SENTENZA N. 179
ANNO 2019
Commento alla
decisione di
Mario Gorlani
Il
nucleo intangibile dell’autonomia costituzionale dei Comuni
per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
Presidente:
Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo
CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, ultimo periodo, e comma 9,
della legge
della Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione
del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), promosso
dal Consiglio di Stato, sezione quarta, nel procedimento vertente tra il Comune
di Brescia e altri e Francesco Passerini Glazel e
altri, con sentenza
non definitiva del 4 dicembre 2017, iscritta al n. 28 del registro ordinanze
2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima
serie speciale, dell’anno 2018.
Visti gli atti di
costituzione del Comune di Brescia, dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani
(ANCI), della Legambiente Onlus, di Francesco Passerini Glazel
e altra, nonché l’atto di intervento della Regione Lombardia;
udito nell’udienza
pubblica del 22 maggio 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi gli avvocati
Mauro Ballerini per il Comune di Brescia, Alberto Fossati per l’Associazione
nazionale dei Comuni italiani (ANCI), Emanuela Beacco
per la Legambiente Onlus, Giandomenico Falcon e Italo Ferrari per Francesco
Passerini Glazel e altra e Piera Pujatti
per la Regione Lombardia.
Ritenuto in fatto
1.– Con sentenza
non definitiva del 4 dicembre 2017 (r. o. n. 28 del 2018), il Consiglio di
Stato, sezione quarta, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 4, ultimo periodo, e comma 9, della legge della Regione
Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di
suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), in riferimento agli artt. 5, 117, secondo comma,
lettera p), e 118
della Costituzione.
L’oggetto del
giudizio amministrativo è la variante generale al piano di governo del
territorio (PGT) adottata nel 2015 dal Comune di Brescia, e poi approvata, che
è stata impugnata dai proprietari di alcuni immobili in quanto fortemente
riduttiva delle possibilità edificatorie risultanti dalle precedenti previsioni
urbanistiche. Ad avviso degli originari ricorrenti, il Comune avrebbe dovuto,
invece, mantenere ferme tali previgenti previsioni ai sensi dell’art. 5, comma
4, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, e istruire l’istanza da loro
tempestivamente presentata, sulla base del comma 6 dello stesso articolo, volta
all’approvazione del progetto di piano attuativo.
Il giudice
rimettente, ricordate in premessa le finalità generali della legge reg.
Lombardia n. 31 del 2014, dirette a stabilire «criteri di sostenibilità e di
minimizzazione del consumo di suolo», e le «definizioni di consumo di suolo e
rigenerazione urbana», emergenti rispettivamente dagli artt. 1 e 2 della
stessa, richiama poi testualmente il contenuto dell’art. 5, rubricato «[n]orma
transitoria».
I commi da 1 a 3
di quest’ultima disposizione strutturano un percorso volto a integrare il piano
territoriale regionale (PTR) con le previsioni dei nuovi contenuti introdotti
dalla stessa legge, e, successivamente, ad adeguare a questo i piani
territoriali di coordinamento provinciale (PTCP) e i piani di governo del
territorio (PGT) degli enti locali. Per l’integrazione del PTR è previsto il
termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge; per
l’adeguamento dei PTCP, di ulteriori dodici mesi da tale adempimento, mentre, per
l’adeguamento dei PGT, il termine è stabilito in coincidenza con la prima
scadenza del documento di piano, che costituisce il primo dei tre atti in cui
si articola il PGT. Il successivo comma 4 disciplina specificamente i poteri
comunali fino all’adeguamento del PGT sopra ricordato e, comunque, fino alla
definizione nello stesso della soglia comunale del consumo di suolo: in tale
periodo temporale «i comuni possono approvare unicamente varianti del PGT e
piani attuativi in variante al PGT, che non comportino nuovo consumo di suolo,
diretti alla riorganizzazione planivolumetrica, morfologica, tipologica o
progettuale delle previsioni di trasformazione già vigenti, per la finalità di
incentivarne e accelerarne l’attuazione, esclusi gli ampliamenti di attività
economiche già esistenti, nonché quelle finalizzate all’attuazione degli
accordi di programma a valenza regionale. Fino a detto adeguamento sono
comunque mantenute le previsioni e i programmi edificatori del documento di
piano vigente».
Il comma 6 dello
stesso art. 5 stabilisce che le istanze dei privati volte a sottoporre al
Comune piani attuativi conformi o in variante, connessi alle previsioni di PGT
vigenti alla data di entrata in vigore della legge, debbono essere presentate
entro trenta mesi da tale data; disciplina il relativo procedimento
amministrativo e dispone che la convenzione deve essere «tassativamente
stipulata entro dodici mesi dall’intervenuta esecutività della delibera
comunale di approvazione definitiva». Il comma 7 prevede l’esercizio di poteri
sostitutivi regionali nei casi di inerzia o di ritardo comunale negli
adempimenti ora richiamati. Il comma 9 prende in considerazione i «piani
attuativi, per i quali non sia tempestivamente presentata l’istanza di cui al
comma 6 o il proponente non abbia adempiuto alla stipula della convenzione nei
termini ivi previsti»: in tali casi, «i comuni, con motivata deliberazione di
consiglio comunale, sospendono la previsione di PGT sino all’esito del
procedimento di adeguamento di cui al comma 3 e, entro i successivi novanta
giorni, verificano la compatibilità delle previsioni sospese con le
prescrizioni sul consumo di suolo previste dal PGT, disponendone l’abrogazione
in caso di incompatibilità assoluta, ovvero impegnando il proponente alle
necessarie modifiche e integrazioni negli altri casi».
2.–
Nell’introdurre i motivi a fondamento del dubbio di costituzionalità, il
Consiglio di Stato ritiene che i commi 3 e 4 dell’art. 5 della legge reg.
Lombardia n. 31 del 2014 non possano essere interpretati nel senso proposto dal
Comune di Brescia, ossia come comportanti per i Comuni unicamente il limite a
non disporre nuovo consumo di suolo. A tale esito osterebbero sia il criterio
di interpretazione sistematica, trattandosi di una norma transitoria, sia quello
letterale, attesa la perentorietà della prescrizione dell’ultimo periodo del
comma 4, laddove afferma che, fino al completamento dell’adeguamento
prescritto, «sono comunque mantenute le previsioni e i programmi edificatori
del documento di piano vigente».
Ciò posto il
rimettente ritiene rilevanti le questioni di legittimità costituzionale
prospettate in via subordinata dall’appellante amministrazione comunale,
vertenti proprio sull’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 5 della legge reg.
Lombardia n. 31 del 2014 e, quindi, sulla legittimità del limite al potere
comunale di modificare le previsioni del documento di piano vigente, anche
senza che ciò comporti nuovo consumo di suolo.
A tale riguardo si
specifica che il dubbio di costituzionalità riguarda il testo originario della
disposizione, precedente alle modifiche – che non assumerebbero quindi rilievo
nella controversia – apportate dalla sopravvenuta legge della Regione Lombardia
26 maggio 2017, n. 16, recante «Modifiche all’articolo 5 della legge regionale
28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e
per la riqualificazione del suolo degradato)». Infatti, la legittimità
dell’atto amministrativo andrebbe accertata con riguardo allo stato di fatto e
di diritto esistente al momento della sua emanazione; inoltre, la novella
intervenuta recherebbe prescrizioni di natura innovativa, che non assumono né
carattere retroattivo, né natura interpretativa.
3.– A sostegno
della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale
il rimettente premette alcune osservazioni di carattere generale, dirette, da
un lato, a inquadrare, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, i
poteri di intervento dei legislatori, statale e regionale, sulle funzioni
assegnate agli enti locali e in particolare sui poteri urbanistici dei Comuni,
in ragione di «concorrenti interessi generali», per poi concludere che «la
problematica, come è agevole riscontrare, ruota intorno ai concetti di
necessità ed adeguatezza». Dall’altro, a specificare che nella giurisprudenza
amministrativa si è affermato il riferimento a «una nozione ampia e funzionalizzata
del concetto di "governo del territorio”», per la quale l’urbanistica e il
correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi,
sul piano giuridico, «solo come un coordinamento delle potenzialità
edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione
alquanto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti
esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed
armonico del medesimo».
Una volta
ricordato che «nel sistema giuridico italiano all’Ente comune è
tradizionalmente affidata la funzione amministrativa urbanistica», l’ultimo
periodo del comma 4 e il comma 9 dell’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31
del 2014 vengono quindi investiti dal dubbio di costituzionalità, in primo
luogo con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in quanto
a) «una scelta di particolare rilievo» verrebbe compiuta direttamente dal
legislatore anziché dalle amministrazioni comunali, b) si sarebbe conformato in
negativo il «quomodo di esercizio» di una funzione
amministrativa alle stesse spettanti.
Ad analoghe
conclusioni di non manifesta infondatezza il Consiglio di Stato perviene con
riferimento al «parametro […] del principio di sussidiarietà». Il giudice a quo
osserva che «le previsioni e i programmi edificatori del documento di piano
vigente», richiamati dalla norma, diverrebbero «immodificabili» seppure per un
periodo di tempo, da un lato «contenuto», ma, dall’altro, «incerto nella sua
ampiezza». Sarebbe pertanto inibita all’ente locale «la potestà di adottare
modifiche al proprio Documento di Piano vigente», che costituisce la parte più
rilevante e qualificante del PGT, e il relativo contenuto verrebbe
"cristallizzato” alla data di emanazione della legge regionale n. 31 del 2014.
Il ruolo del
Comune sarebbe in tal modo «confinato nell’ambito della mera attuazione di
scelte precostituite in sede sovraordinata», mentre il principio di
sussidiarietà verticale richiederebbe che i compiti di pianificazione
urbanistica spettino a tale ente coerentemente con «l’esigenza di assicurare un
ordinato assetto del territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della
collettività locale, essendo il Comune l’ente appartenente ad un livello di
governo più prossimo ai cittadini».
A conforto di tale
affermazione, il rimettente richiama alcuni principi «costantemente predicati
nella giurisprudenza amministrativa» nell’intento di «garantire il potere
regionale di partecipazione alla formazione dell’atto a complessità diseguale
di pianificazione generale, pur nella riaffermazione del principio per cui la
funzione di pianificazione urbanistica resta saldamente rimessa alla
responsabilità dell’amministrazione comunale». In particolare, se di regola il
Comune non potrebbe disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli
enti (Regione o Provincia) titolari del relativo potere, potrebbe tuttavia
«discrezionalmente concretizzarne i contenuti».
Pertanto, come
sarebbe «illegittimo un atto amministrativo di matrice regionale che si sostituisse
alle determinazioni comunali con riferimento a scelte discrezionali», così,
laddove «ciò avvenisse con atto di matrice legislativa», la competenza del
Comune «potrebbe essere "difesa” rimettendo alla Corte costituzionale il
giudizio di legittimità sulla legge medesima in relazione al parametro che
prevede ed eleva il principio di sussidiarietà, rappresentato dal combinato
disposto degli articoli 5 e 118 della Carta Fondamentale».
Il giudice
rimettente ritiene quindi di trovarsi «in presenza proprio di tale evenienza»
in quanto: a) l’art. 5, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014,
nello stabilire un termine alla Regione per integrare il PTR «nulla prevede
nella ipotesi in cui detto termine non sia rispettato»; b) nelle more della
suddetta integrazione, l’originario comma 4 del medesimo articolo non soltanto
conforma la potestà urbanistica comunale, ma anche «inibisce al comune
qualunque forma di pianificazione "diversa” stabilendo che fino all’adeguamento
di cui al comma 3 della disposizione predetta (comunque successivo alla
integrazione del PTR da parte della Regione) "sono comunque mantenute le
previsioni e i programmi edificatori del Documento di Piano vigente”».
I dubbi di
costituzionalità si appuntano quindi sia sulla «indeterminatezza temporale
della previsione», non essendo prevista alcuna decadenza del barrage
interdittivo laddove la Regione non rispetti il termine di legge, sia sulla
«portata "espropriativa” di competenze proprie (consistenti nella potestà di
modificare il Documento di Piano del PGT) rappresentata dalla prescrizione
interdittiva di cui al comma 4 dell’art. 5 della legge», mentre l’esigenza di
evitare che i proprietari siano esposti, lungo le linee di confine comunali, a
vincoli eccessivamente differenziati non pare, a giudizio del rimettente,
integrare una «ragione giustificativa della necessità di un "esercizio
unitario” della funzione amministrativa pianificatoria».
4.– Con atto
depositato il 6 marzo 2018, è intervenuto in giudizio il Presidente della
Giunta regionale della Lombardia, chiedendo che le questioni siano dichiarate
inammissibili o comunque infondate.
La Regione
premette alcune considerazioni sulle finalità generali perseguite dalla legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014, che riconosce «al suolo libero il rango di
risorsa e bene comune» dando attuazione agli indirizzi dell’Unione europea
volti a raggiungere, entro il 2050, il traguardo di un incremento
dell’occupazione netta di terreno pari a zero. La complessità e innovatività
della normativa, in quanto la Lombardia sarebbe stata la prima Regione italiana
a emanare una legge sul consumo del suolo, avrebbero reso necessaria una
disposizione transitoria, contenuta nell’ultimo periodo del comma 4 dell’art.
5, volta a «non penalizzare le previsioni urbanistiche già in essere». Più
precisamente, la «moratoria temporale» permetterebbe di verificare la effettiva
realizzabilità delle trasformazioni territoriali già vigenti, «cercando di
attuare un equo bilanciamento fra la tutela dell’affidamento del privato nella
stabilità delle previsioni contenute nei documenti di piano […] e i nuovi
criteri di pianificazione territoriale introdotti dalla nuova legge». Inoltre,
si sarebbe ritenuto che il punto di equilibrio dovesse essere «conforme su
tutto il territorio regionale», per evitare disparità di trattamento.
Viene quindi
eccepita la inammissibilità delle questioni «per mancata e insufficiente
indicazione dei parametri di costituzionalità» e, con riferimento al comma 9
dell’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, per la non rilevanza nel
giudizio a quo, atteso che gli originari ricorrenti avevano depositato il
progetto al Comune di Brescia nel rispetto del termine previsto dall’art. 5,
comma 6, mentre il comma 9 disciplina l’ipotesi di inadempimento di tale onere.
Quanto al merito,
ad avviso della Regione la normativa oggetto del giudizio attuerebbe le
previsioni di cui agli artt. 5, 117 e 118 Cost. e non si porrebbe in contrasto
con esse. Nelle more dell’adeguamento, «previsto a cascata», dei piani, la potestà
urbanistica comunale poteva in realtà dispiegarsi sia in senso ampliativo delle
potenzialità edificatorie, anche se per poche fattispecie tipizzate, sia in
senso riduttivo; in questo secondo caso, il limite introdotto conseguiva alla
«chiara scelta del legislatore regionale di favor nei confronti del legittimo
affidamento dei cittadini e di tutela dell’esistente». In ogni caso, sarebbero
state possibili «nuove scelte di pianificazione virtuose in quanto riduttive
del consumo di suolo, purché diversamente indirizzate», come chiarito dal
comunicato regionale 25 marzo 2015, n. 50, recante indirizzi applicativi della
legge reg. n. 31 del 2014: le limitazioni erano riferite al solo documento di
piano (e non agli altri due documenti che costituiscono il PGT) e, al suo
interno, unicamente alle «previsioni di trasformazione» e non anche, ad
esempio, agli «obiettivi di sviluppo».
Con particolare
riferimento al limite alla modifica delle previsioni di trasformazione vigenti,
contenuto nell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 5 censurato, se ne afferma
la «stretta correlazione, compresa la tempistica, con il percorso di
adeguamento dei diversi piani». In tal modo si sarebbe perseguita la finalità
di non discriminare i Comuni, e conseguentemente i cittadini, quanto ai
«riferimenti di partenza, costituiti dal consumo di suolo inteso non come
effettivo, bensì come programmato, sulla base delle previsioni di
trasformazione dei rispettivi strumenti di pianificazione».
La limitazione
posta dalla norma censurata sarebbe comunque temporalmente limitata a un
periodo ragionevole.
Il principio di
sussidiarietà verticale, quindi, sarebbe stato correttamente coordinato con il
principio di adeguatezza, in quanto l’attrazione della funzione al livello di
governo superiore sarebbe stata necessaria per garantirne l’adeguato esercizio,
in presenza di esigenze di uniforme esercizio delle funzioni su tutto il
territorio e di interessi pubblici particolarmente rilevanti quale la tutela
del territorio.
Infine, non
sarebbero state «intaccate le funzioni fondamentali dei Comuni in materia di
pianificazione territoriale e governo del territorio» in quanto tali enti non
avrebbero «dismesso le proprie funzioni in materia urbanistica». In ogni caso,
l’art. 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, ricomprende tra
le funzioni fondamentali dei Comuni la pianificazione urbanistica ed edilizia
di ambito comunale e la partecipazione alla pianificazione territoriale di
livello sovracomunale, ma precisa che restano ferme sia le funzioni di
coordinamento regionale che quelle di programmazione delle Regioni, nelle
materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
5.– Con atto
depositato il 9 marzo 2018 si è costituito in giudizio il Comune di Brescia,
chiedendo che le questioni siano dichiarate fondate, sulla base di argomenti
sostanzialmente corrispondenti a quelli illustrati nell’atto di promovimento,
rimarcando in modo particolare il carattere «meramente ordinatorio» del termine
di «quanto meno trenta mesi» al barrage interdittivo dei poteri pianificatori
comunali.
6.– Con atto
depositato il 13 marzo 2018 si sono costituiti in giudizio Francesco Passerini Glazel e Maria Annunciata Passerini Glazel
Pagano, parti appellate e appellanti incidentali nel giudizio a quo, chiedendo
che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
In primo luogo,
dopo aver premesso che la legge regionale, da un lato, assume come presupposto
«una nozione di consumo di suolo, detta "giuridica”» e, dall’altro, stabilisce
un progressivo adeguamento ai nuovi obiettivi di tutti gli strumenti di
pianificazione territoriale, la difesa delle suddette parti sostiene la
«generale infondatezza delle questioni» in quanto l’atto di promovimento
avrebbe erroneamente qualificato l’intervento regionale in relazione a
parametri non pertinenti.
La disciplina
della fase transitoria, infatti, sarebbe stata necessaria poiché diretta a
evitare che i Comuni, di fronte alla limitazione della loro capacità di
attribuzione di potenzialità edificatoria, potessero «essere tentati di
"riguadagnarne” a spese di situazioni che essi stessi avevano giudicato adatte
all’urbanizzazione». In ogni caso, anche nel periodo transitorio il Comune
potrebbe introdurre liberamente varianti al piano delle regole e al piano dei
servizi del PGT.
Le disposizioni
regionali, pienamente competenti a provvedere nella materia del governo del
territorio, si sarebbero limitate a disciplinare l’attuazione delle previsioni
urbanistiche comunali nel periodo di transizione tra il vecchio e il nuovo
regime del consumo di suolo, al fine di permettere un’attuazione della riforma
«in condizioni di uguaglianza nei diversi comuni», non integrando affatto
«esercizio della funzione di pianificazione» e non contenendo «alcuna
valutazione circa l’opportunità di assegnare al territorio comunale una
destinazione o l’altra».
La censura
riferita all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. sarebbe, innanzitutto,
infondata in quanto tale norma «non esclude ma presuppone» che nella materia
del governo del territorio sia la legge regionale ad allocare le funzioni
amministrative agli enti locali. Se, poi, la censura fosse interpretata come
«presunta sottrazione di una specifica funzione fondamentale che la legge
statale concretamente attribuisce ai Comuni», se ne dovrebbe rilevare
l’inammissibilità, in quanto l’atto di promovimento non avrebbe indicato, come
parametro interposto, le norme legislative statali che tali attribuzioni
fonderebbero. La questione rimarrebbe, in ogni caso, infondata: l’art. 14,
comma 27, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, farebbe salve le funzioni
regionali, dando atto della sussistenza, nella materia, di concorrenti
interessi intestati alla Regione; inoltre, le disposizioni censurate non
comporterebbero affatto «uno spostamento della funzione amministrativa di
pianificazione ad un altro livello (e segnatamente al livello regionale)», in
quanto la temporanea inibizione solo di determinate modifiche del documento di
piano, lasciando in ogni caso intatta la titolarità del potere di modifica in
capo al Comune, avrebbe considerato sia l’interesse del Comune all’attuazione
del «proprio stesso piano», sia l’interesse dei privati «quale riconosciuto dal
Comune conforme all’interesse pubblico».
Anche le censure
incentrate sugli artt. 5 e 118 Cost. sarebbero per un verso inammissibili e
comunque infondate. La doglianza sulla mancata previsione di un termine finale
al barrage interdittivo dei poteri pianificatori del Comune sarebbe
inammissibile, sia per difetto di rilevanza, sia perché involverebbe scelte
discrezionali del legislatore (non essendo perspicuo il termine che sarebbe
stato omesso). A sostegno della non fondatezza, invece, starebbe la erroneità
del presupposto interpretativo: decorso il termine di trenta mesi fissato per
la presentazione delle istanze di attuazione del programma edificatorio,
riprenderebbe «la possibilità del Comune di mutare la destinazione urbanistica
dell’area» secondo la disciplina dell’art. 5, comma 9, della legge reg.
Lombardia n. 31 del 2014. Non si sarebbe, pertanto, «in presenza di un
"barrage” privo di termine di scadenza».
Sarebbe, inoltre,
insussistente la asserita violazione del principio di sussidiarietà verticale,
e non pertinente il parametro invocato, in quanto: a) l’effetto della norma
censurata non equivarrebbe a uno spostamento della funzione di pianificazione
urbanistica; b) sarebbe solo regolata l’attuazione dei piani già approvati dai
Comuni, senza attrazione al livello regionale di alcuna funzione di
pianificazione e senza "scelte” di piano; c) il potere di pianificazione
rimarrebbe «pienamente conservato» ai Comuni; d) in ogni caso, le misure conservative
sarebbero giustificate dalla necessità di salvaguardare interessi in modo
uniforme su tutto il territorio regionale.
Inoltre,
quand’anche si volessero ricondurre le norme impugnate nell’ambito dei fenomeni
governati dal principio di sussidiarietà, sarebbe palese la presenza dei
requisiti che legittimerebbero l’attrazione di una funzione, ovvero la
sussistenza di interessi di carattere sovracomunale e il rispetto del principio
di proporzionalità.
La difesa delle
parti prospetta, in chiusura, anche un ulteriore motivo di inammissibilità
della questione riferita agli artt. 5 e 118 Cost. perché quelli che il giudice
a quo definisce "profili” della stessa, apparirebbero «invece come due distinte
questioni, tra loro logicamente incompatibili»: la mancata previsione di un
termine al barrage interdittivo e la illegittimità di ogni barrage, inteso come
intervento regionale su un piano comunale.
Sarebbe, infine,
inammissibile la questione riferita al comma 9 dell’art. 5 della legge reg.
Lombardia n. 31 del 2014, perché l’atto introduttivo, pur menzionandolo nel
dispositivo, non conterrebbe alcuna motivazione sul dubbio di costituzionalità
e sulla rilevanza.
7.– Con atto
depositato il 22 febbraio 2018 si è costituita l’Associazione nazionale dei
Comuni italiani (ANCI), interveniente nel giudizio principale, chiedendo di
dichiarare fondate le questioni sollevate. La norma censurata, nelle more del
processo di integrazione e adeguamento dei piani della Regione e delle
Province, avrebbe «completamente esautorato i comuni lombardi dalla possibilità
di pianificare il proprio territorio» impedendo loro non solo a) di
incrementare il consumo di suolo, ma anche b) di revisionare o eliminare le
scelte di consumo già effettuate con i loro strumenti pianificatori.
Quest’ultimo limite, a differenza del primo che potrebbe trovare una sua
giustificazione, non sarebbe coerente, anche in termini di adeguatezza, con
l’interesse regionale alla riduzione del consumo di suolo, perché impedirebbe
ai Comuni di procedervi in autonomia e, anzi, incentiverebbe il consumo di
suoli già destinati alla trasformazione.
Inoltre, a
differenza di quanto disciplinato per il procedimento di adeguamento dei piani
regionali e provinciali, non sarebbe prevista la partecipazione degli enti infraregionali per il caso in cui, nella fase transitoria,
«i comuni intendano ridurre autonomamente le previsioni espansive dei loro
strumenti urbanistici»; ancora, «essi devono subire il blocco della loro
potestà, non in relazione a oggetti specifici, che possono al limite
giustificare l’attrazione del potere verso la Regione», ma in relazione «al
contenuto del Documento di Piano, atto fondamentale del PGT con cui si
definiscono le strategie per la pianificazione comunale».
Infine, neppure si
potrebbe sostenere che il divieto imposto «risponda alla necessità della
Regione di "fotografare” la situazione pianificatoria
comunale, al fine di procedere con il suo piano a indicare le soglie di
riduzione assegnate ai singoli comuni», perché sarebbe stato lo stesso
legislatore regionale, all’interno di un impianto complessivo rimasto immutato,
a eliminare, con la legge reg. Lombardia n. 16 del 2017, «il vincolo di
immodificabilità», a dimostrazione che «per l’integrazione del piano regionale
non era né necessario né rilevante conservare immutate le previsioni dei piani
comunali».
8.– Con atto
depositato il 12 marzo 2018 si è costituita Legambiente Onlus, interveniente
nel giudizio principale, chiedendo di dichiarare fondate le questioni
sollevate.
La legge regionale
limiterebbe in modo sostanziale la possibilità per i Comuni di intervenire sui
propri strumenti urbanistici, così ledendo, senza precisi limiti temporali,
l’autonomia pianificatoria loro costituzionalmente
riconosciuta. Tale autonomia, infatti, implicherebbe anche una «dimensione
diacronica», ovvero il potere di modulare nel tempo gli atti di regolazione
delle trasformazioni sul territorio, «adeguando le proprie scelte
all’evoluzione del contesto economico e sociale […] ed alla sensibilità della
comunità amministrata».
Oltre a ciò, si
segnala che la legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il
governo del territorio), all’art. 13 assegna l’approvazione del PGT alla
esclusiva competenza comunale, essendosi superata la natura di tale piano come
atto complesso a imputazione congiunta comunale e regionale, mentre demanda la
salvaguardia degli interessi sovracomunali correlati alle trasformazioni
territoriali al PTR e al PTCP. A tale riguardo si richiama il decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio,
ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), il quale
delineerebbe una precisa scelta a favore del contenimento del consumo di suolo:
in forza del principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica sugli
strumenti di pianificazione urbanistica comunali, si dovrebbe concludere che la
Regione potrebbe limitare la pianificazione urbanistica comunale, anche tramite
prescrizioni cogenti e misure di salvaguardia, ma nel segno della protezione
del paesaggio, ivi compreso il minor consumo di territorio. La normativa
statale di principio, al contrario, non abiliterebbe la Regione ad opzioni di
segno opposto, impedendo ai Comuni di variare i propri strumenti nella
direzione della riduzione del consumo di suolo.
9.– In prossimità
dell’udienza sono state depositate tempestive memorie da parte della Regione
Lombardia, del Comune di Brescia, delle parti private e dell’ANCI.
9.1.– A integrazione
degli argomenti già illustrati, la memoria della Regione sottolinea che la
censura di violazione della competenza esclusiva statale ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera p), Cost. sarebbe infondata, in quanto la legge
statale è «soltanto attributiva di funzioni fondamentali» (si richiama la sentenza n. 22 del
2014), mentre «l’organizzazione della funzione» di pianificazione
territoriale rimarrebbe attratta nella competenza concorrente in materia di
governo del territorio.
Quanto alle
censure riferite al principio di sussidiarietà, si sostiene che la «penetrante
analisi richiesta dal Consiglio di Stato» comporterebbe «un controllo delle
scelte, lato sensu politiche, del legislatore, che è
sottratto alle competenze della Corte» (si cita la sentenza n. 95 del
1966).
Infine, si dà
notizia della entrata in vigore della integrazione del PTR, ai sensi della legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014, a seguito della pubblicazione del comunicato
regionale 20 febbraio 2019, n. 23, nel Bollettino Ufficiale della Regione
Lombardia n. 11, serie avvisi e concorsi, del 13 marzo 2019; si dà inoltre atto
di successive modifiche, ciò a significare che l’entrata in vigore delle norme
sul consumo di suolo implicherebbe un’attività «in continuo divenire».
9.2.– La memoria
del Comune di Brescia replica alle osservazioni della Regione e delle parti
private in particolare evidenziando l’infondatezza della finalità di tutelare
l’affidamento dei privati, atteso che in capo ad essi potrebbe sorgere una
posizione differenziata solo nel vigore di una convenzione urbanistica
(circostanza che non ricorrerebbe nel caso in giudizio); inoltre, sarebbe la
stessa disciplina urbanistica lombarda (art. 8, commi 3 e 4, della legge reg.
n. 12 del 2005) a prevedere che il documento di piano non produce effetti
diretti sul regime giuridico dei suoli e che è sempre modificabile.
Con riferimento
alla durata della compressione delle attribuzioni comunali, si contesta che
questa sia limitata al periodo di trenta mesi: la stessa si protrarrebbe,
invece, fino alla conclusione del processo di integrazione del PTR e di
adeguamento degli altri piani (PTCP e PGT), in maniera incoerente con la «piena
libertà di azione» del pianificatore comunale.
9.3.– La memoria
delle parti Passerini Glazel e altra evidenzia alcuni
passaggi delle altre difese ravvisandovi una estensione dei parametri del
giudizio, inammissibile rispetto al perimetro individuato dal giudice
rimettente.
Inoltre, sottopone
un profilo di inammissibilità e, al tempo stesso, di non fondatezza della
questione ritenendo che il Consiglio di Stato non abbia «considerato la diversa
potenzialità interpretativa della disposizione regionale contestata». Ad avviso
delle parti private, per effetto della legge regionale n. 31 del 2014 la
limitazione del consumo di suolo sarebbe diventata «nel sistema a regime,
un’autonoma motivazione del provvedimento» comunale di riduzione delle aree
edificabili. Nel periodo transitorio, però, sarebbe stato viceversa preservato
«l’esistente – incluso il già pianificato – da una possibile riduzione di
consumo» autonomamente decisa dalle singole amministrazioni comunali. Ciò non escluderebbe,
tuttavia, che queste possano modificare i documenti di piano, «anche riducendo
gli ambiti di trasformazione in essi previsti», motivando «non per la specifica
finalità della riduzione del consumo del suolo […] ma per una delle diverse
possibili ragioni attinenti al perseguimento del miglior equilibrio
territoriale». Pertanto, la normativa contestata potrebbe essere interpretata
come non sostitutiva degli altri strumenti di pianificazione previsti a
salvaguardia delle aree agricole e di valore ambientale, ma con valenza
aggiuntiva «introducendo, accanto ad essi, nuovi contenuti di pianificazione,
ai quali corrispondono nuovi poteri pianificatori conformativi». Si sottolinea,
infine, il ruolo del «piano delle regole», elemento costitutivo del PGT, per la
sua connessione con gli obiettivi della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014 e
per la possibilità di essere oggetto di variante anche nel periodo transitorio.
Per il resto, la
memoria sviluppa gli argomenti già illustrati nella comparsa di costituzione e
contesta quelli delle difese avversarie. Con specifico riguardo al richiamo, da
parte della difesa di Legambiente, al principio di minor consumo di territorio
contenuto nel cod. beni culturali, si osserva che il Consiglio di Stato non
avrebbe rilevato tale aspetto e che, comunque, la legislazione regionale
andrebbe proprio in quella direzione, fermo restando che costituirebbe invece
«una questione di merito legislativo» stabilire l’entrata in vigore del regime
più restrittivo e disciplinare la fase transitoria.
9.4.– La memoria
dell’ANCI confuta, in particolare, gli assunti della difesa delle parti private
a giustificazione delle norme impugnate. I Comuni, infatti, non avrebbero
interesse a ridurre le previsioni per riguadagnare spazi di nuova edificazione.
Questo in quanto il dato di partenza per le valutazioni di competenza della
Regione ai fini della integrazione del PTR sarebbe il territorio già
giuridicamente consumato alla data di entrata in vigore della legge, che non
potrebbe essere aumentato, mentre eventuali diminuzioni non inciderebbero sul
parametro quantitativo da cui la Regione deve partire per definire i limiti
delle nuove espansioni. Pertanto, la limitazione imposta ai Comuni non sarebbe
strumentale all’attuazione della riforma, né giustificabile come funzione
propria del legislatore regionale, non rispondendo ad alcuna esigenza di
garantire omogeneità su tutto il territorio.
Inoltre, si
sottolinea che, rispetto allo scopo della riduzione del consumo di suolo,
insito nella legge, la preferenza assicurata alla tutela dell’affidamento del
privato sarebbe ingiustificata, così come sarebbe illogica la norma transitoria
che, impedendo ai Comuni di diminuire autonomamente il consumo di suolo,
perseguirebbe un intento opposto alla tutela degli interessi generali
legittimanti l’incisione sulle funzioni degli enti locali da parte del
legislatore regionale.
Considerato in diritto
1.– Con sentenza
non definitiva del 4 dicembre 2017 (r. o. n. 28 del 2018), il Consiglio di
Stato, sezione quarta, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 4, ultimo periodo, e comma 9, della legge della Regione
Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di
suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), in riferimento agli artt.
5, 117, secondo comma, lettera p), e 118 della Costituzione.
Il giudice
rimettente deve decidere della legittimità della variante generale al piano di
governo del territorio (PGT) adottata nel 2015 dal Comune di Brescia, e poi approvata,
impugnata dai proprietari di alcuni immobili in quanto fortemente riduttiva
delle possibilità edificatorie risultanti dalle precedenti previsioni
urbanistiche, che invece il Comune avrebbe dovuto mantenere ferme ai sensi
dell’art. 5, comma 4, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014.
Ricordate in
premessa le finalità generali di tale legge, il Consiglio di Stato richiama poi
testualmente il contenuto della suddetta disposizione, che, disciplinando la
fase transitoria occorrente alla integrazione e all’adeguamento dei piani in
vista della riduzione del consumo di suolo, prevede, all’ultimo periodo, che,
fino a che tale adeguamento non sia completato, «sono comunque mantenute le
previsioni e i programmi edificatori del documento di piano vigente».
2.– Una volta
esclusa la possibilità di un’interpretazione delle norme nel senso proposto dal
Comune di Brescia, ossia come comportanti per i Comuni unicamente il limite a
non disporre nuovo consumo di suolo, il rimettente ritiene rilevanti le
questioni di legittimità costituzionale prospettate in via subordinata
dall’appellante amministrazione comunale, senza che assumano rilievo le
modifiche apportate dalla legge della Regione Lombardia 26 maggio 2017, n. 16,
recante «Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31
(Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione
del suolo degradato)». Motiva al riguardo, richiamando sia il principio del
tempus regit actum in
materia di sindacato sulla legittimità di atti amministrativi, sia la natura
innovativa delle disposizioni sopravvenute, peraltro prive di carattere
retroattivo o interpretativo.
3.– A sostegno
della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale,
il rimettente, dopo aver inquadrato i poteri di intervento dei legislatori,
statale e regionale, sulle funzioni assegnate agli enti locali e in particolare
sui poteri urbanistici dei Comuni, ricorda che nel sistema giuridico italiano
all’ente Comune è tradizionalmente affidata la funzione amministrativa
urbanistica.
Il comma 4, ultimo
periodo, e il comma 9 dell’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014
vengono quindi investiti dal dubbio di costituzionalità, in primo luogo con
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in quanto: a) «una
scelta di particolare rilievo» verrebbe compiuta direttamente dal legislatore
regionale anziché dalle amministrazioni comunali; b) si sarebbe conformato in
negativo il «quomodo di esercizio» di una funzione
amministrativa alle stesse spettanti.
Ad analoghe
conclusioni di non manifesta infondatezza il Consiglio di Stato perviene con
riferimento al «parametro […] del principio di sussidiarietà», poiché i
contenuti edificatori del documento di piano vigente verrebbero "cristallizzati”
alla data di emanazione della legge regionale n. 31 del 2014, divenendo
immodificabili per un periodo di tempo «incerto nella sua ampiezza». Sarebbe
pertanto inibita all’ente locale «la potestà di adottare modifiche al proprio
Documento di Piano vigente», che costituisce la parte più rilevante e
qualificante del PGT.
Il rimettente
richiama quindi alcuni principi consolidati della giurisprudenza amministrativa
in forza dei quali sarebbe «illegittimo un atto amministrativo di matrice
regionale che si sostituisse alle determinazioni comunali con riferimento a
scelte discrezionali». Da ciò deduce che laddove questa sostituzione avvenga
con atto legislativo si concretizzerebbe una lesione degli artt. 5 e 118 Cost.,
che nel caso specifico deriverebbe sia dalla indeterminatezza temporale della
previsione del barrage interdittivo, sia dalla portata "espropriativa” delle competenze
comunali, senza che sia rilevabile alcuna esigenza giustificativa della
necessità di un esercizio unitario a livello regionale.
4.–
Preliminarmente, deve ritenersi non rilevante che le questioni siano state
promosse con la forma di sentenza non definitiva anziché di ordinanza. Infatti,
«il giudice a quo – dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la
non manifesta infondatezza della stessa – ha disposto la sospensione del
procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di
questa Corte; sicché a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza,
deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a
quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87» (da ultimo, sentenza n. 126 del
2018, ivi richiami).
5.– Sempre in via
preliminare, va rilevato che le questioni sono correttamente sollevate nei
confronti del testo originario dell’art. 5, commi 4, ultimo periodo, e 9, della
legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, applicabile ratione
temporis alla fattispecie controversa (sentenza n. 39 del
2018). Infatti, come ritenuto dal giudice rimettente, le modifiche
introdotte a opera dell’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 16 del 2017 sono
ininfluenti ai fini della decisione che a esso spetta, poiché l’oggetto del
giudizio incidentale è un provvedimento da valutare in base al principio tempus
regit actum (ex plurimis, sentenze n. 7 del
2019 e n. 52
del 2018). Inoltre, la motivazione dell’atto di rimessione contiene
plausibili argomenti nel senso della natura innovativa delle disposizioni
sopravvenute, escludendone il carattere retroattivo o interpretativo.
6.– Sia la Regione
Lombardia che le parti appellate nel giudizio a quo hanno eccepito la
inammissibilità delle questioni aventi a oggetto l’art. 5, comma 9, della legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014: tale disposizione sarebbe menzionata nel solo
dispositivo dell’atto di promovimento, mancando alcuna motivazione sulla
rilevanza di essa nel giudizio a quo e sul dubbio di costituzionalità alla
stessa riferito.
6.1.– L’eccezione
è fondata, sotto l’assorbente profilo della mancanza di motivazione sulla
rilevanza.
Nel testo
antecedente alle modifiche apportate dalla legge reg. Lombardia n. 16 del 2017,
il censurato art. 5, comma 9, regola due casi che possono verificarsi nel
periodo transitorio: quello in cui nel termine di trenta mesi dalla entrata in
vigore della legge non sia presentata una istanza per l’approvazione di un
piano attuativo, come consentito dal comma 6 dello stesso articolo, e quello in
cui il proponente non stipuli la convenzione di un piano attuativo nel termine
tassativo di dodici mesi dalla esecutività della delibera di approvazione,
parimenti previsto dal comma 6.
In tali casi, «i
comuni, con motivata deliberazione di consiglio comunale, sospendono la
previsione di PGT sino all’esito del procedimento di adeguamento di cui al
comma 3 e, entro i successivi novanta giorni, verificano la compatibilità delle
previsioni sospese con le prescrizioni sul consumo di suolo previste dal PGT,
disponendone l’abrogazione in caso di incompatibilità assoluta, ovvero
impegnando il proponente alle necessarie modifiche e integrazioni negli altri
casi».
Ciò premesso,
l’atto di rimessione, in effetti, non motiva sulla necessità di dare
applicazione al citato comma 9. Tale esigenza, anzi, è da escludere in
considerazione dei plurimi riferimenti alla fattispecie concreta oggetto del
giudizio principale, come descritta nell’atto di rimessione: le situazioni
considerate dall’art. 5, comma 9, non vengono in rilievo nel giudizio a quo,
emergendo chiaramente che le parti private hanno presentato il progetto di
piano attuativo nel termine previsto dal comma 6 dello stesso articolo. Non si
verte quindi nell’ambito applicativo dell’art. 5, comma 9, della legge reg.
Lombardia n. 31 del 2014.
Le relative
questioni sono pertanto inammissibili per difetto di motivazione sulla
rilevanza (da ultimo, sentenza n. 194 del
2018 e ordinanza
n. 202 del 2018).
7.– Le restanti
eccezioni – riferibili alle residue questioni aventi a oggetto l’art. 5, comma
4, ultimo periodo, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014 – non sono
fondate.
7.1.– Infondata è
anzitutto l’eccezione di inammissibilità proposta dalla Regione Lombardia «per
mancata e insufficiente indicazione dei parametri di costituzionalità».
Quanto alla
motivazione del contrasto con l’art. 5 Cost. (che la difesa regionale ritiene
omessa), in realtà l’atto di promovimento la esplicita in modo adeguato nel
combinato disposto con l’art. 118 Cost. (punti 3.5. e 3.8.2. del Diritto) e
argomenta sul collegamento tra il criterio di allocazione della funzione
urbanistica e il ruolo dell’ente comunale in quanto esponenziale del proprio
territorio (punti 3.5.a, 3.5.d, 3.5.e e 3.7.3 del Diritto).
Per gli stessi
motivi risulta infondata l’eccezione riferita alla asserita grave lacunosità
della motivazione del contrasto con l’art. 118 Cost., in relazione al quale il
giudice a quo svolge, invece, ulteriori e adeguate specifiche argomentazioni.
Anche il contrasto
con il parametro costituito dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
risulta adeguatamente motivato (punto 3.6. del Diritto), atteso che il
rimettente lo ravvisa negli effetti della prescrizione normativa censurata
sulla funzione urbanistica spettante al Comune.
8.– La Regione
Lombardia ravvisa l’inammissibilità delle questioni anche per l’incertezza
sulla disposizione che sarebbe oggetto delle censure, ovverosia se tale debba
considerarsi l’intero comma 4 dell’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31 del
2014 o il solo ultimo periodo.
8.1.– L’eccezione
è infondata.
Dirimenti sono
plurimi passaggi motivazionali della sentenza non definitiva nei quali il
Consiglio di Stato fa specifico riferimento solo all’ultimo periodo del citato
comma 4, peraltro anche specificamente individuato (punto 3.1.3.) come
prescrizione la cui eventuale dichiarazione di incostituzionalità produrrebbe
effetti nel giudizio a quo.
9.– Ad avviso di
Passerini Glazel e altra, le questioni sollevate con
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. sarebbero inammissibili
poiché l’atto di promovimento avrebbe omesso di indicare, come parametro
interposto, le norme legislative statali a fondamento della specifica funzione
fondamentale concretamente attribuita ai Comuni.
9.1.– L’eccezione
è infondata.
Come già chiarito
(supra, punto 7.1.), le questioni sono specificamente
motivate in maniera adeguata; inoltre, il complesso degli argomenti esposti dal
giudice a quo (citando copiosamente la giurisprudenza rilevante al riguardo)
consente agevolmente di ritenere che la funzione fondamentale di pertinenza del
Comune ascritta al parametro evocato è quella della pianificazione urbanistica
ed edilizia del territorio comunale. Ai fini dell’ammissibilità della censura
sulla legge regionale non è richiesta anche la formale indicazione delle norme
attributive della funzione fondamentale, trattandosi peraltro di materia
rimessa alla competenza esclusiva statale.
10.– Un’ulteriore
eccezione di inammissibilità, proposta dalla difesa delle predette parti
private, si appunta sulla ritenuta «formulazione di due domande in via
alternativa e non subordinata» con riferimento al contrasto con gli artt. 5 e
118 Cost.
10.1.– L’eccezione
è infondata.
Le censure alle
quali si riferisce l’eccezione costituiscono, piuttosto, argomenti a sostegno
dell’unitario contrasto ravvisato con il principio di sussidiarietà verticale,
espresso dal combinato disposto degli artt. 5 e 118 Cost.; si tratta di profili
tra loro connessi e comunque convergenti nel "verso” dell’eventuale pronuncia
di fondatezza delle questioni.
11.– Nella memoria
presentata in prossimità dell’udienza, la difesa delle stesse parti ha
prospettato una eccezione di inammissibilità per avere il giudice rimettente
omesso di verificare la possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione:
pertanto, le limitazioni alle funzioni comunali sarebbero state intese «nel
modo più ampio […] anche al di là da quanto richiesto dalla lettera» della
legge.
11.1.– L’eccezione
è infondata.
Dall’atto di
rimessione emerge che il Consiglio di Stato ha correttamente utilizzato i suoi
poteri di interpretazione delle disposizioni rilevanti ai fini della decisione.
Per un verso, la lettura propostane dal Comune di Brescia – che avrebbe in
radice reso non necessaria la questione di legittimità costituzionale – è stata
motivatamente esclusa (punto 2.2. del Diritto). In un altro passaggio dell’atto
introduttivo, invece, il rimettente ha parimenti escluso di poter accogliere
una diversa interpretazione offerta dalla difesa delle parti private e quindi di
poter fugare il dubbio di costituzionalità. In particolare, secondo il giudice
a quo, se è vero che la legge regionale non preclude la possibilità di
apportare varianti al piano delle regole e al piano dei servizi (due dei tre
atti in cui si articola il PGT), «è vero altresì che la prescrizione
interdittiva contenuta nella legge riguarda l’atto maggiormente rilevante e
qualificante della programmazione urbanistica comunale, rappresentato dal
documento di Piano».
A fronte di ciò,
nell’argomentare le diverse opzioni che il rimettente avrebbe potuto
considerare, la difesa finisce per entrare nella valutazione del merito della
questione. Infatti, «se l’ermeneusi prescelta sia da
considerare la sola persuasiva, è profilo che esula dall’ammissibilità e
attiene, per contro, al merito della questione di legittimità costituzionale (sentenze n. 83
e 42 del 2017,
n. 240, n. 95 e n. 45 del 2016,
n. 262 del 2015)»
(sentenza n. 132
del 2018).
12.– Nel merito le
questioni aventi a oggetto l’ultimo periodo dell’art. 5, comma 4, della legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014, sono fondate.
12.1.– È utile
premettere che la legge reg. Lombardia n. 31 del 2014 persegue innovative
finalità generali, consistenti nell’orientare gli interventi edilizi
prioritariamente verso aree già urbanizzate, degradate o dismesse e nel
prevedere consumo di suolo esclusivamente se la riqualificazione e la
rigenerazione di aree già edificate si dimostri tecnicamente ed economicamente
insostenibile (art. 1).
Essa quindi, da un
lato, traguarda le più recenti concezioni di territorio, considerato non più
solo come uno spazio topografico suscettibile di occupazione edificatoria ma
rivalutato come una risorsa complessa che incarna molteplici vocazioni (ambientali,
culturali, produttive, storiche) e, dall’altro, è avvertita sul fatto che il
consumo di suolo rappresenta una delle variabili più gravi del problema della
pressione antropica sulle risorse naturali.
In quest’ottica la
legge regionale si distingue per aver definito il suolo come «bene comune di
fondamentale importanza per l’equilibrio ambientale, la salvaguardia della
salute, la produzione agricola finalizzata alla alimentazione umana e/o
animale, la tutela degli ecosistemi naturali e la difesa dal dissesto
idrogeologico» (art. 1, comma 2).
La legge regionale
quindi, nelle sue finalità generali, dimostra di inserirsi in un processo
evolutivo diretto a riconoscere una nuova relazione tra la comunità
territoriale e l’ambiente che la circonda, all’interno della quale si è
consolidata la consapevolezza del suolo quale risorsa naturale eco-sistemica
non rinnovabile, essenziale ai fini dell’equilibrio ambientale, capace di
esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e
utilità collettive, anche di natura intergenerazionale.
Si tratta di una
prospettiva che risulta, peraltro, conforme – come correttamente ricorda la
difesa della Regione Lombardia – agli indirizzi espressi in sede europea fin
dalla comunicazione della Commissione del 22 settembre 2006, "Strategia
tematica per la protezione del suolo”, e più recentemente dall’approvazione del
cosiddetto Settimo programma di azione per l’ambiente (decisione n.
1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013).
Nell’attuazione
delle suddette finalità, l’art. 2 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014
fornisce le definizioni di consumo di suolo e di rigenerazione urbana,
prevedendo, al comma 2, che il piano territoriale regionale (PTR) «precisa le
modalità di determinazione e quantificazione degli indici che misurano il
consumo di suolo, validi per tutto il territorio regionale, disaggrega […] i
territori delle [province e della città metropolitana] in ambiti omogenei, in
dipendenza dell’intensità del corrispondente processo urbanizzativo ed esprime
i conseguenti criteri, indirizzi e linee tecniche da applicarsi negli strumenti
di governo del territorio per contenere il consumo di suolo».
12.2.– In questo
quadro normativo si inseriscono le norme oggetto di censura, che disciplinano
la fase transitoria volta ad adeguare gli strumenti di
pianificazione territoriale stabiliti dalla legislazione lombarda ai criteri
previsti per il perseguimento delle suddette finalità.
Nel periodo
occorrente alla integrazione dei contenuti del piano territoriale regionale
(PTR) e al successivo adeguamento dei piani territoriali di coordinamento
provinciale (PTCP) e dei piani di governo del territorio (PGT), l’art. 5, comma
4, nel testo originario censurato, dispone che «i comuni possono approvare
unicamente varianti del PGT e piani attuativi in variante al PGT, che non
comportino nuovo consumo di suolo, diretti alla riorganizzazione
planivolumetrica, morfologica, tipologica o progettuale delle previsioni di
trasformazione già vigenti, per la finalità di incentivarne e accelerarne
l’attuazione, esclusi gli ampliamenti di attività economiche già esistenti,
nonché quelle finalizzate all’attuazione degli accordi di programma a valenza
regionale».
L’ultimo periodo
di tale disposizione stabilisce che «[f]ino a detto adeguamento sono comunque
mantenute le previsioni e i programmi edificatori del documento di piano
vigente».
Tale divieto di ius variandi in relazione ai
contenuti edificatori del documento di piano viene in ogni caso scandito, dalla
ricordata disposizione, fino alla conclusione del processo di adeguamento,
anche se poi effettivamente declinato secondo due diverse scadenze temporali:
la prima prevista dal comma 6 assegnando ai privati il termine di trenta mesi
per la presentazione delle istanze di attuazione del programma edificatorio; la
seconda stabilita dal comma 9 per le ipotesi in cui a) entro il predetto
termine di trenta mesi non siano stati presentati progetti da parte dei
soggetti interessati alla realizzazione di un piano attuativo ovvero b) se
presentati, non sia stata stipulata la relativa convenzione entro dodici mesi
dall’approvazione. Anche in queste ultime due ipotesi, comunque, il Comune è
vincolato al vigente documento di piano «sino all’esito del procedimento di
adeguamento di cui al comma 3».
La sospensione
della potestà di apportare modifiche ai contenuti edificatori del documento di
piano viene quindi ad assumere, sul piano giuridico, un carattere temporalmente
limitato ma indefinito nella sua ampiezza, risultando in ogni caso collegata –
costituisce, infatti, una circostanza di mero fatto che i privati abbiano
presentato l’istanza entro il termine di trenta mesi – al concretizzarsi del
processo di adeguamento, per il quale i termini previsti dalla sequenza
procedimentale individuata dalla legge regionale hanno carattere meramente
ordinatorio. Del resto, come dichiarato dalla difesa della Regione, è solo con
la pubblicazione avvenuta nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n.
11, serie avvisi e concorsi, del 13 marzo 2019 che è divenuta efficace la
integrazione del PTR alla quale, invece, secondo quanto previsto dall’art. 5,
comma 1, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, la Regione avrebbe dovuto
provvedere entro dodici mesi dalla entrata in vigore della predetta legge.
12.3.– In questi
termini la disposizione dell’ultimo periodo dell’art. 5, comma 4, della legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014 si pone in violazione del combinato disposto
dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., relativamente alla competenza
esclusiva statale sulle funzioni fondamentali, e degli artt. 5 e 118, primo e
secondo comma, Cost., con riguardo al principio di sussidiarietà verticale.
La funzione di
pianificazione urbanistica, infatti, come giustamente rileva il giudice
rimettente, nel nostro ordinamento è stata tradizionalmente rimessa
all’autonomia dei Comuni fin dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Sulle
espropriazioni per causa di utilità pubblica).
Tutta la complessa
evoluzione che ha condotto allo sviluppo dell’ordinamento regionale ordinario,
a una più ampia concezione di urbanistica e quindi alla consapevolezza della
necessità di una pianificazione sovracomunale, non ha travolto questo
presupposto di fondo, tanto che il legislatore nazionale ha qualificato, attuando
il nuovo Titolo V della Costituzione, come funzioni fondamentali dei Comuni «la
pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la
partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale» (art.
14, comma 27, lettera d, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 recante
«Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica», convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122,
come sostituito dall’art. 19, comma 1, lettera a, del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni,
in legge 7 agosto 2012, n. 135).
Il legislatore
statale ha quindi sottratto allo specifico potere regionale di allocazione ai
sensi dell’art. 118, secondo comma, Cost., la funzione di pianificazione
comunale, stabilendo che questa rimanga assegnata, in linea di massima, al
livello dell’ente più vicino al cittadino, in cui storicamente essa si è
radicata come funzione propria, e l’ha riconosciuta come parte integrante della
dotazione tipica e caratterizzante dell’ente locale. Ha così stabilito un regime
giuridico comune sottratto, per questo aspetto e salvo quanto si dirà in
seguito, alle potenzialità di differenziazione insite nella potestà allocativa
delle Regioni nelle materie di loro competenza.
12.4.– Se quindi
la funzione di pianificazione comunale rientra in quel nucleo di funzioni
amministrative intimamente connesso al riconoscimento del principio
dell’autonomia comunale, ciò non comporta, tuttavia, che la legge regionale non
possa intervenire a disciplinarla, anche in relazione agli ambiti territoriali
di riferimento, e financo a conformarla in nome della verifica e della
protezione di concorrenti interessi generali collegati a una valutazione più
ampia delle esigenze diffuse sul territorio (sentenza n. 378 del
2000).
Anche dopo
l’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione, infatti, questa
Corte ha ribadito, con riguardo all’autonomia dei Comuni, che «essa non implica
una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente
possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze
generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già
assegnate agli enti locali» (sentenza n. 160 del
2016).
Non sono mancate
occasioni, inoltre, in cui questa Corte ha anche espressamente escluso che «il
"sistema della pianificazione” assurga a principio così assoluto e stringente
da impedire alla legge regionale – che è fonte normativa primaria sovraordinata
rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga
a tali strumenti» (sentenza n. 245 del
2018; nello stesso senso, sentenza n. 46 del
2014).
La competenza
concorrente in materia di governo del territorio, infatti, abilita
fisiologicamente la legislazione regionale a intervenire nell’ambito di disciplina
della pianificazione urbanistica; del resto, come correttamente ricorda la
difesa della Regione e delle parti private, è la stessa norma che individua le
funzioni fondamentali comunali a prevedere che rimangono ferme «le funzioni di
programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie
di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione» (art. 14,
comma 27, del d.l. n. 78 del 2010, come sostituito dall’art. 19, comma 1,
lettera a, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito).
12.5.– All’interno
del delicato rapporto tra l’autonomia comunale e quella regionale, tuttavia,
questa Corte ha avuto modo di precisare anche che «il potere dei comuni di
autodeterminarsi in ordine all’assetto e alla utilizzazione del proprio
territorio non costituisce elargizione che le regioni, attributarie
di competenza in materia urbanistica siano libere di compiere» (sentenza n. 378 del
2000) e che la suddetta competenza regionale «non può mai essere esercitata
in modo che ne risulti vanificata l’autonomia dei comuni» (sentenza n. 83 del
1997).
Su questo piano, è
quindi richiesto uno scrutinio particolarmente rigoroso laddove la normativa
regionale non si limiti a conformare, mediante previsioni normative alle quali
i Comuni sono tenuti a uniformarsi, le previsioni urbanistiche nell’esercizio
della competenza concorrente in tema di governo del territorio, quanto
piuttosto comprima l’esercizio stesso della potestà pianificatoria,
come nel caso di specie, paralizzandola per un periodo temporale.
In questi casi,
dove emerge come il punto di equilibrio tra regionalismo e municipalismo non
sia stato risolto una volta per tutte dal riformato impianto del Titolo V della
Costituzione, il giudizio di costituzionalità non ricade tanto, in via
astratta, sulla legittimità dell’intervento del legislatore regionale, quanto,
piuttosto, su una valutazione in concreto, in ordine alla «verifica
dell’esistenza di esigenze generali che possano ragionevolmente giustificare le
disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti
locali» (sentenza
n. 286 del 1997).
Viene quindi in
causa il variabile livello degli interessi coinvolti, cui ha riconosciuto
specifica valenza costituzionale l’affermazione del principio di sussidiarietà
verticale sancito nell’art. 118 Cost., che porta questa Corte a valutare,
nell’ambito di una funzione riconosciuta come fondamentale ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera p), Cost., quanto la legge regionale toglie
all’autonomia comunale e quanto di questa residua, in nome di quali interessi
sovracomunali attua questa sottrazione, quali compensazioni procedurali essa
prevede e per quale periodo temporale la dispone.
Il giudizio di
proporzionalità deve perciò svolgersi, dapprima, in astratto sulla legittimità
dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto con
riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli
interessi coinvolti.
Si tratta allora
di verificare se la norma di cui all’ultimo periodo dell’art. 5, comma 4, della
legge reg. Lombardia n. 31 del 2014 sia proporzionata rispetto al tipo di
interessi coinvolti, e in particolare, in questo caso, rispetto alle finalità
affermate, su un piano più generale, dalla stessa legge regionale in cui la
norma s’inserisce. Se infatti emergesse che la sottrazione ai Comuni della
potestà pianificatoria, anziché costituire il minimo
mezzo utile per perseguire gli scopi del legislatore regionale, si ponesse in
contraddizione con questi ultimi, si dovrebbe concludere che la norma verrebbe
illegittimamente a incidere sulla funzione fondamentale allocata dal
legislatore statale al livello locale.
12.6.– A questo
riguardo si deve riscontrare innanzitutto che il livello regionale è
strutturalmente quello più efficace a contrastare il fenomeno del consumo di
suolo, perché in grado di porre limiti ab externo e
generali alla pianificazione urbanistica locale: del resto proprio in questa
direzione, come la Lombardia, si sono mosse anche altre Regioni, approvando
leggi dirette a limitare il consumo del suolo.
Per questo
profilo, quindi, lo scopo perseguito dal legislatore regionale rientra, senza
dubbio, nell’ambito del legittimo esercizio della competenza regionale e di per
sé appare compatibile con la pianificazione urbanistica locale.
D’altro canto,
tuttavia, la norma impugnata, precludendo ogni modifica al documento di piano
quand’anche di carattere riduttivo, e perciò volta a contenere il consumo di
suolo, finisce per paralizzare la potestà pianificatoria
del Comune al di là di quanto strettamente necessario a perseguire l’obiettivo,
e anzi in contraddizione con quest’ultimo.
La suddetta norma
impugnata, come si è visto, viene a bloccare diacronicamente la potestà pianificatoria comunale, incidendo su uno dei suoi elementi
più rilevanti proprio ai fini del fenomeno che si vorrebbe limitare; è,
infatti, il documento di piano, che contiene le scelte più significative ai
fini della trasformazione del territorio: le destinazioni d’uso, gli indici
edificatori e le aree soggette a trasformazione (art. 8 della legge reg.
Lombardia n. 12 del 2005).
Poco rileva, a tal
fine, quanto evidenzia la difesa delle parti private, ovvero che, secondo la
disciplina regionale, anche nel periodo transitorio, i Comuni rimangono
comunque liberi di modificare il piano delle regole e il piano dei servizi del
PGT.
Rimane fermo, in
ogni caso, che cristallizzando i contenuti edificatori del documento di piano,
la norma impugnata viene a sottrarre all’ente locale la possibilità di
esprimere un nuovo indirizzo politico amministrativo diretto, sia pure, alla
riduzione del consumo di suolo.
È ben vero quanto
ancora afferma la difesa delle stesse parti, ovvero che la norma censurata "non
sceglie al posto” dei singoli Comuni lombardi, sostituendo cioè direttamente
una specifica e diversa decisione regionale a quelle che questi hanno assunto,
bensì produce solo l’effetto di mantenerli coerenti alla pianificazione
territoriale che questi stessi hanno, in un determinato momento e fino
all’entrata in vigore della legge regionale, compiuto.
Tuttavia, se da un
lato è corretto affermare che, anche da questo punto di vista, i Comuni non
vengono completamente spogliati di una loro funzione fondamentale, dall’altro è
evidente che la norma impugnata, all’interno della complessiva funzione di
pianificazione urbanistica comunale, ne ritaglia uno specifico contenuto,
quello della potestas variandi
e la sottrae ai Comuni, ritenendoli inidonei a svolgerla in nome di una
esigenza di esercizio unitario rispondente a non ben definiti interessi
generali.
Incidendo sul
principio di inesauribilità della funzione di pianificazione urbanistica, la
norma regionale priva quindi l’ente locale di una quota rilevante della
suddetta funzione fondamentale, che, al di là di letture minimalistiche, è
diretta, secondo l’orientamento ormai uniforme della giurisprudenza
amministrativa, non solo alla disciplina coordinata della edificazione dei
suoli, ma anche allo sviluppo complessivo e armonico del territorio, nonché a
realizzare finalità economico-sociali della comunità locale, in attuazione di
valori costituzionalmente tutelati (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione
quarta, sentenze 9 maggio 2018, n. 2780, 22 febbraio 2017, n. 821 e 10 maggio
2012, n. 2710).
La rigidità insita
nella norma censurata è quindi tale da incidere in modo non proporzionato
sull’autonomia dell’ente locale, non solo perché impedisce la rivalutazione
delle esigenze urbanistiche in precedenza espresse (che peraltro, in astratto,
potevano anche provenire da maggioranze politiche locali diverse da quelle poi
in carica), ma soprattutto perché, al tempo stesso, la preclude quando questa
sia rivolta alla protezione degli stessi interessi generali sottostanti alle
finalità di fondo della legge regionale e quindi coerenti con queste.
In sostanza,
l’enunciato censurato, cristallizzando le scelte urbanistiche in vigore al
momento dell’intervento del legislatore regionale, paradossalmente, comporta un
giudizio di inadeguatezza del Comune a esercitare la potestas
variandi anche quando questo intenda svolgerla nella
stessa direzione dei principi di coordinamento fissati dal legislatore
regionale, ma "in anticipo” rispetto alla prevista applicazione a regime.
La sola
giustificazione a fondamento dell’esercizio unitario regionale della quota di
funzione sottratta ai Comuni sembra allora essere quella – affermata dalla
difesa regionale e da quella privata – di tutelare l’affidamento dei soggetti
coinvolti al mantenimento di determinate previsioni urbanistiche. Tuttavia
nemmeno tale argomento è dirimente all’interno del giudizio di proporzionalità,
anzi si dimostra palesemente inconferente perché in materia urbanistica tale
affidamento è normalmente ritenuto tutelabile, dalla giurisprudenza amministrativa,
solo a fronte di convenzioni già stipulate (Consiglio di Stato, sezione quarta,
sentenze 12 maggio 2016, n. 1907 e 7 novembre 2012, n. 5665, oltre alle
pronunce richiamate supra); la norma in questione,
invece, verrebbe a garantirlo in un momento molto anteriore rispetto a quello
in cui matura un’aspettativa qualificata al mantenimento della destinazione
urbanistica.
Nella valutazione
di proporzionalità deve essere considerata, inoltre, la durata della
sottrazione della potestas variandi
che la norma censurata impone ai Comuni: questa, come si è visto, non è
assistita da un termine certo e congruo; il periodo della sottrazione risulta,
infatti, in ultima analisi rimesso, per effetto del combinato disposto dei
commi 4 e 9 dell’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, alla
discrezionalità della Regione nell’approvare l’adeguamento del PTR.
Infine, occorre
anche considerare che a fronte della suddetta limitazione, che rende i Comuni
meri esecutori di una valutazione compiuta dal livello di governo superiore,
non viene prevista a favore dei primi alcuna possibilità di una motivata
interlocuzione con il secondo, in contrasto con quanto questa Corte ha
affermato in ordine alla necessità di «garantire agli stessi forme di
partecipazione ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia» (sentenza n. 126 del
2018).
Nemmeno, da
ultimo, può acquistare consistenza l’argomento addotto dalla difesa della
Regione in ordine alla necessità di "fotografare” la situazione pianificatoria comunale, al fine di procedere con il PTR a
indicare le soglie di riduzione assegnate ai singoli Comuni; dirimente al
riguardo è quanto affermato dalla difesa dell’ANCI: quando lo stesso
legislatore regionale, modificando la disciplina transitoria con la legge reg.
Lombardia n. 16 del 2017, ha eliminato il vincolo di immodificabilità delle
previsioni espansive del documento di piano, si è dimostrato per tabulas che per l’integrazione del piano regionale non era
né necessario, né rilevante conservare immutate le previsioni dei piani
comunali.
12.7.– Si deve
quindi concludere che la norma impugnata non supera, ai sensi del legittimo
esercizio del principio di sussidiarietà verticale, il test di proporzionalità
con riguardo all’adeguatezza e necessarietà della limitazione imposta
all’autonomia comunale in merito a una funzione amministrativa che il
legislatore statale ha individuato come connotato fondamentale dell’autonomia
comunale. Essa pertanto deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima
nella parte in cui non consente ai Comuni di apportare varianti che riducono le
previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano vigente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’ultimo periodo dell’art. 5, comma 4, della legge della Regione Lombardia
28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e
per la riqualificazione del suolo degradato), nel testo precedente alle
modifiche apportate dalla legge della Regione Lombardia 26 maggio 2017, n. 16,
recante «Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 28 novembre 2014, n. 31
(Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione
del suolo degradato)», nella parte in cui non consente ai Comuni di apportare
varianti che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel documento di
piano vigente;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 9, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014,
nel testo precedente alle modifiche apportate dalla legge reg. Lombardia n. 16
del 2017, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 117, secondo comma, lettera
p), e 118 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con
l’atto indicato in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23
maggio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 16 luglio 2019.