SENTENZA N. 121
ANNO 2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 4, comma 2; 7; 8, comma 2, lettera n); 9, commi 1 e
2, lettera a); 10, commi 1, 3, 4 e 5; 13; 16, comma 2, lettere a), b), c), d),
f) e g); 14, comma 3; 15, commi 3 e 8, della legge
della Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della
sentieristica e della viabilità minore), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 20-23 marzo 2017, depositato in cancelleria il 27 marzo 2017,
iscritto al n. 34 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione
della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del
10 aprile 2018 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato dello Stato
Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Alba Di
Lascio per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato
il 20-23 marzo 2017 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale
il successivo 27 marzo 2017 (registro ricorsi n. 34 del 2017), il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2; 7; 8, comma 2, lettera
n); 9, commi 1 e 2, lettera a); 10, commi 1, 3, 4 e 5; 13; 16, comma 2, lettere
a), b), c), d), f) e g); 14, comma 3; 15, commi 3 e 8, della legge della
Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della
sentieristica e della viabilità minore), in riferimento agli artt. 25, secondo comma;117, secondo comma,
lettere l) e s), e sesto comma; 118, primo e secondo
comma, della Cost.
2.– L’Avvocatura generale
dello Stato premette che la censurata legge regionale prevede l’istituzione,
l’individuazione e la definizione delle modalità di gestione della Rete
escursionistica campana (d’ora in avanti: REC), la quale «interessa tutto il
territorio regionale, compreso quello ricadente nei parchi nazionali e nelle
altre aree protette, nazionali e regionali». In Campania sono presenti due
diversi parchi nazionali, oltre ad alcune riserve naturali statali e ad alcuni
parchi regionali.
Al riguardo, la difesa
statale rammenta che la legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree
protette) deve considerarsi, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale
(sono richiamate le sentenze n. 44 del
2011, n. 315
e n. 20 del 2010),
espressione dell’esercizio della competenza esclusiva statale in materia di
tutela dell’ambiente, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Le Regioni, pertanto, in ambito di aree protette, possono soltanto determinare
maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale (sono
citate le sentenze
n. 44 del 2011, n. 193 del 2010,
n. 61 del 2009
e n. 232 del
2008). La giurisprudenza costituzionale ha altresì precisato che la tutela
di tali aree viene esercitata per mezzo di due differenti tipi di strumenti: la
regolamentazione sostanziale delle attività che possono essere svolte in quelle
aree (sentenze
n. 44 del 2011 e n. 315 del 2010)
e la «predisposizione di strumenti programmatici e gestionali per la
valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi, alle esigenze di
protezione della flora e della fauna» (sentenze n. 44 del
2011 e n.
387 del 2008).
3.– Ciò premesso, il
Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che più disposizioni della legge
reg. Campania n. 2 del 2017 presentino profili di contrasto con la normativa
statale, dovendo dunque essere considerate costituzionalmente illegittime.
3.1.– La prima disposizione
oggetto delle censure del ricorrente è l’art. 4, comma 2, della legge regionale
campana, reputato in contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., «nella parte in cui non prevede che la funzione di
pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio
escursionistico regionale debba essere esercitata – nei casi in cui interessi
aree rientranti in Parchi nazionali – in conformità al Piano del Parco ed al
Regolamento del Parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate
dal provvedimento istitutivo». Gli artt. 8, 11 e 12 della legge n. 394 del
1991, infatti, affidano al regolamento del parco il compito di disciplinare
l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco stesso ed
al piano per il parco la tutela dei suoi valori naturali e ambientali,
prevedendo altresì misure di salvaguardia fino all’entrata in vigore della
specifica disciplina dell’area protetta: la normativa regionale, pertanto,
inciderebbe «sul nucleo di salvaguardia predisposto dalla legge statale, in
esercizio della propria competenza esclusiva in materia di "tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema”, con riferimento ad una particolare categoria
di aree protette».
La disposizione censurata
sarebbe altresì in contrasto, da un lato, con l’art. 117, sesto comma,
Cost., in quanto, in assenza della previsione della conformità al
regolamento del parco delle attività relative alla REC, sarebbe lesiva della
potestà regolamentare in una materia di competenza esclusiva statale, nella
specie affidata dall’art. 11 della legge n. 394 del 1991 agli Enti parco;
dall’altro, con l’art.
118, primo e secondo comma, Cost., poiché la possibilità che l’attività
gestionale e organizzatoria regionale si esplichi in
difformità dal piano per il parco pregiudicherebbe una «funzione amministrativa
di tipo programmatorio affidata dalla legge statale, in una materia di propria
competenza, ad un ente pubblico nazionale quale l’Ente Parco».
3.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri censura poi l’art. 7 della medesima legge regionale, novamente per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., «nella parte in cui pretende di disciplinare anche
porzioni della rete escursionistica campana, incluse nel territorio dei Parchi
nazionali». La norma, infatti, disciplinando, anche in tali ambiti territoriali,
la viabilità minore lungo la REC si porrebbe in contrasto con gli artt. 11 e 12
della legge n. 394 del 1991, i quali affidano specificamente al regolamento del
parco e al piano per il parco la relativa disciplina. La difesa dello Stato
precisa che la disciplina «è anche di tipo esplicitamente permissivo», il che
potrebbe determinare la diretta violazione dei beni ambientali a presidio dei
quali sono stati istituiti gli Enti parco, qualora tali attività risultino
incompatibili con lo specifico tipo di protezione predisposto dalla
regolamentazione degli stessi enti.
L’impugnato art. 7 sarebbe
altresì in contrasto, di nuovo con l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. oltre che con l’art. 118, primo e
secondo comma, Cost., pure nella parte in cui statuisce che la Giunta
regionale abbia il potere di chiudere al transito escursionistico anche quelle
porzioni di sentieri rientranti nei parchi nazionali. Con ciò, infatti, si
riconoscerebbe alla Giunta una funzione gestoria
delle aree protette che gli artt. 1, comma 4, e 9 della legge n. 394 del 1991
affidano agli Enti parco.
Tale disposizione sarebbe
altresì lesiva, per ragioni analoghe a quelle alla base delle censure rivolte
contro l’art. 4, comma 2, della legge regionale campana, degli artt. 117, sesto comma,
e 118, primo e
secondo comma, Cost.
3.3.– Il ricorrente censura
altresì l’art. 8, comma 2, lettera n), della citata legge regionale, ancora per
violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., oltre che degli artt. 117, sesto comma,
e 118, primo e
secondo comma, Cost.
La legge impugnata
istituisce la Consulta regionale per il patrimonio escursionistico, la quale –
osserva il Presidente del Consiglio dei ministri – è chiamata a collaborare con
la Giunta regionale «all’esercizio di funzioni lato sensu
gestorie della rete dei sentieri rientranti nella REC».
Il ricorrente rileva che, correttamente, la legge campana predispone forme di
collaborazione organica con gli Enti parco, in considerazione del fatto che la
REC si sviluppa anche all’interno del territorio dei parchi nazionali: in
particolare, è previsto che Federparchi designi, in
rappresentanza dei parchi nazionali, un componente della neoistituita Consulta
regionale. Tuttavia, poiché gli artt. 1, comma 3, e 9 della legge n. 394 del
1991 individuano negli Enti parco i soggetti portatori degli interessi
tutelati, la disposizione censurata sarebbe costituzionalmente illegittima
nella parte in cui affida a Federparchi
l’individuazione del rappresentante dei gestori delle aree protette.
La medesima disposizione
sarebbe altresì illegittima «laddove conferisce all’amministrazione regionale
una funzione gestoria dell’area protetta che risulta
chiaramente affidata, con norme poste a presidio di standard di tutela
ambientale, all’Ente Parco».
3.4.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri impugna poi l’art. 9, commi 1 e 2, lettera a), legge
reg. Campania n. 2 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), e sesto comma, nonché dall’art. 118, primo e
secondo comma, Cost.
Il comma 1 sarebbe
illegittimo perché affiderebbe la gestione tecnica dei siti ricompresi nella
REC alla Regione Campania, agli enti locali territorialmente competenti e agli
enti di gestione delle aree protette: in queste aree, infatti, tale gestione
dovrebbe considerarsi, alla luce degli artt. 1, comma 3, 9 e 12 della legge n.
394 del 1991, di spettanza esclusiva degli Enti parco. L’illegittimità
costituzionale del comma 2, lettera a), risiederebbe, invece, nell’impedimento
per i soggetti gestori delle aree protette di autodeterminarsi nelle scelte
inerenti le loro funzioni, in forza del necessario accordo che la disposizione
censurata impone di raggiungere con i Comuni per l’individuazione delle
«diverse modalità di fruizione della Rete regionale».
Entrambe le disposizioni
sarebbero altresì in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., perché le
modalità di fruizione dei sentieri, per la parte di territorio ricadente nelle
aree protette, sarebbero attribuite dall’art. 11 della legge n. 394 del 1991 al
regolamento del parco.
3.5.– Il ricorrente dubita
inoltre della legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge
regionale campana, per contrasto con i diversi parametri costituzionali già
evocati.
Tale disposizione, non
prevedendo che, per la parte in cui si rivolge alle porzioni di territorio
regionale ricomprese nel perimetro dei parchi nazionali, il Piano triennale
degli interventi sulla REC debba necessariamente rispettare il regolamento ed
il piano per il parco, inciderebbe sul nucleo di salvaguardia predisposto, in
esercizio della competenza esclusiva statale in materia di «tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema», dagli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991.
La medesima disposizione sarebbe altresì lesiva, per ragioni analoghe a quelle
alla base delle censure rivolte contro le altre disposizioni della medesima
legge, degli artt.
117, sesto comma, e 118, primo e secondo
comma, Cost.
Illegittimi sarebbero
altresì i commi 3, 4 e 5 del medesimo art. 10 della citata legge regionale.
Il comma 4 – il quale
prevede che il Piano triennale degli interventi sia approvato dalla Giunta
regionale, sentita la commissione consiliare competente, e che le sue
integrazioni e modifiche siano effettuate con una ulteriore delibera di Giunta
– affiderebbe all’amministrazione regionale una importante funzione
programmatoria e gestoria che, nella parte in cui
interessa anche le aree protette, sarebbe di esclusiva spettanza degli Enti
parco, in base a quanto previsto dalla legge n. 394 del 1991.
I commi 3 e 5 prevedono che
il Piano annuale degli interventi sulla REC individui gli interventi di
competenza della Regione e affidano a tale Piano annuale il compito di
individuare «il soggetto obbligato alla manutenzione, il contenuto dell’obbligo
e la periodicità minima del controllo»: in tal modo, attribuirebbero
all’amministrazione regionale importanti funzioni gestorie
che – per la parte concernente le aree protette – la legge statale
riconoscerebbe in via esclusiva agli Enti parco.
3.6.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri lamenta il contrasto con gli artt. 117, secondo
comma, lettera s), e sesto comma, e 118, primo e secondo
comma, Cost. anche dell’art. 13 legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella
parte in cui prevede che la disciplina sulla segnaletica della REC ivi prevista
si applichi anche alla frazione della rete regionale presente nel territorio
dei parchi nazionali. Tale disciplina, infatti, rientrerebbe tra i compiti che
gli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge n. 394 del 1991 variamente
attribuiscono agli Enti parco.
3.7.– Il ricorrente
impugna, ancora per contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera s), e sesto comma, Cost., l’art. 16, comma 2, lettere a), b), c),
d), f) e g), della citata legge regionale, nella parte in cui tali disposizioni
prevedono che il regolamento attuativo della medesima legge disciplini diversi
oggetti che, con riferimento al territorio degli Enti parco, dovrebbero essere
regolati, in forza degli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, dal
regolamento e dal piano per il parco.
3.8.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri precisa, poi, che tutte le disposizioni già impugnate
devono ritenersi incostituzionali, per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), e sesto comma, Cost., «anche con riguardo alla parte in cui la
loro applicazione è destinata a coinvolgere porzioni del territorio incluse nel
perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali».
L’Avvocatura generale dello
Stato rileva infatti, in primo luogo, che gli artt. 1 e 17 della legge n. 394
del 1991 pongono, pur «in modo certamente meno dettagliato», vincoli
organizzativi e funzionali analoghi a quelli caratterizzanti i parchi
nazionali, a tutela della missione ambientale delle riserve naturali statali.
In secondo luogo, osserva che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che
la legge quadro sulle aree protette detta «norme fondamentali del settore cui
la legislazione regionale deve uniformarsi anche con riferimento alle aree
protette regionali» (si richiamano le sentenze n. 212 del
2014, n. 171
del 2012, n.
325 e n. 41
del 2011): in particolare, deve essere prevista l’esistenza di un soggetto
gestore dell’area protetta competente agli interventi sulla stessa (artt. 1,
comma 4, e 23 della legge n. 394 del 1991), nonché l’adozione di un regolamento
(art. 22, comma 1, lettera d) e di un piano (art. 23), aventi «compiti analoghi
agli omologhi strumenti di regolamentazione e pianificazione degli enti parco».
Infine, l’art. 29 della richiamata legge statale del 1991, che affida
all’organismo di gestione dell’area naturale protetta «importanti poteri di
controllo circa la conformità delle attività realizzate nell’area rispetto al
regolamento, al Piano e al nulla osta», deve applicarsi tanto alle riserve
naturali statali che alle aree protette.
4.– Il ricorrente dubita
altresì della legittimità costituzionale di ulteriori disposizioni della legge
reg. Campania n. 2 del 2017, ma per ragioni diverse dalla violazione della
legge quadro sulle aree protette.
4.1.– Costituzionalmente
illegittimi sarebbero, innanzitutto, gli artt. 14, comma 3, e 15, comma 8,
della legge regionale, per contrasto con l’art. 25 Cost.
L’Avvocatura generale dello
Stato premette che l’art. 14, comma 1, della legge regionale fa divieto di
alterare o modificare lo stato di fatto dei percorsi escursionistici inseriti
nella REC, mentre l’art. 14, comma 2, della medesima legge regionale consente
la modifica della loro destinazione d’uso, a seguito di interventi progettati
dai Comuni, se autorizzata dalla Giunta regionale, previa comunicazione alla
Consulta regionale. L’impugnato art. 14, comma 3, della legge regionale
stabilisce, poi, che «la violazione del comma 2 comporta l’applicazione delle
sanzioni e delle misure previste» dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 (Nuovo codice della strada), nelle misure dallo stesso determinate.
Secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri, la formulazione di quest’ultima disposizione sarebbe
«estremamente generica, con riferimento sia alla natura sia all’entità delle
sanzioni da applicare alle violazioni in esse previste»: di qui il contrasto
con il principio di legalità sancito dall’art. 25 Cost. i cui canoni, secondo
consolidata giurisprudenza costituzionale (si richiama la sentenza n. 196 del
2010), dovrebbero essere estesi a tutte le misure di carattere punitivo,
comprese quelle amministrative, imponendo che la formulazione di queste ultime
sia sufficientemente chiara e dettagliata. Del resto, tali canoni sono
espressamente richiamati dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), in materia di sanzioni amministrative.
Le medesime ragioni
sorreggono anche la questione di costituzionalità avente per oggetto l’art. 15,
comma 8, della legge regionale campana, il quale risulterebbe «formulato in
modo non chiaro nel riferimento a disposizioni sanzionatorie contenute nei
commi precedenti».
4.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri censura, poi, l’art. 15, comma 3, legge reg. Campania n.
2 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Osserva il ricorrente che
la disposizione impugnata punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria
«chiunque danneggia la segnaletica o le opere realizzate per la percorribilità
e la sosta lungo i percorsi escursionistici della Rete regionale», descrivendo,
dunque, la condotta del reato di danneggiamento, di cui all’art. 635, comma 2,
numero 1), del codice penale. Tuttavia, la determinazione delle fattispecie di
reato costituirebbe materia riservata alla legislazione esclusiva dello Stato,
secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
5.– Con atto depositato il
20 aprile 2017 si è costituita in giudizio la Regione Campania, la quale si è
limitata ad eccepire l’inammissibilità e l’infondatezza di tutte le questioni
promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, successivamente argomentate
con la memoria illustrativa depositata il 20 marzo 2018.
5.1.– Dopo aver
sinteticamente riassunto le censure mosse a larga parte delle disposizioni
impugnate da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, la resistente
sostiene che dalla lettura dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 2 del 2017
emergerebbe «con chiarezza» che il legislatore regionale è intervenuto sul solo
patrimonio ambientale regionale, escludendo che la relativa disciplina
normativa possa trovare applicazione anche all’interno delle aree naturali
protette nazionali. Lo spirito della legge regionale, infatti, sarebbe quello
di «tutelare i sentieri e la viabilità minore di territori non ricadenti nei
Parchi e nelle aree protette», unendo grandi itinerari già esistenti sul
territorio campano, al fine di promuovere l’escursionismo «quale mezzo per
realizzare un corretto ed equilibrato rapporto con l’ambiente».
In quest’ottica, la
disciplina adottata non violerebbe la competenza esclusiva statale in materia
di tutela dell’ambiente bensì valorizzerebbe l’equilibrio tra detta tutela e il
turismo escursionistico «in quanto attività che si influenzano e si caratterizzano
reciprocamente». Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’ambiente deve
essere considerato una materia trasversale, che non impedirebbe dunque
l’esercizio della potestà legislativa regionale in materie di sua competenza
(sono richiamate le sentenze n. 407 del
2002 e n.
108 del 2005).
5.2.– Neppure meritevoli di
accoglimento – secondo la resistente – sarebbero le censure rivolte alle
disposizioni impugnate per la parte in cui esse troverebbero applicazione
all’interno di riserve naturali statali e di aree protette regionali.
La Regione Campania osserva
che le disposizioni censurate sarebbero rispettose dell’art. 22, comma 1,
lettera d), della legge n. 394 del 1991, che pone quale principio fondamentale
per la disciplina delle aree naturali protette «l’adozione, secondo criteri
stabiliti con legge regionale in conformità ai princìpi di cui all’articolo 11,
di regolamenti delle aree protette». Secondo la difesa regionale, le
disposizioni oggetto delle questioni di legittimità costituzionale
individuerebbero, per l’appunto, criteri generali in base ai quali gli Enti
gestori delle aree protette dovrebbero adeguare i rispettivi regolamenti.
In base a quanto previsto
dalla legge n. 394 del 1991, e in particolare dal suo art. 23, nelle aree
protette di interesse regionale le singole Regioni, inoltre, sarebbero
legittimate «a stabilire obiettivi di tutela e regimi di protezione anche
diversi da quelli propri dei parchi nazionali, purché diretti ad offrire una
maggiore tutela». Ne deriverebbe, pertanto, che, all’interno delle aree
protette da loro istituite, le Regioni, da un lato, sarebbero «parzialmente
libere di istituire regimi di protezione particolari mediante la previsione di
standard di tutela diversi da quelli dei parchi nazionali»; dall’altro, nulla
impedirebbe loro «di utilizzare la propria potestà in materia di governo del
territorio e materie affini per istituire tipologie atipiche di aree regionali
protette con finalità in tutto o in parte diverse da quelle previste dalla
legge n. 394/1991».
La difesa regionale rileva,
infatti, che l’art. 2 della legge statale qualifica i parchi naturali regionali
per la presenza non solo di valori naturalistici e ambientali, ma anche
«paesaggistici e artistici, nonché di valori legati alle tradizioni culturali
delle popolazioni locali». Il legislatore statale, pertanto, avrebbe
caratterizzato le aree protette regionali per una «‘fruizione antropica’ di
valorizzazione e conservazione più intensa rispetto ai parchi nazionali».
La resistente, poi, osserva
che la giurisprudenza della Corte costituzionale avrebbe affermato che la
disciplina delle aree protette si fonda sul principio della necessaria
cooperazione tra Stato, Regioni e Province autonome, «finalizzato al
bilanciamento dei differenti valori rispondenti alle esigenze di protezione
ambientale» (sono richiamate le sentenze n. 366 del
1992 e n.
302 del 1994). Le Regioni, pertanto, potrebbero all’interno delle aree protette
regionali stabilire «equilibri tra le esigenze di sviluppo economico,
urbanistico e turistico e la conservazione della natura diversi da quelli
propri della disciplina statale».
5.3.– La Regione Campania
ritiene altresì non fondate le censure rivolte nei confronti degli artt. 14,
comma 3, e 15, comma 8, legge reg. Campania n. 2 del 2017 per violazione
dell’art. 25 Cost.
La difesa regionale osserva
che l’art. 14, comma 1, descrive adeguatamente le condotte che, in assenza
dell’autorizzazione di cui al successivo comma 2, sono oggetto di sanzione
amministrativa mercé il rinvio, «per la disciplina della graduazione delle
sanzioni e delle misure applicabili», al decreto legislativo n. 285 del 1992.
Il legislatore regionale avrebbe pertanto operato un «rinvio materiale e
recettizio» alle disposizioni del codice della strada e, in particolare, agli
artt. 26 e 27, commi 10, 11 e 12: in tal modo, secondo una tecnica normativa
accolta nell’ordinamento, avrebbe integrato il precetto nel rispetto del principio
di legalità e della riserva di legge, oltre che dei principi di tipicità,
tassatività e determinatezza (sono richiamate le sentenze n. 292 del
2002, n. 21
del 2009 e n.
168 del 1971).
5.4.– La resistente,
infine, reputa non fondata anche la censura mossa all’art. 15, comma 3, della
legge regionale, il quale – a parere del ricorrente – descriverebbe la condotta
del reato di danneggiamento, così invadendo la competenza esclusiva statale in
materia di «ordinamento penale».
La difesa regionale rileva
che la fattispecie di danneggiamento di segnaletica stradale oggetto della
disposizione impugnata non è dissimile da quella prevista dall’art. 15 cod.
strada, «a nulla rilevando, dunque, il reato di danneggiamento di cui all’art.
635 del codice penale».
Questa Corte, del resto,
avrebbe stabilito che la prescrizione di sanzioni amministrative accede a
quella competenza legislativa ritenuta dalla Costituzione più adatta alla
tutela di determinati diritti o interessi (sono richiamate le sentenze n. 384 del
2005, n. 12
del 2004 e n.
28 del 1996). Con la legge regionale oggetto d’impugnazione, la Regione
Campania avrebbe inteso promuovere «il recupero, la conservazione e la
valorizzazione del proprio patrimonio ambientale e culturale, costituito dalla
sentieristica e dalla viabilità minore, mediante l’individuazione di percorsi
di interesse ambientale e storico e il recupero dei sentieri, delle mulattiere
e dei tratturi regionali»: non vi sarebbe alcuna invasione, pertanto, della
materia «ordinamento penale», la sanzione amministrativa in questione accedendo
al bene d’interesse regionale «viabilità e sentieristica minore».
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato plurime disposizioni della legge della
Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della
sentieristica e della viabilità minore), co n la quale il legislatore
regionale, con l’intento «di sviluppare il turismo sostenibile» (art. 1, comma
1, della legge regionale) e di promuovere «la sentieristica e la viabilità
minore attraverso l’individuazione di percorsi di interesse ambientale e
storico» (art. 1, comma 2, della legge regionale), ha istituito la Rete
escursionistica campana (d’ora in avanti: REC).
Le numerose questioni
proposte dal ricorrente possono suddividersi in due insiemi, che è opportuno
prendere in esame separatamente.
2.– Con il primo insieme di
questioni, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che le varie
disposizioni impugnate trovino tutte applicazione anche in relazione alle aree
naturali protette, siano esse nazionali o regionali. L’istituita REC, infatti,
interesserebbe tutto il territorio regionale campano, entro il quale sono
presenti due parchi nazionali oltre ad alcune riserve naturali statali e parchi
regionali, la cui tutela è però disciplinata dalla legge 6 dicembre 1991, n.
394 (Legge quadro sulle aree protette) (d’ora in avanti: legge quadro): legge
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve ricondursi alla competenza
esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di
modo che le Regioni possono a tale riguardo determinare maggiori livelli di
tutela, ma non derogare in peius alla legislazione
statale. Le norme censurate, invece, presentano – secondo il ricorrente –
profili di contrasto con la normativa statale, tali da risultare
costituzionalmente illegittime per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), della Costituzione.
In particolare, il
Presidente del Consiglio lamenta che, in base alle disposizioni impugnate, la
gestione della REC sia condotta, all’interno delle aree protette, anche senza
il necessario rispetto di quanto stabilito dal regolamento e dal piano per il
parco: strumenti programmatici e gestionali, questi ultimi, per mezzo dei
quali, secondo la legge quadro, gli Enti parco debbono tutelare le aree
protette, siano queste parchi nazionali, riserve naturali, statali o regionali,
o parchi regionali.
In relazione ad alcune
delle disposizioni impugnate, il ricorrente lamenta, inoltre, la violazione
anche degli artt. 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. Per un
verso, infatti, la mancata previsione di conformità al regolamento del parco
delle attività volta a volta previste dalle norme censurate determinerebbe una
lesione della potestà regolamentare statale, nella specie affidata, dalla legge
quadro, a tale regolamento; per un altro, la mancata partecipazione degli Enti
parco alla gestione e organizzazione della REC, per la parte in cui questa si
sviluppa all’interno delle aree protette, pregiudicherebbe le funzioni
amministrative che lo Stato, in materia di propria competenza, ha loro affidato.
3.– Preliminarmente, va
rilevato che, nell’impugnare l’art. 8, comma 2, lettera n), della legge reg.
Campania n. 2 del 2017, il ricorrente fa riferimento anche all’art. 117, sesto
comma, Cost., così come, nel rivolgere le censure agli artt. 9, commi 1 e 2,
lettera a), e 13 della legge regionale, fa riferimento anche all’art. 118,
primo e secondo comma, Cost. All’evocazione di tali parametri costituzionali,
tuttavia, non corrisponde alcuna motivazione circa la loro violazione da parte
delle richiamate disposizioni impugnate, di modo che essi debbono ritenersi
estranei al thema decidendum
(sentenza n. 175
del 2017).
4.– Le censure di cui al
primo insieme di questioni di legittimità costituzionale muovono tutte dalla
denunciata violazione, da parte delle singole disposizioni impugnate, di
plurime disposizioni della legge quadro e, conseguentemente, della competenza
esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art.
117, secondo comma, lettera s, Cost.), oltre che, in alcuni casi, degli artt.
117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
4.1.– Secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, la «tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema» non identifica una sfera di competenza statale rigorosamente
circoscritta e delimitata, giacché essa investe e si intreccia
inestricabilmente con altri interessi e competenze, anche regionali (di
recente, sentenze
n. 66 del 2018, n. 212 del 2017
e n. 210 del
2016). L’ambiente è, dunque, un «"valore” costituzionalmente protetto, che,
in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale”, in ordine alla
quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali,
spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 407 del
2002).
Nell’ambito delle materie
di loro competenza, pertanto, le Regioni trovano un limite negli standard di
tutela fissati a livello statale. Questi, tuttavia, non impediscono ai
legislatori regionali di adottare discipline normative che prescrivano livelli
di tutela dell’ambiente più elevati (di recente, sentenze n. 66 del
2018, n. 74
del 2017, n.
267 del 2016 e n. 149 del 2015),
i quali «implicano logicamente il rispetto degli standard adeguati e uniformi
fissati nelle leggi statali» (sentenza n. 315 del
2010).
La legge quadro è stata
reiteratamente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia
«tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74
e n. 36 del 2017):
ai principi fondamentali da essa dettati, dunque, le Regioni sono tenute ad
adeguarsi, pena l’invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale.
Questa Corte, in particolare, ha posto in evidenza come lo standard minimo
uniforme di tutela nazionale si estrinsechi nella predisposizione da parte
degli enti gestori delle aree protette «di strumenti programmatici e gestionali
per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi alle
esigenze di protezione» dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenza n. 171 del
2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del
2017, n. 263
e n. 44 del 2011,
n. 387 del 2008).
Sono dunque il regolamento (art. 11) e il piano per il parco (art. 12), nonché
le misure di salvaguardia adottate nelle more dell’istituzione dell’area
protetta (artt. 6 e 8), gli strumenti attraverso i quali tale valutazione di
rispondenza deve essere compiuta a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; allo
stesso tempo, l’art. 29 – inserito tra le disposizioni finali, valevole per
tutte le species di area protetta – attribuisce
all’organismo di gestione il compito di assicurare il rispetto del regolamento
e del piano.
Tale modello di tutela,
imperniato appunto sull’esistenza di un ente gestore dell’area protetta, sulla
predisposizione di strumenti programmatici e gestionali e sulla funzione di controllo
del loro rispetto, attribuita all’ente gestore, è sostanzialmente replicato
dalla normativa statale per le riserve naturali statali. L’art. 17 della legge
quadro, infatti, dispone che il decreto istitutivo della riserva deve, tra le
altre cose, determinare l’organismo di gestione e stabilire indicazioni e
criteri specifici cui devono conformarsi il piano di gestione della riserva ed
il relativo regolamento attuativo, emanato secondo i principi contenuti
nell’art. 11.
4.2.– Questa Corte ha
altresì precisato che la legge quadro non si limita a dettare standard minimi
uniformi atti a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali –
istituiti ai sensi dell’art. 8 della legge quadro (rispettivamente, con decreto
del Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell’ambiente) – ma
impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato
dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore
regionale nell’ambito delle proprie competenze (sentenze n. 74
e n. 36 del 2017,
n. 212 del 2014,
n. 171 del 2012,
n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011).
Anche in relazione alle
aree protette regionali, invero, il legislatore statale ha predisposto un
modello fondato sull’individuazione del loro soggetto gestore, ad opera della
legge regionale istitutiva (art. 23), sull’adozione, «secondo criteri stabiliti
con legge regionale in conformità ai principi di cui all’articolo 11, di
regolamenti delle aree protette» (art. 22, comma 1, lettera d, peraltro
significativamente ed espressamente ricompreso tra i «princìpi fondamentali per
la disciplina delle aree naturali protette regionali»), nonché su un piano per
il parco tramite il quale siano attivate le finalità del parco naturale
regionale (art. 25).
5.– La Regione Campania si
è costituita in giudizio chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
5.1.– La resistente
sostiene, innanzitutto, che la legge reg. Campania n. 2 del 2017 intende
intervenire sul solo patrimonio ambientale regionale, di modo che la relativa
disciplina normativa non potrebbe trovare applicazione all’interno delle aree
naturali protette nazionali. Lo spirito della legge regionale, infatti, sarebbe
quello di «tutelare i sentieri e la viabilità minore di territori non ricadenti
nei Parchi e nelle aree protette», con l’obiettivo di valorizzare, «nell’ambito
dei poteri riconosciuti alle Regioni», «l’equilibrio tra la tutela
dell’ambiente ed il turismo escursionistico in quanto attività che si
influenzano e si caratterizzano reciprocamente».
Ostano a tale soluzione
ermeneutica, tuttavia, più disposizioni della legge campana, dalle quali, al
contrario, si evince che la disciplina impugnata, pur intervenendo su ambiti
riconducibili anche alla potestà legislativa regionale in materia di «turismo»,
mai circoscrive il proprio ambito di operatività alle sole aree protette
regionali, ben interessando anche aree protette nazionali.
A tal proposito viene in
considerazione, innanzitutto, l’art. 1 della citata legge regionale, il quale,
nel delimitare l’oggetto dell’intervento legislativo, espressamente si
riferisce al recupero, alla conservazione e alla valorizzazione del «patrimonio
ambientale» della Regione Campania: patrimonio però che non può non
ricomprendere anche le aree protette nazionali che si sviluppano all’interno
del territorio regionale.
L’art. 2 della legge
regionale campana, a sua volta, nell’indicare le finalità della disciplina
normativa, dichiaratamente prevede, al comma 1, lettera l), «la valorizzazione
di percorsi escursionistici di tipo regionale, nazionale e internazionale»,
così come l’art. 4, comma 3, espressamente afferma che la REC «è costituita da
sentieri di interesse europeo, inserita nella rete europea della European Ramblers Association ed interregionale»: difficilmente i sentieri
potrebbero considerarsi nazionali, internazionali o di interesse europeo senza
attraversare anche le aree protette nazionali.
Nella gestione della REC e
per la vigilanza e il controllo sul rispetto della legge regionale, il
legislatore campano, inoltre, esplicitamente coinvolge gli enti di gestione
delle aree protette generalmente intesi, senza dunque limitare tale
coinvolgimento agli enti di gestione delle aree protette regionali (artt. 8,
comma 2, lettera n; 9, comma 1; 15, commi 1 e 4). Al contrario, la volontà di
coinvolgere, nello svolgimento di tali funzioni, anche gli enti cui è affidata
la tutela delle aree protette nazionali è resa palese dall’utilizzo, all’art.
8, comma 2, lettera n), della locuzione «Enti Parco», che è la medesima
utilizzata dall’art. 9 della legge quadro nel riferirsi, appunto, al soggetto
gestore delle aree protette nazionali.
Infine, all’art. 14, nel
prevedere i divieti connessi alla disciplina legislativa, la legge regionale
dichiaratamente fa salva «l’osservanza della vigente normativa statale e
regionale in materia di aree naturali protette», con una formola comprensiva –
come, del resto, lo è quella identica adoperata dalla legge quadro
(specialmente artt. 1 e 2) – tanto delle aree naturali protette nazionali
quanto di quelle regionali.
5.2.– Per quel che riguarda
l’applicabilità delle disposizioni impugnate all’interno delle aree protette
regionali, secondo la Regione Campania la legge regionale sarebbe conforme a
quanto disposto dall’art. 22, comma 1, lettera d), della legge quadro: le disposizioni
censurate non farebbero altro che individuare criteri generali in base ai quali
gli enti gestori delle aree protette dovrebbero adottare o adeguare i
rispettivi regolamenti.
Inoltre, in base a quanto
previsto dalla legge quadro, nelle aree protette di interesse regionale le
singole Regioni sarebbero legittimate «a stabilire obiettivi di tutela e regimi
di protezione anche diversi da quelli propri dei parchi nazionali, purché
diretti ad offrire una maggiore tutela». Ciò, in particolare, perché i parchi
naturali regionali sarebbero qualificati per la presenza non solo di valori
naturalistici e ambientali, ma anche «paesaggistici e artistici, nonché di
valori legati alle tradizioni culturali delle popolazioni locali»: il che
consentirebbe alle Regioni di stabilire «equilibri tra le esigenze di sviluppo
economico, urbanistico e turistico e la conservazione della natura diversi da
quelli propri della disciplina statale».
Anche in questo caso, le
difese della Regione Campania non colgono nel segno.
Per un verso, deve
escludersi che la legge campana oggetto del presente scrutinio sia la legge
regionale cui si riferisce l’art. 22, comma 1, lettera d), della legge quadro.
La legge regionale, difatti, in nessuna sua parte è tesa a disciplinare
direttamente o indirettamente le aree protette regionali, dando attuazione alla
disposizione statale; diversamente, come si afferma all’art. 1, essa intende
«sviluppare il turismo sostenibile», promovendo «la sentieristica e la
viabilità minore» e valorizzandone, in particolare, le infrastrutture connesse.
La circostanza per cui la disciplina ch’essa reca interferisce con il regime di
tutela per le aree naturali protette non vale a renderla attuativa della legge
quadro ma, al contrario, esige la verifica circa la sua compatibilità con i
principi fondamentali dettati dal legislatore statale.
Per altro verso, può
senz’altro riconoscersi che il legislatore statale ha previsto, per le aree
naturali protette regionali, un quadro normativo meno dettagliato di quello
predisposto per le aree naturali protette nazionali, tale che le Regioni
abbiano un qualche margine di discrezionalità tanto in relazione alla
disciplina delle stesse aree protette regionali quanto sul contemperamento tra
la protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da parte
del legislatore regionale. Ciò non toglie, tuttavia, che l’esistenza di un
regolamento e di un piano dell’area protetta, cui devono conformarsi le
attività svolte all’interno del parco o della riserva, così come l’attribuzione
a un organismo di gestione della verifica del rispetto di tali strumenti
regolatori e programmatici, siano costituzionalmente necessarie, perché sono la
manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale
ha individuato nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di
«tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e che le Regioni possono accompagnare
con un surplus di tutela, ma non derogare in peius.
6.– Alla luce della
richiamata giurisprudenza costituzionale, nonché dei principi stabiliti dalla
legge quadro, va rilevato, dunque, che la univoca ed esclusiva vocazione
turistica della legge regionale campana, ove non correlata (e subordinata) alle
esigenze di tutela dell’ambiente, salvaguardato dal complesso di strumenti
promozionali e di controllo predisposti dalla normativa quadro statale,
finirebbe per risultare ontologicamente invasiva della competenza legislativa
esclusiva dello Stato, in quanto facoltizzata, per sé sola, a determinare
modalità, dimensioni e controllo per la realizzazione di un "turismo
sostenibile” anche in zone a riconosciuta "sensibilità” ambientale.
Tanto premesso, possono ora
prendersi in esame le singole questioni di legittimità costituzionale di cui al
primo insieme.
7.– L’art. 4, comma 2,
legge reg. Campania n. 2 del 2017 disciplina la pianificazione degli interventi
di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale.
Il Presidente del Consiglio
dei ministri reputa tale disposizione invasiva della competenza esclusiva statale
in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art. 117, secondo
comma, lettera s, Cost.), perché non prevede che tale funzione di
pianificazione debba essere esercitata, quando interessi aree rientranti in
parchi nazionali, in conformità al regolamento del parco, al piano per il
parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate dal
provvedimento istitutivo.
La questione è fondata.
Si è già rilevato come
questa Corte abbia riconosciuto che lo standard minimo uniforme di tutela
ambientale si articola nella previsione di strumenti programmatici e regolatori
delle attività esercitabili all’interno delle aree protette. La disposizione
regionale, nella parte in cui non prevede che la pianificazione concernente la
REC all’interno delle aree protette nazionali sia conforme a quanto stabilito
da tali strumenti gestori, si pone dunque in contrasto con quanto stabilito
dalla legge quadro.
7.1.– La medesima
disposizione è altresì censurata nella parte in cui non prevede che la
pianificazione concernente la REC, anche quando questa si sviluppi all’interno
di riserve naturali e aree protette regionali, sia conforme a quanto stabilito
dai relativi strumenti gestori.
La questione è fondata.
La legge quadro, come si è
visto, impone anche per le riserve naturali e le aree protette regionali un
regolamento e un piano, cui devono conformarsi le attività che si svolgono
all’interno di tali aree: di qui l’illegittimità della disposizione impugnata,
nella parte in cui non prevede che la pianificazione concernente la REC sia
conforme a tali strumenti. Deve escludersi, infatti, che in tal modo il
legislatore regionale abbia predisposto un livello di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema più elevato di quello garantito dal legislatore statale.
7.2.– Restano assorbite le
ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 4, comma 2, della legge
regionale.
8.– L’art. 7 della legge
reg. Campania n. 2 del 2017 disciplina la viabilità minore di uso privato
inclusa nella REC, stabilendo limiti al transito.
Il Presidente del Consiglio
dei ministri lo reputa lesivo della competenza esclusiva statale in materia di
«tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» perché – nella parte in cui è volto a
disciplinare anche porzioni della REC incluse nel territorio dei parchi nazionali
– si pone in contrasto con gli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, i
quali affidano specificamente al regolamento del parco e al piano per il parco
la relativa disciplina.
La questione, che involve i
primi due commi della disposizione, è fondata.
L’art. 11, comma 2, della
legge quadro, infatti, affida al regolamento del parco la disciplina del
soggiorno e della circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto
(lettera c) e dell’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e
strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani (lettera h);
l’art. 12, comma 1, prevede che il piano per il parco disciplini, tra le altre
cose, i vincoli, le destinazioni di uso pubblico o privato e le norme di
attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano (lettera
b) e i sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo
ai percorsi, agli accessi e alle strutture riservati a disabili, ai portatori
di handicap e agli anziani.
La disposizione regionale,
pertanto, si presenta come invasiva di competenze attribuite dalla legge
quadro, a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, al regolamento e al piano per
il parco.
Il medesimo art. 7 sarebbe
altresì in contrasto, di nuovo con l’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., pure nella parte in cui, al suo terzo e ultimo comma, statuisce che la
Giunta regionale abbia il potere di chiudere al transito escursionistico anche
quelle porzioni di sentieri rientranti nei parchi nazionali. Con ciò, infatti,
si riconoscerebbe alla Giunta una funzione gestoria
delle aree protette che gli artt. 1, comma 4, e 9 della legge quadro affidano
agli Enti parco.
Anche tale questione è
fondata.
La legge quadro affida la
tutela dell’area protetta al suo ente gestore, di modo che la legge regionale
non può attribuire ad altro soggetto – nel caso di specie, alla Giunta
regionale – il potere di decidere se chiudere al transito aree rientranti nel
territorio di parchi o riserve nazionali.
8.1.– L’art. 7 è impugnato
dal ricorrente nella parte in cui trova applicazione anche all’interno delle
riserve naturali e delle aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
Anche all’interno delle
riserve naturali e delle aree protette regionali, secondo quanto previsto dalla
legge quadro a loro tutela (artt. 17, 22, 23 e 25), per un verso, spetta al
regolamento e al piano per il parco disciplinare l’accessibilità, il soggiorno
e la circolazione; per un altro, è soltanto l’ente gestore che,
conseguentemente, può decidere se chiudere al transito determinate porzioni del
territorio dell’area protetta.
8.2.– Restano assorbite le
ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 7 della legge regionale.
9.– L’art. 8 legge reg. Campania
n. 2 del 2017 istituisce la Consulta regionale per il patrimonio
escursionistico «quale sede di concertazione e organismo consultivo e
propositivo della Giunta regionale».
Il Presidente del Consiglio
dei ministri ritiene che, pur corretta la predisposizione di forme di
collaborazione organica con gli Enti parco, la previsione che il rappresentante
di tali enti in seno alla Consulta regionale sia designato da Federparchi sarebbe costituzionalmente illegittima: la
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. deriverebbe dalla
circostanza che la legge quadro, agli artt. 1, comma 3, e 9, individua
direttamente e soltanto negli enti gestori delle aree protette i soggetti
portatori degli interessi tutelati, di modo che il loro rappresentante non
potrebbe essere individuato da un soggetto diverso quale, per l’appunto, Federparchi.
La questione è fondata.
La designazione del
rappresentante degli Enti parco campani, proprio perché è loro affidata la
tutela delle aree protette di cui sono gestori, deve spettare loro in via
esclusiva. La designazione ad opera di Federparchi –
associazione costituita dagli Enti e dai soggetti pubblici e privati gestori di
aree protette in Italia – risulta, invece, lesiva dei compiti affidati ai
soggetti gestori delle aree protette interessate dalla REC, anche perché alla
scelta del rappresentante parteciperebbero, per il tramite dell’associazione,
enti gestori di aree protette che si sviluppano anche fuori dal territorio
campano.
L’art. 8, comma 2, lettera
n), della legge regionale campana, pertanto, deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che il rappresentante
degli Enti parco sia «designato dalla Federparchi»,
anziché dagli Enti parco allocati su territorio campano.
9.1.– Restano assorbite le
ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 8, comma 2, lettera n), della
citata legge regionale.
10.– L’art. 9 legge reg.
Campania n. 2 del 2017 individua i soggetti competenti alla gestione tecnica
dei siti ricompresi nella REC, affidata alla Regione Campania e agli Enti
locali territorialmente competenti, oltre che agli enti di gestione delle aree
protette.
Il Presidente del Consiglio
dei ministri lo reputa illegittimo per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., nella parte in cui, in contrasto con gli artt. 1, comma 3,
9, e 12 della legge quadro: (a) non prevede che la gestione tecnica dei siti
ricompresi nella REC ed inclusi nei territori delle aree protette sia di
competenza esclusiva dei relativi enti gestori (comma 1); (b) prevede che gli
enti di gestione delle aree protette debbano individuare le modalità di
fruizione della rete regionale «in accordo con i comuni territorialmente
interessati», impedendo a tali enti di autodeterminarsi nelle scelte inerenti
le funzioni loro attribuite dalla legge statale (comma 2, lettera a). Inoltre,
sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, sesto
comma, Cost., perché l’art. 11 della legge quadro affida al regolamento del
parco la disciplina delle modalità di fruizione dei sentieri, per la parte di
territorio ricadente all’interno delle aree protette.
Le questioni sono fondate.
La legge quadro, come si è
già detto, attribuisce ai soli enti gestori la tutela delle aree protette, da
porre in essere in particolare attraverso il regolamento e il piano per il
parco. Le disposizioni ora in esame, invece, affiancano all’Ente parco tanto la
Regione Campania, quanto gli enti locali, così ponendosi in contrasto con i
principi stabiliti dal legislatore statale.
Non varrebbe opporre che
l’art. 12, comma 4, della legge quadro prescrive una particolare procedura per
l’adozione del piano per il parco, il quale prima della sua approvazione, per
un verso, è sottoposto alle osservazioni di chicchessia, e, per un altro, deve
essere oggetto d’intesa, per alcuni aspetti, con la Regione e con i Comuni
interessati. A tal proposito è sufficiente rilevare, da un lato, che la
predisposizione del piano è affidata in via esclusiva all’ente gestore (art.
12, comma 3), così evidentemente riconoscendo a quest’ultimo un ruolo primario
e solitario; dall’altro, che in assenza della approvazione del piano,
quest’ultimo è rimesso prima a un comitato costituito da rappresentanti del
Ministero dell’ambiente e delle regioni e province autonome e poi,
eventualmente, al Consiglio dei ministri: con il che si esclude che Regioni o
enti locali abbiano un ruolo pari a quello dell’Ente parco o dello Stato.
L’art. 11 della legge
quadro, poi, affida al regolamento del parco, come si è visto, il compito di
disciplinare la circolazione del pubblico all’interno dell’area protetta:
circolazione che ben può avvenire, ovviamente, attraverso la REC. Le
disposizioni impugnate affidano invece anche a Regione ed enti locali,
l’individuazione delle diverse modalità di fruizione della rete
escursionistica, così evidentemente ponendosi in contrasto con la legge quadro
e, conseguentemente, con l’art. 117, sesto comma, Cost.
10.1.– Le medesime
disposizioni di cui all’art. 9 sono impugnate dal ricorrente anche nella parte
in cui trovano applicazione all’interno delle riserve naturali e delle aree
protette regionali, risultando così in contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera s), e sesto comma, Cost.
Le questioni sono fondate.
Come si è già posto in luce,
la legge quadro affida, anche per la tutela delle aree protette regionali, al
regolamento e al piano per il parco la disciplina della gestione di tali aree
(artt. 22, 23 e 25). La legge regionale può, sì, stabilire i criteri in base ai
quali deve essere adottato il regolamento, ma deve farlo in conformità ai
princìpi di cui all’art. 11 della legge quadro (art. 22, comma 1, lettera d) e,
comunque sia, predisponendo un livello di tutela dell’ambiente pari o superiore
a quello garantito dalla legge statale. Deve escludersi, tuttavia, che
attribuire a Regione, enti locali territorialmente competenti e enti di
gestione delle aree protette, invece che solo a questi ultimi, la competenza in
tema di gestione tecnica dei siti regionali e di fruizione della REC all’interno
delle aree protette si risolva in una maggiore tutela di queste ultime.
11.– L’art. 10 legge reg.
Campania n. 2 del 2017 prevede un Piano annuale e un Piano triennale di
interventi sulla REC. Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna i commi
1, 3, 4 e 5: è necessario che l’esame delle singole questioni venga condotto
partitamente.
11.1– L’art. 10, comma 1,
definisce quali debbono essere i contenuti del Piano triennale ed è censurato
perché ritenuto in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
in quanto, per la parte in cui si rivolge alle porzioni di territorio regionale
ricomprese nel perimetro dei parchi nazionali, non è previsto che sia conforme
al regolamento e al piano per il parco, così incidendo sul nucleo di
salvaguardia predisposto dagli artt. 11 e 12 della legge quadro. Il Presidente
del Consiglio dei ministri reputa costituzionalmente illegittima la medesima
disposizione anche per la parte in cui si rivolge a porzioni di territorio
ricomprese nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
Si è già più volte posto in
evidenza quanto siano centrali, nella disciplina predisposta dalla legge
quadro, gli strumenti del regolamento e del piano per il parco per la tutela
delle aree naturali protette, siano esse nazionali o regionali: è attraverso di
questi, e soltanto di questi, che l’ente gestore valuta la rispondenza delle
attività svolte all’interno dei parchi alla loro tutela. La disposizione
regionale – che prevede che il Piano triennale definisca gli interventi da
effettuare sulla REC ed individui le opere oggetto di finanziamento –
evidentemente interferisce con la funzione esclusiva di tutela delle aree
protette affidata dal legislatore statale agli Enti parco.
11.2.– Restano assorbite le
ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 10, comma 1, della legge
regionale campana.
11.3.– L’art. 10, comma 4,
della medesima legge regionale prevede che il Piano triennale sia approvato
dalla Giunta regionale, sentito il parere della commissione consiliare
permanente competente in materia, e che le sue integrazioni e modifiche annuali
siano effettuate con una ulteriore delibera di Giunta.
Il Presidente del Consiglio
dei ministri lo reputa lesivo della competenza esclusiva statale in materia di
«tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», perché affida all’amministrazione
regionale una importante funzione programmatoria e gestoria
che, nella parte in cui interessa anche le aree protette, è di esclusiva
spettanza degli Enti parco, posti a presidio dei «valori naturalistici,
scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi» presenti nel parco
(art. 2, comma 1, legge quadro). La medesima disposizione è reputata
costituzionalmente illegittima dal Presidente del Consiglio dei ministri anche
per la parte in cui si rivolge a porzioni di territorio ricomprese nel
perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Va rilevato che, a seguito
della parziale dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma
1, della medesima legge regionale (supra, paragrafo
11.1.), il Piano triennale, pur se adottato da soggetti diversi dagli enti di
gestione delle aree protette – in quanto volto a disciplinare porzioni di
territorio regionali anche esterne a queste ultime – deve necessariamente
rispettarne il regolamento e il piano, pena la sua illegittimità. Ne consegue
la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale ora in esame.
11.4.– L’art. 10 della
legge regionale campana dispone, al comma 3, che il Piano annuale degli
interventi sulla REC individua gli interventi di competenza della Regione e, al
comma 5, che il medesimo Piano annuale individui, per ciascun percorso compreso
nella REC, il soggetto obbligato alla manutenzione, in cosa questa consista e
la periodicità del controllo.
Il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna entrambe le disposizioni per violazione della competenza
esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», reputandole
in contrasto con i principi fondamentali della legge quadro nella parte in cui
attribuiscono all’amministrazione regionale importanti funzioni gestorie in relazione a parti di territorio ricomprese
all’interno delle aree protette. Le medesime disposizioni sono ritenute
costituzionalmente illegittime anche per la parte in cui si rivolgono a
porzioni di territorio ricomprese nel perimetro di riserve naturali statali e
aree protette regionali.
Le questioni sono fondate,
per le medesime ragioni già reiteratamente esposte: funzioni quali quelle di
cui alle disposizioni impugnate – interventi e manutenzione di territorio
all’interno delle aree protette – sono attribuite dagli artt. 11 e 12 della
legge quadro in via esclusiva agli enti gestori delle aree protette, cui è
inderogabilmente affidata dalla legge statale la tutela dei valori ambientali
attraverso l’approvazione di regolamento e piano per il parco.
12.– L’art. 13 della legge
reg. Campania n. 2 del 2017 disciplina la segnaletica lungo la REC: è previsto,
in particolare, che la Giunta regionale e l’istituita Consulta regionale
dettino linee guida sulle specifiche della segnaletica, la cui posa e
manutenzione spetta poi ai Comuni.
Il ricorrente lamenta che,
nella parte in cui tale disposizione si applica anche alla frazione della rete
regionale presente nel territorio dei parchi nazionali, si riveli in contrasto
con gli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge quadro e, dunque, con l’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. Si osserva, a tal proposito, che è il
regolamento del parco a disciplinare le attività consentite entro il territorio
dell’area protetta ed è il piano per il parco a disciplinare i sistemi di
accessibilità pedonale; così come posa, installazione, adeguamento e
manutenzione della segnaletica sono funzioni che le richiamate disposizioni
della legge quadro affidano agli Enti parco. Il Presidente del Consiglio dei
ministri reputa costituzionalmente illegittima la medesima disposizione anche
per la parte in cui si rivolge a porzioni di territorio ricomprese nel
perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
L’installazione di
segnaletica all’interno delle aree protette è, in tutta evidenza, attività che
può avere non poco impatto sui valori ambientali e naturalistici che la legge
quadro intende proteggere, affidando agli strumenti del regolamento e del piano
per il parco la tutela di detti valori.
Il regolamento del parco
non solo disciplina le attività consentite entro il territorio dell’area
protetta, come più volte si è già posto in luce, ma deve altresì prevedere,
secondo quanto dispone la legge quadro, «la tipologia e le modalità di
costruzione di opere e manufatti» (art. 11, comma 2, lettera a). E non può
esservi dubbio sul fatto che la segnaletica debba considerarsi manufatto, se
non altro perché tale la considera l’art. 15, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), ai sensi del
quale «Su tutte le strade e loro pertinenze è vietato: […] b) danneggiare,
spostare, rimuovere o imbrattare la segnaletica stradale ed ogni altro
manufatto ad essa attinente».
Il piano per il parco, per
conto suo, deve disciplinare sistemi di accessibilità anche pedonale, sistemi
di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco,
indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora e sull’ambiente naturale in
genere (art. 12, comma 1, lettere c e d): tutte funzioni entro le quali
rientrano anche quelle concernenti l’installazione e la manutenzione della
segnaletica.
12.1.– Restano assorbite le
ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 13 della citata legge regionale
campana.
13.– L’art. 16 della legge
reg. Campania n. 2 del 2017 prevede che la Giunta regionale approvi, entro novanta
giorni dall’entrata in vigore della medesima legge regionale, il relativo
regolamento attuativo.
Il Presidente del Consiglio
dei ministri ne impugna il comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g): rimane
estranea alle censure, dunque, la sola lettera e). Il ricorrente ritiene che –
nell’affidare al regolamento attuativo la disciplina di diversi oggetti i
quali, con riferimento al territorio delle aree protette, dovrebbero essere
regolati dal piano e dal regolamento del parco – le disposizioni impugnate si
pongano in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Per
analoghe ragioni, esse sarebbero costituzionalmente illegittime anche per la
parte in cui si rivolgono a porzioni di territorio incluse nel perimetro di
riserve naturali statali e aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
Tutti gli oggetti che il
regolamento attuativo, secondo le disposizioni in esame, dovrebbe andare a
disciplinare (dalle caratteristiche della segnaletica ai criteri per la
progettazione e la realizzazione di sentieri; dalle caratteristiche di
sicurezza per la fruizione della REC ai criteri generali di manutenzione dei
percorsi della stessa REC e all’individuazione del soggetto tenuto a
effettuarla) rientrano in attività che, come si è invero già visto, spetta al
regolamento e al piano delle aree protette regolare.
13.1.– Restano assorbite le
ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 16, comma 2, lettere a), b), c),
d), f) e g), della legge regionale campana.
14.– Deve ora passarsi allo
scrutinio del secondo insieme di questioni di legittimità proposte dal
Presidente del Consiglio dei ministri, le quali hanno per oggetto alcune
disposizioni della legge reg. Campania n. 2 del 2017 che prevedono sanzioni
amministrative.
15.– L’art. 14, comma 3,
della richiamata legge regionale dispone che la violazione di quanto previsto
al comma 2 del medesimo art. 14 comporta «l’applicazione delle sanzioni e delle
misure» previste dal codice della strada. Secondo il ricorrente, la
formulazione della disposizione impugnata sarebbe «estremamente generica, con
riferimento sia alla natura sia all’entità delle sanzioni da applicare alle
violazioni in esse previste»: di qui il contrasto con il principio di legalità
sancito dall’art. 25 Cost., i cui canoni, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, dovrebbero essere estesi a tutte le misure di carattere punitivo,
comprese quelle amministrative.
Per analoghe ragioni
sarebbe costituzionalmente illegittimo anche l’art. 15, comma 8, della citata
legge regionale («Oltre alle sanzioni previste dai commi 2 e 3, la violazione
delle norme generali contenute nell’articolo 14, comma 6, dà luogo
all’applicazione delle seguenti sanzioni amministrative pecuniarie»), in quanto
risulterebbe «formulato in modo non chiaro» nel riferimento a disposizioni
sanzionatorie contenute nei commi precedenti.
15.1.– La Regione Campania
ritiene non fondate entrambe le questioni di legittimità costituzionale.
Secondo la resistente,
l’art. 14, comma 1, legge reg. Campania n. 2 del 2017 descriverebbe
adeguatamente le condotte che, in assenza dell’autorizzazione di cui al
successivo comma 2, sono oggetto di sanzione amministrativa mercé il rinvio al
codice della strada. Il legislatore regionale avrebbe pertanto operato un
«rinvio materiale e recettizio» alle disposizioni di tale codice – in
particolare agli artt. 26 e 27, commi 10, 11 e 12 – integrando dunque il
precetto nel rispetto del principio di legalità e della riserva di legge.
15.2.– Va preliminarmente osservato
che l’art. 14, comma 2, della richiamata legge regionale, la cui violazione è
sanzionata dall’impugnato art. 14, comma 3, non prevede alcun divieto, ma si
limita a disciplinare il procedimento, cui prendono parte i Comuni, la Consulta
regionale di cui all’art. 8 della citata legge regionale e la Giunta regionale,
per modificare la destinazione d’uso dei sentieri della REC. Tuttavia, neppure
può ritenersi che il legislatore regionale sia incorso in un mero errore
materiale e che le condotte vietate e sanzionate dalla disposizione censurata
siano, come adombra nella memoria difensiva la Regione Campania, quelle di cui
all’art. 14, comma 1, della medesima legge regionale: alla violazione dei
divieti ivi previsti, difatti, segue la sanzione amministrativa posta dal
successivo art. 15, comma 5.
15.3.– Ancora in via
preliminare, deve ricordarsi come la giurisprudenza di questa Corte abbia già
affermato che il principio della legalità della pena è «ricavabile anche per le
sanzioni amministrative dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, in
base al quale è necessario che sia la legge a configurare, con sufficienza
adeguata alla fattispecie, i fatti da punire» (sentenza n. 78 del
1967). Si è poi precisato, più di recente, che dall’art. 25 Cost., data
l’ampiezza della sua formulazione, è desumibile il principio secondo cui «tutte
le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima
disciplina della sanzione penale in senso stretto» (sentenza n. 196 del
2010; in identico senso anche le sentenze n. 276 del 2016
e n. 104 del
2014).
Vero è che tali
affermazioni sono state formulate, in ragione delle questioni di legittimità
allora proposte, con riferimento a uno dei corollari del principio di legalità,
quello dell’irretroattività delle norme incriminatrici. Tuttavia, esse sono
parimente da riferire ad altro corollario di detto principio, di rilievo nelle
odierne questioni: il principio di determinatezza delle norme sanzionatorie.
Principio, quest’ultimo, il quale, per un verso, vuole evitare che, in
contrasto con il principio della divisione dei poteri, l’autorità
amministrativa o «il giudice assuma[no] un ruolo creativo, individuando, in
luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito» (sentenza n. 327 del
2008; sul punto anche ordinanza n. 24 del
2017); per un altro verso, non diversamente dal principio
d’irretroattività, intende «garantire la libera autodeterminazione individuale,
permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le
conseguenze giuridico-penali della propria condotta» (ancora sentenza n. 327 del
2008).
Con riferimento a questo
tipo di sanzioni amministrative, il principio di legalità, prevedibilità e
accessibilità della condotta sanzionabile e della sanzione aventi carattere
punitivo-afflittivo, qualunque sia il nomen ad essa
attribuito dall’ordinamento, del resto, non può, ormai, non considerarsi
patrimonio derivato non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da
quelli del diritto convenzionale e sovranazionale europeo, in base ai quali è
illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano
stati messi in condizione di "conoscere”, in tutte le sue dimensioni tipizzate,
la illiceità della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata.
15.4.– Ciò premesso, la
questione relativa all’art. 14, comma 3, legge reg. Campania n. 2 del 2017 è
fondata.
La disposizione censurata,
infatti, innanzitutto non descrive minimamente la condotta foriera delle
sanzioni amministrative di cui al codice della strada, se non attraverso
l’oscuro rinvio all’art. 14, comma 2, il quale – come si è visto – non dispone
alcun divieto, ma regola un procedimento per la modifica di destinazione d’uso
dei sentieri della REC.
In secondo luogo, è
manifestamente in contrasto con il principio di legalità delle pene, sub specie
di determinatezza, il rinvio, per quel che concerne le sanzioni e le misure da
applicare, all’intiero decreto legislativo n. 285 del
1992, perché in tal modo il legislatore regionale non ha, previamente e
chiaramente, individuato la specifica misura sanzionatoria irrogabile a seguito
della «violazione del comma 2». Né il vulnus costituzionale è rimediabile in
via ermeneutica, intendendosi il rinvio, come sostenuto dalla difesa regionale,
ai soli artt. 26 e 27, commi 10, 11 e 12, cod. strada: a prescindere da ogni
valutazione sulla plausibilità di tale interpretazione della ratio legis, essa non trova riscontro alcuno nel tessuto
normativo della legge campana.
Va solo precisato che non è
in discussione la possibilità per il legislatore, anche regionale, di integrare
i precetti punitivi e sanzionatori mercé il rinvio ad altri atti normativi, ma
è in palese contrasto con i principi costituzionali di cui all’art. 25 Cost.
che ciò avvenga in modo tale che la determinazione ex lege della conseguenza
giuridico-sanzionatoria derivante dalla violazione del precetto normativo sia
assente o, ad ogni modo, insufficiente.
15.5.– L’analoga questione
relativa all’art. 15, comma 8, legge reg. Campania n. 2 del 2017, invece, non è
fondata.
L’ermeneutica della
disposizione impugnata non giustifica le censure di costituzionalità che le
sono mosse dal Presidente del Consiglio dei ministri. Essa, infatti, descrive
adeguatamente le condotte vietate, per mezzo del rinvio all’art. 14, comma 6,
della legge regionale, e prevede espressamente le sanzioni amministrative
pecuniarie che conseguono alla violazione. Con il richiamo dell’art. 15, commi
2 e 3, della citata legge regionale – posto in apertura della disposizione in
esame e attorno al quale ruotano i dubbi di costituzionalità del ricorrente –
il legislatore regionale ha poi inteso disporre che, laddove i divieti di cui
ai richiamati commi siano violati con le condotte descritte dalla disposizione
impugnata, le sanzioni previste in tali commi si cumulino a quelle
esplicitamente stabilite dall’art. 15, comma 8, della medesima legge regionale.
16.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, infine, reputa in contrasto con la Costituzione anche
l’art. 15, comma 3, della legge reg. Campania n. 2 del 2017, il quale prevede
una sanzione amministrativa pecuniaria per «chiunque danneggia la segnaletica o
le opere realizzate per la percorribilità e la sosta lungo i percorsi
escursionistici della Rete regionale». Secondo il ricorrente, tale disposizione
descrive la condotta del reato di danneggiamento di cui all’art. 635, comma 2,
numero 1), del codice penale: in tal modo, risulterebbe invasiva della
competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale» di cui all’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost.
16.1.– La difesa regionale
rileva che la fattispecie di danneggiamento di segnaletica le oggetto della
disposizione impugnata non è dissimile da quella prevista dall’art. 15 cod.
strada, «a nulla rilevando, dunque, il reato di danneggiamento di cui all’art.
635 del codice penale». La sanzione amministrativa, d’altra parte, accederebbe
– in linea con quanto ammesso dalla giurisprudenza costituzionale – alla tutela
del bene d’interesse regionale «viabilità e sentieristica minore», non
invadendo pertanto la materia «ordinamento penale».
16.2.– Deve innanzitutto
ribadirsi il principio ripetutamente affermato da questa Corte – e rammentato,
come si è appena visto, dalla Regione Campania – secondo il quale «la
competenza sanzionatoria amministrativa non è in grado di autonomizzarsi come
materia a sé, ma accede alle materie sostanziali» (sentenza n. 12 del
2004; in senso analogo, tra le tante, sentenze n. 240 del
2007, n. 384
del 2005, n.
28 del 1996).
La legge campana impugnata
detta una disciplina che, nell’ambito della competenza esclusiva regionale in
materia di «turismo», intende sviluppare il «turismo sostenibile» attraverso
un’articolata attività di promozione e valorizzazione del patrimonio
escursionistico regionale, caratterizzato in particolare da percorsi di
interesse ambientale e storico. La previsione della sanzione amministrativa de
qua – in quanto diretta a tutelare la segnaletica e le opere realizzate per la
percorribilità e la sosta lungo la REC, evidentemente funzionali a garantire la
migliore fruibilità del patrimonio escursionistico regionale – non è dunque
estranea all’ambito di competenza del legislatore regionale.
16.3.– Ciò premesso, la
questione non è fondata.
La disposizione impugnata è
analoga a quella di cui all’art. 15, comma 1, lettera b), cod. strada, il quale
vieta di «danneggiare, spostare, rimuovere o imbrattare la segnaletica stradale
ed ogni altro manufatto ad essa attinente», sanzionando la violazione del
divieto con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 41 ad
euro 169, oltre che con quella accessoria dell’obbligo del ripristino dei
luoghi (art. 15, commi 2 e 4, del medesimo codice). Sul rapporto di tale
disposizione con il reato di danneggiamento si è espressa la Corte di cassazione,
affermando che essa «riveste natura di norma speciale rispetto alla
disposizione di cui all’art. 635, cod. pen., in
quanto concerne la disciplina relativa ad una specifica categoria di beni,
sicché ai sensi dell’art. 9 della legge n. 689 del 1981 la relativa condotta
costituisce illecito amministrativo» (Corte di Cassazione, sezione seconda
penale, sentenza 9 aprile 2013, n. 20789; Corte di Cassazione, sezione seconda
penale, sentenza 13 dicembre 2011, n. 9541; Corte di Cassazione, sezione
seconda penale, sentenza 20 ottobre 1994, n. 4491).
Il principio così affermato
dal giudice della nomofilachia trova fondamento nella previsione del primo
comma del citato art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), secondo la quale «[q]uando uno
stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che
prevede una sanzione amministrativa, […] si applica la disposizione speciale».
Nel caso in esame, peraltro, venendo in rilievo il rapporto non fra due norme
sanzionatorie entrambe statali, ma tra una statale e una regionale, trova
applicazione il disposto del secondo comma del medesimo art. 9 della legge n.
689 del 1981, in forza del quale «quando uno stesso fatto è punito da una
disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome
di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in
ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo
in mancanza di altre disposizioni penali».
Ne consegue che la sanzione
amministrativa prevista dalla disposizione censurata potrà essere irrogata solo
qualora il fatto non integri il reato di danneggiamento. L’art. 15, comma 3,
della legge regionale campana, pertanto, non invade, né erode la sfera di
operatività della norma penale, trovando applicazione soltanto in via
residuale, in relazione a condotte non penalmente sanzionate. Circostanza,
questa, che vale senz’altro a escludere la denunciata lesione della competenza
legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento penale».
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della
legge della Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione
della sentieristica e della viabilità minore), nella parte in cui non prevede
che la funzione di pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione
del patrimonio escursionistico regionale debba essere esercitata, all’interno
delle aree naturali protette, in conformità al loro regolamento e al rispettivo
piano per il parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate
dal provvedimento istitutivo;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 legge reg.
Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui la disciplina ivi prevista trova
applicazione anche in relazione a porzioni della rete escursionistica regionale
incluse nel territorio delle aree naturali protette;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2,
lettera n), legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui prevede che
il rappresentante degli Enti parco è «designato dalla Federparchi»
anziché «dagli Enti parco allocati su territorio campano»;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, legge
reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui non prevede che la gestione
tecnica dei siti ricompresi nella rete escursionistica regionale e inclusi nei
territori delle aree naturali protette sia di competenza esclusiva degli enti
gestori di queste ultime;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2,
lettera a), legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui prevede che
le modalità di fruizione della rete escursionistica regionale, per la parte in
cui essa si sviluppa all’interno delle aree naturali protette, debbano essere
individuate dagli enti di gestione delle aree protette in accordo con i Comuni
territorialmente interessati, invece di essere determinate dal regolamento
dell’area protetta;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1,
legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui non prevede che il Piano
triennale degli interventi sulla rete escursionistica campana, ove rivolto alle
porzioni di territorio regionale ricomprese nel perimetro delle aree naturali
protette, deve rispettare il regolamento e il piano di queste ultime;
7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, commi 3 e 5,
legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui trovano applicazione
anche all’interno delle aree naturali protette;
8) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 legge reg.
Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui si applica anche a porzioni della
rete escursionistica regionale incluse nel territorio delle aree naturali
protette;
9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2,
lettere a), b), c), d), f) e g), legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte
in cui affida al regolamento attuativo, adottato dalla Giunta regionale, la
disciplina degli oggetti ivi previsti anche con riferimento al territorio delle
aree naturali protette;
10) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3,
legge reg. Campania n. 2 del 2017;
11) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10, comma 4, legge reg. Campania n. 2 del 2017, promossa, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
12) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 15, comma 8, legge reg. Campania n. 2 del 2017, promossa, in
riferimento all’art. 25 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso indicato in epigrafe;
13) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 15, comma 3, legge reg. Campania n. 2 del 2017, promossa, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Giancarlo MODUGNO,
Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria
il 7 giugno 2018.