ORDINANZA N. 254
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 4, 2, comma 2, e 3, comma 2 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) e dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008; dell’art. 18, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, in combinato disposto con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 5 settembre 2012, degli artt. 2, comma 8, 10, comma 4 (recte: comma 3), 11, comma 3 (recte: comma 4) della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), promosso dal Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento vertente tra M.T. e la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense con ordinanza del 30 luglio 2014, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di costituzione di M.T. e della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2016 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Giuseppe Ferraro per M.T., Massimo Luciani per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e l’avvocato dello Stato Gesualdo d’Elia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che con ordinanza del 30 luglio 2014, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale dell’anno 2015, emessa nel corso di una causa civile promossa dall’avvocato M.T. nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 4, 2, comma 2, e 3, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) e dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008; nonché dell’art. 18, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, in combinato disposto con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 5 settembre 2012, nella parte in cui tali disposizioni «prevedono in ragione delle aliquote del contributo soggettivo a carico dei pensionati di vecchiaia, un maggiore contributo solidaristico di tale categoria rispetto a quello posto a carico degli avvocati non pensionati»;
che il giudice ha dubitato, altresì, della legittimità costituzionale delle medesime disposizioni e degli artt. 2, comma 8, 10, comma 4 (recte: comma 3), e 11, comma 3 (recte: comma 4), della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), in riferimento all’art. 38 Cost., nella parte in cui «non prevedono un tetto massimo alla contribuzione erogata dai pensionati di vecchiaia per finalità solidaristica e, pertanto, non tutelano la funzione previdenziale della contribuzione versata»;
che il rimettente premette di essere chiamato a decidere in ordine al ricorso con cui l’avvocato M.T. ha adito il giudice del lavoro per ottenere il rimborso delle somme versate a titolo di contributo soggettivo obbligatorio alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense dal 1° settembre 1995, data di maturazione della pensione di vecchiaia, ovvero, in subordine, il riconoscimento dei supplementi di pensione (biennale e triennale) mai percepiti o, in ulteriore subordine, la restituzione dei contributi versati «oltre i settanta anni di età, quale differenza tra i contributi versati e l’importo complessivo della pensione percepita»;
che la Cassa, esercitando la potestà attribuitale dalla legge n. 335 del 1995, ha provveduto ad elevare le aliquote sia del contributo soggettivo che del contributo integrativo con i Regolamenti del 17 marzo 2006 e del 19 settembre 2008;
che, secondo il giudice a quo, la legge n. 335 del 1995 avrebbe dato luogo ad una «sostanziale delegificazione» della materia;
che l’art. 18, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, ha previsto l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione per tutti coloro che risultino aver percepito un reddito derivante dallo svolgimento dell’attività professionale e ha stabilito che «[p]er tali soggetti è previsto un contributo soggettivo minimo con aliquota non inferiore al cinquanta per cento di quella prevista in via ordinaria per gli iscritti a ciascun ente»;
che con il Regolamento del 5 settembre 2012 la Cassa ha ulteriormente elevato l’aliquota del contributo dovuto dai pensionati di vecchiaia iscritti all’albo;
che il rimettente ha osservato che mentre fino al 2006 il contributo solidaristico è stato fatto gravare in egual misura su tutti gli avvocati, a partire dalle innovazioni introdotte dal Regolamento del 17 marzo 2006, ai pensionati di vecchiaia è stato imposto il pagamento di un contributo soggettivo più elevato rispetto a quello dovuto dagli avvocati non pensionati;
che tale assetto normativo suscita dubbi di legittimità costituzionale nel Tribunale rimettente sotto il profilo della disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost.;
che, secondo lo stesso Tribunale, l’ammontare del contributo dovuto dagli avvocati pensionati risulterebbe, altresì, talmente elevato da compromettere l’utilità derivante dalla percezione del trattamento pensionistico, violando, quindi, l’art. 38 Cost. che tutela la «funzione previdenziale della contribuzione versata»;
che, secondo il rimettente, la sindacabilità dei regolamenti da parte della Corte sarebbe possibile poiché le disposizioni impugnate presentano un rapporto di integrazione in forza del quale le norme di rango primario non sarebbero intellegibili se non alla luce delle norme di rango secondario e il precetto da sottoporre al vaglio della legittimità costituzionale deriverebbe dal combinato disposto o continuum normativo esistente tra di esse;
che il vaglio di legittimità costituzionale sui regolamenti in rapporto di integrazione con la fonte primaria è stato ritenuto possibile dalla consolidata giurisprudenza costituzionale e, in particolare, dalla sentenza n. 34 e dalla ordinanza n. 10 del 2011;
che si è costituito in giudizio l’avvocato M.T. domandando l’accoglimento delle questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Napoli, sottolineando di dover corrispondere alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, a titolo di contributo di solidarietà, una somma superiore a quella corrisposta dagli avvocati non pensionati, nonché superiore alla pensione percepita e aggiungendo che il principio di proporzionalità e sinallagmaticità che regola il rapporto tra contribuzione e pensione non può essere derogato neppure da ragioni di tipo solidaristico;
che si è costituita in giudizio la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;
che, secondo la Cassa, l’inammissibilità della questione discenderebbe dalla violazione dell’art. 134 Cost., in quanto, stando al petitum dell’ordinanza, la domandata declaratoria di illegittimità costituzionale avrebbe ad oggetto regolamenti di delegificazione, come del resto osservato dallo stesso rimettente, e non di attuazione, con ciò rendendo peraltro non pertinente il richiamo alle pronunce della Corte costituzionale n. 34 e n. 10 del 2011;
che, con riferimento alla censura formulata in relazione all’art. 38 Cost., la Cassa ha osservato che il rimettente ha chiesto alla Corte un intervento additivo con il quale dovrebbe essere indicato un «limite alla contribuzione di solidarietà» senza illustrare, tuttavia, per quale motivo questa soluzione sarebbe costituzionalmente obbligata;
che, quanto al merito delle censure, non vi sarebbe violazione dell’art. 3 Cost. perché, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 132 del 1984), non vi è un obbligo di pari proporzionalità fra oneri contributivi e trattamento pensionistico e, inoltre, perché le situazioni degli appartenenti alle due categorie sono diverse e perciò non comparabili;
che non vi sarebbe violazione dell’art. 38 Cost. perché la contribuzione richiesta corrisponde ad una percentuale del reddito professionale e non incide sull’ammontare della pensione, la quale costituisce un’ulteriore ed autonoma fonte di reddito;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate;
che secondo l’Avvocatura generale l’imposizione di un contributo a carico di tutti gli appartenenti alla categoria risponde a ragioni solidaristiche, mentre la differenziazione delle aliquote trova giustificazione nella eterogeneità delle situazioni;
che, inoltre, poiché il contributo è calcolato in termini percentuali sul reddito professionale, è da escludere che il professionista possa restare privo di un adeguato mezzo di sostentamento.
Considerato che il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 4, 2, comma 2, e 3, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) e dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008; nonché dell’art. 18, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, in combinato disposto con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 5 settembre 2012, nella parte in cui tali disposizioni «prevedono in ragione delle aliquote del contributo soggettivo a carico dei pensionati di vecchiaia, un maggiore contributo solidaristico di tale categoria rispetto a quello posto a carico degli avvocati non pensionati»;
che il giudice ha dubitato, altresì, della legittimità costituzionale delle medesime disposizioni e degli artt. 2, comma 8, 10, comma 3, e 11, comma 4, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), in riferimento all’art. 38 Cost. nella parte in cui «non prevedono un tetto massimo alla contribuzione erogata dai pensionati di vecchiaia per finalità solidaristica e pertanto non tutelano la funzione previdenziale della contribuzione versata»;
che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vaglio di costituzionalità delle disposizioni di atti regolamentari è ammissibile solo quando essi costituiscano specificazione delle disposizioni di legge (sentenze n. 456 del 1994 e n. 1104 del 1988, nonché, in applicazione dello stesso principio, ma in senso negativo nei casi risolti, sentenza n. 162 del 2008 e ordinanza n. 389 del 2004, pronunce richiamate dalla sentenza n. 354 del 2008);
che, nella specie, i regolamenti portati all’esame della Corte sono riconducibili ad un processo di privatizzazione degli enti pubblici di previdenza e assistenza che si inserisce nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali, in corrispondenza ad una direttiva più generale volta ad eliminare duplicazioni organizzative e funzionali nell’ambito della pubblica amministrazione (sentenza n. 15 del 1999);
che questo assetto è stato realizzato attraverso una “sostanziale delegificazione” della materia, come osservato anche dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 16 novembre 2009, n. 24202;
che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, la giurisdizione del giudice costituzionale è limitata alla cognizione dell’illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, ai sensi dell’art. 134 Cost. e non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di “delegificazione” (sentenza n. 427 del 2000);
che, con riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di “delegificazione”, la garanzia costituzionale è normalmente da ricercare, volta a volta, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto princìpi incostituzionali o per aver omesso di porre princìpi in materie che costituzionalmente li richiedono; o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso (sentenza n. 427 del 2000);
che, secondo quanto affermato dal rimettente, «[l]a normativa appare […] immune da censure sotto il profilo dell’art. 3 C. per il periodo intercorrente fino alla delibera del comitato dei delegati del 17.3.2006, in quanto l’obbligo solidaristico grava in egual misura su tutti gli avvocati […] (pensionati e non pensionati)», per effetto dell’applicazione di un’aliquota unica, pari al 3 per cento, mentre soltanto dopo questa data si è proceduto, attraverso i regolamenti adottati dalla Cassa forense nel 2006, nel 2008 e nel 2012, ad elevare solo l’aliquota del contributo solidaristico gravante sui pensionati di vecchiaia prima al 4 per cento, poi al 5 per cento ed infine al 7 per cento, lasciando, invece, invariata l’aliquota del 3 per cento, destinata a determinare la misura del contributo dovuto dagli avvocati non pensionati;
che, dunque, malgrado il rimettente abbia dedotto l’incostituzionalità di norme di legge e di atti regolamentari, le censure articolate investono in realtà solo il contenuto di questi ultimi;
che, in tale ipotesi, come la Corte ha già affermato, data l’insindacabilità dell’atto regolamentare ai sensi dell’art. 134 Cost., nonché l’insussistenza di uno specifico collegamento con la legge, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile (sentenza n. 162 del 2008);
che, infine, con la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 38 Cost., nella parte in cui le norme impugnate «non prevedono un tetto massimo alla contribuzione erogata dai pensionati di vecchiaia per finalità solidaristica e pertanto non tutelano la funzione previdenziale della contribuzione versata», il Tribunale napoletano ha domandato una pronuncia additiva;
che tuttavia tale tipo di pronuncia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, presuppone l’impossibilità di superare la “norma negativa”, affetta da incostituzionalità, per via d’interpretazione, nonché l’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata (cosiddetta a “rime obbligate”; ex plurimis, sentenze n. 241, n. 81 e n. 30 del 2014), in particolare quando «“il petitum formulato si connota per un cospicuo tasso di manipolatività, derivante anche dalla ‘natura creativa’ e ‘non costituzionalmente obbligata’ della soluzione evocata (sentenze n. 241, n. 81 e n. 30 del 2014; ordinanza n. 190 del 2013)” (sentenza n. 241 del 2014), tanto più in materie rispetto alle quali è stata riconosciuta ampia discrezionalità del legislatore (sentenza n. 277 del 2014) (sentenza n. 23 del 2016)» (ordinanza n. 122 del 2016);
che, diversamente, il petitum formulato dal Tribunale ordinario di Napoli non si configura come soluzione costituzionalmente obbligata alla stregua del quadro normativo di riferimento e dell’ampia discrezionalità spettante al legislatore in materia previdenziale, talché la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 4, 2, comma 2, e 3, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), dell’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e dell’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008 nonché del combinato disposto dell’art. 18, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 e dell’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 5 settembre 2012, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 1, comma 4, 2, comma 2, e 3, comma 2, del d.lgs. n. 509 del 1994, dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995, dell’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e dell’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008 e del combinato disposto dell’art. 18, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito dalla legge n. 111 del 2011, e dell’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 5 settembre 2012, nonché degli artt. 2, comma 8, 10, comma 3, e 11, comma 4, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), sollevata, in riferimento all’art. 38 Cost., dal Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2016.