Sentenza n.132 del 1984

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 132

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2 comma ottavo, 10, 22 e 26 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 23 settembre 1981 dal Pretore di Bari nel procedimento civile vertente tra Brattelli Florenzo e la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 751 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 75 del 1982;

2) ordinanza emessa il 2 luglio 1982 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Setti Federico e la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 671 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 del 1983;

3) ordinanza emessa il 27 maggio 1982 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Carresi Franco e la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 731 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 1983;

4) ordinanza emessa il 7 ottobre 1982 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Ballarini Piero ed altri e la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 812 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 del 1983;

5) tre ordinanze emesse il 25 maggio 1982 dal Pretore di Firenze nei procedimenti civili vertenti tra Torricelli Raffaello ed altri, Cardoso Vasco e Fabbrini Mario c/ la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, iscritte ai nn. 5, 6 e 7 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 149 e 158 del 1983;

6) ordinanza emessa il 22 febbraio 1983 dal Pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Amorth Leopoldo ed altri c/ la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 442 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 1983.

Visti gli atti di costituzione della Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, di Brattelli Florenzo, di Setti Federico, di Angiola Sbaiz ed altri, di Torricelli Raffaello ed altri, di Cardoso Vasco nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1984 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

uditi gli avvocati Federico Setti, per Setti; Angiola Sbaiz per se stessa ed altri; Paolo Barile per Torricelli ed altri e per Cardoso Vasco; Alessandro Pace e Claudio Berliri per la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori e l'e l'Avvocato dello Stato Pietro De Francisci per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Nel corso di un giudizio promosso dall'avv. Florenzo Brattelli nei confronti della Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori per l'accertamento negativo di obblighi contributivi, giudizio nel quale intervenivano altri professionisti, il Pretore di Bari, con ordinanza del 23 settembre 1981 (Reg. ord. n. 751/1981) ha sollevato, su iniziativa degli istanti, questione di illegittimità costituzionale degli artt. 10 e 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 per contrasto con gli artt. 3 cpv., 31, 33, 35 e 38 della Costituzione.

Nella motivazione dell'ordinanza di rimessione si osserva: che l'art. 10, comma 3 della legge sembra incorrere in irrazionalità e in violazione del principio di eguaglianza là dove impone anche ai pensionati per vecchiaia, che continuino l'esercizio professionale, il pagamento dei contributi, sebbene per essi sia previsto unicamente un supplemento della pensione liquidabile una volta sola, per di più subordinato al compimento di un quinquennio di attività e di contribuzione e ridotto alla metà (art. 2, comma ottavo, della legge); che la normativa sembra incorrere in violazione dell'art. 38 Cost. in quanto il pensionato, per un verso, é costretto a continuare l'esercizio professionale a causa del ridotto ammontare della pensione corrisposta, e, per altro verso, é penalizzato da una contribuzione onerosa in vista di un vantaggio previdenziale aleatorio e limitato; che l'art. 22 della legge sembra incorrere in violazione degli artt. 3 cpv., 33, commi primo e quinto, 35, comma primo e 38 Cost. in quanto, con l'obbligo di iscrizione alla Cassa, impone ai suddetti pensionati una condizione, per l'esercizio professionale, ulteriore rispetto a quella del superamento dell'esame abilitativo di Stato, che é la sola costituzionalmente consentita.

Si é costituito tardivamente l'avv. Brattelli, il quale ha presentato anche memoria successiva.

Si é costituita la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, osservando con l'atto di intervento e con la successiva memoria: che gli obblighi previdenziali (iscrizione alla Cassa e versamento dei relativi contributi), posti (nell'interesse dell'intera categoria) a carico di tutti gli esercenti la professione, trovano la loro ragion d'essere nel principio mutualistico e solidaristico che informa la previdenza forense; che la differenza di trattamento complessivo fatta agli esercenti già pensionati é giustificata dalla diversità di situazione in cui essi versano rispetto agli altri esercenti; che del resto la (eguale) contribuzione imposta agli esercenti già pensionati trova la sua causa nella continuazione dell'esercizio professionale, mentre la (diversa) disciplina dell'ulteriore regime pensionistico (supplemento di pensione, requisiti di acquisto, misura) é frutto della discrezionalità del legislatore; che gli obblighi previdenziali sono imposti agli esercenti pensionati non già quali condizioni per l'accesso all'esercizio (recte: alla continuazione dell'esercizio) della professione, ma quali doveri, del resto ritenuti di natura tributaria, conseguenti al perdurante esercizio professionale, che ne costituisce l'autonomo ed esclusivo titolo.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato. Con l'atto di intervento, e con la successiva memoria, si deduce: che l'osservanza degli obblighi previdenziali non é considerata dalla legge quale condizione per la legittimità dell'esercizio professionale; che la previsione di un requisito minimo temporale di contribuzione, d'altronde ricorrente nei sistemi previdenziali mutualistici, é giustificata, al pari della (ridotta) misura del supplemento di pensione, dalla circostanza che il beneficiario già gode di una pensione, tanto più che manca un diretto nesso di corrispettività fra contributi e prestazioni; che, a voler prescindere dalla scarsa rilevanza della questione di violazione dell'art. 38 in una controversia concernente gli obblighi previdenziali e non già il trattamento pensionistico, e a voler considerare la denuncia come (ammissibilmente) riferita agli uni e all'altro, in quanto messi in reciproca correlazione, la questione é infondata perché tale correlazione non ricorre in un sistema previdenziale improntato a principi di mutualità e solidarietà; che non é neppure prospettata una ridotta capacità contributiva degli esercenti pensionati.

  1. - Nel corso di quattro analoghi giudizi promossi contro la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, rispettivamente dall'avv. Raffaello Torricelli e da altri professionisti, e dall'avv. Franco Carresi, il Pretore di Firenze, con altrettante ordinanze di identico contenuto, emesse tre il 25 maggio 1982 (Reg. ord. rispettivamente n. 5, n. 6 e n. 7 del 1983) e una il 27 maggio 1982 (Reg. ord. n. 731/1982), ha sollevato, su iniziativa degli istanti, questione di illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma ottavo e del suddetto art. 10, comma terzo della stessa legge n. 576 del 1980, per contrasto con gli artt. 3, comma secondo e 38 Cost.; dell'art. 10, comma primo, lett. b e dell'art. 2, commi secondo e quinto della stessa legge per contrasto con l'art. 3 Cost. (prime tre ordinanze); dall'art. 26 della stessa legge per contrasto con l'art. 3 Cost. (prime tre ordinanze).

Quanto alla prima questione, sono racchiuse nella motivazione osservazioni analoghe a quelle svolte nell'ordinanza del Pretore di Bari del 23 settembre 1981 (Reg. ord. n. 751/1981)sopra richiamata.

Quanto alla seconda questione, il Pretore ha osservato che le norme impugnate determinano una disparità di trattamento a carico dei professionisti produttori di redditi professionali eccedenti la fascia dei 40 milioni, perché la prima delle due norme impugnate stabilisce che anche su tale reddito vanno versati contributi previdenziali, sia pure in misura ridotta, mentre la seconda norma impugnata prescrive che la pensione sia commisurata ai soli redditi professionali rientranti nella fascia stessa.

Quanto alla terza questione il Pretore ha premesso che la norma impugnata rende applicabile il (più favorevole) trattamento pensionistico introdotto con la stessa legge n. 576 del 1980 (maturazione della pensione al compimento di 30 anni di anzianità contributiva e calcolo di essa sulla base della media decennale più elevata dei redditi professionali risultanti dalle dichiarazioni IRPEF negli ultimi quindici anni) solo a decorrere dal 1 gennaio del secondo anno successivo alla entrata in vigore della legge. Ha quindi osservato che la norma impugnata determina in tal modo una disparità di trattamento a carico dei pensionati anteriormente alla suddetta data, ai quali - poiché la pensione maturava secondo la legislazione anteriore (art. 8, lett. b), legge 22 luglio 1975, n. 319) al compimento dei soli 25 anni di anzianità contributiva - non era stato e non é possibile avvalersi di ben cinque anni, anzi degli ultimi cinque anni - che sono presumibilmente i più redditizi - ai fini del calcolo della pensione.

Nel giudizio davanti a questa Corte relativo all'ordinanza resa nelle cause promosse contro la Cassa dall'avv. Torricelli e da altri (Reg. ord. n. 5 del 1983) e dall'avv. Cardoso (Reg.ord. n. 6 del 1983) si sono costituiti gli istanti. Con gli atti di costituzione e con le successive memorie, premesso che nel sistema previdenziale forense introdotto con la legge n. 576 del 1980, informato al criterio della "ripartizione" (anziché, come il precedente, a quello della "capitalizzazione"), gli aspetti di "mutualità" sono circoscritti alle contribuzioni "a fondo perduto" (recte: integrative) previste dall'art. 11 della legge, si osserva che la normativa impugnata attua in pari tempo: a) una disparità di trattamento fra esercenti la professione a carico degli esercenti pensionati, per essere questi sottoposti all'intera contribuzione a fronte di un trattamento pensionistico (ulteriore) dimezzato; b) una intrinseca irrazionalità, per essere i detti pensionati per un verso autorizzati a continuare l'esercizio professionale anche in relazione alla irrisorietà della pensione già in godimento e per altro verso penalizzati dalla riduzione di trattamento pensionistico; c) una manifesta violazione dell'art. 38 Cost. per l'inadeguatezza del sistema, considerato nell'insieme delle cennate previsioni, rispetto ai fini previdenziali posti dal precetto costituzionale. Si ribadiscono, altresì, le censure di disparità di trattamento a carico dei pensionati secondo la disciplina previgente e a carico degli esercenti la professione (sia pensionati che non pensionati) produttori di redditi professionali eccedenti i 40 milioni, sottolineandosi a quest'ultimo proposito che i soli contributi versati su tale prima fascia hanno natura previdenziale, come sarebbe dimostrato dalla loro deducibilità dal reddito dichiarato ai fini dell'IRPEF, mentre quelli versati sulla fascia eccedente sono a fondo perduto e non giustificati da alcun fine mutualistico.

Nei giudizi relativi alle ordinanze rese nelle controversie promosse dall'avv. Torricelli e altri, dall'avv. Cardoso e dall'avv. Fabbrini si é costituita la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori. Con l'atto di costituzione essa ha osservato: che gli obblighi previdenziali posti a carico degli esercenti pensionati, obblighi peraltro attenuati dalla legge n. 175/83, sono comunque giustificati dal principio di mutualità, mentre la ridotta misura del supplemento é correlata alla ridotta base di calcolo (i redditi professionali del quinquennio); che l'assoggettamento a contribuzione (per gli esercenti sia pensionati che non pensionati) dei redditi eccedenti la fascia dei 40 milioni, pur in presenza della limitazione della base di calcolo della pensione ai soli redditi rientranti in tale fascia, é giustificato anche esso dal principio di mutualità, non attenuato e anzi esaltato dal sistema della "ripartizione" introdotto dalla legge n. 576 del 1980; che la detta legge, con l'art. 26, ha regolato il passaggio dal vigore della legge preesistente al proprio vigore, fissando a tal fine com'era inevitabile, un momento del tempo, ma tenendo conto dei rapporti in corso, e anzi ha ammesso, con l'art. 28, che coloro i quali avevano maturato il diritto a pensione prima di quel momento optassero, entro un dato termine, per la nuova disciplina.

Nei giudizi relativi a tutte le quattro ordinanze del Pretore di Firenze é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Con gli atti di intervento si osserva: che le norme impugnate trovano la loro giustificazione nella discrezionalità del legislatore, al quale é consentito disciplinare variamente tanto gli ordinamenti previdenziali, quanto le varie situazioni tipiche all'interno di essi, per il perseguimento dei fini previdenziali ritenuto il migliore possibile e compatibilmente con i mezzi finanziari e organizzativi a disposizione; che, d'altra parte, la mancata corrispondenza fra contributi e pensioni, anche per quel che concerne i redditi professionali eccedenti la fascia dei quaranta milioni, é riferibile ai principi mutualistici e di solidarietà ai quali é informato il sistema previdenziale forense in riferimento anche alle disponibilità finanziarie della Cassa; che la previsione di un trattamento pensionistico più favorevole per i pensionandi secondo la nuova disciplina é resa possibile da calcoli attuariali, ragionevolmente utili solo per il futuro. Conseguentemente si chiede che le questioni siano dichiarate infondate.

  1. - Nel corso di analogo giudizio promosso contro la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori dall'avv. Federico Setti il Pretore di Milano, con ordinanza del 2 luglio 1982 (Reg. ord. n. 671 del 1982), ha sollevato, su iniziativa dell'istante, questione di illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980,"e di ogni altra norma a essa collegata", per contrasto con gli artt. 3, 4, 18 e 38 Cost.. Nell'ordinanza di rimessione si osserva: che la normativa impugnata, in quanto da un lato sottopone gli iscritti, a qualunque età avvenga l'iscrizione, agli obblighi previdenziali, e dall'altro esclude il conseguimento della pensione di inabilità e dalla pensione di invalidità da parte degli iscritti ultraquarantenni e subordina il conseguimento della pensione di vecchiaia e di anzianità a requisiti di durata dell'iscrizione e della contribuzione difficilmente realizzabili per gli iscritti in età avanzata, pone questi ultimi fuori dal collegamento che deve intercorrere fra obblighi e benefici previdenziali, e comunque, in una condizione sfavorevole; che ciò non trova giustificazione nel sistema della legge perché é questa, prevedendo la restituzione dei contributi a favore degli iscritti che cessano dall'iscrizione senza avere maturato il diritto alla pensione (art. 21), mostra di non avere abbandonato il criterio del collegamento funzionale fra contributi e pensione; che quanto sopra non trova giustificazione neppure nella funzione di mutualità, la quale anzi impone che nessun iscritto sia escluso dai benefici previdenziali, né nella funzione di solidarietà, la quale é già assolta in parte col versamento del contributo integrativo di cui all'art. 11 della legge; che pertanto la normativa impugnata realizza in pari tempo: una irragionevole sperequazione in danno degli iscritti in età avanzata; un ostacolo al libero svolgimento, per essi, del lavoro professionale; una compressione della libertà di associazione non giustificata, per essi, dal raggiungimento dei fini della previdenza.

Davanti a questa Corte si é costituito l'avv. Setti, il quale, con l'atto di costituzione e con la successiva memoria, ha ribadito le ragioni della denunciata incostituzionalità

Si é costituita anche la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, la quale, con l'atto di costituzione e con la successiva memoria, richiamandosi a sentenze di questa Corte (n. 62 del 1977, n. 91 del 1972, n. 23 del 1968), ha osservato: che l'esonero solo di alcuni esercenti la professione forense dagli obblighi di iscrizione e contributivi costituirebbe per gli esonerati un ingiustificato privilegio; che non é configurabile alcuna relazione sinallagmatica fra pensione e contributi, i quali hanno natura tributaria; che l'imposizione degli obblighi previdenziali non ferisce l'art. 4 Cost. più che la previsione delle imposte sui redditi di lavoro; che il richiamo alla libertà di associazione é del tutto fuori luogo nella materia.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Con l'atto di intervento si osserva: che l'obbligo per tutti gli esercenti la professione forense di iscriversi alla Cassa e di pagare i contributi é coerente con la struttura e con la funzione degli istituti previdenziali previsti dall'art. 38 Cost., fra i quali é la Cassa, e quindi col cennato precetto costituzionale, nonché con i doveri di solidarietà imposti dall'art. 2 Cost. e quindi anche con quest'ultimo precetto; che é estranea ad ogni sistema previdenziale che sia fondato su principi di mutualità e di solidarietà di gruppo la correlazione sinallagmatica fra contributi e pensioni, al punto tale che é soggetta all'assicurazione di maternità persino la lavoratrice affetta da sterilità assoluta (sentenza Corte cost. n. 91 del 1976). Si chiede pertanto che le questioni di costituzionalità siano dichiarate infondate.

  1. - Nel corso di analogo giudizio promosso contro la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori dall'avv. Ballarini ed altri, il Pretore di Bologna, con ordinanza del 7 ottobre 1982 (Reg. ord. 812 del 1982), ha sollevato, su iniziativa degli istanti, questione di illegittimità costituzionale degli artt. 2, comma sesto, e 10, comma terzo, della legge n. 576 del 1980, per contrasto con gli artt. 3 e 38, comma secondo Cost.. Nell'ordinanza di rimessione si osserva: che la normativa impugnata, in quanto stabilisce a carico dei pensionati per vecchiaia, che continuino a esercitare la professione, la riduzione della pensione a due terzi, pone in danno di detti pensionati una discriminazione irragionevole, perché attribuisce incidenza sulla pensione a un elemento estraneo ai presupposti richiesti per l'acquisto di essa e vulnera il principio secondo il quale il diritto alla pensione, una volta che sia maturato, é intangibile; che la normativa impugnata é difforme anche dalle finalità della previdenza, perché assoggetta agli obblighi previdenziali, senza contropartita adeguata, i detti pensionati, costretti a continuare l'esercizio professionale dall'inadeguatezza della pensione, così aggravando l'inadeguatezza stessa.

Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti alcuni degli istanti. Con l'atto di costituzione e con successiva memoria si ribadiscono le ragioni della denunciata incostituzionalità, sottolineandosi che la riduzione della pensione (sia quella diretta che quella indiretta, operata questa, mediante l'imposizione degli obblighi contributivi), ferisce un diritto già acquistato dai pensionati nel concorso degli elementi costitutivi, e che, avendo i pensionati già soddisfatto i doveri della mutualità, l'ulteriore obbligo contributivo é privo di titolo; che la normativa impugnata, lungi dall'incentivare, disincentiva la realtà tributaria.

Si é costituita anche la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori, la quale, con l'atto di costituzione, ha osservato fra l'altro: che il sistema previdenziale forense "si basa non già su un sinallagma assicurativo, bensì su un principio mutualistico"; che sarebbe contrario al sistema di "ripartizione" adottato dalla legge n. 576 del 1980 - che destina i contributi al sollievo dei professionisti oggi in stato di bisogno - esonerare i pensionati, i quali continuino a esercitare la professione, dai doveri di mutualità verso i "colleghi meno fortunati".

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Con l'atto di costituzione, sulla base di argomenti analoghi a quelli svolti nei giudizi relativi alle ordinanze del Pretore di Firenze, si chiede che le questioni di costituzionalità siano dichiarate infondate.

  1. - Nel corso di analogo giudizio promosso contro la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori dall'avvocato Leopoldo Amorth e altri, il Pretore di Modena, con ordinanza del 22 febbraio 1983 (Reg. ord. n. 442 del 1983) ha sollevato, su iniziativa degli istanti, questione di illegittimità costituzionale dell'art. 10, comma terzo in relazione all'art. 2, comma penultimo, della legge n. 576 del 1980 per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost.. Nell'ordinanza di rimessione si osserva: che la riduzione della pensione a due terzi, disposta dalla normativa impugnata nei confronti dei pensionati che continuino a essere iscritti all'albo é irrazionalmente discriminativa, sia perché collegata a una circostanza estranea e successiva alla fattispecie costitutiva del diritto al trattamento pensionistico (già perfezionata per effetto del versamento dei contributi necessari, col conseguente acquisto intangibile del diritto stesso) e per di più meramente formale (come la pura e semplice iscrizione all'albo professionale), sia perché nel passaggio dalla disciplina previgente alla nuova disciplina introdotta con la legge in esame, é operante nei confronti dei soli pensionati sotto la nuova disciplina; che l'assoggettamento all'obbligo contributivo dei pensionati i quali continuino l'esercizio professionale é del pari irrazionalmente discriminatorio in relazione al limitato ulteriore trattamento pensionistico da essi conseguibile e quindi alla limitata utilizzabilità per essi dei contributi, i quali sono in parte pagati a fondo perduto al di là della ipotesi, che é la sola ammissibile, del contributo integrativo di cui all'art. 11 della legge; che il detto assoggettamento a contribuzione finisce per incidere sulla pensione in godimento, rendendo questa ancor più inadeguata ai bisogni della vita.

Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituita la Cassa nazionale previdenza e assistenza Avvocati e Procuratori. Con l'atto di costituzione e con la successiva memoria: si sostiene la ragionevolezza, per gli esercenti la professione pensionati, sia dell'assoggettamento agli obblighi previdenziali, sia della previsione di un trattamento pensionistico ulteriore differenziato, sia della riduzione della pensione a fronte della percezione di un reddito di lavoro (sentenze di questa Corte nn. 105 del 1963 e 155 del 1969); si contesta la sussistenza di una sostanziale disparità di trattamento fra pensionati secondo la disciplina previgente; si afferma, con argomentazioni analoghe a quelle svolte nel giudizio relativo all'ordinanza del Pretore di Bari 23 settembre 1981 (Reg. ord. n. 751 del 1981), che l'obbligo contributivo trova titolo autonomo nel perdurante l'esercizio professionale.

E intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Con l'atto di costituzione, sulla base di argomentazioni parzialmente analoghe a quelle svolte nei giudizi relativi alle ordinanze del Pretore di Firenze del 25 e del 27 maggio 1982 (Reg. Ord. nn. 5, 6, 7 del 1983 e n. 731 del 1982), si chiede che le questioni di incostituzionalità siano dichiarate infondate.

Considerato in diritto

  1. - Le questioni di cui alle otto ordinanze indicate in epigrafe sono in parte identiche e in parte connesse, giacché tutte concernono la legittimità costituzionale di dati aspetti (alcuni dei quali aventi carattere di centralità) della disciplina della previdenza forense risultanti da disposizioni della legge 20 settembre 1980, n. 576. Pertanto i relativi giudizi vanno riuniti e definiti con unica sentenza.
  2. - Il presupposto di ammissibilità richiesto dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953, che é costituito dalla valutazione della rilevanza delle questioni stesse da parte dei giudici a quibus, può considerarsi realizzato. A tal fine é sufficiente il riferimento fatto nelle ordinanze di rimessione alle fattispecie oggetto del giudizio (anche se per alcune di esse contenuto nel preambolo e limitato alla posizione professionale e previdenziale degli istanti), tenuto conto degli elementi integrativi di diritto enunciati nella motivazione.

Occorre dunque passare all'esame delle questioni di legittimità costituzionale, dando la precedenza a quelle d'ordine generale.

Di alcune delle questioni, a fini di chiarezza di motivazione, é opportuno raggruppare l'enunciazione dei termini per norme impugnate e quella delle soluzioni per norme parametro. Di altre, invece, saranno esposti unitariamente termini e soluzioni.

  1. - Il sistema della previdenza forense risultante dalla legge n. 576 del 1980 viene censurato anzitutto mettendosi a raffronto la massima estensione soggettiva degli obblighi previdenziali e la limitatezza dei benefici previdenziali per alcuni soggetti.

Si premette che, per effetto dell'art. 22, comma primo della legge e delle connesse norme sulla contribuzione, gli obblighi previdenziali gravano in modo incondizionato su tutti gli esercenti con continuità la professione forense.

Si premette altresì che gli artt. 4 e 5 della legge escludono rispettivamente il diritto alla pensione di inabilità e il diritto alla pensione di invalidità per gli iscritti alla Cassa da data successiva al compimento del quarantesimo anno di età, e che gli artt. 2 e 3 della legge subordinano rispettivamente il diritto alla pensione di vecchiaia e il diritto alla pensione di anzianità a condizioni (compimento di un periodo di iscrizione e di assicurazione di almeno trenta anni per la pensione di vecchiaia, e di almeno trentacinque anni per la pensione di anzianità) non realizzabili o difficilmente realizzabili da parte di coloro che siano stati iscritti (eventualmente senza loro colpa o addirittura loro malgrado) in età avanzata.

Si sospetta quindi che l'art. 22, comma primo della legge "e le altre norme a esso collegate" siano in contrasto:

  1. a) con l'art. 3 Cost. in quanto introducono in pari tempo una ingiustificata perequazione (negli obblighi di iscrizione e di contribuzione) fra professionisti di et diversa e una altrettanto ingiustificata sperequazione (nel conseguimento delle prestazioni previdenziali) in danno dei professionisti di età più avanzata; b) con l'art. 4 Cost., in quanto determinano un onere ulteriore a carico del lavoro dei professionisti anziani e così un ostacolo al libero svolgimento di esso;
  2. c) con gli artt. 18 e 38 Cost., in quanto determinano una compressione della libertà associativa non giustificata dal perseguimento di finalità previdenziali, e anzi l'elusione delle dette finalità, le quali, al pari di quelle della mutualità ad esse strumentali, non ammettono che una parte dei mutuati, pur esposti ai rischi e soggetti ai contributi, siano esclusi, già in partenza, dalle relative prestazioni previdenziali (ordinanza del Pretore di Milano 2 luglio 1982).
  3. - Il sistema previdenziale in discorso viene poi contestato in altro suo momento strutturale, mettendosi a raffronto il criterio - dettato dall'art. 10, comma primo, della legge n. 576 del 1980 - di riparto dell'imposizione contributiva fondamentale (cioè del contributo soggettivo dovuto, per effetto del combinato disposto del richiamato art. 10, comma primo e dell'art. 22, comma primo della legge, da ogni iscritto o tenuto a iscriversi alla Cassa di previdenza, e quindi da ogni esercente con continuità la professione forense), e il criterio - stabilito dall'art. 2, commi secondo e quinto, della legge - di calcolo della pensione (di vecchiaia, ma esteso dalle successive disposizioni agli altri tipi di pensione).

Si premette che, secondo l'art. 10, comma primo della legge, il contributo soggettivo é calcolato in una percentuale del reddito professionale, e cioé, (con gradualità decrescente) nella misura del dieci per cento per la fascia di reddito fino a quaranta milioni, e nella misura del tre per cento per il reddito eccedente.

Si premette altresì che, secondo l'art. 2, commi secondo e quinto della legge, la media dei redditi cui va commisurata la pensione (art. 2, comma primo della legge) va calcolata soltanto sui redditi rientranti nella prima fascia.

Si prospetta quindi la tesi che la cennata disciplina sia in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto introduce una sperequazione in danno dei produttori di redditi professionali superiori ai 40 milioni: produttori costretti a versare, per la fascia eccedente, contributi senza un corrispondente aumento della pensione (vale a dire senza causa o a fondo perduto), o, se si vuole, esposti a percepire una pensione non proporzionata (cioè sproporzionata per difetto) ai contributi versati (ordinanze del Pretore di Firenze del 25 maggio 1982).

  1. - Altre contestazioni vengono mosse per quanto concerne il trattamento previdenziale di coloro che, avendo conseguito nella previdenza forense la pensione di vecchiaia, continuino a esercitare la professione legale. Si ipotizza:
  2. a) che l'obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza fatto ad essi dall'art. 22, comma primo, della legge, con conseguente obbligo della contribuzione (artt. 10, comma secondo e 11, comma quarto, della legge), sia in contrasto con gli artt. 3, 33, 35 e 38 Cost. in quanto finisce col porre all'esercizio di una libera professione una condizione ulteriore rispetto a quella che é l'unica costituzionalmente consentita, e cioè il superamento dell'esame di abilitazione (ordinanza del Pretore di Bari del 23 settembre 1981);
  3. b) che l'obbligo della contribuzione fatto ad essi dall'art. 10, comma terzo della legge, messo in relazione con l'ulteriore trattamento pensionistico per essi previsto dall'art. 2, comma ottavo della legge - consistente in un supplemento di pensione liquidabile una sola volta, e per di più subordinato al compimento di un quinquennio di iscrizione e di contribuzione, e ridotto nella misura (perché calcolato sulla metà delle percentuali delle medie dei redditi assunte a base del calcolo della pensione) - dia luogo a contrasto con l'art. 3, comma primo o comma secondo, nonché con l'art. 38 Cost.. Ciò, per un verso, a causa dell'irrazionalità dell'imposizione contributiva e comunque dell'onerosità della contribuzione, avente incidenza negativa sulla pensione in godimento (per sé già inadeguata alle esigenze di vita dei pensionati) e, per altro verso, a causa dell'aleatorietà e restrittività (quanto alle condizioni di acquisto) e della limitatezza (quanto alla misura) del trattamento pensionistico ulteriore: fattori entrambi di scorrelazione fra contributi e prestazioni pensionistiche (ordinanza del Pretore di Bari 23 settembre 1981; ordinanze del Pretore di Firenze del 25 maggio 1982; ordinanza del Pretore di Firenze 27 maggio 1982; ordinanza del Pretore di Bologna 4 ottobre 1982; ordinanza del Pretore di Modena 22 febbraio 1983);
  4. c) che la riduzione a due terzi della pensione di vecchiaia in godimento prevista per essi dall'art. 2, comma sesto della legge, oltre ai profili di illegittimità per contrasto con l'art. 3 Cost. come sopra denunciati a carico dell'art. 10, comma terzo della legge (ord. Pretore di Bologna 4 ottobre 1982), ne presenti uno particolare o più accentuato. Ciò in quanto introdurrebbe fra pensionati una distinzione sulla base di un elemento (la continuazione dell'esercizio professionale) non compreso fra quelli costitutivi del diritto a pensione (l'anzianità contributiva e l'età pensionabile), concorrendo i quali il diritto stesso deve ritenersi acquisito intangibilmente (ordinanze del Pretore di Bologna 4 ottobre 1982 e del Pretore di Modena 22 febbraio 1983), anzi sulla base di un elemento meramente formale, qual é l'inscrizione all'Albo (ordinanza del Pretore di Modena 22 febbraio 1983).
  5. - Per la soluzione delle questioni poste é necessario darsi carico della tipologia dei sistemi previdenziali e della collocazione in essa della previdenza forense.

Come é noto, l'organizzazione giuridica della previdenza sociale presenta, sia con riguardo a categorie diverse, sia con riguardo alla stessa categoria in tempi diversi, una sensibile varietà di sistemi. Ciò implica qualche ostacolo all'individuazione dei tipi tanto in relazione alla irripetibile individualità di ogni sistema (sentenze Corte cost. n. 91 del 1972 e n. 62 del 1977), quanto in relazione alla gradualità con la quale, in questa materia, gli stessi tipi sono realizzati mediante soluzioni intermedie (sentenze Corte cost. n. 65 del 1979 e n. 128 del 1973).

Con riferimento all'esperienza italiana é tuttavia possibile enucleare due tipi, ai quali i singoli sistemi possono ricondursi: quello, prevalso soprattutto in passato, definibile come "mutualistico" e quello, che tende a prevalere nel presente momento storico, definibile come "solidaristico".

Il primo tipo é caratterizzato, per un verso, dalla riferibilità dell'assunzione dei fini e degli oneri previdenziali all'esigenza della divisione del rischio fra gli esposti e quindi dalla corrispondenza fra rischio e contribuzione, e, per altro verso, da una rigorosa proporzionalità fra contributi e prestazioni previdenziali. É ravvisabile nei sistemi di tale primo tipo, particolarmente in riferimento alla cennata proporzionalità, l'influenza del modello dell'assicurazione privata e del relativo nesso sinallagmatico fra premi e indenità o rendite.

Il tipo di previdenza solidaristico é invece caratterizzato, per un verso, dalla riferibilità dell'assunzione dei fini e degli oneri previdenziali, anziché alla divisione del rischio fra gli esposti, a principi di solidarietà, operanti all'interno di una categoria, con conseguente non corrispondenza fra rischio e contribuzione (cfr. sent. n. 91 del 1976 in materia di assicurazione della maternità a proposito delle lavoratrici sterili) e, per altro verso, dalla irrilevanza della proporzionalità fra contributi e prestazioni previdenziali. Qui i contributi vengono in considerazione, in ragione del prelievo fra tutti gli appartenenti alla categoria secondo la loro capacità contributiva, unicamente quale strumento finanziario della previdenza, mentre le prestazioni sono proporzionate soltanto allo stato di bisogno (sia esso considerato eguale o no per tutti i soggetti). É ravvisabile in tale secondo tipo l'influenza del modello della sicurezza sociale, per eccellenza informato a principi di solidarietà operanti direttamente nei confronti dei membri della collettività generale, ma sempre secondo il criterio della capacità contributiva.

Ora, sebbene la gradualità nella realizzazione di un tipo, importi qualche parallela difficoltà anche nella qualificazione tipologica del singolo sistema considerato, tuttavia la qualificazione é consentita alla stregua dei caratteri prevalenti del sistema.

E, per quanto concerne il sistema previdenziale forense, essa é stata operata dalla sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, la quale, anche se in riferimento alla disciplina recata dalla previgente legge 22 luglio 1975, n. 319, ha ricondotto il sistema in argomento al tipo solidaristico e ne ha affermato in tal modo la rispondenza agli artt. 2 e 38 Cost..

  1. - In particolare é stato rilevato, con la detta sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, che il sistema ha abbandonato la tecnica (propria del tipo "mutualistico") dell'accreditamento dei contributi in conti individuali per far luogo a una gestione collettiva dei contributi stessi, ed ha abbandonato altresì il connesso criterio della proporzionalità delle pensioni ai contributi per far luogo a un trattamento pensionistico di categoria che rientra, quanto ai mezzi e ai fini, "nel quadro generale dell'adempimento dei doveri di solidarietà cui si richiama l'art. 2 Cost.".

E ne é stata tratta la conclusione che "la Cassa nazionale di previdenza e assistenza degli Avvocati e Procuratori risponde a questi fini generali nell'ambito della categoria, sicché per essa resta superato il concetto stesso di semplice mutualità per espandersi, appunto, in quello di previdenza" (vale a dire: di solidarietà nella previdenza). Conclusione che trova riscontro là dove la stessa sentenza, richiamandosi alle precedenti sentenze n. 91 del 1972 e n. 23 del 1968, definisce come "tributaria" la natura della contribuzione previdenziale(almeno con riguardo al contributo "personale" - ora "soggettivo" - che ne costituisce l'elemento qualificante).

  1. - La qualificazione e la valutazione positiva del sistema allora operate vanno tenute ferme, nonostante che spesso (e anche in taluni scritti difensivi prodotti nei presenti giudizi)i concetti di mutualità e di solidarietà siano promiscuamente adoperati.

Non importa indugiare sulla ipotesi che l'uso sia dovuto a vischiosità concettuale ovvero ad apparente o a reale sopravvivenza di elementi mutualistici in sistemi previdenziali di tipo solidaristico, sopravvivenza che, anche se reale, sarebbe comunque priva di significanza in presenza della qualificazione tipologica del sistema così operata sulla base dei suoi caratteri prevalenti.

Importa piuttosto negare risolutamente che la previdenza forense, e così del resto le altre previdenze concernenti professioni intellettuali, possano qualificarsi di tipo mutualistico per essere organizzate sulla base del riferimento a date categorie professionali e alle rispettive attività tipiche, e secondo un criterio di accentuata autonomia strutturale e finanziaria sia reciproca che rispetto all'assicurazione generale obbligatoria e alle previdenze dell'impiego pubblico.

Invero si tratta di scelte che sono compatibili con l'idea di solidarietà, e che anzi ne rappresentano una specificazione, giustificata dal pluralismo che informa il nostro ordinamento: pluralismo che ammette solidarietà operanti nell'ambito di collettività minori.

  1. - La qualificazione e la valutazione, allora formulate per il sistema quale risulta dalla legge n. 319 del 1975, non hanno ragione di mutare per il sistema quale risulta dalla vigente legge n. 576 del 1980, non essendo motivo idoneo a far ritenere che con quest'ultima legge il sistema sia stato rimodellato, almeno in parte, sul tipo mutualistico o addirittura sullo schema proprio dell'assicurazione privata.

Non é decisiva, infatti, la restituzione dei contributi disposta, peraltro con i soli interessi legali, a favore degli iscritti che non abbiano maturato il diritto a pensione (art. 21, legge n. 576 del 1980), perché essa non implica necessariamente la corrispettività fra contributi e pensioni, ma soltanto una particolare configurazione dei doveri di solidarietà posti comunque a carico di tutti gli iscritti.

Né é decisiva la sostituzione, a una pensione eguale per tutti nell'ammontare, di una pensione "retributiva", cioé commisurata a una certa media dell'ammontare degli ultimi redditi professionali, giacché con tale criterio (accolto del resto anche nell'assicurazione generale obbligatoria), la pensione non é stata resa proporzionale o addirittura corrispettiva ai contributi, ma é stata adeguata allo stato di bisogno, a sua volta non più considerato astrattamente "eguale", ma qualificato in concreto dal reddito professionale venuto meno, e, per questa via, dal lavoro svolto.

Mentre é addirittura irrilevante la sostituzione, per quanto concerne il prelievo e la destinazione dei contributi, al criterio della "capitalizzazione", (secondo il quale la contribuzione é prelevata oggi in vista dell'erogazione delle pensioni, e quindi dei bisogni, di domani), del criterio della "ripartizione" (secondo il quale la contribuzione é prelevata oggi per sopperire all'erogazione delle pensioni, e quindi ai bisogni, di oggi). Ché anzi il nuovo criterio é del tutto difforme dallo schema della corrispettività e del tutto conforme al principio di solidarietà, in quanto elimina ogni collegamento fra contributi versati e pensioni percepite dagli stessi soggetti, anche se considerati collettivamente (come dalla legge n. 319 del 1975).

  1. - Dopo quanto fino ad ora osservato circa la qualificazione tipologica del sistema e circa la rispondenza del tipo cui esso appartiene ai principi espressi negli artt. 2 e 38 Cost., appare chiaro che é vano tanto addebitare al sistema stesso di non adeguarsi ad altri tipi e ai rispettivi modi di essere, quanto rappresentare come operazioni normative discriminatorie e/o arbitrarie quelli che sono momenti strutturali o modalità applicative di esso riferibili a modi di essere del tipo di appartenenza. Critiche del genere (non meno di quelle di inadeguatezza del sistema a perseguire i fini della previdenza, che vengano mosse senza darsi carico della inevitabile gradualità con la quale tali fini vengono realizzati e della correlativa modulazione del trattamento: cfr. sent. di questa Corte n. 65 del 1979) corrono il rischio di arenarsi sulle secche della insindacabilità delle scelte di politica sociale operate dal legislatore.

Ciò naturalmente non importa ritenere che é precluso a questa Corte il sindacato di ragionevolezza sull'esercizio della discrezionalità che alle dette scelte presiede. Importa soltanto ritenere che é più conducente orientare il sindacato stesso alla verifica della coerenza interna del sistema, cioè della congruenza fra i singoli strumenti giuridici adottati e i fini specificamente perseguiti, (per fini intendendosi la misura qualitativa e quantitativa degli obbiettivi di fondo della previdenza che il legislatore si é determinato a realizzare), nonché della conformità dei detti strumenti ai principi e ai criteri cardine assunti. Principi e criteri cardine i quali, nel caso del tipo solidaristico, sono costituiti, per quanto concerne l'attribuzione e distribuzione degli oneri previdenziali, dall'adeguamento alla capacità contributiva e, per quanto concerne l'attribuzione e la distribuzione dei benefici previdenziali, dall'adeguamento allo stato di bisogno.

  1. - Se così é, perdono consistenza tutte le censure sopra riportate nei numeri dal 3 al 5, relative alla violazione del principio di eguaglianza sotto i profili della irragionevolezza e della disparità di trattamento. Infatti esse poggiavano sul presupposto che ogni corretto sistema presenti il requisito della (pari) proporzionalità, per ogni soggetto o classe di soggetti appartenente alla categoria protetta, fra costi e benefici della tutela, vale a dire fra oneri contributivi e trattamento pensionistico. E solo in relazione a tale presupposto sono dirette a rappresentare la mancanza del requisito stesso come vizio di legittimità del sistema previdenziale forense (quale risulta dalla legge n. 576 del 1980) per violazione del principio di eguaglianza. Una volta stabilito che il requisito é soltanto un modo di essere proprio del tipo mutualistico e che, viceversa, l'abbandono di esso é un modo di essere proprio del tipo solidaristico (cui il sistema in argomento si adegua), le censure stesse mostrano tutta la loro fragilità.

Tanto va detto delle censure riportate al n. 3, lett. a) e, in parte qua, lett. c) concernenti la contrapposizione, operata dalle ordinanze di rimessione, fra il carattere assoluto e gravoso degli obblighi previdenziali imposti e quello condizionato e limitato dei benefici previdenziali perseguibili dai professionisti iscritti in età avanzata.

Tanto va ritenuto altresì della censura riportata al n. 4, concernente l'asserita sperequazione in danno dei produttori di redditi professionali superiori ai 40 milioni, costretti a versare, per la fascia eccedente, contributi ai quali non corrisponde un aumento della pensione.

Ma altrettanto va affermato delle censure riportate al numero 5, lett. a), e, in parte qua, lett. b), concernenti la contrapposizione, operata dalle ordinanze di rimessione, fra l'assolutezza e gravosità degli obblighi previdenziali imposti e l'aleatorietà e ristrettezza dei benefici previdenziali perseguibili dai pensionati per vecchiaia che continuino a esercitare la professione forense rimanendo iscritti all'albo.

E altrettanto, infine, va riconosciuto delle censure riportate al n. 5, lett. c), relative all'ulteriore condizione di sfavore fatta ai suddetti pensionati mediante la riduzione della pensione a due terzi. Ciò anche per quel che concerne la asserita incongruenza di una riduzione disposta per cause diverse degli elementi costitutivi del diritto: la protestata intangibilità di esso é infatti collegata all'idea della proporzionalità fra pensione e contributi versati.

Valgono per tali censure, e vanno pertanto ribadite e anzi riformulate in termini più generali, le conclusioni raggiunte dalla sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, secondo le quali "l'assunto di irrazionalità ai sensi dell'art. 3 Cost. del sistema vigente" (della previdenza forense, risultante dalla legge n. 319 del 1975 e, ora, dalla legge n. 576 del 1980) "per mancata proporzionale corrispondenza tra oneri personali contributivi e misura della pensione, non é accoglibile".

  1. - In positivo é peraltro giustificato nell'ottica solidaristica:
  2. a) Porre la contribuzione (annua) a carico di tutti gli esercenti con continuità la professione e proporzionarla nella misura al reddito professionale (annuo), correlandola così alla capacità contributiva generica (desunta dall'esercizio professionale) e specifica (desunta dal reddito dichiarato ai fini dell'IRPEF), e non già ai benefici previdenziali conseguibili in futuro da ciascun esercente o gruppo di esercenti. E correlare invece tali benefici, nelle condizioni di acquisto, agli specifici fini previdenziali insindacabilmente assunti dal legislatore sulla base della valutazione dei presupposti e delle disponibilità finanziarie, e, nella misura, allo stato di bisogno;
  3. b) Applicare analoghi criteri, per quanto concerne l'imposizione contributiva, ai pensionati che continuino a esercitare la professione rimanendo iscritti all'albo. Non é irrazionale ravvisare anche per essi nell'esercizio professionale un segno della capacità contributiva, né presumere l'effettivo esercizio sulla base dell'iscrizione all'albo. Né si vede perché la solidarietà' contributiva dei pensionati stessi dovrebbe essere "già assolta in parte" (ordinanza del Pretore di Milano) mediante il versamento del contributo integrativo di cui all'art. 11 della legge n. 576 del 1980 (a prescindere dal fatto che, essendo ripetibile, tale contributo finisce per gravare su soggetti estranei alla categoria professionale e quindi non astretti dalla relativa solidarietà, non é esatto che soltanto esso, e non anche quello soggettivo, sia disancorato dalla corrispettività con la pensione);
  4. c) Ridurre la misura della pensione in godimento nei confronti dei pensionati predetti, assumendosi la continuazione dell'esercizio professionale non soltanto come segno di capacità contributiva, ma anche come sintomo di attenuazione dello stato di bisogno. Un criterio del genere, peraltro, ricorre anche nell'assicurazione generale obbligatoria (cfr. sentenza di questa Corte n. 155 del 1969).
  5. - Più breve motivazione é sufficiente a dimostrare che sono infondate le censure prospettate nei numeri dal 3 al 5 in riferimento alla violazione di altri precetti costituzionali.

Così la censura concernente l'incidenza negativa della caratteristica strutturale del sistema (mancata correlazione per i singoli iscritti fra oneri e vantaggi), per l'asserito suo effetto disincentivante sulla libertà di lavoro dei professionisti più anziani, con conseguente violazione dell'art. 4 Cost. (n. 3, lett. b). L'addebito é stato già disatteso da questa Corte con la sentenza n. 62 del 1977.

E appena il caso di aggiungere che particolari circostanze di fatto soggettive, in relazione a qualunque normativa, possono sempre rendere difficile la scelta di un certo tipo di lavoro sotto il profilo della convenienza economica (si pensi all'ipotesi di carriere impiegatizie nelle quali l'ingresso tardivo precluda il raggiungimento di dati traguardi), senza che per questo la libertà della scelta sia esclusa o compressa. E naturalmente il discorso può valere anche per i professionisti pensionati per vecchiaia.

Così la censura concernente l'incidenza negativa della cennata caratteristica sulla libertà di associazione, per mancato perseguimento dei fini previdenziali (che soli potrebbero giustificarla) con violazione degli artt. 18 e 38 Cost. (n. 3 lett. c). La censura é diretta a contestare l'adeguatezza del sistema stesso valutandola non già, ammissibilmente, rispetto ai soli fini di attuazione dell'art. 38 Cost. assunti in concreto dal legislatore in relazione alla situazione socio-economica nella e sulla quale esso é chiamato a operare (sentenze di questa Corte n. 65 del 1979 e n. 128 del 1973 citate), bensì, inammissibilmente, in relazione all'integrale realizzazione degli obiettivi del precetto costituzionale considerati nella loro virtuale ampiezza.

Così ancora le censure concernenti l'assoggettamento dell'esercizio professionale, per i pensionati, a una condizione ulteriore rispetto a quella dell'esame di abilitazione prevista dall'art. 33 Cost., con conseguente violazione di tale precetto, nonché di quelli racchiusi negli artt. 35 e 38 Cost. (n. 5, lett. a). Tali censure urtano contro l'ovvia constatazione che gli obblighi previdenziali sono considerati dalla legge non già come presupposto condizionante la legittimità dell'esercizio professionale, bensì come conseguenza del presupposto dell'imposizione contributiva, che é costituito da tale esercizio.

- Vanno, infine, considerate distintamente le censure dirette contro la regolamentazione della decorrenza (vale a dire dei termini soggettivi di operatività nel tempo) della disciplina pensionistica introdotta con la legge n. 576 del 1980, disciplina che per effetto dell'art. 26 della legge stessa é applicabile alle pensioni (di vecchiaia e di anzianità) maturate dal 1 gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, laddove per le pensioni (di vecchiaia) maturate anteriormente alla detta data é applicabile la disciplina previgente.

 

Si prospetta con tali censure la violazione dell'art. 3 Cost. sotto due diversi (e in un certo senso contrapposti) profili, sostenendosi:

  1. a) che la regolamentazione sembra determinare una sperequazione ingiustificata in danno dei pensionati secondo la disciplina previgente, per i quali, essendo il requisito dell'anzianità di iscrizione maturato al compimento dei venticinque anni (art. 8, lett. b, legge 22 luglio 1975, n. 319) anziché al compimento dei trenta anni, come per la nuova disciplina, sarebbe ridotta di cinque anni - e per di più degli anni più recenti, da ritenere quelli produttivi di maggior reddito - la base di calcolo della pensione, assunta dall'art. 2 della nuova legge nella media dei redditi professionali più elevati nell'ambito dell'ultimo periodo (ordinanze del Pretore di Firenze del 25 maggio 1982);
  2. b) che la regolamentazione sembra determinare una sperequazione ingiustificata in danno dei pensionati secondo la nuova disciplina, per i quali soltanto, nel caso di continuazione dell'esercizio professionale anzi di mera iscrizione all'albo, sarebbe operante la riduzione della pensione a due terzi (ordinanza del Pretore di Modena 22 febbraio 1983).

Entrambi i profili sono privi di fondamento: Quanto al primo (sub a) é da osservare che la censura non sembra tener conto adeguato della facoltà dei pensionati secondo la disciplina previgente di chiedere la riliquidazione secondo l'art. 28 della legge n. 576 del 1980, facoltà che costituisce per se stessa notevole strumento perequativo fra pensionati prima e pensionati dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina.

In ogni caso l'oggetto della censura stessa si riduce a ciò, che la legge ha innovato la disciplina previgente aumentando la durata minima dell'anzianità contributiva richiesta per il pensionamento e che la legge stessa ha fissato una data per il trapasso dalla disciplina previgente a quella nuova. Ma l'innovazione in sé non é irrazionale, mentre la fissazione di un momento temporale di decorrenza é inevitabile nel caso di qualunque modificazione normativa.

Quanto al secondo (sub b), é da considerare, oltre a quanto é stato osservato or ora circa l'inevitabilità di una cesura temporale fra applicabilità della disciplina previgente e applicabilità di quella nuova, che non può vietarsi al legislatore di valutare più rigorosamente, nel quadro di un riassetto della disciplina forense, il sintomo di attenuazione dello stato di bisogno costituito, secondo quanto sopra affermato, dalla continuazione dell'esercizio professionale, né di presumere tale continuazione sulla base dell'iscrizione all'albo.

In ogni caso l'oggetto della censura si riduce a ciò, che con la nuova disciplina sarebbe modificato in peius il regime del pensionamento per gli iscritti non ancora pensionati al momento di decorrenza di essa. Ma una volta stabilito che il sistema previdenziale introdotto con la legge n. 576 del 1980, senza che con questo sia ferito alcun principio onnivalido della previdenza sociale, é disancorato (come del resto era almeno in parte lo stesso sistema introdotto con legge n. 319 del 1975) dalla corrispondenza fra contributi e pensioni, ne discende che non é configurabile un diritto dell'iscritto all'intangibilità del trattamento pensionistico vigente al momento in cui ebbe inizio la iscrizione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi relativi alle ordinanze indicate in epigrafe, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 sollevate, in riferimento agli artt. 3, cpv., 31, 33, 35 e 38 Cost., dall'ordinanza del Pretore di Bari del 23 settembre 1981;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma ottavo, e 10, comma terzo della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento agli artt. 3, comma secondo, e 38 Cost., dalle tre ordinanze del Pretore di Firenze del 25 maggio 1982 (Reg. ord. n. 5, n. 6 e n. 7 del 1983), e dall'ordinanza del Pretore di Firenze del 27 maggio 1982; nonché le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, comma primo, lett. b, e 2, commi secondo e quinto, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., dalle tre ordinanze del Pretore di Firenze 25 maggio 1982; nonché le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., dalle tre ordinanze del Pretore di Firenze del 25 maggio 1982;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22, comma primo, della legge 20 settembre 1980, n. 576 "e di ogni altra norma a essa collegata", sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 18 e 38 Cost. dall'ordinanza del Pretore di Milano del 2 luglio 1982;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma sesto e 10, comma terzo, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38, comma secondo Cost., dall'ordinanza del Pretore di Bologna del 7 ottobre 1982;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, comma terzo, e 2, comma penultimo, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dall'ordinanza del Pretore di Modena del 22 febbraio 1983.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1984.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

Depositata in cancelleria il 4 maggio 1984.