Sentenza n. 4 del 1959

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SENTENZA N. 4

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Tomaso PERASSI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, del R.D. 27 settembre 1941, n. 1015, convertito nella legge 29 dicembre 1941, n. 1470, e dell'art. 1 della legge 26 gennaio 1952, n. 29, promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1957 dal Tribunale di Taranto nel procedimento civile vertente tra Augenti Francesco ed altri e Vinci Luigi e Longo Albino, iscritta al n. 104 del Registro ordinanze 1957 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 25 gennaio 1958.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 17 dicembre 1958 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi l'avv. Giuseppe Chiarelli per Augenti Francesco ed altri, l'avv. Arturo Carlo Jemolo per Vinci Luigi e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Malinconico per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Con atto di citazione notificato il 13 giugno 1952 Augenti Francesco conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Taranto Longo Albino, chiedendo dichiararsi la proprietà di esso istante su un appartamento vendutogli dal Longo con scrittura privata in data 30 marzo 1940, registrata nel 1952.

Il Longo dichiarava in giudizio di avere ceduto ogni diritto sull'immobile a Vinci Luigi, intestatario del suolo edificatorio fin da epoca precedente alla costruzione dell'immobile controverso.

L'Augenti allora conveniva in giudizio anche il Vinci, il quale resisteva alla domanda e in via riconvenzionale chiedeva dichiararsi la nullità della scrittura privata sopra indicata, perché non registrata tempestivamente, a norma dell'art. 2, primo comma del R.D. 27 settembre 1941, n. 1015, convertito nella legge 29 dicembre 1941, n. 1470. Precisava al riguardo che la scrittura medesima era ancora soggetta alla sanzione di nullità prevista dal detto D.L. n. 1015 per il caso di omessa o non tempestiva registrazione, giacché alla legge 20 marzo 1945, n. 272, che lo aveva abrogato, non poteva, per costante giurisprudenza, riconoscersi effetto retroattivo, e, d'altra parte, la successiva legge 26 gennaio 1952, n. 29, con la quale la sanzione medesima era stata limitata alle sole scritture contenenti patti non ancora eseguiti dalle parti, non poteva giovare all'attore, in quanto appunto, nella specie, il pagamento del prezzo non era avvenuto integralmente e non poteva quindi parlarsi di avvenuta esecuzione del contratto.

Azioni analoghe a quella esperita dall'Augenti venivano, nel frattempo, proposte contro il Longo ed il Vinci da Cacciapaglia Tommaso, Conte Angelo, Quero Adele, Ruggieri Maddalena e Simonetti Maria in ordine ad altri immobili, in parte venduti ed in parte promessi in vendita in loro favore dal Longo nello stesso periodo di tempo, pure con scritture private registrate soltanto nel 1952. Nei detti giudizi il Vinci formulava le stesse deduzioni e domande spiegate nei confronti dell'Augenti. I vari giudizi vennero riuniti.

Gli attori sollevarono, in via incidentale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma primo, del citato R.D. n. 1015 e dell'art. 1 della sopraindicata legge n. 29, limitando l'impugnazione, quanto a quest'ultima, "alla sola parte che implicitamente conferma" la nullità delle scritture private non registrate sancita dal R.D. del 1941.

La censura di illegittimità costituzionale veniva così formulata:

1) violazione del principio generale di ordine costituzionale sulla irretroattività della legge espressamente confermato nell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale contenute nel Codice civile, in quanto le norme impugnate avrebbero disposto con efficacia retroattiva, incidendo su diritti acquisiti;

2) violazione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione sulle garanzie a favore della proprietà privata, già acquistata dagli attori in forza delle scritture non registrate, e coattivamente trasferita al di là dei limiti entro i quali la disposizione della Costituzione consente l'espropriazione.

Il Tribunale di Taranto con ordinanza 15 novembre 1957 dichiarava manifestamente infondata la prima questione e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per la decisione della seconda.

2. - Con la detta ordinanza il Tribunale, dopo avere osservato che l'art. 42, primo e terzo comma, della Costituzione dispone che la proprietà privata é riconosciuta e garantita dalla legge e può essere espropriata solo per motivi di interesse generale nei casi preveduti dalla legge e salvo indennizzo, precisa che tale ultima norma si riferisce indubbiamente ai soli casi di espropriazione per pubblica utilità, intesa questa in senso lato, con riferimento a tutti quei procedimenti di espropriazione che sono consentiti dalla legge allorché, per il soddisfacimento di un interesse collettivo, sia necessario disporre della proprietà privata e quindi spogliarne il titolare. Oltre tali casi - afferma il Tribunale - la proprietà può perdersi solo per trasferimento consensuale, per morte del proprietario, per perimento della cosa o per espropriazione forzata. D'altra parte la sanzione di nullità comminata dall'art. 2, primo comma, del R.D. 1015, e confermata dall'art. 1 della legge n. 29 per le scritture private concernenti contratti di trasferimento immobiliare, al fine di assicurare all'erario il pagamento dell'imposta di registro, "si risolveva" - secondo il Tribunale - in una vera espropriazione in danno degli acquirenti ed a favore dei venditori di quei beni la cui proprietà, in virtù del contratto, a norma dell'art. 1470 Cod. civ., era già passata agli acquirenti stessi indipendentemente dalla registrazione. Poiché tale forma di espropriazione - sempre a giudizio del Tribunale - sarebbe da ritenersi "al di fuori di quelle che la citata norma costituzionale consente, in quanto il trasferimento coattivo della proprietà non veniva disposto per il raggiungimento di un fine generale conseguibile attraverso il trasferimento stesso, ma soltanto come mezzo di coercizione, con funzione strumentale, per il conseguimento di utilità di ordine fiscale", sarebbe da ravvisarsi, almeno prima facie, un contrasto tra la norma impugnata e l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.

L'ordinanza del Tribunale, comunicata ai Presidenti delle due Camere e notificata al Presidente del Consiglio il 6 dicembre 1957, é stata pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 25 gennaio 1958.

3. - I signori Augenti Francesco, Cacciapaglia Tommaso, Conte Angelo, Quero Adele, Ruggieri Maddalena e Simonetti Maria si sono costituiti in giudizio, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Chiarelli e Raffaele De Palma.

Nelle deduzioni difensive, a sostegno della enunciata tesi di illegittimità costituzionale, vengono riproposte sostanzialmente le argomentazioni svolte dal Tribunale di Taranto, nell'ordinanza di rinvio, circa il contrasto fra l'art. 42 della Costituzione e il decreto del 1941. Si osserva inoltre che se, ai sensi dello stesso art. 42 della Costituzione, "i modi di acquisto della proprietà possono determinarsi con legge ordinaria", ciò non vuol dire che possano, con legge ordinaria, annullarsi i trasferimenti di proprietà già avvenuti, poiché in tal modo perderebbe ogni valore la garanzia costituzionale della proprietà privata.

4. - Il Vinci Luigi si é pure costituito in giudizio, rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Carlo Jemolo e Cesare Picaro, mediante deposito delle deduzioni nella cancelleria della Corte.

I patroni del Vinci prospettano, innanzi tutto, la tesi secondo cui la legge 26 gennaio 1952 non potrebbe essere oggetto dell'impugnazione, giacché la legge stessa si limita semplicemente ad attribuire valore parzialmente retroattivo all'abrogazione delle norme del R.D. del 1941, disposta col richiamato decreto legislativo 20 marzo 1945, stabilendo l'inefficacia delle norme abrogate anche per il periodo precedente all'entrata in vigore della legge abrogante, nell'ipotesi in cui i contratti siano stati eseguiti.

Premesso che, in tal modo, la questione di legittimità costituzionale rifletterebbe "solo situazioni e norme anteriori alla Costituzione", la difesa del Vinci formula al riguardo un'eccezione di carattere pregiudiziale, affermando che il giudizio di legittimità costituzionale é ammissibile, per le leggi abrogate prima della Costituzione, se le stesse "siano state applicate sotto l'impero della vigente Costituzione, e si tratti appunto di vedere se potessero avere vigore sotto l'impero della Costituzione". In caso contrario verrebbe ad affermarsi implicitamente l'assurdo criterio, secondo cui il legislatore sarebbe vincolato da principi costituzionali ancora di là da venire con la conseguenza - altrettanto assurda che la Corte costituzionale potrebbe essere chiamata a pronunciarsi sulla conformità di norme di legge, ad es., allo Statuto Albertino o ad altri testi ugualmente superati.

Passando al merito, la difesa del Vinci contesta la sussistenza del vizio denunciato, affermando che rientra indubbiamente nelle facoltà del legislatore esigere talune forme per il trasferimento di determinati tipi di proprietà e di stabilire che il passaggio della proprietà stessa non si operi se non attraverso quelle forme, così come avviene, ad esempio, per la forma scritta, l'atto pubblico ecc. L'obbligo della registrazione a pena di nullità dovrebbe pertanto riguardarsi come l'imposizione da parte del legislatore di una speciale forma per certi tipi di contratto.

D'altra parte - sempre secondo la difesa del Vinci - il profilo dell'espropriazione delineato nell'ordinanza di rinvio sarebbe da ritenere artificioso, "non trattandosi di togliere un bene a Tizio per darlo a Caio, bensì d'imporre a Tizio di perfezionare in un dato modo, avendo tutto il tempo di farlo, il passaggio della proprietà di un bene da Caio a lui".

I patroni del Vinci pertanto concludono chiedendo dichiararsi la palese infondatezza della questione "e la carenza di giurisdizione della Corte": comunque, in subordine, ritenersi la legittimità costituzionale del R.D. 27 settembre 1941, n. 1015, e della legge di conversione relativa.

5. - Si é costituita altresì in giudizio l'Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, e nelle deduzioni scritte ha - da parte sua - formulato una eccezione pregiudiziale analoga a quella posta dalla difesa del Vinci, sia pure sotto diverso profilo.

Sostiene infatti l'Avvocatura dello Stato che non possono formare oggetto del sindacato di legittimità costituzionale quelle leggi che, emanate prima dell'entrata in vigore della Costituzione, sono state espressamente abrogate. A sostegno di questa tesi l'Avvocatura afferma che scopo del giudizio di legittimità costituzionale é l'eventuale eliminazione dall'ordinamento giuridico di quelle norme che si presentino in contrasto con la Costituzione, e che tale scopo non potrebbe essere perseguito nel caso che le norme stesse siano già state eliminate "col procedimento normale dell'abrogazione". Né potrebbe assumersi in contrario, che la necessità del giudizio può sussistere in vista della più ampia portata della pronunzia di illegittimità costituzionale, poiché, in entrambi i casi, "resterebbero pur sempre salvi gli effetti prodotti dalla legge anteriormente alla sua abrogazione o alla sua dichiarazione di illegittimità".

Dovendosi escludere pertanto la possibilità di un sindacato giurisprudenziale di legittimità costituzionale riguardo al decreto del 1941, eguale esclusione dovrebbe farsi - secondo l'Avvocatura - nei riguardi della legge 26 gennaio 1952: "innanzi tutto perché l'ordinanza di rinvio limita i profili di incostituzionalità di detta legge solo a quanto di essa residua nel citato R.D. n. 1015"; e poi perché "sarebbe assurdo prospettare l'incostituzionalità di una legge che, con effetto retroattivo, ha mitigato i rigori del decreto legge in parola e della sua pura e semplice abrogazione".

Nel merito l'Avvocatura osserva che non devono confondersi le conseguenze materiali derivanti dalla nullità di un atto, con gli effetti giuridici prodotti dall'ordine con cui le autorità, nell'esercizio di un potere commesso dalla legge, provoca il trasferimento del diritto di proprietà sul bene. Ed invero - secondo l'Avvocatura - il decreto del 1941 si limitava a comminare l'assoluta improduttività di effetti di un atto a seguito del mancato ossequio ad un precetto di legge, senza per nulla giungere ad eliminare ex post effetti già verificatisi, mentre, d'altra parte, manca quell'atto positivo dell'autorità diretto a provocare il passaggio del bene da un soggetto ad un altro, che é caratteristico dell'espropriazione. Sarebbe quindi inaccettabile l'opinione che vorrebbe ricondurre ad una non prevista e quindi incostituzionale forma di espropriazione l'effetto del R.D. del 1941. Dovrebbe, al contrario - secondo l'Avvocatura - affermarsi la rispondenza delle norme impugnate ai principi costituzionali, riguardando le stesse una semplice modifica delle disposizioni del Codice civile in tema di compravendita, che non esorbita dal campo della legittimità costituzionale, in quanto la Costituzione non si occupa dei modi di acquisto della proprietà, affidando la disciplina di tale materia alla legge ordinaria.

L'Avvocatura conclude chiedendo dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi la questione di legittimità costituzionale proposta dal Tribunale di Taranto con la citata ordinanza.

6. - La difesa dell'Augenti ed altri, in data 4 dicembre 1958, ha depositato una memoria con cui, in primo luogo, sostiene la infondatezza delle eccezioni pregiudiziali proposte dalle controparti.

Per quanto attiene alla eccezione formulata dalla difesa del Vinci, afferma che il decreto n. 1015 del 1941, benché abrogato, spiega tuttora, in forza delle disposizioni della legge n. 29 del 1952, una vera e propria ultrattività nei casi in cui i patti contenuti nelle scritture non registrate non siano stati eseguiti, il che legittimerebbe la proposizione dell'incidente di incostituzionalità vertente su norme efficaci anche sotto l'impero della Costituzione.

Per quanto attiene all'eccezione formulata dalla Avvocatura dello Stato, si richiama alla differenza fra abrogazione delle leggi e dichiarazione di illegittimità costituzionale, ed alla maggiore ampiezza di questo mezzo, per inferirne che può farsi luogo al giudizio di legittimità costituzionale anche in riferimento ad una norma abrogata che, come quella del 1941, produca ancora qualche effetto.

Contestando poi, in particolare, quanto affermato dalla difesa del Vinci circa la limitata portata della legge del 1952, sostiene che la stessa, "a parte la derivazione dal decreto del 1941", pone una comminatoria di nullità di carattere autonomo, "emanata sotto l'impero della Costituzione vigente", e rispetto alla quale, pertanto, "non pare possa mettersi in dubbio la giurisdizione della Corte costituzionale".

Quanto al merito, insiste - sviluppandole - nelle tesi già svolte nelle precedenti deduzioni.

La difesa del Vinci ha pure presentato, nella stessa data, una memoria con la quale lamenta che il Tribunale di Taranto non si sia determinato in senso negativo sull'incidente di legittimità costituzionale, essendo irrilevante - a dire della stessa difesa - la questione proposta ai fini della causa, giacché gli immobili in controversia erano stati costruiti su terreno di proprietà del Vinci, mai da lui alienato, e quindi "non gli si sarebbe potuta opporre la vendita di cose sue fatta da un terzo". Insiste poi sulle tesi già svolte, tendenti ad escludere dall'oggetto del giudizio la legge n. 29 del 1952 ed a sostenere l'infondatezza, nel merito, della questione di legittimità costituzionale.

L'Avvocatura generale dello Stato, infine, ha pure presentato il 4 dicembre 1958 una memoria illustrativa, con cui ribadisce i concetti già sviluppati, a suo tempo, e sostiene, fra l'altro, che l'osservanza della formalità della registrazione deve, in linea generale, assimilarsi ad un onere il cui adempimento la legge pone come condizione della protezione dell'atto, ai fini del raggiungimento dello scopo pratico al quale é preordinato, per cui deve essere esclusa, sotto qualsiasi profilo, la figura dell'espropriazione in relazione al decreto del 1941, col quale, appunto, si subordina la validità del contratto all'onere della registrazione.

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Fra le varie eccezioni pregiudiziali sollevate nel presente giudizio deve per prima essere esaminata quella formulata dalla difesa del Vinci, che si riferisce al giudizio di rilevanza fatto dal Tribunale di Taranto per poter proporre a questa Corte la questione di legittimità costituzionale. Rileva, infatti, la difesa del Vinci che il Tribunale, prima di sollevare tale questione, avrebbe dovuto esaminare se la causa non poteva esser decisa sulla base delle difese presentate, con le quali si era affermato che si contendeva in merito a costruzioni fatte su di un suolo del Vinci, mai da lui alienato, sicché non si sarebbe potuta al medesimo opporre la vendita di cose sue fatta da un terzo. Giacché é certo - così conclude la detta difesa - che il giudice deve sollevare la questione di legittimità costituzionale solo quando, per decidere la causa, egli deve applicare la norma di cui si denuncia la illegittimità, non già allorché può assolvere al suo compito prescindendo da essa.

Giova, in proposito, premettere che, nel corso del giudizio principale, gli attori ebbero a precisare le loro conclusioni di merito, chiedendo che il Vinci ed il Longo fossero dichiarati solidalmente tenuti a trasferire a ciascuno di essi attori la proprietà degli immobili a suo tempo venduti.

Ciò posto, é da ricordare che, secondo la giurisprudenza, ormai pacifica, di questa Corte, il giudizio di rilevanza - del quale é esclusivamente competente il giudice a quo - é suscettibile di sindacato da parte della Corte solo nel caso di omessa o insufficiente motivazione. Tenuto fermo tale principio e considerato che l'ordinanza ha riconosciuto la pregiudizialità della questione di legittimità costituzionale, con l'affermare che dall'eventuale dichiarazione di incostituzionalità deriverebbe il "riconoscimento del diritto di proprietà in favore di quegli attori che stipularono il contratto definitivo di compravendita, laddove, qualora le norme impugnate dovessero risultare conformi ai precetti della Costituzione, il diritto di proprietà non potrebbe essere accertato per quelle parti che non hanno adempiuto all'obbligo del pagamento del prezzo", é da ritenere che tale ragionamento costituisca una sufficiente motivazione cui l'ordinanza perviene, almeno per quanto concerne il Longo, venditore degli appartamenti. Invero, anche prescindendo dalla posizione del Vinci, che si assume proprietario degli immobili venduti in quanto costruiti su proprio suolo - e del quale peraltro bisogna ricordare la richiesta degli attori, di condanna in solido col Longo-, il Tribunale, in relazione alla domanda formulata contro il Longo, deve indubbiamente decidere se le scritture impugnate hanno forza obbligatoria nei di lui confronti ai sensi dell'art. 1478 del Codice civile, secondo cui il venditore di cosa altrui é obbligato a procurarne l'acquisto al compratore. E l'accertamento sulla costituzionalità delle norme impugnate, incidendo sulla validità delle scritture, é necessariamente pregiudiziale rispetto alla decisione del giudizio principale.

Questa prima eccezione, pertanto, é da ritenersi infondata.

2. - Per passare all'esame delle altre eccezioni pregiudiziali sollevate sia dalla stessa difesa del Vinci, sia dall'Avvocatura dello Stato, e con le quali si sostiene, sia pure sotto diverso profilo, la inammissibilità dell'attuale giudizio, ritiene la Corte opportuno, per meglio lumeggiare tali eccezioni e per i riflessi di merito che ne possono derivare, esaminare il contenuto dei decreti del 1941 e del 1945, e della legge del 1952, e rilevare le reciproche relazioni di questi testi legislativi.

Col primo comma dell'art. 1 del R.D. 27 settembre 1941, n. 1015, venne stabilito che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, gli atti stipulati per scrittura privata non autenticata, sotto qualsiasi denominazione, aventi per oggetto trasferimenti di beni immobili o di diritti immobiliari erano "nulli di pieno diritto". Ad evitare siffatta comminatoria di nullità, il primo comma dell'art. 2 concedeva un termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso per la registrazione tardiva, con esenzione dalla soprattassa.

Non occorre indugiare, ai fini del presente giudizio, sulla natura giuridica della sanzione di nullità stabilita nel decreto: se, cioè, la formalità della registrazione entro il termine prescritto doveva riguardarsi come un elemento integratore dell'esistenza degli atti posti in essere mediante scrittura privata non autenticata; o se una invalidazione dell'atto si sarebbe verificata solo successivamente, allo scadere del termine prorogato per la registrazione, qualora questa non avesse avuto luogo. Certo é - e ciò bisogna avere ben presente ai fini che interessano nel presente giudizio - che il decreto espressamente e tassativamente stabiliva una nullità assoluta: "nullità di pieno diritto".

Tale comminatoria cadeva nel nulla con il D.L.L. 20 marzo 1945, n. 272, che abrogava le disposizioni del decreto del 1941: "Le disposizioni contenute nel R.D. 27 settembre 1941, n. 1015, sulla nullità degli atti privati non registrati aventi per oggetto trasferimenti di beni immobiliari, convertito con modificazione nella legge 29 dicembre 1941, n. 1470, sono abrogate". Questo decreto di abrogazione, non contenendo alcuna menzione di eventuali effetti retroattivi, non poteva avere effetto, e quindi applicazione, che soltanto per l'avvenire, come qualsiasi altra legge (art. 11 disposizioni sulla legge in generale), e pertanto riguardare esclusivamente i nuovi rapporti che sarebbero sorti dal giorno della sua entrata in vigore, e non già quelli che erano sorti precedentemente e che erano stati regolati - e rimanevano regolati - dal decreto del 1941. Ciò venne riconosciuto anche dalla Corte di cassazione, che negò ogni efficacia retroattiva al D.L.L. 20 marzo 1945.

E appena il caso di ricordare che i rapporti che hanno dato luogo ai giudizi vertenti dinanzi al Tribunale di Taranto sono tutti anteriori al decreto del 1945 e allo stesso decreto del 1941: quindi le relative scritture sono colpite dalla sanzione di nullità assoluta per non essere state registrate nel termine prorogato dal decreto del settembre 1941.

3. - Considerazione a parte merita la legge 26 gennaio 1952, n. 29. Essa venne emanata, come risulta chiaro dai lavori preparatori, appunto per smorzare, in situazioni meritevoli dell'attenzione del legislatore, l'asprezza che deriva dal decreto del 1941, per effetto della comminatoria, in tutti i casi, della nullità assoluta dei contratti di compravendita stipulati con scrittura privata non registrata. Stabiliva, pertanto, con l'art. 1, che non poteva "essere dichiarata", ai sensi del decreto 27 settembre 1941, la nullità degli atti stipulati sotto qualsiasi denominazione, che avevano per oggetto trasferimenti o promesse di trasferimento di beni immobili o di diritti immobiliari, "qualora - così si esprimeva la legge - già abbiano avuto luogo l'immissione in possesso e l'esecuzione della controprestazione dovuta".

Data tale precisa dizione, é da notare, anzitutto, che questa legge non può dirsi confermativa del decreto del 1941. D'altronde tale decreto non aveva bisogno di alcuna conferma, anche per la considerazione pratica che esso era stato abrogato successivamente col decreto luogotenenziale del 1945, avente effetto per i rapporti posti in essere dopo la sua entrata in vigore. Gli effetti già prodotti dal decreto del 1941-e cioè la nullità di diritto per i contratti non registrati nel termine prorogato - rimanevano fermi, non in conseguenza di una assunta conferma, o, meglio, del semplice - per quanto necessario - richiamo al decreto del 1941, ma per diretta, inequivocabile conseguenza dello scopo della legge del 1952, scopo del tutto limitato ad una considerazione benevola della condizione nella quale si erano venuti a trovare quei contraenti che avevano non soltanto ottenuto la immissione in possesso del bene acquistato, ma ne avevano pagato completamente il prezzo. Ma se così limitata era la portata della legge del 1952; se era rimasta ferma la "nullità di pieno diritto" stabilita dal decreto del 1941, consegue, necessariamente, che la legge del 1952 poneva una norma nuova che si sovrapponeva a quella del 1941, per i rapporti nati da questa ed allora ancora in controversia (tanto che la legge del 1952 si espresse con la parole "non può essere dichiarata la nullità ecc."); sicché la giurisprudenza, subito su di essa formatasi, ritenne che non innovasse al decreto del 1941, ma che regolasse e disciplinasse ex novo la materia nel particolare caso che avessero avuto luogo l'immissione in possesso e l'esecuzione della controprestazione dovuta.

4. - Al lume di questo sommario esame delle disposizioni legislative invocate e delle mutue loro relazioni, ritiene la Corte che le eccezioni di inammissibilità del giudizio dedotte - ma sotto diverso profilo, come ora si dirà - sia dall'Avvocatura dello Stato, sia dalla difesa del Vinci non abbiano fondamento.

Deduce l'Avvocatura dello Stato l'inammissibilità del giudizio sotto il riflesso dell'avvenuta abrogazione del decreto del 1941, dichiarata dal decreto luogoten. del 1945; onde nessun margine rimarrebbe per l'attuale giudizio e per la conseguente pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme del menzionato decreto del 1941.

Questa Corte ha già chiarito, con la sentenza n. 1 del 1956, quali siano le sostanziali differenze fra l'istituto giuridico dell'abrogazione e le pronunzie di illegittimità costituzionale di una legge. Ha precisato, infatti, che si tratta di istituti giuridici che si muovono su piani diversi, con effetti diversi e con diverse competenze, rilevando, inoltre, che "il campo dell'abrogazione é più ristretto in confronto di quello della illegittimità costituzionale e i requisiti richiesti perché si abbia abrogazione per incompatibilità, secondo i principi generali, sono più limitati di quelli che possono consentire la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge".

Tale distinzione é stata seguita ininterrottamente dalla successiva giurisprudenza di questa Corte e di recente confermata con la sentenza n. 40 del 24 giugno 1958, anche nel caso che l'abrogazione di una norma legislativa sia stata dichiarata, per effetto e in conseguenza di una disposizione della stessa Costituzione, in modo costante dalle varie autorità giurisdizionali.

5. - Ciò spiana la via per l'esame della uguale eccezione di inammissibilità del giudizio sotto diverso profilo dedotta dalla difesa del Vinci. Questa, infatti, non trae motivo per sostenere il proprio punto di vista, in particolar modo, dall'avvenuta abrogazione del decreto del 1941, quanto dalla applicazione delle leggi anteriori e dalla loro concordanza con la vigente Costituzione, o, in ogni modo, dal vigore che ad esse possa riconoscersi sotto l'impero della Costituzione. Senza una tale limitazione - essa osserva - si giungerebbe all'assurdo di pretendere che nell'emanare una legge, in tempo anteriore alla Costituzione, il legislatore avrebbe dovuto a questa conformarsi, mentre questa non ancora esisteva. Non é infatti seriamente contestabile - così conclude - che, come ogni atto é legittimo o meno secondo il diritto vigente allorché viene posto in essere, del pari ogni legge é costituzionale o meno secondo le norme costituzionali vigenti nel momento in cui essa é formata. Con l'ulteriore conseguenza che la Corte costituzionale dovrebbe pronunciarsi non soltanto sulle questioni di conformità o meno della Costituzione della Repubblica, ma anche su quelle di conformità agli Statuti o Carte costituzionali anteriori.

Evidentemente dalla affermazione di alcuni principi, sulla cui esattezza non é lecito sollevare dubbi, si trae una conseguenza che non può essere in pieno accettata. Nel presente giudizio non si tratta di vedere se il decreto del 1941 era costituzionalmente legittimo di fronte alle disposizioni dello Statuto albertino, ma di ben altro. Si fa valere in giudizio, ora, una pretesa, basata - fondatamente o meno, questo non importa in questa sede - sopra una vecchia legge, per giunta abrogata, e questa pretesa la si vuole attuare, com'é ovvio, ora, e cioè in costanza di un nuovo ordinamento costituzionale, instaurato con la vigente Costituzione, rispetto al quale ordinamento si assume che quella legge sarebbe in contrasto. Ed allora si tratta, appunto, di vedere - come pur si esprime la difesa del Vinci, che ha sollevato essa stessa l'eccezione di inammissibilità - se la pretesa che si vuol fondare sulla vecchia legge possa essere attuata sotto l'impero della nuova Costituzione.

Già dai principi innanzi richiamati, circa la differenza fra abrogazione di una norma legislativa e dichiarazione della sua illegittimità costituzionale, e su gli effetti dell'una e dell'altra, deriva che, appunto per il carattere del giudizio di costituzionalità e dato l'ambito che esso abbraccia, indubbiamente più ampio, rispetto all'istituto dell'abrogazione, non é consentito dichiarare, in via preliminare, l'inammissibilità del giudizio in un caso come quello in esame. Non può infatti escludersi, in linea astratta, che, nonostante sia stata dichiarata l'abrogazione di una norma, permangano nel campo giuridico situazioni tali, la cui rilevanza, sul piano costituzionale, giustifichi la proponibilità del giudizio dinanzi a questa Corte. Nel caso in esame si tratta, appunto, di regolare i rapporti tra il Longo, il Vinci e gli attori in ordine ai contratti di cui alle scritture non registrate sopra richiamate, secondo le norme del decreto del 1941, sia pure successivamente abrogato. Si tratta, in altri termini, di norma legislativamente abrogata ma pur sempre oggi rilevante in giudizio e, come tale, sottoposta al sindacato di legittimità della Corte costituzionale. Rispetto ad una situazione simile la Corte medesima si é pronunciata con la sentenza n. 26 del 31 marzo 1958, con la quale ha stabilito la propria competenza a giudicare della legittimità di una norma che, sebbene in quel caso non abrogata, aveva tuttavia esaurito la propria funzione prima dell'entrata in vigore della Costituzione, nel caso in cui formava oggetto di discussione l'efficacia della norma stessa nei confronti della causa di merito. Ma allo stesso risultato non può non giungersi anche nel caso in cui la norma sia stata abrogata. Ed invero l'effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge consiste nel provocare la cessazione dell'efficacia della legge stessa dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, con la conseguenza che la legge medesima, dallo stesso momento, non può più trovare applicazione (art. 136 della Costituzione). Da ciò deriva che il sindacato della Corte costituzionale può e deve essere esercitato, per incontrastabile conseguenza, tutte le volte che di "efficacia" (citato art. 136 Cost.) ed "applicazione" (art. 30 legge 11 marzo 1953, n. 87) della legge possa parlarsi, indipendentemente dall'avvenuta abrogazione della medesima, la quale "efficace" ed "applicabile" resta, pur sempre, entro i limiti consacrati dai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo.

Deve pertanto ritenersi ammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Taranto e occorre vedere se possa o meno essere ritenuta fondata.

6. - Brevi osservazioni potranno valere a dimostrarne l'infondatezza.

Infatti, ammesso, in astratto, che una legge, sia pure abrogata, possa essere presa in esame, sotto il punto di vista della legittimità costituzionale, quando però produca ancora degli effetti, limitatamente ai quali si possa dire che essa sia ancora efficace ed applicabile, bisogna vedere in concreto, nel caso attuale, se tali effetti siano stati idonei a produrre il decreto del 1941.

Questa Corte non può entrare nel merito degli effetti e delle conseguenze, di natura reale o patrimoniale, che il decreto del 1941 produsse inter partes, il che é compito del Tribunale adito; ma, fermandosi al punto della mera questione di costituzionalità, non può non rilevare che, essendo rimasta ferma la nullità stabilita da quel decreto per gli atti di compravendita non registrati nel termine prorogato, e riferendosi la legge del 1952 - come innanzi si é chiarito - ad un nuovo rapporto, cioè ad un rapporto sorto ex novo con cui si facevano rivivere, sotto determinate condizioni - che nel caso in esame non si verificarono - contratti che già erano stati colpiti da nullità assoluta, il decreto del 1941 ebbe ad avere completa attuazione senza che possa dirsi residuato alcun effetto ora costituzionalmente rilevabile.

Ciò, d'altra parte, é confermato dalla considerazione dell'unico argomento che il Tribunale di Taranto con la sua ordinanza di trasmissione degli atti a questa Corte prospetta al fine di delineare una questione di carattere costituzionale; ipotizza cioè il Tribunale un avvenuto passaggio della proprietà ai compratori, al momento della stipula dell'atto non registrato, in conseguenza del consenso manifestato dalle parti sulla cosa e sul prezzo, e un successivo passaggio della cosa stessa venduta dai compratori ai venditori, sotto il profilo di una espropriazione della proprietà, a seguito della emanazione del decreto del 1941, che comminava la nullità delle compravendite fatte con scritture private non registrate. Ma giova osservare che questa costruzione di un ipotetico duplice passaggio della proprietà non ha giuridico fondamento, una volta che il decreto del 1941 stabiliva la nullità assoluta, "di pieno diritto", degli atti di trasferimento non registrati; sicché se un primo trasferimento non erasi avverato per la radicale, insanabile nullità dell'atto di trasferimento, tanto meno poteva dirsi avverato un secondo trasferimento per conseguenza di una assunta espropriazione costituzionalmente illegittima.

Non può poi essere seguita la difesa dell'Augenti e consorti in lite quando sostiene che, con l'imporre la registrazione degli atti entro un determinato termine a pena di nullità, si veniva a porre nel nulla lo stesso diritto di proprietà. Sta di fatto che con l'aver posto il legislatore l'obbligo della registrazione quale condizione indispensabile per la validità degli atti di trasferimento, non si intese sopprimere alcuna garanzia del diritto di proprietà o tanto meno il diritto stesso. Si trattava di una particolarità accessoria riguardante il regime contrattuale della proprietà, di portata limitata e di durata temporanea, giustificata da necessità fiscali ed economiche di quel tempo, come tale irrilevante sotto il profilo di una presunta questione di costituzionalità.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinge le eccezioni pregiudiziali;

dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza del Tribunale di Taranto in data 15 novembre 1957 sulla legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, del R.D. 27 settembre 1941, n. 1015, convertito nella legge 29 dicembre 1941, n. 1470, e dell'art. 1 della legge 26 gennaio 1952, n. 29, in riferimento all'art. 42 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1959.

Tomaso PERASSI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

 

 

 

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 1959.