SENTENZA
N. 245
ANNO
2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò
ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
- Luca
ANTONINI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della Regione
Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio
edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo,
modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
spedito per la notifica il 9 ottobre 2017, depositato in cancelleria il 13
ottobre 2017, iscritto al n. 81 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione
Abruzzo;
udito nella udienza pubblica del 6 novembre 2018
il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri
per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Franco Francesco
Fabio per la Regione Abruzzo.
Ritenuto
in fatto
1.− Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
impugnato gli artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della legge della Regione
Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio
edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo,
modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni),
disciplinanti il recupero dei vani e locali accessori e seminterrati, situati
in edifici esistenti o collegati direttamente ad essi, da destinare ad uso
residenziale, direzionale, commerciale o artigianale, e l’applicazione del
piano demaniale marittimo regionale alle aree della riserva naturale "Pineta
Dannunziana”.
2.− Secondo il ricorrente, l’impugnato
art. 4, comma 4, violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, secondo comma,
lettera s), della Costituzione, in relazione agli artt. 6, comma 3, 12 e
65, comma 4, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Deduce il Presidente del Consiglio dei ministri
che la norma censurata individua i requisiti tecnici degli interventi di
recupero, prevedendo, al comma 4, che «il recupero dei vani e locali di cui
all’art. 2, comma 1, è ammesso anche in deroga ai limiti e prescrizioni
edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in
assenza dei medesimi».
La disposizione, pertanto, eluderebbe l’obbligo
di sottoporre tali interventi «a valutazione ambientale strategica, o almeno
alla relativa verifica di assoggettabilità», previste dagli artt. 6, comma 3, e
12 del d.lgs. n. 152 del 2006 (d’ora in avanti: codice dell’ambiente).
Inoltre, potendo determinare una deroga alle
disposizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali che recepiscono la
pianificazione di bacino, la disposizione censurata comporterebbe anche
l’elusione della norma di cui all’art. 65, comma 4, del codice dell’ambiente,
secondo cui «Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere
immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i
soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia
dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo
socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o
comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato».
3.− L’art. 4, comma 4, della legge reg.
Abruzzo n. 40 del 2017 contrasterebbe, in secondo luogo, con più principi
fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio,
in violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost.
Esso sarebbe in contrasto, innanzitutto, con
l’art. 2, comma 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), secondo cui
i «comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui
all’art. 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, disciplinano
l’attività edilizia».
Il d.P.R. n. 380 del
2001 (d’ora in avanti: testo unico dell’edilizia o TUE) avrebbe quindi
ricondotto la competenza regolamentare dei Comuni in materia urbanistica all’autonomia
statutaria e normativa prevista dal citato art. 3 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali) ed avente ancoraggio costituzionale negli artt. 114 e 117, sesto comma,
Cost.
La norma impugnata, inoltre, sarebbe in
contrasto con gli artt. 4 e 7 della legge
17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), che attribuiscono ai Comuni la
pianificazione urbanistica e la disciplina delle disposizioni d’uso degli
immobili.
Essa, ancora, nel consentire gli interventi di
recupero anche in assenza degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, si
porrebbe in contrasto con l’art. 9 del TUE,
che individua l’attività edilizia realizzabile in assenza di tali strumenti.
4.− L’art. 5, comma 2, della legge reg.
Abruzzo n. 40 del 2017, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, viola
l’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., in riferimento all’art. 65, comma 4, del codice
dell’ambiente.
La disposizione impugnata, nel consentire la
riconversione di vani accessori in destinazione d’uso residenziale, potrebbe
infatti determinare un incremento del carico abitativo incompatibile con le
prescrizioni del piano di bacino volte alla tutela dal rischio idrogeologico.
La norma censurata, in particolare, escluderebbe
dall’ambito di applicazione della legge soltanto le aree soggette a vincolo di
inedificabilità assoluta e, quindi, non quelle in cui il piano di bacino si
limiti a vietare l’incremento del carico urbanistico.
Essa, inoltre, vieterebbe la riconversione solo
nelle aree «ad elevato rischio idrogeologico», quando, invece, per ragioni di
pubblica incolumità, simili interventi dovrebbero essere vietati in tutte le
aree a rischio moderato (R1), medio (R2), elevato (R3) e molto elevato (R4).
5.− L’impugnato art. 7, infine, violerebbe
l’art. 117, secondo
comma, lettera s) Cost., in riferimento all’art. 22, commi 1, lettera d), e
6, della legge
6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).
Il ricorrente, premesso che la disciplina in
materia di aree protette, sia statali che regionali, contenuta nella legge n.
394 del 1991 rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia
di tutela dell’ambiente, deduce che la Regione non può derogare alle norme
statali, ma solo «determinare, sempre nell’ambito delle proprie competenze,
livelli maggiori di tutela», senza compromettere il punto di equilibrio tra
esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato.
La disposizione censurata, prevedendo che il
piano marittimo regionale, ovvero quello comunale di recepimento, sono
prevalenti «su ogni altra legislazione e/o normativa anche di tipo
sovraordinato o ambientale», violerebbe l’art. 22, comma 1, lettera d), della
legge n. 394 del 1991, secondo cui le attività svolte nelle aree protette
regionali sono disciplinate da regolamenti adottati in conformità all’art. 11
della legge medesima.
La dichiarata prevalenza del piano marittimo
regionale, ovvero di quello comunale di recepimento, contrasterebbe anche con
l’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, in forza del quale «Nei parchi
naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l’attività venatoria è
vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi
necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti
devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista,
alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e
sorveglianza dell’organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal
personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con
preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni
corsi di formazione a cura dello stesso Ente».
6.− Con memoria depositata nella
cancelleria di questa Corte il 17 novembre 2017, si è costituita in giudizio la
Regione Abruzzo, chiedendo di dichiarare l’inammissibilità, ovvero, in via
subordinata, l’infondatezza delle questioni sollevate.
7.− La resistente eccepisce, in primo
luogo, l’inammissibilità delle prime due questioni «per l’inadeguatezza delle
argomentazioni esposte» e per «l’assoluto eccesso di genericità delle
motivazioni».
La censura di illegittimità costituzionale
dell’art. 4 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, in particolare, sarebbe
generica ed apodittica, priva di alcun percorso motivazionale a sostegno delle
ragioni per cui la «deroga ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti
urbanistici» comporterebbe l’elusione dell’obbligo di sottoporre a valutazione
ambientale strategica (VAS) i previsti interventi di recupero, la elusione
delle previsioni dei piani di bacino recepite negli strumenti urbanistici
comunali e la violazione della riserva regolamentare dei Comuni in materia
urbanistica.
Le prime due censure sarebbero inammissibili
anche per la loro «contraddittorietà sotto il profilo dell’esatta
individuazione del thema decidendum»,
perché il ricorrente, pur avendole riferite esclusivamente al comma 4 dell’art.
4 e al comma 2 dell’art. 5 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, avrebbe poi
concluso per la declaratoria d’illegittimità costituzionale dei citati articoli
nella loro interezza.
8.− Nel merito, quanto alla prima censura
rivolta all’art. 4, comma 4, di violazione della competenza statale in materia
di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, per elusione dell’obbligo di
sottoposizione a VAS, o almeno alla relativa verifica di assoggettabilità, e
perché derogatoria delle disposizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi
che recepiscono la pianificazione di bacino, la resistente ritiene che essa
poggi su una interpretazione errata della norma, assunta senza considerare la
misura di salvaguardia prevista dal legislatore regionale.
Osserva la Regione Abruzzo come il comma 4
faccia espressamente salve le previsioni del comma 3, ai sensi del quale «Tutti
gli interventi di recupero devono rispettare le norme antisismiche, di
sicurezza e antincendio vigenti, nonché quelle relative all’efficienza
energetica, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Secondo la resistente, pertanto, la deroga ai
limiti e alle prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi
contemplata dal comma 4 presuppone sempre e comunque il rispetto della
normativa in materia di tutela ambientale, il che implica l’impossibilità di
eludere le procedure di VAS o di verifica di assoggettabilità previste dagli
artt. 6 e 12 del codice dell’ambiente.
Sotto altro profilo, poi, non sarebbe agevole
comprendere come la mera modifica di destinazione d’uso di vani esistenti possa
comportare la necessità di una nuova VAS rispetto ai piani e programmi in base
ai quali siano stati già realizzati gli immobili di cui quei vani fanno parte.
Gli interventi di recupero disciplinati dalla
legge regionale in questione, infatti, non implicherebbero nuovo consumo di suolo
mediante l’esercizio di attività di nuova edificazione ma solo il recupero di
locali accessori e vani seminterrati già presenti nel tessuto edilizio, con
esclusione di opere che comportino modifiche delle altezze esterne del
fabbricato esistente e della sagoma delle costruzioni.
Nella maggior parte dei casi l’applicazione
della normativa regionale potrebbe comportare solo un mutamento di destinazione
d’uso del locale, consentito esclusivamente all’interno della medesima
categoria funzionale tra quelle previste dall’art. 23-ter, comma 1, del TUE
(art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017).
In ogni caso, la Regione Abruzzo ribadisce che
il rispetto della normativa ambientale e, più in generale, di quella nazionale
vigente in subiecta materia, è assicurato, oltre che
dal citato art. 4, comma 3, anche dall’art. 1 della medesima legge regionale n.
40 del 2017, a mente del quale «La presente legge detta disposizioni volte a
promuovere, nel rispetto della normativa statale vigente, il recupero del
patrimonio edilizio esistente», e dall’art. 3, comma 2, ai sensi del quale
«Restano comunque ferme le prescrizioni in materia poste da norme ambientali o
paesaggistiche nazionali e regionali».
Per le stesse ragioni sarebbe infondata la
censura di illegittimità dell’art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40
del 2017, per violazione dell’art. 65 del codice dell’ambiente: anche in questo
caso l’osservanza delle previsioni dei piani di bacino recepite negli strumenti
urbanistici sarebbe garantito dal richiamo operato nel comma 3 dell’art. 4 al
rispetto delle norme ambientali, e, prima ancora, dal carattere immediatamente
vincolante delle disposizioni di piano, strumento di pianificazione
sovraordinato agli altri.
Andrebbe considerato, infine, che la deroga
censurata dal ricorrente non riguarda gli strumenti urbanistici in senso
stretto e quindi la pianificazione del territorio, ma è circoscritta «ai limiti
e alle prescrizioni edilizie».
9.− In relazione alla censura di contrasto
della norma regionale con i principi fondamentali della legislazione statale in
materia di governo del territorio di cui al testo unico dell’edilizia, la
Regione afferma che l’intera legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017 è rispettoso
dell’autonomia e delle competenze comunali.
L’art. 5, comma 1, della medesima legge
regionale, infatti, demanda proprio ai Comuni la facoltà di decidere, in piena
discrezionalità, l’an e il quomodo
di attuazione delle relative previsioni, e l’art. 3, comma 1, prevede che i
Comuni, in fase applicativa, restano competenti per la gestione dei
procedimenti amministrativi, atteso che gli interventi di recupero sono
consentiti «previo rilascio del titolo abilitativo edilizio richiesto per il
tipo di intervento».
La deroga prevista dalla norma censurata, inoltre,
riguarderebbe solo le prescrizioni comunali aventi carattere meramente
tecnico-edilizio e non quelle di natura più propriamente urbanistica né
tantomeno gli strumenti di pianificazione.
Nemmeno potrebbe dirsi violato l’art. 2, comma
4, del TUE, poiché la disposizione censurata sarebbe estranea anche alla
disciplina edilizia in senso stretto e non inciderebbe sulla riserva
regolamentare in capo ai Comuni.
10.− Parimenti priva di pregio sarebbe la
censura di violazione dell’art. 9 del testo unico dell’edilizia riguardante la
possibilità di effettuare interventi di recupero anche «in assenza di strumenti
urbanistici ed edilizi comunali».
Il citato art. 9, infatti, disciplina la
tipologia di interventi edilizi consentiti «nei comuni sprovvisti di strumenti
urbanistici», individuati in quelli previsti «dalle lettere a), b), e c) del
primo comma dell’articolo 3», ossia quelli di «manutenzione ordinaria,
straordinaria e di restauro e risanamento conservativo».
Gli interventi di recupero disciplinati dalla
legge regionale andrebbero ricompresi proprio in tale ultima categoria, come
definita dal legislatore statale, trattandosi di iniziative implicanti opere
minimali che comportano meri mutamenti di destinazione d’uso interni alla
medesima categoria funzionale, con eventuali piccole opere edilizie di
adeguamento ma senza stravolgimento dell’organismo edilizio nel suo complesso.
11.− Con riferimento alla questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge regionale n. 40
del 2017, la Regione Abruzzo osserva che secondo il ricorrente esso sarebbe in
contrasto con l’art. 65, comma 4, del codice dell’ambiente e quindi con l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., sotto due distinti profili: 1) la
riconversione ad uso residenziale dei vani accessori potrebbe determinare un
carico di incremento abitativo incompatibile con le prescrizioni del piano di
bacino; 2) la norma escluderebbe dall’ambito di applicazione della legge
regionale solo «le aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta», ovvero
quelle «ad elevato rischio idrogeologico», mentre gli interventi previsti
dovrebbero essere vietati in tutte le aree a rischio moderato (R1), medio (R2)
e molto elevato (R4).
Quanto al primo profilo, la resistente osserva
che la norma censurata, lungi dal mettere in discussione la prevalenza dei
piani di bacino o di settore rispetto agli atti pianificatori subordinati, si
limita a fissare soglie minime di tutela e salvaguardia connesse sia al vincolo
di inedificabilità assoluta posto dagli atti di pianificazione territoriale e
non necessariamente legato a situazioni di rischio o pericolosità (ad esempio,
il divieto di edificabilità previsto dai piani dei parchi), sia al rischio
idrogeologico.
Il rispetto delle prescrizioni contenute nel
piano di bacino – prosegue la Regione Abruzzo – è in ogni caso garantito dal
richiamo, operato nel comma 3 dell’art. 4 della legge regionale, all’osservanza
delle norme in materia di sicurezza e tutela ambientale, tra le quali è
sicuramente annoverabile l’art. 65, comma 4, del codice dell’ambiente; nonché
dalla stessa natura immediatamente vincolante del piano di bacino medesimo.
Le stesse considerazioni conducono, secondo la
resistente, alla infondatezza anche del secondo profilo di censura: la prevista
esclusione dell’applicabilità della legge regionale alle aree a «rischio
elevato» non può valere, di per sé, a precludere l’operatività delle vincolanti
prescrizioni di piano nelle altre aree qualificate a rischio medio, moderato e
molto elevato.
12.− Con memoria depositata il 16 ottobre
2018 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha replicato alle eccezioni
avversarie, evidenziando l’ammissibilità del ricorso, stante la completezza
delle argomentazioni poste a sostegno delle censure, nonché ribadendo la sua
fondatezza per le ragioni già esposte nell’atto introduttivo.
Considerato
in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato gli artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della legge della
Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del
patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del
suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni),
disciplinanti il recupero dei vani e locali accessori e seminterrati e
l’applicazione del piano demaniale marittimo regionale alle aree della riserva
naturale "Pineta Dannunziana”.
1.1.− Con riferimento all’art. 4, comma 4,
il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
della Costituzione, in relazione agli artt. 6, comma 3, 12 e 65, comma 4, del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale); nonché
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 2, comma 4, e 9 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e agli artt. 4 e
7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica).
1.1.1.− Più in particolare, secondo
l’Avvocatura generale dello Stato, la disposizione censurata − nel
prevedere che il recupero dei vani e locali di cui all’art. 2, comma 1 (ossia
dei vani e locali accessori situati in edifici esistenti o collegati
direttamente ad essi ed utilizzati anche come pertinenze degli stessi e dei
vani e locali seminterrati) «è ammesso anche in deroga ai limiti e prescrizioni
edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in
assenza dei medesimi» − determina, in primo luogo, l’elusione
dell’obbligo di sottoporre tali interventi alla «valutazione ambientale
strategica, o almeno alla relativa verifica di assoggettabilità», di cui agli
artt. 6, comma 3, e 12 del d.lgs. n. 152 del 2006 (d’ora in avanti: codice
dell’ambiente).
Essa, in secondo luogo, consentirebbe di
derogare alle previsioni del piano di bacino recepite negli strumenti
urbanistici comunali, in violazione dell’art. 65, comma 4, del codice
dell’ambiente, secondo cui «Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno
carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici,
nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale
efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di
sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere
coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato».
1.1.2.− L’art. 4, comma 4, poi, violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost., perché sarebbe in contrasto con il principio
fondamentale della materia del governo del territorio posto dall’art. 2, comma
4, del d.P.R. n. 380 del 2001 (d’ora in avanti: testo
unico dell’edilizia o TUE) che attribuisce ai Comuni la disciplina
dell’attività edilizia.
La norma impugnata, inoltre, sarebbe in
contrasto con gli artt. 4 e 7 della legge n. 1150 del 1942 (d’ora in avanti:
legge urbanistica), che attribuiscono ai Comuni la pianificazione urbanistica e
la disciplina dell’uso degli immobili.
Essa, infine, consentirebbe gli interventi di
recupero anche in assenza degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, in
contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 9 TUE, che
individua l’attività edilizia realizzabile in assenza di tali strumenti.
1.2.− L’art. 5, comma 2, della legge reg.
Abruzzo n. 40 del 2017, nel prevedere che la medesima legge regionale «trova
applicazione diretta sul territorio comunale con valenza prevalente ai
regolamenti edilizi vigenti», con esclusione delle «aree soggette a vincoli di
inedificabilità assoluta dagli atti di pianificazione territoriale ovvero nelle
aree ad elevato rischio geologico o idrogeologico», viola, secondo il ricorrente,
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 65, comma
4, del codice dell’ambiente.
La norma censurata sarebbe in contrasto con il
parametro interposto indicato, perché escluderebbe dall’ambito di applicazione
della legge regionale soltanto le aree soggette a vincolo di inedificabilità
assoluta e non anche quelle in cui il piano di bacino si limiti a vietare
l’incremento del carico urbanistico; e perché escluderebbe la riconversione
solo nelle aree «ad elevato rischio idrogeologico», quando, invece, per ragioni
di pubblica incolumità, simili interventi dovrebbero essere vietati in tutte le
aree a rischio moderato (R1), medio (R2), elevato (R3) e molto elevato (R4).
1.3.− L’art. 7 della legge reg. Abruzzo n.
40 del 2017, nello stabilire la prevalenza del «Piano Marittimo regionale,
ovvero di quello Comunale di recepimento», su ogni altra «legislazione e/o
normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale», viola, secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., perché consente al piano previsto dalla legge regionale di derogare al
regolamento dell’area protetta e disciplinare l’attività venatoria, in
contrasto con quanto previsto dall’art. 22, commi 1, lettera d), e 6, della
legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).
2.− La Regione Abruzzo ha eccepito
l’inammissibilità «dei primi due motivi di impugnativa» «per l’inadeguatezza
delle argomentazioni esposte» e per «l’assoluto eccesso di genericità delle
motivazioni».
La doglianza di illegittimità costituzionale
dell’art. 4, in particolare, sarebbe apodittica e priva di alcun percorso
motivazionale a sostegno delle ragioni per cui la «deroga ai limiti e
prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici» comporterebbe l’elusione
dell’obbligo di sottoporre a valutazione ambientale strategica (VAS) gli
interventi di recupero previsti dalla normativa regionale, la elusione delle
previsioni dei piani di bacino recepite negli strumenti urbanistici comunali e
la violazione della riserva regolamentare dei Comuni in materia urbanistica.
Le medesime censure sarebbero inammissibili
anche per la loro «contraddittorietà sotto il profilo dell’esatta
individuazione del thema decidendum»,
perché il ricorrente, pur avendole riferite esclusivamente al comma 4 dell’art.
4 e al comma 2 dell’art. 5, avrebbe poi concluso per la declaratoria
d’illegittimità costituzionale dei citati articoli nella loro interezza.
2.1.− Entrambe le eccezioni non sono
fondate.
Quanto alla lamentata contraddittorietà della
motivazione, è vero che il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato
questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5, senza specificamente
indicare, nell’epigrafe e nelle conclusioni del ricorso, i commi recanti le
norme oggetto d’impugnazione.
Tale indicazione, tuttavia, si rinviene nel
corpo della motivazione, la cui integrale lettura consente, senza margine di
errore, l’individuazione delle norme impugnate, come dimostra la stessa difesa
della parte resistente che su di esse si incentra.
Quanto alla eccepita genericità della
motivazione, deve convenirsi con la Regione Abruzzo che la giurisprudenza
costituzionale è costante nel ritenere che «l’esigenza di un’adeguata
motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità
costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in
via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (tra le tante,
sentenze n. 32 del 2017 e n. 141 del 2016). Pertanto, «il ricorso in via
principale deve contenere "una seppur sintetica argomentazione di merito a
sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della
legge. In particolare, l’atto introduttivo al giudizio non può limitarsi a indicare
le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di
compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di
costituzionalità, ma deve contenere [...] anche una argomentazione di merito,
sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di
incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione
adeguata e non meramente assertiva” (ex plurimis, sentenza n. 107 del
2017 che richiama anche le sentenze n. 251,
n. 153, n.
142, n. 82
e n. 13 del 2015)»
(sentenza n. 152
del 2018; nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 109 del
2018, n. 261,
n. 210 e n. 169 del 2017).
Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente ha
individuato con chiarezza le disposizioni censurate, i parametri costituzionali
asseritamente violati e la normativa statale di riferimento in materia
ambientale o di governo del territorio, e ha fornito argomentazioni, sia pure a
tratti succinte, delle ragioni del contrasto tra le prime e i secondi.
3.− Nel merito, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40
del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in
relazione agli artt. 6, comma 3, e 12 del codice dell’ambiente, non è fondata.
4.− L’inquadramento delle norme statali
sulla verifica di assoggettabilità a VAS nella materia della tutela
dell’ambiente, con conseguente idoneità a fungere da parametro interposto,
ovvero da standard minimo o punto di equilibrio non derogabile dal legislatore
regionale, è corretto (tra le tante, sentenze n. 114 del
2017, n. 219
e n. 117 del
2015, n. 197
del 2014, n.
58 del 2013).
Non è invece condivisibile l’assunto che la
disciplina statale sia incisa in peius dalla norma
regionale, la quale, introducendo misure derogatorie dei vigenti strumenti
urbanistici ed edilizi, eluderebbe, per gli interventi di recupero da essa
disciplinati, l’obbligo di verifica di assoggettabilità a VAS.
4.1.− La legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017
«detta disposizioni volte a promuovere, nel rispetto della normativa statale
vigente, il recupero del patrimonio edilizio esistente, attraverso il recupero
dei vani e locali accessori, nonché dei vani e locali seminterrati, situati in
edifici esistenti o collegati direttamente ad essi, da destinare ad uso residenziale,
direzionale, commerciale o artigianale, al fine di uno sviluppo sostenibile e
di contenere il consumo di suolo» (art. 1).
Il recupero dei vani e locali è consentito a
condizione che: a) siano stati legittimamente realizzati alla data di entrata
in vigore della legge; b) non abbiano in corso procedure di accertamento per
opere abusive; c) siano collocati in edifici serviti dalle opere di
urbanizzazione primaria; d) non facciano parte di edifici abusivi (art. 2,
commi 2 e 3).
Il cambio di destinazione d’uso del vano o
locale oggetto di recupero è poi «consentito solo all’interno della medesima
categoria funzionale tra quelle di cui al comma 1 dell’articolo 23-ter del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)» (art. 2, comma
1).
Ancora, ai sensi dell’art. 3, «Sono consentiti
gli interventi di recupero ai fini residenziale, direzionale, commerciale o
artigianale dei vani e locali di cui all’articolo 2, comma 1, con o senza opere
edilizie, previo rilascio del titolo abilitativo edilizio richiesto per il tipo
di intervento e nel rispetto delle prescrizioni di cui alla presente legge (…)
2. Per gli edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e per gli
immobili vincolati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della
legge 6 luglio 2002, n. 137), il recupero dei vani e locali di cui all’articolo
2, comma 1, è in ogni caso consentito previa autorizzazione
dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo. Restano comunque ferme
le prescrizioni in materia poste da norme ambientali o paesaggistiche nazionali
e regionali 3. La realizzazione degli interventi di recupero è subordinata
all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria e al reperimento degli
standard urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 del Ministero dei
lavori pubblici (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza
fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della
formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell'articolo 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765) ovvero al
loro adeguamento o realizzazione, in relazione al maggior carico urbanistico
connesso alla trasformazione della destinazione d’uso».
Infine, ai sensi dell’art. 4, «1. Gli interventi
di recupero dei vani e locali di cui all’articolo 2, comma 1, devono conseguire
il rispetto di tutte le prescrizioni igienico-sanitarie vigenti e dei parametri
di aero-illuminazione, anche attraverso la realizzazione di opere edilizie o
mediante l’installazione di appositi impianti e attrezzature tecnologiche atte
a tale funzione. L’altezza interna dei vani e locali destinati alla permanenza
di persone non può essere inferiore a metri 2,40. 2. Ai fini del raggiungimento
dell’altezza minima di cui al comma 1, è consentito, nell’ambito
dell’intervento richiesto, effettuare la rimozione di eventuali
controsoffittature esistenti, l’abbassamento della quota di calpestio del
pavimento o l’innalzamento del solaio sovrastante, a condizione che tali opere
edilizie non comportino modifiche delle altezze esterne del fabbricato
esistente e siano realizzate nel rispetto e nell’ambito della sagoma delle
costruzioni interessate. L’altezza interna dei vani e locali oggetto di
recupero è misurata da pavimento a soffitto senza tenere conto dell’intradosso
di travi e sporgenze similari. È considerata regolare ed utile l’altezza finita
ricompresa nella tolleranza di cantiere come definita dall’articolo 34, comma
2-ter, del D.P.R. 380/2001. 3. Tutti gli interventi di recupero devono
rispettare le norme antisismiche, di sicurezza e antincendio vigenti, nonché
quelle relative all’efficienza energetica, alla tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema […]».
4.2.− L’esame congiunto delle citate
disposizioni della legge regionale rende evidente che esse, dettate
nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di governo del
territorio, si limitano ad incentivare il recupero dei vani seminterrati ed
accessori nel rispetto della normativa ambientale e dei princìpi fondamentali
della disciplina urbanistica ed edilizia nazionale, dettando minute
prescrizioni edilizie (quali l’altezza minima dei locali seminterrati e le
modalità della sua misurazione).
Esse, dato il loro contenuto concreto, non incidono
sulla pianificazione territoriale o sulla localizzazione degli interventi
affidati ai piani urbanistici comunali e, se fossero state introdotte in via
amministrativa (mediante modifica dei regolamenti edilizi), non avrebbero
richiesto la verifica di assoggettabilità a VAS, perché non incidenti sulla
«pianificazione territoriale o destinazione dei suoli» (art. 6, comma 2, del
codice dell’ambiente) e perché all’evidenza insuscettibili di produrre «impatti
significativi sull’ambiente» (art. 6, comma 3, del codice dell’ambiente).
In definitiva, la legge regionale non può essere
tacciata di avere determinato una «elusione» dell’obbligo di verifica di
assoggettabilità a VAS, mediante l’attrazione alla sfera legislativa della
modifica di strumenti amministrativi di pianificazione suscettibili di incidere
sull’ambiente.
5.− La questione di costituzionalità
dell’art. 4, comma 4, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., in relazione all’art. 65, comma 4, del codice dell’ambiente, è egualmente
non fondata.
6.− Anche in questo caso è corretto
l’inquadramento delle norme statali sul piano di bacino nella materia della
tutela dell’ambiente, con conseguente loro idoneità a fungere da parametro
interposto, ovvero da standard minimo o punto di equilibrio non derogabile dal
legislatore regionale (sentenze n. 254
e n. 168 del
2010, n. 254
e n. 232 del
2009).
Come correttamente eccepito dalla Regione
Abruzzo, tuttavia, la norma censurata non pone alcuna deroga alle previsioni
del piano di bacino che, proprio in forza del parametro interposto invocato, si
impongono a tutte le amministrazioni e ai privati, a prescindere dal loro
recepimento in altre fonti legislative o regolamentari (argumenta
ex sentenze n.
46 del 2014 e n.
251 del 2013 con riferimento alla VAS, e sentenza n. 168 del
2010 con riferimento alla VIA).
È del resto la stessa legge regionale ad
affermare espressamente che «Restano comunque ferme le prescrizioni in materia
poste da norme ambientali o paesaggistiche nazionali e regionale» (art. 3,
comma 2) e che tutti gli interventi di recupero da essa disciplinati «devono
rispettare le norme antisismiche, di sicurezza e antincendio vigenti, nonché
quelle relative all’efficienza energetica, alla tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema» (art. 4, comma 3, richiamato dalla stessa disposizione
impugnata).
7.− Secondo il ricorrente l’art. 4, comma
4, violerebbe anche l’art. 117, terzo comma, Cost., perché si porrebbe in
contrasto con più principi fondamentali in materia di governo del territorio,
ed in particolare: a) con l’art. 2, comma 4, del testo unico dell’edilizia che
assegna ai Comuni la disciplina dell’attività edilizia; b) con gli artt. 4 e 7
della legge urbanistica che attribuiscono ai Comuni la potestà pianificatoria urbanistica; c) con l’art. 9 del TUE che
individua l’attività edilizia realizzabile in assenza degli strumenti
urbanistici.
8.− Anche tali questioni non sono fondate.
9.− L’art. 2, comma 4, del testo unico
dell’edilizia, se riconosce ai Comuni la facoltà di disciplinare l’attività
edilizia, non configura (né potrebbe) in capo agli stessi una riserva esclusiva
di regolamentazione in grado di spogliare il legislatore statale e quello
regionale del legittimo esercizio delle loro concorrenti competenze legislative
in materia di governo del territorio, competenze non a caso richiamate dallo
stesso art. 2 TUE.
9.1.− Neanche sussiste la dedotta
violazione del principio fondamentale di attribuzione ai Comuni della funzione
di pianificazione urbanistica del territorio, poiché, come si è già detto, la
disposizione censurata consente esclusivamente deroghe minute alla disciplina
edilizia comunale, dettate nell’esercizio della ricordata competenza
legislativa concorrente in materia di governo del territorio.
Questa Corte, del resto, ha già escluso che il
«sistema della pianificazione» assurga a principio così assoluto e stringente
da impedire alla legge regionale – che è fonte normativa primaria sovraordinata
rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga
a tali strumenti (sentenza
n. 46 del 2014, ove peraltro la disciplina regionale, a differenza di
quella oggi scrutinata, consentiva incrementi volumetrici).
9.2.− Non è
neanche fondata la censura di violazione del principio fondamentale stabilito
dall’art. 9 del TUE (sentenze n. 68 del
2018 e n. 84
del 2017), che individua l’attività edilizia realizzabile in assenza degli
strumenti urbanistici.
Gli interventi di recupero consentiti dalla
disposizione censurata sono infatti in linea con quelli previsti dall’invocato
parametro interposto.
Si è già visto che essi non implicano consumo di
suolo mediante l’esercizio di attività di nuova edificazione ma solo il
recupero di locali accessori e vani seminterrati già presenti nel tessuto
edilizio, con esclusione di opere che comportino modifiche delle altezze
esterne del fabbricato esistente e della sagoma delle costruzioni (art. 4,
comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017).
Anche l’eventuale mutamento di destinazione
d’uso del locale è possibile «solo all’interno della medesima categoria
funzionale tra quelle di cui al comma l dell’articolo 23-ter del Decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)» (art. 2, comma
1, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017).
Gli interventi di recupero consentiti dalla
legge regionale non eccedono, quindi, quelli previsti dall’art. 9 del TUE, che,
nelle zone sprovviste degli strumenti urbanistici, ammette, tra gli altri, gli
interventi di manutenzione straordinaria (tra cui le opere e le modifiche
necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici,
nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici,
sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non
comportino modifiche delle destinazioni di uso) e quelli di restauro e
risanamento conservativo (ossia quelli rivolti a conservare l’organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di
opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali
dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento di destinazione d’uso
purché con tali elementi compatibili).
10.− La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017
per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è fondata.
La norma impugnata esclude l’operatività della
disciplina regionale per gli interventi di recupero ricadenti nelle «aree
soggette a vincoli di inedificabilità assoluta dagli atti di pianificazione
territoriale ovvero nelle aree ad elevato rischio geologico o idrogeologico».
Essa è impugnata solo in relazione all’art. 65,
comma 4, del codice dell’ambiente e in quanto consente gli interventi di
recupero nelle aree assoggettate dai piani di bacino (che sono una species degli atti di pianificazione territoriale) a
vincoli diversi dall’inedificabilità assoluta o qualificate a rischio geologico
o idrogeologico diverso da quello elevato.
La disposizione censurata si pone in tal modo in
contrasto con il parametro interposto invocato dal ricorrente, sicché non
possono operare le ricordate clausole di salvaguardia previste dalla legge
regionale.
L’art. 5, comma 2, della legge della Regione Abruzzo
n. 40 del 2017, pertanto, deve essere dichiarato incostituzionale nella parte
in cui, dopo la parola «idrogeologico», non prevede le parole «e, in ogni caso,
ove in contrasto con le previsioni dei piani di bacino».
11.− Fondata è anche l’ultima questione di
legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017,
per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), in relazione all’art.
22, commi 1, lettera d), e 6, della legge n. 394 del 1991.
Il primo dei parametri interposti invocato dal
ricorrente stabilisce che è principio fondamentale per la disciplina delle aree
naturali protette regionali l’adozione di regolamenti secondo criteri stabiliti
con legge regionale in conformità ai principi di cui all’art. 11 della medesima
legge quadro.
La giurisprudenza costante di questa Corte ha
«posto in evidenza come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si
estrinsechi nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree
protette "di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di
rispondenza delle attività svolte nei parchi alle esigenze di protezione”
dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenza n. 171 del
2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del
2017, n. 263
e n. 44 del 2011,
n. 387 del 2008).
Sono dunque il regolamento (art. 11) e il piano per il parco (art. 12), nonché
le misure di salvaguardia adottate nelle more dell’istituzione dell’area
protetta (artt. 6 e 8), gli strumenti attraverso i quali tale valutazione di
rispondenza deve essere compiuta a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; allo
stesso tempo l’art. 29 − inserito tra le disposizioni finali, valevole
per tutte le species di area protetta −
attribuisce all’organismo di gestione il compito di assicurare il rispetto del
regolamento e del piano» (sentenza n. 121 del 2018).
E tanto vale sia per i regolamenti e i piani
delle aree protette nazionali sia per quelli delle aree protette regionali (ex multis, sentenze n. 121 del
2018, n. 74
e n. 36 del 2017,
n. 212 del 2014,
n. 171 del 2012,
n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011).
Il secondo parametro interposto invocato dal
ricorrente prevede che «Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali
regionali l’attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici
ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti
prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco
o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la
diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco e
devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso
autorizzate».
La norma censurata dal ricorrente, attribuendo
al piano marittimo regionale o a quello comunale di recepimento, in relazione
alle aree della riserva naturale "Pineta dannunziana” che ricadono al suo
interno, valore sovraordinato a qualsiasi altra fonte regolamentare o
legislativa, viola entrambi i parametri invocati, perché consente a tali piani
sia di spogliare il regolamento dell’area naturale protetta della sua funzione
regolatoria esclusiva (sentenze n. 121 del
2018, n. 74
del 2017, n.
171 del 2012 e n. 315 del 2010)
sia di derogare al divieto di caccia posto dalla legge quadro (sentenze n. 74 del
2017, n. 263
e n. 44 del 2011,
n. 315 e n. 193 del 2010)
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40
(Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni
d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla legge regionale n.
96/2000 ed ulteriori disposizioni), nella parte in cui, dopo la parola
«idrogeologico», non prevede le parole «e, in ogni caso, ove in contrasto con
le previsioni dei piani di bacino»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017;
3) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40
del 2017, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e
terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con
il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2018.