Sentenza n. 198 del 2019

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SENTENZA N. 198

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, lettera a), e 12, comma 1, lettera a), numero 3), della legge della Regione Campania 2 agosto 2018, n. 26 (Misure di semplificazione in materia di governo del territorio e per la competitività e lo sviluppo regionale. Legge annuale di semplificazione 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato l’1-5 ottobre 2018, depositato in cancelleria il 3 ottobre 2018, iscritto al n. 68 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;

udito nella udienza pubblica del 2 luglio 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato l’1-5 ottobre 2018, depositato in cancelleria il 3 ottobre 2018 e iscritto al n. 68 del registro ricorsi 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 6 e 12 della legge della Regione Campania 2 agosto 2018, n. 26 (Misure di semplificazione in materia di governo del territorio e per la competitività e lo sviluppo regionale. Legge annuale di semplificazione 2018), in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117, secondo comma, lettera l), e 118 della Costituzione.

1.1.– L’art. 6 della legge reg. Campania n. 26 del 2018, rubricato «Semplificazioni in materia di lavori pubblici di interesse regionale e di opere pubbliche e di interesse pubblico», modifica la legge della Regione Campania 22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del territorio).

In particolare, la lettera a) del comma 1 del citato art. 6 inserisce l’art. 12-bis nella legge reg. Campania n. 16 del 2004.

La nuova disposizione, secondo la sua rubrica, detta norme su «[o]pere e lavori pubblici di interesse strategico regionale», definendo come tali, al comma 1, «le opere ed i lavori pubblici che si realizzano nel territorio della Regione Campania, la cui programmazione, approvazione ed affidamento spetta alla Regione», che siano «finanziati, anche solo parzialmente, con fondi europei e/o fondi strutturali» (lettera a), «volti a superare procedure di infrazione e/o procedure esecutive di condanne da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea per violazione della normativa europea» (lettera b), «definiti strategici dal Documento di economia e finanza regionale (DEFR)»; (lettera c), «inclusi nella programmazione di cui all’articolo 63 della legge regionale 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania) in quanto ritenuti strategici per lo sviluppo della Regione» (lettera d) o «finalizzati a migliorare le condizioni di accessibilità attiva e passiva della Zona Rossa per emergenza vulcanica del Vesuvio e dei Campi Flegrei (realizzazione e/o adeguamento di infrastrutture funzionali al miglioramento delle vie di fuga e delle strutture per la logistica previste dal Piano di allontanamento della popolazione residente in Zona Rossa)» (lettera e).

Il comma 2 dell’art. 12-bis prevede che, qualora per la realizzazione di tali interventi sia richiesta «l’azione integrata di una pluralità di enti interessati», la Regione debba promuovere «la procedura dell’accordo di programma» di cui all’articolo 12 della stessa legge reg. Campania n. 16 del 2004, implicante la convocazione di una conferenza di servizi.

Il comma 3 prevede poi che: nell’ambito della conferenza di servizi «prodromica all’accordo di programma», il comune interessato esprime il proprio «parere motivato» sui «progetti di opere e lavori pubblici di interesse strategico regionale non conformi al piano urbanistico comunale» (PUC); nel caso di parere non favorevole, l’amministrazione procedente aggiorna la conferenza di servizi stabilendo «un termine non superiore a trenta giorni entro cui il Comune dissenziente può far pervenire alle altre amministrazioni partecipanti alla Conferenza proposte di modifica del progetto volte ad acquisire l’assenso di tutte le amministrazioni interessate»; qualora non si pervenga al parere favorevole di tutte le amministrazioni partecipanti a una successiva conferenza di servizi, da tenersi entro trenta giorni dal ricevimento delle proposte comunali di modifica, «il progetto è sottoposto all’esame della Giunta regionale che, sentita la commissione consiliare competente per materia, può comunque disporre l’approvazione del progetto motivandone la coerenza con la programmazione strategica regionale degli interventi di rilievo sovra comunale, in attuazione dei principi costituzionali in tema di dimensione dell’interesse pubblico e livello della funzione amministrativa ad esso correlata».

1.1.1.– Secondo il ricorrente, l’art. 6 della legge reg. Campania n. 26 del 2018, nella parte in cui aggiunge l’art. 12-bis alla legge reg. Campania n. 16 del 2004, sarebbe lesivo della sfera di autonomia amministrativa costituzionalmente garantita ai comuni in materia di pianificazione del territorio e di urbanistica, che potrebbe essere ridotta o compressa dalla legge regionale soltanto sulla base di un interesse di rilievo sovracomunale puntualmente individuato e contenuto entro limiti anche di natura temporale.

Le censure si appuntano sui seguenti profili.

In primo luogo, la norma impugnata – che giustifica la deroga ai piani urbanistici comunali anche in disaccordo con il comune titolare della funzione di programmazione territoriale – individuerebbe in modo generico e indeterminato l’interesse strategico regionale, coinvolgendo potenzialmente la maggior parte delle opere da realizzare in ambito regionale, e si porrebbe così in contrasto con i criteri costituzionali di riparto delle funzioni amministrative tra amministrazioni decentrate, secondo i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Essa contrasterebbe altresì con la disciplina generale dettata dall’art. 4, comma 1, della stessa legge reg. Campania n. 16 del 2004, secondo il quale «[t]utti i soggetti istituzionali titolari di funzioni di pianificazione territoriale e urbanistica informano la propria attività ai metodi della cooperazione e dell’intesa». Esporrebbe inoltre la Regione a innumerevoli contenziosi con le realtà locali, interessate a tutelare la propria attività di programmazione territoriale.

In secondo luogo, sussisterebbe il contrasto anche con la disciplina statale in tema di conferenza di servizi, che secondo quanto previsto dall’art. 29, comma 2-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) «coinvolge[rebbe] i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost.», stabilendo che «[l]e regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela».

In particolare non sarebbe assicurato al comune, quale amministrazione preposta in persona del sindaco alla tutela della salute e della pubblica incolumità, il livello minimo di garanzia riconosciuto alle amministrazioni che rappresentano interessi sensibili dagli artt. 14-bis e 14-quinquies della legge n. 241 del 1990. Il contrasto con tali disposizioni si manifesterebbe, da un lato, là dove la norma impugnata assegna al comune il termine di trenta giorni – anziché novanta, come stabilito in generale dal citato art. 14-bis, comma 2, lettera c) – per esprimere il proprio motivato dissenso sul progetto non conforme al PUC e, dall’altro, prevedendo che il progetto sul quale il comune abbia motivatamente dissentito possa essere comunque approvato dalla Giunta regionale, mentre allo stesso comune dovrebbe essere consentito di avvalersi del rimedio, apprestato dall’art. 14-quinquies, comma 1, dell’opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri.

L’art. 6 della legge reg. Campania n. 26 del 2018 violerebbe quindi i seguenti parametri costituzionali:

- l’art. 3 Cost., per lesione del principio di proporzionalità, essendo il termine di trenta giorni insufficiente e inadeguato a consentire al comune dissenziente una completa valutazione nel caso di opere o lavori di particolare complessità e di notevole impatto «sugli interessi appartenenti alla sfera comunale»;

- l’art. 114, primo e secondo comma, Cost., che, riconoscendo agli enti locali pari dignità istituzionale rispetto agli «enti maggiori», affermerebbe «il principio del “pluralismo istituzionale paritario”, caratterizzato da un sistema di attribuzione delle funzioni amministrative incentrato più sulla divisione delle materie per aree di competenza che su relazioni di natura propriamente gerarchica»;

- l’art. 118, primo comma, Cost., che, attribuendo «le funzioni amministrative [...] ai Comuni», subordinerebbe l’intervento sostitutivo del livello di governo superiore all’esistenza di ragioni di loro esercizio unitario, che impedirebbero che il comune possa adempiervi con efficienza, secondo i principi di sussidiarietà e adeguatezza. La norma impugnata, al contrario, produrrebbe «un’indiscriminata inversione del criterio di riparto sancito dall’art. 118», perché consentirebbe alla Giunta regionale di disattendere, senza significativi ostacoli procedimentali, le istanze di tutela sollevate in sede di conferenza di servizi dagli enti locali coinvolti e, definendo di interesse strategico regionale molteplici e generiche categorie di opere e lavori pubblici, attribuirebbe alla Regione una sorta di potere di «avocazione generale» in materia.

1.2.– L’art. 12 della legge reg. Campania n. 26 del 2018 detta, secondo la sua rubrica, «[d]isposizioni di semplificazione in materia di Sportello Unico Regionale per le Attività Produttive».

Il ricorrente ne impugna il «comma 1, punto 3» (recte: comma 1, lettera a, numero 3), che, sostituendo il comma 1-bis dell’art. 20 della legge della Regione Campania 14 ottobre 2015, n. 11 (Misure urgenti per semplificare, razionalizzare e rendere più efficiente l’apparato amministrativo, migliorare i servizi ai cittadini e favorire l’attività di impresa. Legge annuale di semplificazione 2015), dispone quanto segue:

«1-bis In attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118, comma 1 della Costituzione, nel caso di iniziative di interesse regionale inerenti attività economiche, produttive anche che comportino varianti urbanistiche, il provvedimento abilitativo per l’avvio di nuove imprese che intendano localizzarsi sul territorio campano è rilasciato dal SURAP in qualità di amministrazione procedente su istanza delle imprese e previo accordo, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo), con i Comuni territorialmente competenti anche ai fini dell’istruttoria in forma telematica e dell’indizione, convocazione e conclusione della Conferenza dei servizi di cui all’articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133). Restano ferme le potestà degli enti locali in materia di governo del territorio e di rilascio dei titoli abilitativi a costruire nonché le normative in materia di autorizzazioni ambientali, quelle attuative di obblighi comunitari e i procedimenti unici di competenza regionale. La qualificazione dell’interesse regionale e l’individuazione delle iniziative avviene con delibera di Giunta regionale, sentita la Commissione consiliare competente in materia».

Tale disposizione, attribuendo le funzioni amministrative per il rilascio di titoli abilitativi all’esercizio di nuove imprese allo «Sportello Unico Regionale per le Attività Produttive» (SURAP), istituito dall’art. 19 della legge reg. Campania n. 11 del 2015, contrasterebbe con le seguenti norme statali contenute nel d.P.R. n. 160 del 2010, in materia di funzioni e organizzazione dello «sportello unico per le attività produttive» (SUAP) istituito presso i comuni:

- l’art. 2, comma 1, che individua il SUAP comunale quale «unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività [...]»;

- l’art. 4, comma 1, che attribuisce al SUAP la funzione di assicurare «al richiedente una risposta telematica unica e tempestiva in luogo degli altri uffici comunali e di tutte le amministrazioni pubbliche comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità»;

- l’art. 4, comma 2, secondo cui «[l]e comunicazioni al richiedente sono trasmesse esclusivamente dal SUAP; gli altri uffici comunali e le amministrazioni pubbliche diverse dal comune, che sono interessati al procedimento, non possono trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati e sono tenute a trasmettere immediatamente al SUAP tutte le denunce, le domande, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente»;

- l’art. 4, comma 5, che consente ai comuni di «esercitare le funzioni inerenti al SUAP in forma singola o associata tra loro, o in convenzione con le camere di commercio».

Ad avviso del ricorrente, inoltre, il «principio» che individua nel comune, attraverso il SUAP, l’ente deputato a rilasciare il titolo abilitativo per l’avvio e l’esercizio di un’attività d’impresa sarebbe ribadito dall’art. 6 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, come attuato dall’art. 25 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), nonché dagli artt. 23 e 24 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), dagli artt. 8 e 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) e dall’art. 38 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.

La deroga regionale alla normativa statale evocata, là dove quest’ultima attribuisce ai comuni «le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie» (art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998), non sarebbe giustificata nemmeno dal richiamo, contenuto nella norma impugnata, alla possibilità per le amministrazioni pubbliche di concludere «accordi [...] per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune», prevista all’art. 15, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

L’art. 12 della legge reg. Campania n. 26 del 2018 contrasterebbe quindi con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per violazione della competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile», nonché con gli artt. 5, 114 e 118, primo comma, Cost.

2.– La Regione Campania si è costituita in giudizio con atto depositato il 13 novembre 2018, contenente le sole conclusioni di inammissibilità e infondatezza delle questioni.

2.1.– Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione ha illustrato i motivi a sostegno delle sue conclusioni.

Quanto all’art. 6 della legge reg. Campania n. 26 del 2018, le censure sarebbero infondate, poiché la norma impugnata, espressione della potestà legislativa regionale concorrente in materia di governo del territorio, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., delimiterebbe la nozione delle opere «di interesse strategico regionale» attraverso il concorso di plurimi e stringenti requisiti, cumulativi e non alternativi tra loro, e sarebbe volta al soddisfacimento di un interesse unitario che può essere realizzato solo al livello del governo regionale, nel rispetto delle competenze delineate dalla Costituzione, che consentono di incidere sulle funzioni assegnate agli enti locali in nome di concorrenti interessi generali, collegati a una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio. Il legislatore regionale, peraltro, si sarebbe dotato di una disciplina omologa a quella che, ispirandosi al medesimo principio, regola le opere di interesse statale ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383 (Regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale), in tema di «[l]ocalizzazione delle opere di interesse statale difformi dagli strumenti urbanistici e mancato perfezionamento dell’intesa». Considerando la dimensione delle problematiche attribuite alla cura regionale, di cui la memoria fornisce alcune esemplificazioni, non sussisterebbero ragioni idonee a precludere od ostacolare l’esercizio di tale legittima potestà.

La resistente ricorda poi che disposizioni analoghe, non impugnate dallo Stato, sarebbero contenute nell’art. 24, commi 2-ter, 2-quater e 3, della legge della Regione Veneto 7 novembre 2003, n. 27 (Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche).

Sul denunciato contrasto con alcune disposizioni della legge n. 241 del 1990, la Regione osserva che i comuni sarebbero coinvolti nella conferenza di servizi disciplinata dall’art. 6 solo quali enti titolari della funzione di pianificazione territoriale e non quali enti preposti alla tutela di interessi “sensibili”, sicché essi non potrebbero avvalersi dell’opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri prevista dall’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990. In ogni caso tale rimedio resterebbe utilizzabile, ove ne ricorressero i presupposti, dal momento che la norma impugnata fa salve «le disposizioni vigenti in materia di valutazione ambientale e paesaggistica». Nemmeno si potrebbe affermare «la non congruità del termine assegnato al Comune per esprimere il proprio motivato dissenso, [...] laddove si consideri che tale termine deve aggiungersi a quello, pari ad ulteriori trenta giorni, previsti al fine di acquisire dal medesimo Comune proposte di modifiche del progetto». In ogni caso, nemmeno riconducendo le norme statali interposte richiamate dal ricorrente alla materia dei livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., si perverrebbe all’automatica illegittimità della norma regionale contrastante, in quanto l’intervento legislativo regionale avrebbe la finalità di potenziare o sviluppare il disegno di semplificazione e accelerazione definito dal legislatore statale, in una materia attribuita alla competenza concorrente della Regione e riguardante la realizzazione di opere e lavori pubblici di particolare rilevanza strategica.

Quanto all’art. 12 della medesima legge regionale, la resistente eccepisce l’inammissibilità delle questioni, perché la norma impugnata si sarebbe limitata a ridurre la portata del previgente comma 1-bis dell’art. 20 della legge reg. Campania n. 11 del 2015, non impugnato dallo Stato, nel testo già introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Campania 5 aprile 2016, n. 6 (Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell’economia campana - Legge collegata alla legge regionale di stabilità per l’anno 2016) e successivamente modificato dall’art. 16, comma 4, lettera a), della legge della Regione Campania 8 agosto 2016, n. 22 (Legge annuale di semplificazione 2016 - Manifattur@ Campania: Industria 4.0), che attribuiva al SURAP tutte le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di impianti produttivi di spettanza comunale «nel caso di iniziative di interesse regionale». Pertanto, dall’accoglimento delle questioni ora proposte conseguirebbe, secondo la Regione, «la persistenza di una norma che prevede ben più ampie competenze del SURAP, in contrasto con lo stesso interesse azionato [...] nel presente giudizio».

Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate.

La disposizione impugnata dovrebbe essere ricondotta alla competenza regionale residuale in materia di attività produttive, sicché la normativa statale indicata nel ricorso non sarebbe idonea a fungere da parametro interposto. In ogni caso, il previsto raggiungimento dell’accordo con i comuni interessati, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 241 del 1990, varrebbe a integrare il necessario coinvolgimento degli enti territoriali. Inoltre, le competenze attribuite ai SUAP comunali dal d.P.R. n. 160 del 2010, richiamato nel ricorso, non sarebbero «obliterate», in quanto la norma regionale prevede che il provvedimento abilitativo da parte del SURAP consegua alla conclusione di un procedimento ad avvio e impulso dello stesso SUAP comunale, «il quale riceve telematicamente dalla Regione Campania l’istanza e può indire, convocare, governare e concludere la Conferenza di servizi necessaria alla definizione del predetto provvedimento regionale».

Infine, il richiamo alla materia dell’ordinamento civile sarebbe inconferente, posto che la norma impugnata non disciplinerebbe il contenuto dell’accordo sopra indicato.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 6 e 12 della legge della Regione Campania 2 agosto 2018, n. 26 (Misure di semplificazione in materia di governo del territorio e per la competitività e lo sviluppo regionale. Legge annuale di semplificazione 2018).

2.– L’art. 6, rubricato «Semplificazioni in materia di lavori pubblici di interesse regionale e di opere pubbliche e di interesse pubblico», modifica la legge della Regione Campania 22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del territorio).

Preliminarmente va precisato che, nonostante il ricorrente indichi l’oggetto dell’impugnazione nell’intero art. 6 della legge reg. Campania n. 26 del 2018, le questioni proposte investono solo la lettera a) del comma 1, che inserisce nel corpo della legge reg. Campania n. 16 del 2004 il nuovo art. 12-bis. Le censure sono rivolte infatti esclusivamente nei confronti di questa parte della disposizione.

Inoltre, anche se nel ricorso si accenna ad un contrasto della norma impugnata con la disciplina statale in materia di conferenza di servizi, richiamando l’attitudine di quest’ultima a coinvolgere «i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, questo parametro non è richiamato tra quelli posti a fondamento delle questioni (neppure nella relazione allegata alla deliberazione del Consiglio dei ministri). Il ricorso indica solo gli artt. 3, 114, primo e secondo comma, e 118, primo comma, Cost. e fornisce solo per ciascuno di essi le ragioni della pretesa violazione ad opera dell’art. 6 della legge reg. Campania n. 26 del 2018, ciò che conferma la volontà del ricorrente di non estendere il giudizio al tema dell’invasione della competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni.

2.1.– Il citato art. 12-bis, secondo la sua rubrica, detta norme su «[o]pere e lavori pubblici di interesse strategico regionale».

Sono tali, sulla scorta della definizione fornita al comma 1, «le opere ed i lavori pubblici che si realizzano nel territorio della Regione Campania, la cui programmazione, approvazione ed affidamento spetta alla Regione» e che siano, tra l’altro, «a) finanziati, anche solo parzialmente, con fondi europei e/o fondi strutturali; […] c) definiti strategici dal Documento di economia e finanza regionale (DEFR)».

I commi successivi dell’art. 12-bis disciplinano il procedimento diretto all’approvazione delle opere e dei lavori pubblici di interesse strategico regionale.

Il comma 2 stabilisce che, qualora per la realizzazione di tali interventi sia richiesta «l’azione integrata di una pluralità di enti interessati», la Regione debba promuovere «la procedura dell’accordo di programma» prevista all’articolo 12 della stessa legge reg. Campania n. 16 del 2004, implicante la convocazione di una conferenza di servizi.

Il comma 3 prevede poi che, nell’ambito della conferenza di servizi «prodromica all’accordo di programma», il comune interessato esprime il proprio «parere motivato» sui «progetti di opere e lavori pubblici di interesse strategico regionale non conformi al piano urbanistico comunale» (PUC) (primo periodo) e che, nel caso di parere non favorevole, l’amministrazione procedente aggiorna la conferenza di servizi stabilendo «un termine non superiore a trenta giorni entro cui il Comune dissenziente può far pervenire alle altre amministrazioni partecipanti alla Conferenza proposte di modifica del progetto volte ad acquisire l’assenso di tutte le amministrazioni interessate» (secondo periodo).

Lo stesso comma 3 dispone, altresì, che qualora non si acquisisca tale unanime assenso nella successiva conferenza di servizi, da tenersi entro trenta giorni dal ricevimento delle proposte comunali di modifica (terzo periodo), «il progetto è sottoposto all’esame della Giunta regionale che, sentita la commissione consiliare competente per materia, può comunque disporre l’approvazione del progetto motivandone la coerenza con la programmazione strategica regionale degli interventi di rilievo sovra comunale, in attuazione dei principi costituzionali in tema di dimensione dell’interesse pubblico e livello della funzione amministrativa ad esso correlata» (quarto periodo).

Queste previsioni contrasterebbero innanzitutto con l’art. 3 Cost., violando il principio di proporzionalità, in quanto il termine «non superiore a trenta giorni» concesso al comune dissenziente sarebbe insufficiente e inadeguato per una completa valutazione di opere o lavori di particolare complessità e di notevole impatto «sugli interessi appartenenti alla sfera comunale».

Sarebbero violati, altresì, gli artt. 114, primo e secondo comma, e 118, primo comma, Cost., per lesione della sfera di autonomia amministrativa comunale e dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, in quanto la norma impugnata, consentendo la deroga ai piani urbanistici comunali anche in caso di dissenso del comune interessato, individuerebbe l’interesse strategico regionale delle opere in modo generico e indeterminato, e produrrebbe così «un’indiscriminata inversione» del criterio costituzionale di riparto delle funzioni amministrative, permettendo alla Giunta regionale di disattendere senza significativi ostacoli procedimentali le istanze sollevate in sede di conferenza di servizi dagli enti locali coinvolti e attribuendo alla Regione una sorta di potere di «avocazione generale» in una materia, quella della pianificazione urbanistica, affidata per regola ai Comuni.

2.2.– Le questioni non sono fondate.

La norma impugnata alloca in capo alla Regione Campania le funzioni amministrative in materia di approvazione dei progetti relativi a opere e lavori pubblici di «interesse strategico regionale», individuando nella natura sovracomunale di tale interesse la ragione giustificativa della soluzione adottata.

Le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri si concentrano sulla disciplina dei progetti «di interesse strategico regionale» non conformi al PUC, la cui approvazione da parte della Giunta regionale è consentita dalla norma impugnata anche in caso di dissenso del comune interessato, non superato nell’ambito della conferenza di servizi indetta al fine di stipulare fra tutti i soggetti interessati l’accordo di programma di cui all’art. 12 della legge reg. Campania n. 16 del 2004.

Il ricorrente non contesta, di per sé, la scelta della Regione – operata nell’esercizio della sua competenza concorrente in materia di «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. – di avocare le funzioni amministrative in questione per realizzare interessi di livello sovracomunale, ma ritiene che essa esorbiti sotto due distinti profili dai limiti entro i quali la Regione stessa può intervenire avocando a sé scelte, quali quelle di pianificazione urbanistica, affidate primariamente all’autonomia comunale. In un primo senso il termine «concesso al comune per l’eventuale manifestazione del dissenso» non sarebbe proporzionato a quanto necessario per le valutazioni richieste «[i]n presenza di opere e/o lavori di particolare complessità e di notevole impatto sugli interessi appartenenti alla sfera comunale», e sarebbe inoltre significativamente inferiore a quello previsto nello speculare procedimento disciplinato dalla legge statale all’art. 14-bis della legge n. 241 del 1990. In un secondo senso, la genericità della definizione normativa delle opere e dei lavori pubblici di «interesse strategico regionale» renderebbe non precisamente individuato lo scopo perseguito dalla Regione allocando la funzione a livello regionale, e dunque irragionevole la relativa scelta.

Per nessuno dei due indicati aspetti, tuttavia, le censure del ricorrente colgono nel segno. Incontestata infatti la possibilità per la Regione di assegnare funzioni amministrative a un livello superiore a quello comunale quando sia necessario assicurarne l’esercizio unitario secondo quanto previsto dall’art. 118, primo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011, n. 278 del 2010 e n. 6 del 2004), le scelte operate dalla Regione Campania nelle disposizioni contestate non eccedono i limiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale, in particolare con riferimento agli spazi dell’intervento legislativo regionale in materia urbanistica. A tale riguardo, questa Corte ha più volte affermato «in relazione ai poteri urbanistici dei Comuni, come la legge nazionale, regionale o delle Province autonome possa modificarne le caratteristiche o l’estensione, ovvero subordinarli a preminenti interessi pubblici, alla condizione di non annullarli o comprimerli radicalmente, garantendo adeguate forme di partecipazione dei Comuni interessati ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia (fra le molte, si vedano le sentenze n. 378/2000, n. 357/1998, n. 286/1997, n. 83/1997 e n. 61/1994)» (sentenza n. 478 del 2002; nello stesso senso, sentenze n. 179 del 2019 e n. 126 del 2018).

2.2.1.– Ciò premesso, non incorre in primo luogo nel vizio denunciato la previsione del termine «non superiore a trenta giorni» assegnato al comune.

Contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, la norma impugnata prevede che l’amministrazione procedente assegni quel termine al comune non per esprimere il proprio motivato dissenso sul progetto non conforme al PUC, bensì per «far pervenire alle altre amministrazioni partecipanti alla Conferenza proposte di modifica del progetto volte ad acquisire l’assenso di tutte le amministrazioni interessate».

La previsione è contenuta al secondo periodo del comma 3 dell’art. 12-bis e si inserisce nella disciplina della fase procedimentale successiva a quella in cui il comune, nell’ambito della conferenza di servizi convocata dall’amministrazione procedente, ha già espresso il proprio parere sul progetto in senso non favorevole. Essa persegue il fine di superare tale dissenso in una nuova conferenza di servizi, da tenersi entro trenta giorni dal ricevimento delle proposte di modifica del progetto.

Il termine viene dunque ad aggiungersi a quello di cui il medesimo comune ha già potuto disporre per assumere la propria originaria determinazione. Nel formulare le proposte di modifica, il comune stesso può avvalersi degli elementi istruttori acquisiti nella prima fase, essendogli così garantita la possibilità di valutare adeguatamente gli interessi pubblici coinvolti e, con essa, la sua effettiva partecipazione al procedimento che ne condiziona l’autonomia.

Va precisato, inoltre, che le disposizioni di legge regionale in esame regolano la fattispecie in cui il comune, esprimendo il proprio dissenso su un progetto non conforme al PUC, agisce quale ente titolare delle funzioni amministrative in materia di pianificazione territoriale e non quale amministrazione preposta alla tutela di interessi cosiddetti “sensibili” (tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute). Sicché sul giudizio relativo all’adeguatezza del termine stabilito dalla norma impugnata non può incidere la previsione del diverso termine di novanta giorni di cui all’art. 14-bis della legge n. 241 del 1990, operante a favore delle predette amministrazioni. Mentre restano in ogni caso ferme le garanzie procedimentali poste a tutela degli interessi “sensibili”, come ribadito del resto dall’incipit del comma 3 dell’art. 12-bis, che fa salve «le disposizioni vigenti in materia di valutazione ambientale e paesaggistica».

2.2.2.– Neppure sussiste la lamentata genericità dei criteri di individuazione degli interessi sovracomunali che giustificano l’attrazione delle funzioni amministrative a livello regionale.

Il ricorrente appunta le sue censure sulle opere e sui lavori pubblici individuati dal comma 1 del citato art. 12-bis come «di interesse strategico regionale» in quanto «finanziati, anche solo parzialmente, con fondi europei e/o fondi strutturali» (lettera a) o in quanto «definiti strategici dal Documento di economia e finanza regionale (DEFR)» (lettera c).

Innanzitutto, si deve escludere che, come invece sostiene la Regione nelle sue difese, la norma impugnata individui opere e lavori pubblici «di interesse strategico regionale» attraverso «il concorso di plurimi e stringenti requisiti, cumulativi e non alternativi tra loro»: la chiarezza del dato letterale non consente un’interpretazione secondo cui, al fine della qualificazione nel senso detto dell’opera, dovrebbero simultaneamente e cumulativamente ricorrere le caratteristiche elencate alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1, o anche solo parte di esse. Si deve dunque ritenere che ciascun requisito determini da solo il carattere di interesse strategico regionale dell’opera.

Nondimeno, le previsioni censurate risultano immuni dal vizio denunciato.

Quanto agli interventi finanziati anche solo parzialmente con «fondi europei e/o fondi strutturali», la scelta di avocare l’approvazione dei relativi progetti al livello regionale – e la possibilità che la Giunta regionale li approvi anche se non conformi al piano urbanistico comunale e senza l’assenso del comune interessato, con conseguente compressione dell’autonomia comunale – è ragionevolmente giustificata dall’esigenza di assicurare l’effettiva utilizzazione da parte della Regione delle descritte fonti di finanziamento, che costituiscono i principali strumenti finanziari della politica regionale dell’Unione europea. La realizzazione delle opere finanziate coincide dunque con gli obiettivi strategici al cui perseguimento le risorse stesse sono finalizzate.

Quanto alle opere e ai lavori pubblici definiti strategici dal DEFR, la genericità e l’indeterminatezza dell’interesse sovracomunale evocato sono escluse dal rinvio operato dalla norma al contenuto del principale strumento di programmazione generale economico-finanziaria della Regione, previsto dall’art. 36, comma 3, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). Secondo tale disposizione, nel DEFR sono indicate infatti le «linee strategiche» dell’attività di governo regionale nel medio periodo, alla cui realizzazione ben possono concorrere anche opere e lavori pubblici dei quali «la […] programmazione, approvazione ed affidamento spetta alla Regione», come richiede la norma impugnata.

3.– Per quanto riguarda l’art. 12 della legge reg. Campania n. 26 del 2018, che detta, secondo la sua rubrica, «[d]isposizioni di semplificazione in materia di Sportello Unico Regionale per le Attività Produttive» (SURAP), va innanzitutto precisato che l’oggetto del giudizio, stando al ricorso, è limitato al comma 1, lettera a), numero 3) – impropriamente indicato come «comma 1, punto 3)» – dello stesso art. 12, là dove sostituisce il comma 1-bis dell’art. 20 della legge della Regione Campania 14 ottobre 2015, n. 11 (Misure urgenti per semplificare, razionalizzare e rendere più efficiente l’apparato amministrativo, migliorare i servizi ai cittadini e favorire l’attività di impresa. Legge annuale di semplificazione 2015).

Prevedendo che, «nel caso di iniziative di interesse regionale inerenti ad attività economiche, produttive anche che comportino varianti urbanistiche», il provvedimento abilitativo per l’avvio di nuove imprese che intendano localizzarsi sul territorio campano sia rilasciato dal SURAP, la disposizione impugnata contrasterebbe con una serie di norme che attribuiscono al comune, attraverso lo sportello unico per le attività produttive (SUAP), le funzioni amministrative per il rilascio dei titoli abilitativi all’esercizio di attività produttive. In particolare, il ricorrente indica gli artt. 2, comma 1, e 4, commi 1, 2 e 5, del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), l’art. 6 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, come attuato dall’art. 25 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), nonché gli artt. 23 e 24 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), gli artt. 8 e 9 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) e l’art. 38 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.

Sarebbero così violati l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per invasione della competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile», nonché gli artt. 5, 114 e 118, primo comma, Cost.

3.1.– La Regione ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, poiché la norma impugnata si sarebbe limitata a ridurre la portata del previgente comma 1-bis dell’art. 20 della legge reg. Campania n. 11 del 2015 – introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Campania 5 aprile 2016, n. 6 (Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell’economia campana - Legge collegata alla legge regionale di stabilità per l’anno 2016) e successivamente modificato dall’art.16, comma 4, lettera a), della legge della Regione Campania 8 agosto 2016, n. 22 (Legge annuale di semplificazione 2016 - Manifattur@ Campania: Industria 4.0.) – che, «nel caso di iniziative di interesse regionale», già attribuiva al SURAP tutte le funzioni amministrative spettanti in materia al SUAP.

Ad avviso della Regione, la mancata impugnazione da parte dello Stato della disposizione originaria comporterebbe, in caso di accoglimento delle questioni ora promosse, «la persistenza di una norma che prevede ben più ampie competenze del SURAP, in contrasto con lo stesso interesse azionato [...] nel presente giudizio».

L’eccezione non è fondata.

Questa Corte ha costantemente affermato che l’omessa impugnazione da parte dello Stato di precedenti norme regionali, analoghe a quelle oggetto di ricorso, non ha rilievo, atteso che la norma impugnata ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 41 del 2017 e n. 231 del 2016). D’altra parte, l’assunto della Regione per cui dall’accoglimento delle questioni conseguirebbe la «persistenza» della norma nel testo anteriore va radicalmente disatteso, anche a prescindere dalla giurisprudenza costituzionale sull’impugnabilità delle leggi ripetitive di leggi precedenti non impugnate, in quanto con la sostituzione del comma 1-bis, operata dalla previsione oggetto del presente giudizio, quella anteriore è stata abrogata e riformulata in termini più restrittivi, senza possibilità di rivivere nell’ordinamento ove le questioni fossero accolte, così reiterando in parte qua la lesione da cui deriva l’interesse all’impugnazione.

3.2.– Le questioni sono tuttavia inammissibili per altri profili.

Come visto, le censure mosse all’art. 12, comma 1, lettera a), numero 3), della legge reg. Campania n. 26 del 2018 si esauriscono nella prospettazione del suo contrasto con una serie di norme statali di fonte regolamentare o legislativa (una delle quali emessa in attuazione di una direttiva europea) che attribuiscono al comune le funzioni amministrative, da esercitare attraverso il SUAP, relative al rilascio dei titoli abilitativi all’esercizio di attività produttive.

Da tale assunto contrasto il ricorrente fa discendere la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e quindi della competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile», ma non chiarisce perché la disciplina delle funzioni attribuite al SURAP dalla disposizione impugnata, che non rivela immediate interferenze con tale ambito di materia, vi dovrebbe invece essere ricondotta. È dunque assorbente il rilievo che, per come è evocato, il parametro risulta del tutto inconferente, ciò che rende la questione radicalmente inammissibile (sentenze n. 63 del 2016, n. 269 e n. 181 del 2014).

Secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (tra le tante, sentenze n. 32 del 2017 e n. 141 del 2016). Pertanto, «il ricorso in via principale deve contenere “una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge. In particolare, l’atto introduttivo al giudizio non può limitarsi a indicare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma deve contenere [...] anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva” (ex plurimis, sentenza n. 107 del 2017 che richiama anche le sentenze n. 251, n. 153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015)» (sentenza n. 152 del 2018; nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 109 del 2018, n. 261 e n. 169 del 2017).

Quanto alla violazione degli artt. 5, 114 e 118, primo comma, Cost., la censura è totalmente assertiva, non essendo fornita di essa motivazione alcuna. Il ricorrente non offre infatti alcun argomento a sostegno del lamentato contrasto della disposizione regionale in riferimento a tali diversi parametri.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettera a), numero 3), della legge della Regione Campania 2 agosto 2018, n. 26 (Misure di semplificazione in materia di governo del territorio e per la competitività e lo sviluppo regionale. Legge annuale di semplificazione 2018), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 5, 114, 117, secondo comma, lettera l), e 118, primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Campania n. 26 del 2018, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 114, primo e secondo comma, e 118, primo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2019.