Sentenza n. 2 del 1962
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SENTENZA N. 2

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 195 del T.U. della finanza locale, approvato con R. D. 14 settembre 1931, n. 1175, e dell'art. 332, quinto comma, del T.U. della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 2 dicembre 1960 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Arneri Enrico e la S. p. a. "Esso Standard Italiana", iscritta al n. 20 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 70 del 18 marzo 1961;

2) ordinanza emessa il 23 dicembre 1960 dal Tribunale di Livorno nel procedimento civile vertente tra la S.p.a. "Purfina Italiana" e il Comune di Livorno, iscritta al n. 23 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 70 del 18 marzo 1961;

3) ordinanza emessa il 14 febbraio 1961 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra la Società "Albergo Germania e Stazione" e il Comune di Venezia, iscritta al n. 35 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1 aprile 1961.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 20 dicembre 1961 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi l'avv. Victor Uckmar, per la S.p.a. "Esso Standard Italiana" e per il Comune di Venezia, gli avvocati Augusto Zamboni e Aldo Dedin, per la S.p.a. "Purfina Italiana", l'avv. Enrico Guicciardi, per la Società "Albergo Germania e Stazione", e il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel procedimento civile promosso davanti al Tribunale di Milano dal cav. Enrico Arneri, appaltatore della tassa per la occupazione del suolo pubblico del Comune di Rosate, contro la, S.p.a. "Esso Standard Italiana", per far dichiarare nulla una decisione della Commissione comunale di Rosate, che aveva ritenuto illegittima una tassazione nei confronti della "Esso Standard" e ordinato il rimborso della somma da questa pagata all'attore, il Tribunale, accogliendo una eccezione della convenuta, ha proposto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del T.U. della finanza locale, approvato con R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, per contrasto con l'art. 23 della Costituzione.

Nella sua ordinanza, emessa il 2 dicembre 1960, il Tribunale di Milano osserva che la controversia dedotta in giudizio non può essere decisa nel merito indipendentemente dalla norma contenuta nell'articolo di legge citato, e che, alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale rispetto a casi analoghi, la questione non appare manifestamente infondata.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 18 marzo 1961, n. 70.

Nel giudizio si é costituita la Società "Esso Standard Italiana" ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dalla Avvocatura generale dello Stato.

La difesa della Società ha insistito nella tesi della illegittimità costituzionale della norma denunciata, sostenendo che la prestazione imposta ha carattere tributario e che la legge non pone alcun limite massimo al potere di imposizione conferito al Comune, posto che non si potrebbe ravvisare un limite nella previsione della approvazione della deliberazione comunale da parte della Giunta provinciale amministrativa.

L'Avvocatura generale dello Stato ha chiesto, invece, che la questione sia dichiarata inammissibile o, subordinatamente, non fondata, osservando anzitutto che la denominazione della prestazione, la sua qualificazione e la natura giuridica non sono rilevanti ai fini del precetto contenuto nell'art. 23 della Costituzione, ed é, invece, necessario accertare di volta in volta se si tratti di una prestazione imposta con atto di autorità e senza il concorso della volontà dell'obbligato, ovvero del corrispettivo di un servizio reso dall'ente. Nella specie, si tratterebbe di un rapporto commutativo, nel quale il Comune presta un servizio, analogo a quello delle pubbliche affissioni non effettuate con mezzi propri dal privato, e pertanto, anche se le tariffe sono predisposte dall'Amministrazione, l'imposizione non avviene per mero atto di autorità, ma perché il privato richiede tale servizio.

D'altra parte, sempre secondo l'Avvocatura generale, vi sono pure limiti e controlli idonei a contenere il potere discrezionale degli enti, essendo previste nell'art. 194 del T.U. una graduazione secondo l'importanza della località e una certa proporzione con la misura della superficie concessa, nonché una serie di controlli, dati dai pareri del Genio civile e della Camera di commercio e poi dall'approvazione della Giunta provinciale amministrativa.

In successive memorie le parti hanno insistito nelle precedenti conclusioni, ribadendo le argomentazioni già esposte e aggiungendone altre. La Società "Esso Standard" contesta che nel caso della tassa di plateatico intercorra sempre un rapporto sinallagmatico fra l'ente e il privato, osservando che nella specie il Comune pretese il tributo per l'occupazione di suolo pubblico non perché l'occupazione avvenisse da parte di essa Società, ma da parte degli automezzi sostanti per il prelievo del carburante. Quindi, il tributo viene percepito anche quando non vi é concessione di parti del terreno demaniale, né concorso della volontà del soggetto obbligato; ed ha carattere di vera e propria imposta, come hanno ritenuto le Sezioni unite della Corte di cassazione. D'altra parte, per tutti i tributi si potrebbe parlare di un concorso della volontà dell'obbligato, quanto meno nella posizione dei relativi presupposti, ed escluderli così dall'ambito dell'art. 23 della Costituzione.

L'Avvocatura generale dello Stato insiste, invece, sul carattere sinallagmatico del rapporto in questione, richiamando anche le disposizioni di altri articoli (193, 194) del T.U., le quali prevedono la classificazione delle strade in varie categorie, mediante atti amministrativi di accertamento, e pertanto non discrezionali, ma tenuti all'osservanza di criteri tecnici e soggetti a controlli adeguati, al pari della conseguente determinazione della tariffa, che trova - oltretutto - un ulteriore limite economico nella necessità del suo adeguamento ai prezzi di mercato.

2. - Nel procedimento civile promosso davanti al Tribunale di Livorno dalla S.p.a. "Purfina Italiana" contro il Comune di Livorno, per far dichiarare la illegittimità e la invalidità della iscrizione a ruolo di una supercontribuzione del duecento per cento sulla tassa di occupazione di suolo pubblico per l'anno 1959, e della imposizione della supercontribuzione medesima, il Tribunale, accogliendo la istanza pregiudiziale della attrice, ha proposto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 332, comma quinto, del T. U. della legge comunale e provinciale e, per ragioni di opportunità pratica, anche quella concernente l'art. 195 del T.U. della finanza locale.

Nell'ordinanza, emessa il 23 dicembre 1960, il Tribunale, posta in rilievo la rilevanza di tali questioni rispetto al giudizio principale, ha osservato che la norma contenuta nell'art. 332, quinto comma, non detta criteri o limiti per la determinazione delle prestazioni in discussione, salvo richiamare la "eccezionalità dei casi" e la "misura strettamente indispensabile a conseguire il pareggio del bilancio", cosicché non potrebbe escludersi l'ipotesi che la Commissione centrale per la finanza locale disponga del suo ampio potere per autorizzare aumenti tariffari troppo gravosi e non equamente proporzionati tra loro.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata, per disposizione del Presidente, della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 18 marzo 1961, n. 70.

Nel giudizio si é costituita la Società "Purfina" ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa della Società, richiamate le considerazioni esposte nell'ordinanza del Tribunale, aggiunge che il quinto comma del denunciato art. 332 del T.U. della legge comunale e provinciale non contiene alcun elemento che possa servire da limite della supercontribuzione, perché il pareggio del bilancio ne indica non già il limite, ma lo scopo, ed é soggetto a ricorrente variabilità, non essendo previsti limiti alle spese e, quindi, allo sbilancio dei Comuni. Osserva poi che, seppure il disavanzo potesse costituire un limite, non si tratterebbe di un limite uniforme per le varie imposte, tasse e contributi, ma di un limite massimo, con potere discrezionale dell'ente di applicare la supercontribuzione all'uno o all'altro tipo di imposizione, tanto che - si afferma - la deliberazione del Comune di Livorno istituì la supercontribuzione alla tassa di occupazione del suolo pubblico non per tutte le occupazioni, ma solo per quelle destinate ai distributori di carburante.

Per quanto concerne l'art. 195 del T.U. della finanza locale, la difesa della Società "Purfina" ripete che non vi si ritrova alcun limite che determini la misura della imposizione, neppure facendo ricorso all'art. 194, il quale tende solo alla perequazione del tributo, senza peraltro contenerne la misura. Rispetto poi alla disposizione del quinto comma dell'art. 332 più volte citato, essa osserva che la modificazione apportata a tale disposizione con la legge 16 settembre 1960, n. 1014, conferma la censura di incostituzionalità mossa alla norma modificata; ma non toglie rilevanza alla questione di legittimità costituzionale proposta, sia perché la disposizione che ne forma oggetto é tuttora applicabile nella specie, sia perché una norma transitoria (art. 27) della legge del 1960 consente l'applicazione attenuata della prima per la durata di un decennio, talché non può parlarsi di piena e immediata abrogazione di essa.

L'Avvocatura generale dello Stato ha chiesto che la questione proposta sia dichiarata inammissibile e subordinatamente infondata, richiamando, per quanto concerne l'art. 195 del T. U. della finanza locale, le argomentazioni esposte nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 20 del 1961 del Tribunale di Milano. Nei riguardi della disposizione del quinto comma dell'art.332 del T. U. della legge comunale e provinciale l'Avvocatura generale sostiene che la supercontribuzione ha la stessa natura del canone stabilito dall'art. 195 dell'altro Testo unico, aggiungendo che per quanto concerne l'indicazione dello scopo della imposizione, i soggetti del rapporto, la misura della prestazione e i controlli previsti, vi sono analogie sufficienti con i requisiti considerati conformi alla norma dell'art. 23 della Costituzione dalla giurisprudenza della Corte.

La Società "Purfina Italiana" ha depositato una memoria, nella quale si osserva che la natura di tributo della tassa per l'occupazione di suolo pubblico non risulta solo dal termine usato dalla legge, ma anche dalla concreta disciplina dettata da questa, come é stato riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza più autorevoli. Dopo un esame analitico delle sentenze della Corte costituzionale, così di quelle che hanno dichiarato illegittime le norme denunciate come di quelle che hanno, invece, dichiarato non fondate le questioni proposte, conclude che nella specie si presenta un caso analogo a quelli decisi dalle prime. Ribadisce, poi, le osservazioni già esposte riguardo all'art. 195 del T.U. per la finanza locale, ravvisandovi un solo limite effettivo, rivolto però solamente a garantire la parità di trattamento tra i soggetti ammessi all'occupazione, senza che ciò implichi, peraltro, alcun criterio di quantificazione; d'altro canto, la natura di enti generali, propria delle Amministrazioni locali, impedisce che possa istituirsi un rapporto tra il fabbisogno finanziario del Comune e il provento della tassa, come é dato fare per gli enti pubblici istituzionali. Nei confronti dell'art. 332, comma quinto, del T.U. della legge comunale e provinciale la "Purfina" osserva che gli argomenti dell'Avvocatura generale dello Stato riguardano i presupposti della supercontribuzione, ma non delimitano la discrezionalità dell'esercizio del potere impositivo, esplicabile in misura illimitata, anche perché la supercontribuzione può cadere su un tributo e non su un altro, secondo la libera scelta del Comune.

A sostegno della tesi della illegittimità della norma denunciata la Società fa richiamo anche alla relazione ministeriale al disegno di legge 1 ottobre 1958 (ora, legge 16 settembre 1960, n. 1014), nella quale si riconosceva la incostituzionalità della norma suddetta; ma insiste nella tesi che anche la nuova disposizione sarebbe illegittima e aggiunge che essa Società avrebbe interesse alla dichiarazione della sua illegittimità costituzionale.

Nella memoria depositata dall'Avvocatura generale dello Stato (unica per i tre giudizi discussi all'udienza del 20 dicembre 1961), oltre alle osservazioni già riferite nei confronti dell'art. 195 del T.U. per la finanza locale, si espongono argomenti nuovi in tema di interpretazione della norma contenuta nell'art. 332, quinto comma, del T.U. della legge comunale e provinciale, desunti dalla storia dell'istituto, attraverso le numerose successive redazioni legislative di quella disposizione fino all'ultima, ora vigente, contenuta nella legge 16 settembre 1960, n. 1014. Questa storia, e il coordinamento logico della norma con le altre del sistema, valgono a dimostrare, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, la tendenza del legislatore ad aumentare e perfezionare i limiti e i controlli concernenti la imposizione della contribuzione, garantendone sempre meglio la conformità al precetto costituzionale. Perciò le questioni di legittimità devono essere dichiarate infondate.

3. - Nel procedimento civile promosso davanti al Tribunale di Venezia dalla Società di fatto "Albergo Germania e Stazione" contro il Comune di Venezia, per far dichiarare nulli gli atti con i quali il Comune aveva preteso e riscosso, per gli esercizi 1958 e 1959, le supercontribuzioni del cento per cento sulla imposta di licenza, con ogni pronuncia conseguenziale, il Tribunale, accogliendo la istanza pregiudiziale dell'attrice, ha proposto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 332, quinto comma, del T. U. della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383 (con tutte le modificazioni - precisa l'ordinanza - antecedenti a quella apportata dalla legge 16 settembre 1960, n. 1014), in relazione all'art. 23 della Costituzione.

Nell'ordinanza, emessa il 14 febbraio 1961, il Tribunale osserva che la questione sollevata dall'attrice ha decisiva rilevanza sull'esito della lite e non appare manifestamente infondata, essendo dubbio che il conseguimento del pareggio del bilancio possa considerarsi un limite sufficiente ad escludere che la facoltà di sovraimposizione del Comune trasmodi in arbitrio, con evidente violazione dell'art. 23 della Costituzione. Vi si riferiscono poi, come degni di considerazione, i rilievi della parte attrice sulla variabilità dell'ammontare delle spese pubbliche, che potrebbe anche assorbire completamente il reddito o il valore su cui incidono le imposizioni, e sul difetto anche di quella corrispondenza tra singolo tributo e spesa, che, in difetto di altri criteri di determinazione, potrebbe essere assunto quale condizione di legittimità dell'imposta.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 1 aprile 1961, n. 83.

Si sono costituiti nel giudizio la Società di fatto "Albergo Germania e Stazione" ed il Comune di Venezia, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa della Società contesta anzitutto che nella locuzione "nella misura strettamente indispensabile a conseguire il pareggio del bilancio", contenuta nell'art. 332, possa riconoscersi la determinazione di un limite massimo al potere di imposizione, necessario a norma dell'art. 23 della Costituzione secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale. Una determinazione si avrebbe soltanto se esistesse un limite anche allo sbilancio fra entrate e spese comunali. Osserva poi che il limite, seppure esistesse, dovrebbe riguardare ciascun tipo di sovraimposizione e non il complesso di tutto, perché questo renderebbe possibili tali sperequazioni, da violare anche il principio della correlazione dell'imposizione alla capacità contributiva dei cittadini.

La difesa del Comune di Venezia sostiene, invece, che la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata non fondata, ravvisando nella norma la previsione di un parametro "spesa" sufficiente, unitamente all'intervento degli organi deputati alla vigilanza, a limitare eccessi nell'esercizio del potere discrezionale dell'ente impositore. Essa prospetta, d'altra parte, una interpretazione della norma denunciata, secondo la quale il limite massimo del cinquanta per cento dovrebbe essere riferito non solo alle imposte di consumo, ma anche a tutte le tasse e imposte e contributi, mentre soltanto le ulteriori eccedenze delle sovraimposte fondiarie avrebbero a limite lo "strettamente indispensabile a conseguire il pareggio del bilancio". Di conseguenza, il legislatore avrebbe posto due limiti per le supercontribuzioni, perché il cinquanta per cento della aliquota base deve essere autorizzato dalla Giunta provinciale amministrativa, e l'ulteriore maggiorazione fino al cinquanta per cento deve essere autorizzata dalla Commissione centrale, raggiungendosi così in totale il cento per cento. Secondo la difesa del Comune, quindi, l'art. 23 della legge 16 settembre 1960, n. 1014, non avrebbe apportato alcuna modificazione su questo punto, confermando semplicemente la interpretazione più esatta, mentre avrebbe innovato riguardo al limite delle sovraimposizioni fondiarie ed alla esclusione di maggiorazioni per le imposte di famiglia, industrie, commerci, arti e professioni, bestiame e consumo del vino.

L'Avvocatura generale dello Stato conclude, nel suo atto di intervento, che riproduce sostanzialmente gli argomenti esposti, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi con le ordinanze. 20 del 1961 del Tribunale di Milano e 23 del 1961 del Tribunale di Livorno, perché le questioni siano dichiarate inammissibili e, subordinatamente, non fondate. Tali argomenti sono stati poi ripresi e svolti più ampiamente nella memoria illustrativa della Avvocatura generale depositata ai fini di tutti e tre i giudizi.

La difesa della Società "Albergo Germania e Stazione" ha presentato una memoria, nella quale riafferma che l'art. 332, quinto comma, del T.U. della legge comunale e provinciale, né considerato di per sé, né messo in relazione con gli artt. 182 e seguenti del T.U. per la finanza locale, indica alcun criterio o condizione, da cui il contribuente sia garantito. In quanto al limite, espresso, con la formula "nella misura strettamente indispensabile a conseguire il pareggio del bilancio", esso potrebbe funzionare come tale nei riguardi della imposizione di un ente, i cui compiti istituzionali fossero limitati e specifici, o anche dell'imposizione di unente che, pur avendo fini ampi e generali, la istituisse a titolo di corrispettivo per un servizio determinato; ma perde ogni valore nel caso di un'imposta, il cui gettito é destinato, unitamente a quello di altri tributi, all'assolvimento dei fini generali e allo svolgimento di servizi indivisibili. La difesa della Società contesta poi che costituisca garanzia per i singoli il rapporto "gettito tributario - fabbisogno finanziario" quando l'imposizione colpisca una intera categoria di contribuenti; meno ancora quando tale rapporto venga stabilito avendo riguardo non al gettito di un singolo tributo, ma cumulativamente a quelli di una pluralità di tributi, fra i quali l'ente potrebbe scegliere arbitrariamente l'uno o l'altro. Contesta, infine, che si possa ravvisare una garanzia sufficiente nel sistema dei controlli sull'attività di imposizione dei Comuni, tanto se essi siano inquadrati nella figura del controllo di legittimità, quanto se in quella del controllo di merito.

4. - Alla pubblica udienza del 20 dicembre 1961 le tre cause sono state congiuntamente discusse dai difensori delle parti, i quali hanno ribadito le argomentazioni già esposte nelle memorie, mentre la Corte si é riservata di provvedere sulla eventuale riunione delle cause stesse.  

Considerato in diritto 

1. - La Corte ha ravvisato l'opportunità della riunione delle tre cause ai fini della loro decisione con unica sentenza, data la evidente connessione delle questioni di legittimità costituzionale proposte, concernenti l'una o l'altra o entrambe le norme contenute nei Testi unici della legge comunale e provinciale e della finanza locale, contro le quali sono state fatte valere le stesse censure.

2. - L'oggetto del giudizio della Corte, per quanto concerne la norma contenuta nell'art. 332, quinto comma, del T.U. della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934; é stato precisato con particolare diligenza nell'ordinanza del Tribunale di Venezia, che ha avuto cura di riferirsi espressamente a detto comma "con tutte le modificazioni antecedenti a quella apportata dalla legge 16 settembre 1960, n. 1014". La precisazione é da ritenere valida anche rispetto al giudizio proposto con l'ordinanza del Tribunale di Livorno, in quanto nella controversia principale pendente davanti a questo Tribunale si discute proprio dell'applicabilità della stessa norma.

D'altra parte, la Corte costituzionale ha già avuto occasione di dichiarare la propria competenza anche rispetto a questioni di legittimità costituzionale concernenti norme abrogate, sempre che la definizione di tali questioni risulti tuttora rilevante ai fini della decisione di controversie proposte davanti all'organo giurisdizionale che ha rimesso le questioni stesse alla Corte (sentenza n. 4 del 16 gennaio 1959). Le eccezioni di inammissibilità non meritano, quindi, accoglimento.

3. - La norma costituzionale alla quale fanno riferimento tutte le tre ordinanze é quella contenuta nell'art. 23 della Costituzione, che ha formato ripetutamente oggetto di applicazione in giudizi davanti alla Corte.

Nella disposizione di tale articolo, a norma della quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, la Corte ha costantemente ravvisato l'affermazione di un principio, secondo il quale la legge non può lasciare all'arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione, ma deve indicare i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente nell'esercizio del potere impositore attribuitogli (sentenze n. 4 del 16 gennaio 1957 e n. 48 del 4 luglio 1961). La soluzione da essa accolta nei riguardi di varie questioni di legittimità costituzionale concernenti imposizione di prestazioni obbligatorie é stata conseguentemente fondata su un esame diretto ad accertare se la legge, in base alla quale la prestazione era imposta, contenesse o no la determinazione di presupposti, di garanzie e di limiti sufficienti a circoscrivere la potestà dell'ente impositore. Ed é precisamente un esame con questo oggetto che deve essere compiuto anche nel presente giudizio, dopo che si sia riconosciuto che le norme, la cui legittimità costituzionale é contestata, prevedono la imposizione di una prestazione obbligatoria.

4. - Nella prima sentenza pronunciata in materia (n. 4 del 1957) la Corte aveva anche fissato il principio, che il criterio per ritenere applicabile la norma dell'art. 23 della Costituzione é che si tratti di prestazione obbligatoria in quanto istituita da un atto di autorità, indipendentemente dalla denominazione della prestazione stessa. In quella occasione la prestazione in contestazione era il cosiddetto "diritto di contratto" previsto dal D.L. 11 agosto 1933, n. 1183, a favore dell'Ente nazionale risi, cui era contestata dalla difesa dell'Ente e dall'Avvocatura dello Stato la natura di prestazione tributaria. Nel presente giudizio la natura tributaria della prestazione viene contestata in base al rilievo, che essa presuppone il concorso della volontà dell'obbligato, il quale potrebbe evitarla, non richiedendo il bene o il servizio, in cui si ravvisa la controprestazione dell'asserito rapporto sinallagmatico: di conseguenza, il fatto che l'art. 195 del T.U. della finanza locale parli ripetutamente di "tassa" per l'occupazione del suolo pubblico, e che l'art. 332, quinto comma, del T.U. della legge comunale e provinciale si riferisca agli "aumenti di imposte, tasse e contributi" non potrebbe avere alcun peso ai fini della soluzione della questione sul carattere tributario delle prestazioni richieste.

La Corte non ritiene di dover assegnare un valore decisivo agli argomenti letterali desumibili dalla formulazione delle disposizioni citate, né intende prescindere dal principio già definito in tema di applicazione della norma contenuta nell'art. 23 della Costituzione. I casi sottoposti al suo esame nel presente giudizio appaiono sicuramente compresi nell'ambito di applicazione di quella norma, perché da molteplici elementi risulta che si tratta di prestazioni imposte, rispetto alle quali é spesso del tutto irrilevante ogni manifestazione di volontà del contribuente. Né sempre vi si può ravvisare la prestazione di una utilità da parte dell'ente impositore, e tanto meno la sussistenza di un rapporto di equivalenza economica fra l'eventuale servizio o bene prestato al privato e la prestazione richiesta a questi, il che diventa ancor più evidente quando intervengano successive sovraimposizioni, destinate in ogni caso ad alterare il supposto rapporto.

Per quanto concerne anche e soprattutto la tassa per l'occupazione del suolo pubblico sono poi da considerare altri numerosi argomenti a favore della tesi della sua natura tributaria: così il fatto che la percezione di essa non é stata assoggettata all'I. G. E. da parte del Ministero delle finanze; il procedimento previsto per la riscossione, che é quello stabilito per le imposte di consumo; la considerazione che l'istituzione di essa é condizione per applicare le sovrimposte fondiarie (art. 255 del T.U. per la finanza locale), elementi tutti che prevalgono indubbiamente su quelli addotti per sostenere la tesi contraria.

5. - Il compito della Corte é, pertanto, quello di accertare se nelle norme legislative, delle quali é controversa la legittimità costituzionale, si ravvisi la predisposizione di tali limiti al potere dell'ente impositore da far riconoscere che la prestazione sia imposta "in base alla legge", secondo la espressione contenuta nella norma della Costituzione.

A sostegno della tesi affermativa si é sostenuto che la legge pone limiti sufficienti a quel potere, in quanto ne subordina l'esercizio alla sussistenza di uno stato di particolare e grave fabbisogno finanziario dell'ente impositore, e in quanto non mancano controlli, diretti sia ad accertare tale presupposto, sia a garantire una certa proporzione fra le prestazioni imposte alle diverse categorie di contribuenti. Si é anche posto in evidenza che dalla storia degli istituti in discussione e in particolare dalla successione delle numerose redazioni della disposizione dell'art. 332, quinto comma, del T.U. della legge comunale e provinciale, risulta una costante tendenza del legislatore ad aumentare e perfezionare i limiti e i controlli concernenti la imposizione della contribuzione, garantendone sempre meglio la conformità al precetto costituzionale.

A giudizio della Corte, i limiti ed i controlli che si affermano previsti nell'art. 195 del T.U. per la finanza locale e nell'art. 332, quinto comma, del T. U. della legge comunale e provinciale (quanto meno nella redazione antecedente alla legge 16 settembre 1960, n. 1014, posto che sulla legittimità costituzionale di questa ultima la Corte non é stata chiamata a pronunciarsi, né compete ad essa accertare se tale legge sia applicabile ai rapporti controversi), seppure si potessero considerare veri e propri limiti e controlli, non sono da ritenere conformi al precetto contenuto nell'art. 23 della Costituzione.

Anche se il fabbisogno finanziario di un ente a fini molteplici, quale il Comune, potesse essere considerato come un limite al potere di imposizione di esso, si tratterebbe di un limite semplicemente globale e, in quanto tale, insufficiente a garantire i singoli; né possono attribuirsi carattere ed efficacia di vera garanzia a certi controlli, che riguardano l'accertamento del presupposto di necessità sopra ricordato ovvero costituiscono semplici pareri, che, seppure obbligatori, non sono affatto vincolanti per gli organi dell'amministrazione attiva.

Se poi é vero, come risulta dagli atti parlamentari relativi a quella che é poi divenuta la legge 16 settembre 1960, n. 1014, che gli organi legislativi hanno inteso e intendono adeguare sempre meglio le leggi ordinarie in materia al precetto costituzionale, non sembra consentito desumere da tale constatazione un argomento valido per ammettere la legittimità costituzionale di disposizioni, che quegli stessi organi hanno ritenuto di dover sostituire.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando con unica sentenza sui tre procedimenti riuniti indicati in epigrafe:

respinge le eccezioni preliminari proposte dall'Avvocatura generale dello Stato;

dichiara la illegittimità costituzionale delle norme contenute nell'art. 195 del T.U. della finanza locale, approvato con R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, e nell'art. 332, comma quinto, del T.U. della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, e modificato dagli art. 9 della legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 5 del D.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, e art. 2 del D.P.R. 20 gennaio 1955, n. 289, in riferimento alla norma contenuta nell'art. 23 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 30 gennaio 1962.