio e il 60 per cento della retribuzione stessa, salvo migliori condizioni previste dai contratti collettivi o individuali di lavoro, per i giorni successivi "fino a quando sussiste la carenza dell'assicurazione". La differenza rilevata, che si riduce in concreto a tre giorni di una parte della retribuzione, deriva dalle disposizioni di altre leggi, che regolano le varie forme di assicurazioni infortuni, ed é largamente compensata dal minore carico contributivo disposto per le imprese agricole in confronto di quelle industriali.

Né sussisterebbero - secondo la difesa della parte privata - le supposte violazioni degli artt. 23 e 38 della Costituzione, in quanto la legge può legittimamente disciplinare la materia assistenziale e assicurativa, imponendo prestazioni a carico dei datori di lavoro anche in taluni casi di assenza del lavoratore, quali le ferie e gli infortuni, considerando tali rapporti in un quadro generale e sistematico.

Analoghi argomenti sono prospettati nell'atto di intervento della Avvocatura generale dello Stato, la quale sottolinea il fatto che gli oneri delle prestazioni in questione sono sempre disciplinati mediante leggi, le quali determinano rigorosamente l'entità e le condizioni di ogni obbligo relativo.

In una memoria depositata il 25 marzo 1965 la difesa dello Zampolli ha ribadito gli argomenti già addotti per escludere che la norma denunciata possa essere considerata in contrasto con gli artt. 3, 23 e 38 della Costituzione; ed ha insistito particolarmente sul contenuto delle disposizioni dell'art. 36 di essa, le quali precisano gli elementi oggettivi e soggettivi propri della retribuzione spettante al lavoratore, e sulla interpretazione accolta in materia dalla Corte costituzionale.

Alla pubblica udienza i difensori hanno insistito sulle conclusioni e gli argomenti esposti negli atti scritti.

 

Considerato in diritto

 

L'ordinanza del Pretore di Ferrara ha proposto la questione sulla legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, in riferimento alle norme contenute negli artt. 3, 23 e 38 della Costituzione; la Corte non ritiene però che gli argomenti addotti nell'ordinanza di rimessione, anche se integrati dalle osservazioni già esposte dal convenuto nel corso del giudizio di merito, possano essere considerati sufficienti a giustificare una dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione denunciata.

Per quanto concerne il richiamo all'art. 3 della Costituzione, il fatto che nel settore della agricoltura l'imprenditore sia tenuto a corrispondere all'infortunato il 60 per cento della retribuzione per tre giornate in più di quelle imposte agli imprenditori industriali non può essere considerato rilevante ai fini di una dichiarazione di incostituzionalità. A prescindere dalla tenue entità della differenza, sicuramente più che compensata dalla misura notevolmente diversa delle retribuzioni nel settore agricolo e in quello industriale, non si può contestare che la indubbia prevalenza in quest'ultimo dell'uso di mezzi meccanici ed automatici aggrava sensibilmente i rischi e rende quindi necessaria la imposizione di premi molto più alti a carico delle imprese, come ha rilevato e sostenuto in particolare l'Avvocatura generale dello Stato.

É chiaro poi che in questa materia occorre tenere presente che ogni tipo di assicurazione, non escluse quelle sociali, é necessariamente disciplinato da un sistema proprio di norme e di clausole, in funzione di tanti fattori (numero degli assicurati, frequenza e gravità dei rischi, durata dei rapporti, misura delle retribuzioni e così via), i quali influiscono sensibilmente sulla entità dei premi, la cui massa deve garantire la possibilità di risarcire i danni: un controllo di legittimità della Corte costituzionale sul merito dei calcoli attuariali, che sono a base della determinazione dei premi e delle liquidazioni dei danni nei diversi settori, non sarebbe nemmeno concepibile.

Ancor meno fondata appare la tesi della violazione dell'art. 23 della Costituzione, posto che tutte le prestazioni patrimoniali, che gravano sui datori di lavoro a norma della disposizione denunciata, sono esplicitamente imposte non solo "in base alla legge", ma proprio direttamente da questa; né é possibile ricavare dalla norma costituzionale richiamata dalla ordinanza alcun criterio informatore, che si presti ad essere considerato violato dall'art. 4 della legge n. 15 del 1963.

Meno evidente é invece la infondatezza del motivo desunto dall'art. 38 della Costituzione, che l'ordinanza del Pretore di Ferrara prospetta nella mancanza di ogni carattere retributivo, o anche di contributo agli istituti assistenziali, in una prestazione che figura imposta al singolo datore di lavoro a favore di un lavoratore dipendente proprio in un periodo, nel quale questi non presta la propria opera nella azienda. L'argomento addotto dal giudice di merito per motivare i propri dubbi in proposito non resiste peraltro alle obiezioni prospettate dalla difesa dello Stato e da quella privata.

La prima ha richiamato insistentemente la necessità che gli oneri delle assicurazioni sociali siano posti soprattutto a carico degli imprenditori, in correlazione ai rischi personali cui si trovano esposti i lavoratori dipendenti nel corso della attività svolta ai fini della produzione. Questo principio si é ormai talmente affermato, che, a parere dell'Avvocatura generale dello Stato, l'eventuale cessazione di efficacia della norma denunciata, a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale, avrebbe la conseguenza di porre a carico dei datori di lavoro l'obbligo personale di provvedere integralmente alla carenza delle prestazioni assicurative per le giornate di salario non riconosciute a favore dei prestatori d'opera.

La difesa della parte privata ha sostenuto invece che una dichiarazione di illegittimità della norma in esame avrebbe quale conseguenza un danno irrimediabile al lavoratore infortunato, a meno che non fosse dichiarata anche la illegittimità delle norme, che stabiliscono i periodi di carenza delle prestazioni assicurative.

A giudizio della Corte, si deve tener conto del fatto che, come risulta anche da altre norme della nostra legislazione, il caso di infortunio sul lavoro, al pari di quelli di malattia, di gravidanza, di puerperio, non costituisce di per sé motivo di sospensione e neppure di risoluzione del rapporto di prestazione d'opera: in tutte queste ipotesi é previsto infatti che se la legge non stabilisce "forme equivalenti" di previdenza o di assistenza, é dovuta al prestatore d'opera la retribuzione intera ovvero una indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali o da altre fonti, e che il periodo di assenza dal lavoro deve essere computato nell'anzianità di servizio (articolo 2110, primo e terzo comma, e art. 2111, secondo comma, del Codice civile).

Quando il rapporto non venga risolto, e le leggi speciali non prevedano la immediata corresponsione delle prestazioni assicurative al lavoratore infortunato, si deve ritenere conforme all'orientamento generale della nostra legislazione la imposizione all'imprenditore dell'obbligo di corrispondere al primo una retribuzione per il periodo di carenza di tali prestazioni; di conseguenza la norma che provvede a tal fine, per un tempo molto limitato ed in misura ridotta rispetto alla retribuzione normale, si inserisce perfettamente nel sistema della disciplina dei rapporti di lavoro vigente ormai da molti anni in Italia.

Né sembra consentito desumere argomenti in contrario dalle disposizioni dell'art. 38 della Costituzione, intese senza dubbio piuttosto a concedere maggiori garanzie ai prestatori d'opera che a diminuirle: il quarto comma di tale articolo impone infatti espressamente taluni obblighi allo Stato e ad organi e istituti da questo predisposti od integrati, ma non vieta certamente che esso intervenga mediante apposite leggi a dare attuazione a tali lini, anche imponendo alcune prestazioni a carico degli imprenditori, come é accaduto e accade frequentemente proprio in materia di assicurazioni sociali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 4 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, recante "Modifiche e integrazioni al R.D. 17 agosto 1935, n. 1765: "Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali" e successive modificazioni ed integrazioni, nonché al decreto legislativo luogotenenziale 23 agosto 1917, n. 1450: "Provvedimenti per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro agricolo" e successive modificazioni ed integrazioni", in riferimento agli artt. 3, primo comma, 23 e 38, quarto comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 9 giugno 1965.