SENTENZA N. 44
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), promosso dalla Corte d’appello di Trieste nel procedimento vertente tra S.O. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 12 novembre 2015, iscritta al n. 55 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2017 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Antonino Sgroi per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gesualdo D’Elia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 novembre 2015, la Corte d’appello di Trieste solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), «nella parte in cui esso, in base all’interpretazione datane in primo grado e più corretta, vieta il cumulo fra contribuzione previdenziale volontaria e contribuzione nella gestione separata nei casi […] di prosecuzione dell’attività lavorativa per un limitato quantitativo di ore a settimana e per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a € 3000,00 annui», in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.
1.1.– La Corte rimettente premette in fatto di aver già sollevato, nei confronti della medesima norma e nel corso del medesimo giudizio, identica questione di legittimità costituzionale, dichiarata inammissibile, con la sentenza n. 114 del 2015, per difetto di motivazione sulla rilevanza.
A seguito di tale pronuncia, parte attrice – prosegue il collegio rimettente –provvedeva a riassumere tempestivamente il procedimento ex art. 297 del codice di procedura civile e la causa era nuovamente discussa all’udienza del 12 novembre 2015 e trattenuta in decisione. La Corte d’appello di Trieste ripropone, pertanto, le medesime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 184 del 1997, nei termini suddetti.
1.2.– La Corte ricorda di essere stata adita in appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Udine aveva accolto solo la domanda, proposta in via subordinata, di condanna dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) alla restituzione delle somme versate a titolo di contribuzione volontaria dalla ricorrente, e non quella, svolta in via principale, di accertamento del suo diritto a proseguire nella contribuzione volontaria nel periodo 2003-2005, in cui aveva anche effettuato la contribuzione nella gestione separata ex art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), e di annullamento del provvedimento di revoca della pensione di anzianità di cui aveva goduto sino al mese di ottobre 2008, per effetto del cumulo fra contributi per lavoro dipendente e contributi volontari.
Ripetendo quanto già esposto nella prima ordinanza con cui aveva sollevato la medesima questione, la Corte d’appello di Trieste ricorda che la ricorrente: aveva svolto attività di lavoro subordinato dal 1° settembre 1967 sino al giorno 11 agosto 2000 e aveva così maturato una contribuzione pari a 1699 settimane utili ai fini pensionistici; aveva provveduto a versare all’INPS, a seguito di autorizzazione a proseguire volontariamente la contribuzione, fino a tutto il mese di marzo dell’anno 2004, la somma di 24.355,80 euro, sì da raggiungere un numero totale di 1829 settimane utili ai fini della pensione; aveva intrapreso, negli anni dal 2003 al marzo 2005, un’attività di lavoro saltuario come promotrice commerciale solo nei fine settimana, versando i contributi nella gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, con iscrizione avvenuta nell’ottobre 2002; aveva ottenuto, nell’aprile 2005, la pensione, a seguito della maturazione dell’anzianità contributiva per effetto del cumulo fra contributi per lavoro dipendente e contributi volontari; aveva richiesto, nel giugno 2007, la pensione supplementare per il lavoro svolto come promotrice dal 2003 al 2005; aveva subìto la revoca della pensione di anzianità per avvenuto annullamento della contribuzione volontaria, con conseguente accertamento della sussistenza di un indebito per i ratei di pensione a lei pagati dall’aprile 2005 all’ottobre 2008.
La medesima Corte rimettente, «integrando in particolare, come specificamente richiesto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 114/2015, le indicazioni in punto rilevanza della questione qui posta», osserva che, «in base alle scarne indicazioni date dall’attrice il suo rapporto di lavoro come promotrice commerciale si è articolato […] come un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 n. 3 c.p.c.». Più precisamente e in virtù delle allegazioni della medesima ricorrente e del «rilievo forzatamente basato sul notorio», si sarebbe trattato, secondo la Corte triestina, di un’attività di lavoro parasubordinato, «per un novero limitato di ore a settimana e con compensi ridottissimi». Tale attività, sebbene analoga, quanto a numero di ore di lavoro e compensi, ad altre attività lavorative, alle quali non si applica il divieto di cumulo di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 184 del 1997 – come il lavoro a tempo parziale di tipo verticale, orizzontale e ciclico ex art. 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 39, della L. 8 agosto 1995, n. 335, in materia di contribuzione figurativa e di copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione) e art. 3, comma 1, del decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278 (Disposizioni correttive del D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 564, del D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 157, del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 180 e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 184, in materia pensionistica), e il lavoro occasionale di tipo accessorio, di cui agli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30) – non sarebbe riconducibile ad esse. Il collegio rimettente precisa, infatti, che la differenza fra il caso in esame e quello dei lavoratori dipendenti a tempo parziale di tipo verticale, orizzontale e ciclico consisterebbe nella circostanza che, mentre nel secondo caso il rapporto di lavoro è di tipo subordinato e il ricorso al riscatto era ed è possibile per i periodi in cui l’attività lavorativa è sospesa, nel primo caso, l’appellante, pur lavorando senza vincolo di subordinazione, ma del pari per poche ore e con corrispettivi ridotti (lavoro parasubordinato), non aveva avuto, né aveva la facoltà di accedere alla contribuzione volontaria. Quanto, poi, alle prestazioni di lavoro occasionale di carattere accessorio con contribuzione nella gestione separata ex art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, si tratterebbe di lavori solo occasionali, peraltro svolti da soggetti rispetto ai quali vi sia una situazione di esclusione sociale o che siano al primo ingresso nel mercato del lavoro o in procinto di uscire da esso, lavori fra i quali non rientrerebbe l’attività svolta dall’appellante (addetta al commercio).
Tanto premesso, la Corte d’appello di Trieste ribadisce che il divieto di cumulo dei versamenti effettuati in via volontaria con altre contestuali contribuzioni sarebbe irragionevole, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del regime applicabile a casi del tutto corrispondenti sul piano fattuale. La diversità di trattamento del cumulo tra contribuzione volontaria e altre forme di contribuzione sarebbe difficilmente giustificabile anche con riguardo alla tutela del lavoro in ogni sua forma e applicazione apprestata dall’art. 35 Cost., poiché ogni prestazione di lavoro merita eguale considerazione anche sul versante contributivo. Sarebbe, infine, violato anche l’art. 38, secondo comma, Cost., poiché la differenziazione posta in risalto priverebbe soggetti, come la ricorrente, di un idoneo riconoscimento dell’attività svolta e degli accantonamenti effettuati per provvedere alla propria vecchiaia.
2.– Si è costituito in giudizio davanti alla Corte costituzionale l’INPS, parte del giudizio a quo, e ha chiesto che la Corte dichiari irrilevante, inammissibile e comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.
In linea preliminare, l’INPS ritiene che l’odierna ordinanza di rimessione sia affetta dalla medesima lacuna che viziava la precedente ordinanza della Corte d’appello di Trieste e cioè dalla mancata individuazione degli elementi di fatto, necessari a motivare la rilevanza della questione sollevata.
Inoltre, il quesito di legittimità costituzionale, frutto di una lettura della disciplina legislativa focalizzata sul singolo caso, sarebbe anche generico e non previamente determinato.
Nel merito, la questione sarebbe infondata. Tenuto conto del fatto che la funzione della contribuzione volontaria è quella di consentire a chi è titolare di un rapporto assicurativo di raggiungere il presupposto contributivo per il diritto a pensione ed evitare le conseguenze negative, della mancata prestazione lavorativa soggetta all’obbligo assicurativo, l’INPS ritiene che non colgano nel segno i parallelismi con le discipline richiamate al fine di sostenere l’irragionevolezza della norma che preclude il contestuale versamento di contribuzione effettiva e dicontribuzione volontaria. Il richiamo alla disciplina di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 564 del 1996, in tema di lavoro subordinato a tempo parziale, sarebbe erroneo, proprio perché attinente a una fattispecie di sospensione del rapporto di lavoro destinata a riprendere. Nel caso posto all’esame del collegio triestino, invece, il rapporto di lavoro in essere, non sospeso, era quello in cui la lavoratrice provvedeva al versamento di contribuzione volontaria, strutturalmente esclusa in presenza di contribuzione effettiva. Anche il richiamo alla disciplina delle prestazioni occasionali di tipo accessorio dettata dagli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 276 del 2003 non sarebbe corretto. Nel periodo temporale di riferimento trovava, infatti, applicazione il dettato dell’art. 71 (abrogato dall’art. 22, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133), che individuava i soggetti che potevano prestare lavoro accessorio e le modalità attraverso cui costoro potevano svolgerlo.
3.– E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la Corte costituzionale dichiari la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Trieste.
La difesa statale sostiene che l’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997, in realtà, più che vietare il cumulo della contribuzione volontaria con quella dovuta in virtù dell’iscrizione alla gestione separata INPS, vieti la sovrapposizione della contribuzione, ovvero il versamento nel medesimo periodo di somme sia alla contribuzione volontaria, che è uno strumento di previdenza sociale per i periodi di inattività lavorativa, sia alla gestione separata, che, viceversa, presuppone lo svolgimento di un’attività lavorativa.
Il caso regolato dalla disposizione censurata riguarderebbe, in altri termini, la doppia contribuzione e sarebbe perciò molto diverso dall’ipotesi di cumulo previsto per i lavoratori a tempo parziale di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 564 del 1996, i quali per il tempo “lavorato” hanno versato la contribuzione obbligatoria e per quello “non lavorato” possono versare la contribuzione volontaria.
Si tratterebbe, pertanto, di situazioni differenti, niente affatto comparabili tra loro, quindi inidonee a dimostrare la violazione del principio di eguaglianza.
Lo stesso rilievo è svolto dall’Avvocatura generale dello Stato con riguardo al lavoro occasionale di tipo accessorio, considerato che quest’ultimo è volto all’agevolazione e alla regolarizzazione, dal punto di vista fiscale, contributivo e assicurativo, di prestazioni lavorative caratterizzate da discontinuità e marginalità nel mercato del lavoro, per tutelare soggetti deboli, per i quali, proprio al fine di conseguire tale tutela, si è deciso di consentire il cumulo.
4.– All’udienza pubblica, l’INPS e la difesa statale hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Trieste torna a dolersi della circostanza che il comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall'articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), nella parte in cui vieta il cumulo fra contribuzione previdenziale volontaria e contribuzione nella gestione separata, anche nei casi, come quello oggetto del giudizio principale, di «prosecuzione dell’attività lavorativa per un limitato quantitativo di ore a settimana e per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a € 3000,00 annui», determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto a tipologie di prestazioni di lavoro simili per impegno orario e per reddito conseguito, cui non si applica tale divieto.
Fra queste ultime, in particolare, il rimettente individua quelle riconducibili al lavoro subordinato a tempo parziale, di tipo verticale, orizzontale e ciclico, di cui all’art. 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di contribuzione figurativa e di copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione), come integrato dall’art. 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278 (Disposizioni correttive del D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 564, del D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 157, del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 180 e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 184, in materia pensionistica), e le prestazioni occasionali di tipo accessorio, disciplinate agli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).
Il collegio rimettente ritiene che tale irragionevole disparità di trattamento contrasti, altresì, con il principio di tutela del lavoro in ogni sua forma e applicazione, costituzionalmente garantito dall’art. 35, primo comma, della Costituzione, considerato che ogni prestazione di lavoro, anche quelle rientranti nella tipologia oggetto del giudizio principale, merita eguale considerazione sul versante contributivo. Inoltre, per tali lavoratori risulterebbe compromesso, in modo altrettanto irragionevole, il giusto riconoscimento dell’attività svolta e degli accantonamenti effettuati per provvedere alla vecchiaia.
2.– La questione è inammissibile sotto vari profili.
2.1.– Nella sentenza n. 114 del 2015, questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità di identica questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 184 del 1997, nella parte in cui vieta il cumulo fra contribuzione previdenziale volontaria e contribuzione nella gestione separata, anche nei casi, come quello oggetto del giudizio principale, di «prosecuzione dell’attività lavorativa per un limitato quantitativo di ore a settimana e per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a tremila euro annui». La Corte d’appello di Trieste non aveva, in quell’occasione, fornito alcuna motivazione circa le ragioni per cui, nel caso sottoposto al suo giudizio, riteneva di dover applicare la regola del divieto di cumulo di cui alla norma censurata. Questa Corte aveva rilevato che la descrizione dell’attività lavorativa – per cui era stata versata la contribuzione nella gestione separata ex art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, contestualmente alla contribuzione volontaria, oggetto di contestazione – quale attività di «lavoro saltuario come promotrice commerciale», svolta «solo nei fine settimana», «percependo degli importi pari ad euro 2.527 (nel 2003), euro 2.909 (nel 2004) ed euro 1.211 (nel 2005)», non era sufficiente a far comprendere natura e caratteri del rapporto di lavoro in questione, né il regime di tutele applicabile. In altri termini, non erano stati forniti elementi idonei a ricondurre la prestazione di lavoro in oggetto entro l’ambito di applicazione della norma censurata e a differenziarla rispetto alle fattispecie individuate quali tertia comparationis, cui peraltro il suddetto divieto non si applica in virtù di disposizioni sopravvenute al d.lgs. n. 184 del 1997.
Con l’ordinanza di rimessione ora in esame, la Corte d’appello di Trieste non ha corretto il difetto di motivazione sulla rilevanza della questione.
Ai pochi elementi di fatto già forniti essa aggiunge che il rapporto di lavoro della ricorrente «come promotrice commerciale si è articolato (…) come un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 n. 3 c.p.c», e fa riferimento alle «scarne indicazioni date dall’attrice», all’assenza «in atti [di] ogni documento negoziale al riguardo», al rilievo, «forzatamente basato sul notorio e sulle mere allegazioni della ricorrente», che si era trattato di un lavoro concentrato nei fine settimana, che impegnava la ricorrente «per ben poche ore». In forza di queste indicazioni – peraltro già contenute nella prima ordinanza di rimessione – il giudice a quo ritiene che sia «esaurientemente avvalorata la considerazione che si era in presenza di un’attività di lavoro, pur non subordinato ma parasubordinato, per un novero limitato di ore a settimana e con compensi ridottissimi».
Nessun elemento nuovo e aggiuntivo è fornito, al fine di descrivere con maggiore chiarezza la fattispecie concreta, anche se, in assenza di adeguata documentazione, il giudice rimettente ben avrebbe potuto esercitare i poteri istruttori d’ufficio di cui dispone. Non è svolta una adeguata motivazione per giustificare la configurazione dell’attività prestata come attività di collaborazione coordinata e continuativa, ai sensi dell’art. 409, n. 3, cod. proc. civ., e non sono enucleate le ragioni per cui tale attività è sottoposta al regime di cui al comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997.
Permangono, pertanto, i motivi che hanno indotto questa Corte, con la sentenza n. 114 del 2015, a pronunciarsi nel senso dell’inammissibilità della questione per carente descrizione della fattispecie concreta e conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza, in linea con la costante giurisprudenza costituzionale (fra le tante, da ultimo, ordinanze n. 177 del 2016 e n. 209 del 2015).
2.2.– Sussistono, inoltre, più radicali profili di inammissibilità della questione in esame, in relazione alla formulazione del petitum.
La Corte rimettente chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 184 del 1997, «nella parte in cui […], in base all’interpretazione datane in [primo] grado e più corretta, vieta il cumulo fra contribuzione previdenziale volontaria e contribuzione nella gestione separata, nei casi […] di prosecuzione dell’attività lavorativa per un limitato quantitativo di ore a settimana e per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a € 3000,00 annui».
Tale petitum si presenta generico e indeterminato, giacché si risolve nella richiesta di introdurre una esclusione del divieto di cumulo fra diversi tipi di contribuzione in relazione a casi genericamente descritti (attività lavorativa «per un limitato quantitativo di ore a settimana»), quindi privi dei necessari requisiti di tipicità e chiarezza, tali da rendere la richiesta stessa inammissibile (ex plurimis, ordinanze n. 101 e n. 29 del 2015 e sentenza n. 218 del 2014). Esso appare, inoltre, volto a ottenere da questa Corte un’addizione ampiamente manipolativa, poiché si verrebbero a delineare prestazioni di lavoro, sottratte al divieto di cumulo, svolte «per un limitato numero di ore», e «per redditi da lavoro con compensi ben inferiori a tremila euro annui». Si tratta, quindi, di un’addizione non «a rime costituzionalmente obbligate», ma affidata, per una precisa individuazione, alla discrezionalità del legislatore (ex plurimis, sentenza n. 254 del 2016 e ordinanza n. 25 del 2016).
Non può escludersi che il legislatore identifichi con precisione le prestazioni di lavoro che, in considerazione del carattere saltuario dell’attività prestata o comunque del limitato impegno orario e della ridotta entità dei compensi, siano sottratte al divieto di cumulo di cui al comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 184 del 1997. Un tale intervento di definizione delle contribuzioni richieste ben potrebbe fornire una più specifica tutela a soggetti caratterizzati da una condizione di particolare debolezza nel mercato del lavoro.
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2017,
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