SENTENZA N. 39
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 124, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, giudice unico delle pensioni, nel procedimento instaurato da D. R. e L. G. nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e del Ministero della difesa, con ordinanza del 19 agosto 2016, iscritta al n. 254 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di D. R. e L. G. e dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato Alessandra Polonio per D. R. e L. G., l’avvocato Antonino Sgroi per l’INPS e l’avvocato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 19 agosto 2016, iscritta al n. 254 del registro ordinanze 2016, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 124, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).
1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere sul ricorso di D. R. e L. G., dipendenti dell’Aeronautica militare in pensione, che hanno chiesto, con riguardo alla posizione assicurativa costituita presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), di beneficiare della maggiorazione di un terzo prevista dall’art. 20 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per il periodo di servizio di volo prestato alle dipendenze dell’Aeronautica militare.
Per effetto dell’art. 124, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, applicabile ratione temporis e ora abrogato dall’art. 12-undecies del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, i ricorrenti risultano titolari di una posizione assicurativa presso l’INPS, costituita a favore di chi sia cessato dal servizio «senza aver acquistato il diritto a pensione per mancanza della necessaria anzianità di servizio» e commisurata al periodo di servizio prestato.
1.2.– Il giudice a quo ha disatteso le eccezioni formulate dall’INPS in linea preliminare.
Non sarebbe fondata l’eccezione di carenza di interesse ad agire dei ricorrenti. Il diniego di applicare la maggiorazione per un determinato periodo di servizio renderebbe attuale, anche a prescindere dal pensionamento, l’interesse a ottenere una corretta informazione sulla consistenza del credito contributivo.
Non sarebbe fondata neppure «l’eccezione di inammissibilità delle domande attoree, basata sulla previsione di cui alla lettera b dell’art. 71 del R.D. n° 1038/1933», che non ammetteva la proposizione di «domande sulle quali non siasi provveduto in sede amministrativa». Sarebbero state prodotte in causa le istanze presentate dai ricorrenti all’INPS e poi inoltrate all’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) e al Ministero della difesa.
Il rimettente evidenzia che il ricorso è stato proposto in riassunzione, in séguito alla sentenza della Corte dei conti, sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, 22 luglio 2014, n. 996, che ha affermato la giurisdizione del giudice contabile, negata dal giudice di primo grado a favore del giudice ordinario. La riforma della sentenza che ha declinato la giurisdizione avrebbe travolto anche la declaratoria di carenza di legittimazione passiva del Ministero della difesa, pronunciata dal giudice di primo grado, e la declaratoria del difetto di giurisdizione avrebbe priorità logica rispetto al profilo della legittimazione passiva, «di cui ha senso disquisire soltanto allorché una domanda sia stata proposta dinanzi al giudice munito di giurisdizione».
Nel merito, il rimettente osserva che le sezioni riunite della Corte dei conti, nelle sentenze n. 8 del 27 maggio 2011 e n. 11 del 21 giugno 2011, hanno chiarito che per servizio prestato si deve intendere il servizio effettivo. Ne consegue che la maggiorazione per il periodo di servizio di volo spetterebbe ai soli militari che cessino dal servizio «avendo maturato il diritto alla pensione» e sarebbe esclusa per i ricorrenti nel giudizio principale, che non avevano ancora conseguito il diritto alla pensione al momento della cessazione dal servizio.
Sulla scorta di tali premesse, il giudice a quo ritiene rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 124, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, sul presupposto che l’interpretazione accreditata dal diritto vivente conduca al rigetto del ricorso.
1.3.– Il rimettente assume che la disciplina in esame si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost.
La disposizione censurata, nell’escludere la maggiorazione del servizio di volo a danno dei militari che cessino dal servizio senza aver conseguito il diritto alla pensione, comporterebbe «un’ingiustificata penalizzazione retroattiva», sprovvista di ogni ragione apprezzabile.
Il giudice a quo muove dal presupposto che il servizio di volo, valutato nella posizione assicurativa costituita presso l’INPS, sia «oggettivamente identico», a prescindere dal fatto che il militare maturi o meno il diritto alla pensione al momento della cessazione dal servizio. Sarebbe irragionevole, pertanto, una riqualificazione del medesimo servizio «alla luce di una circostanza successiva allo svolgimento del servizio di volo stesso».
La disparità di trattamento non si potrebbe giustificare come «un premio all’ulteriore permanenza in servizio del militare» o come un mutamento legato al passaggio dei militari dal regime pensionistico pubblico a quello privato.
In ragione di «un analogo contrasto con l’art. 3 della Costituzione», sarebbe stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, con riguardo alla previsione del quinto comma (si richiama la sentenza n. 113 del 2001).
2.– Con atto depositato il 9 gennaio 2017, si sono costituiti nel giudizio incidentale D. R. e L. G., chiedendo di accogliere la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti.
A dire dei ricorrenti nel giudizio principale il beneficio dell’aumento figurativo, concesso a chi presti un servizio gravoso e usurante, «entra a far parte stabilmente dello status previdenziale del lavoratore, quali che siano le vicende successive alla cessazione del servizio militare» e spetta per il solo fatto di aver prestato un determinato servizio.
L’identificazione del servizio prestato con il servizio effettivo vanificherebbe la ratio sottesa al beneficio in esame e implicherebbe, in contrasto con l’art. 3 Cost., un trattamento diseguale per periodi di servizio oggettivamente identici.
Sarebbe violato anche il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, secondo comma, Cost.), in quanto il legislatore avrebbe tradito il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la capacità del lavoratore di esercitare il diritto fondamentale al lavoro. La concessione dei benefici contributivi al solo personale militare che cessi dal servizio con diritto a pensione lederebbe anche il «fondamentale diritto di libertà della persona umana, che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio dell’attività lavorativa».
3.– Si è costituito l’INPS, con atto depositato il 3 gennaio 2017, e ha chiesto di dichiarare irrilevante, inammissibile e comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.
L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione, in quanto irrilevante, sotto un duplice profilo.
Anzitutto, a fronte di contribuzione versata nel settembre 1999, il giudizio sarebbe stato incardinato soltanto il 1° giugno 2011, decorso il termine di prescrizione decennale. Il rimettente non avrebbe esaminato tale aspetto preliminare, decisivo sul versante della rilevanza.
In secondo luogo, il giudice a quo non avrebbe correttamente valutato la portata della sentenza di appello, che ha riformato la decisione di primo grado con esclusivo riguardo al difetto di giurisdizione, senza travolgere la statuizione sulla carenza di legittimazione passiva del Ministero della difesa. Al giudizio principale parteciperebbe solo la parte dichiarata carente di legittimazione passiva, in forza di un accertamento oramai definitivo, e mancherebbe, per contro, il contraddittore necessario, il datore di lavoro, «unico legittimato con riguardo alla domanda di mancato accredito/trasferimento dell’ulteriore quota di contribuzione previdenziale connessa allo svolgimento dell’attività di volo».
Nel merito, la questione non sarebbe fondata.
L’INPS osserva che la fattispecie sottoposta all’odierno vaglio della Corte differisce da quella decisa con la sentenza n. 113 del 2001, riguardante la costituzione della posizione assicurativa per i periodi di studio oggetto di riscatto, e si riallaccia al mutamento di regime dei militari, passati dal regime pensionistico pubblico a quello privato, e al complesso percorso di armonizzazione dei sistemi pensionistici.
L’INPS, da ultimo, sulla scorta delle pronunce rese dalle sezioni giurisdizionali d’appello della Corte dei conti, ha ribadito la legittimità costituzionale della normativa in esame e ha escluso ogni disarmonia con il diritto dell’Unione europea, che demanda al legislatore nazionale la disciplina dei sistemi previdenziali.
4.– Nel giudizio è intervenuto, con atto depositato il 10 gennaio 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti.
L’interveniente ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione per omessa o incompleta motivazione in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza. Il rimettente avrebbe sollevato la questione di legittimità costituzionale al solo scopo di ottenere un avallo dell’interpretazione che predilige, senza neppure ricostruire le motivazioni dell’orientamento consolidato della giurisprudenza contabile.
La questione sarebbe inammissibile anche in ragione dell’incompleta ricostruzione e della mancata ponderazione del quadro normativo di riferimento. Il giudice a quo avrebbe omesso di approfondire la ratio della maggiorazione del servizio di volo e tale lacuna minerebbe il percorso logico che sorregge la valutazione di non manifesta infondatezza.
Come ulteriore ragione di inammissibilità, l’Avvocatura generale dello Stato addebita al rimettente di non avere esplorato un’interpretazione adeguatrice.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata.
La disposizione censurata, che ha il suo antecedente nella legge 2 aprile 1958, n. 322 (Ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell’accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza) e nell’art. 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), contempla la costituzione della posizione assicurativa per i soli periodi caratterizzati dall’effettivo svolgimento del servizio ed esclude la rilevanza delle anzianità meramente figurative, come quelle connesse alla maggiorazione di un terzo del servizio di volo.
Se identico è il servizio di volo prestato da chi abbia acquistato il diritto alla pensione e da chi sia cessato dal servizio senza aver conseguito tale diritto, diversa, tuttavia, è la durata del servizio di volo, che si traduce in una diversa anzianità di servizio e giustifica il trattamento previdenziale differenziato riservato alle due categorie di dipendenti.
Peraltro, il riconoscimento di aumenti figurativi dell’anzianità di servizio a favore di chi rimanga alle dipendenze della pubblica amministrazione sarebbe ispirato a «una logica disincentivante dell’esodo verso il settore privato», volta a valorizzare le peculiari professionalità acquisite all’interno dell’amministrazione.
L’attribuzione del beneficio in esame, lungi dall’atteggiarsi come una penalizzazione retroattiva, sarebbe prevista dalla legge sin dall’origine in vista della cessazione dal servizio. La sentenza n. 113 del 2001, riguardante la diversa fattispecie del riscatto dei periodi di studio, non rileverebbe nel caso in esame.
L’accoglimento della questione, in contrasto con il divieto di doppia valutazione dei servizi a fini contributivi, imporrebbe di valutare il medesimo periodo di servizio nel calcolo dell’indennità una tantum erogata in luogo del trattamento di fine rapporto e, in pari tempo, nel calcolo della pensione e «avrebbe una portata dirompente e gravida di effetti per la finanza pubblica».
5.– In prossimità dell’udienza, le parti costituite e l’interveniente hanno depositato memorie illustrative, confermando le conclusioni già rassegnate.
5.1.– I ricorrenti nel giudizio principale, quanto all’eccepita irrilevanza della questione in ragione dell’intervenuta prescrizione, osservano che tale eccezione non sarebbe stata ritualmente proposta nel giudizio principale.
Non sarebbe decisivo neppure l’argomento, che fa leva sulla riforma della sentenza di primo grado in ordine al difetto di giurisdizione del giudice contabile. Tale pronuncia, nell’affermare la giurisdizione del giudice contabile, non approfondisce il merito della causa e il profilo attinente alla legittimazione passiva del Ministero della difesa.
Correttamente il giudice a quo avrebbe assunto la disposizione censurata nella valenza semantica che le assegna il diritto vivente e ne avrebbe sollecitato, su tale presupposto, il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali.
Non sarebbe fondata neppure l’eccezione di inammissibilità per incompleta ricostruzione del quadro normativo, in quanto l’ordinanza di rimessione svolgerebbe una disamina esauriente delle disposizioni applicabili e dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza.
Quanto al merito, l’aumento figurativo si correla in via esclusiva alla gravosità e al carattere usurante del servizio prestato e sarebbero apodittici i rilievi sulla posizione di svantaggio dei militari che abbiano già maturato il diritto alla pensione.
La disparità di trattamento non potrebbe essere giustificata con l’esigenza di disincentivare l’esodo verso il settore privato e di conservare nel settore pubblico preziose professionalità, poiché il legislatore non avrebbe fatto alcuna menzione di tale obiettivo premiale.
Non si riscontrerebbe alcuna doppia valutazione del medesimo servizio, in quanto l’importo della contribuzione da versare all’INPS al momento della costituzione della posizione assicurativa deve essere detratto dall’indennità una tantum, «che pertanto per tale parte non viene erogata». Sarebbero infine generiche le considerazioni sulla portata “dirompente” dell’accoglimento della questione.
5.2.– L’INPS ricorda che la questione di legittimità costituzionale riguarda i militari che hanno svolto attività ulteriori rispetto a quelle tipiche della loro carriera e hanno volontariamente abbandonato il servizio presso l’Arma di appartenenza, prima di conseguire il diritto a pensione. A favore di tali soggetti l’ordinamento accorderebbe una speciale tutela, corrispondendo un’indennità una tantum e costituendo una nuova posizione previdenziale presso il Fondo di previdenza lavoratori dipendenti.
La denunciata irragionevolezza dovrebbe essere valutata anche alla luce dell’art. 38, secondo comma, Cost., che prescrive di assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. Il mancato riconoscimento di un’esigua frazione di contributi non comprometterebbe la tutela previdenziale dei piloti militari, «categoria “forte”», che, nell’abbandonare il servizio, avrebbe prospettive di guadagno ben più favorevoli rispetto a quelle di chi rimane in servizio.
5.3.– La difesa dell’interveniente pone l’accento sulla «rilevanza patrimoniale» della questione, suscettibile di incidere su «un vasto contenzioso promosso a livello nazionale da ex piloti dell’Aeronautica militare», e ribadisce che il rimettente chiede un avallo interpretativo, con uso improprio dell’incidente di costituzionalità.
Sarebbero, inoltre, inammissibili le deduzioni dei ricorrenti sulla violazione del principio di eguaglianza sostanziale, in quanto dirette ad ampliare il thema decidendum delineato dall’ordinanza di rimessione.
Non si potrebbe reputare irragionevole una disposizione, che, allo scopo di disincentivare l’esodo dei lavoratori, accordi il beneficio della supervalutazione del servizio di volo, «indirettamente rilevante sul piano patrimoniale», e racchiuda una disciplina prevedibile, consentendo al personale di compiere scelte oculate e responsabili.
Diversamente dal servizio effettivo, coperto da contribuzione effettiva, il servizio utile sarebbe coperto unicamente da contribuzione figurativa, alla quale non corrisponderebbe alcun reale versamento di contributi previdenziali.
6.– All’udienza pubblica del 6 febbraio 2018, le parti hanno ribadito le conclusioni e le argomentazioni svolte negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, giudice unico delle pensioni, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 124, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui disciplina la posizione assicurativa costituita «nell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale» a favore del dipendente civile o del militare che «cessi dal servizio senza aver acquistato il diritto a pensione per mancanza della necessaria anzianità di servizio».
La disposizione censurata, nel correlare la posizione assicurativa al servizio effettivo, e non già al servizio utile, comprensivo della maggiorazione legata ai particolari servizi prestati, sarebbe lesiva del principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione).
L’assetto delineato dal legislatore, nell’interpretazione oramai consolidata nella giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sezioni riunite, sentenze n. 8 del 27 maggio 2011 e n. 11 del 21 giugno 2011), determinerebbe un’arbitraria disparità di trattamento a danno dei militari che cessino dal servizio senza avere conseguito il diritto alla pensione. Nell’àmbito della posizione assicurativa costituita presso l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), i militari non potrebbero beneficiare della maggiorazione per il servizio di volo prestato, benché tale servizio sia «oggettivamente identico», indipendentemente dal fatto che i militari conseguano o meno «il diritto a pensione» al momento della cessazione dal servizio.
La disciplina denunciata, all’origine di «un’ingiustificata penalizzazione retroattiva» per chi cessi dal servizio senza aver maturato il diritto a pensione, implicherebbe una riqualificazione del medesimo servizio «alla luce di una circostanza successiva allo svolgimento del servizio di volo stesso» e, come tale, ininfluente.
Né tale disciplina si giustificherebbe per l’elargizione di «un premio all’ulteriore permanenza in servizio del militare» e nei mutamenti che contraddistinguono il passaggio dei militari dal regime pensionistico pubblico a quello privato.
2.– Si deve innanzi tutto evidenziare che l’art. 124, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 è stato trasfuso nell’art. 1861 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), intervenuto a dettare una disciplina organica della materia, e successivamente abrogato per effetto dell’art. 12, comma 12-undecies del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122.
Tali modifiche non mutano, tuttavia, i termini della questione di legittimità costituzionale, che il rimettente ha sollevato con riguardo alla disposizione originaria, applicabile ratione temporis alla fattispecie controversa, e con esclusivo riferimento alla violazione del principio di eguaglianza formale, enunciato dall’art. 3, primo comma, Cost.
2.1.– Non si considerano, in questa sede, gli ulteriori profili dedotti dalle parti private costituite nel giudizio incidentale, che adombrano il contrasto con il principio di eguaglianza sostanziale, consacrato dall’art. 3, secondo comma, Cost., e con la tutela del diritto al lavoro (art. 4 Cost.), poiché essi non sono stati recepiti nell’ordinanza di rimessione, che segna i limiti dello scrutinio demandato a questa Corte.
3.– Le molteplici eccezioni di inammissibilità formulate nell’atto di costituzione dell’INPS e nell’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri non sono fondate.
3.1.– L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, sotto un duplice e concorrente profilo.
3.1.1.– Il rimettente, in primo luogo, non si sarebbe soffermato sull’esame della prescrizione delle pretese avanzate dai ricorrenti.
A fronte di una contribuzione versata nel settembre 1999, il giudizio sarebbe stato instaurato soltanto il 1° giugno 2011, dopo l’infruttuoso decorso del termine di prescrizione decennale. Il giudice a quo non avrebbe approfondito tale aspetto preliminare, destinato a riverberarsi sulla rilevanza della questione proposta.
L’eccezione non è fondata per il decisivo rilievo che il tema della prescrizione non può essere esaminato d’ufficio dal giudice, ma deve essere introdotto nel dibattito processuale attraverso un’eccezione di parte (art. 2938 del codice civile), rispettosa delle preclusioni che governano l’ordinato e sollecito svolgimento del giudizio.
Il rimettente ha passato in rassegna e disatteso le eccezioni pregiudiziali dell’INPS, incentrate sulla carenza dell’interesse ad agire e sulla proposizione di domande giudiziali sulle quali non si è provveduto in sede amministrativa (punto 5. dell’ordinanza di rimessione). L’INPS non dimostra di avere ritualmente formulato anche l’eccezione di prescrizione e di averne avvalorato, nel necessario contraddittorio delle parti, il carattere dirimente per la definizione del giudizio principale.
Alla stregua delle allegazioni e delle eccezioni formulate dalle parti e puntualmente ricostruite dal giudice a quo, non si può reputare implausibile la motivazione in punto di rilevanza.
3.1.2.– Neppure gli ulteriori rilievi critici dell’INPS, attinenti al difetto di integrità del contraddittorio, valgono a connotare come implausibile tale motivazione.
Il rimettente, con sentenza riformata in sede di gravame, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero della difesa e ha declinato la giurisdizione a favore del giudice ordinario. La Corte dei conti, sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, con la sentenza n. 996 del 22 luglio 2014, ha accolto l’impugnazione e ha rimesso gli atti al giudice contabile di prime cure, in quanto munito di giurisdizione sulle domande proposte.
Alla luce di tali antecedenti processuali, l’INPS assume che sia passata in giudicato la statuizione sul difetto di legittimazione passiva del Ministero della difesa e che al giudizio principale, pertanto, partecipi solo la parte dichiarata carente di legittimazione passiva, in forza di un accertamento oramai definitivo. Il giudizio non coinvolgerebbe, per contro, il contraddittore necessario, individuato nel datore di lavoro, «unico legittimato con riguardo alla domanda di mancato accredito/trasferimento dell’ulteriore quota di contribuzione previdenziale connessa allo svolgimento dell’attività di volo». Da tale angolo visuale, si apprezzerebbe l’irrilevanza della questione sollevata.
L’eccezione deve essere disattesa.
Il rimettente, nel farsi carico della questione pregiudiziale prospettata dall’INPS, ha argomentato che la riforma della sentenza di primo grado «ha travolto anche la declaratoria di carenza di legittimazione passiva del Ministero della Difesa» (punto 6. dell’ordinanza di rimessione).
In tale prospettiva, l’accoglimento del motivo pregiudiziale di appello inerente alla giurisdizione imporrebbe al giudice dichiarato provvisto di potestas iudicandi di riesaminare il merito della vicenda controversa, anche con riguardo alla questione della carenza di legittimazione passiva del Ministero della difesa, che non potrebbe perciò ritenersi definita con il crisma del giudicato.
Le argomentazioni, spese dal rimettente sulle implicazioni dell’accoglimento dell’appello in rapporto al motivo pregiudiziale della giurisdizione, superano la verifica esterna riservata a questa Corte con riguardo ai presupposti processuali che condizionano la valida instaurazione del giudizio principale. Tale verifica, «“meramente strumentale al riscontro della rilevanza della questione di costituzionalità” (sentenza n. 241 del 2008, punto 5.2. del Considerato in diritto), si arresta se il giudice rimettente ha offerto una motivazione non implausibile in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione» (sentenza n. 53 del 2017, punto 2.1.1. del Considerato in diritto).
La rilevanza del dubbio di costituzionalità prospettato dal giudice contabile trova conferma anche da un diverso punto di vista.
La carenza di legittimazione passiva, in senso proprio, si ravvisa quando l’attore intenti una controversia contro un soggetto che, secondo la stessa prospettazione dell’atto introduttivo, non sia titolare dell’obbligo dedotto in causa. L’asserita insussistenza di obblighi in capo al Ministero della difesa – questione che attiene al merito – non incide sulla necessità di applicare la disposizione censurata, allo scopo di risolvere la controversia. Tale elemento, posto in risalto dal giudice a quo, è sufficiente a radicare la rilevanza della questione sollevata.
3.2.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce che il giudice a quo, con uso improprio dell’incidente di costituzionalità, si riprometta di ottenere un avallo dell’interpretazione prescelta, senza sperimentare una lettura rispettosa del dettato costituzionale e senza approfondire le ragioni addotte a fondamento dell’indirizzo predominante nella giurisprudenza contabile.
Le eccezioni di inammissibilità formulate nell’atto di intervento possono essere esaminate congiuntamente, in quanto evocano profili in larga parte connessi. Esse non sono fondate.
Nell’àmbito di una circostanziata disamina del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, che non presenta le lacune segnalate dall’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente muove dalla premessa che, per i dipendenti civili o i militari che cessino dal servizio senza avere acquisito il diritto alla pensione, il servizio prestato debba intendersi come servizio effettivo e non già come servizio utile, comprensivo della maggiorazione connessa a determinati periodi. Su tale linea interpretativa, avallata dall’organo della nomofilachia contabile (Corte dei conti, sezioni riunite, sentenze n. 8 e n. 11 del 2011), si è attestata, con orientamento consolidato, anche la giurisprudenza successiva (fra le molte, Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, sentenza 4 luglio 2016, n. 301).
Il giudice a quo, libero di privilegiare una diversa lettura del dato normativo, ben può scegliere di uniformarsi a un’interpretazione che assurge oramai al rango di diritto vivente e richiederne, su tale presupposto, il controllo di compatibilità con i precetti costituzionali (sentenza n. 259 del 2017, punto 2.3. del Considerato in diritto).
Anche da tale punto di vista, dunque, non si riscontrano ostacoli all’esame nel merito.
4.– Nel merito, la questione non è fondata.
4.1.– L’aumento convenzionale dell’anzianità di servizio si configura come un trattamento di favore, preordinato a garantire una particolare tutela per la gravosità e i rischi del servizio prestato. Una tale scelta è rimessa all’apprezzamento discrezionale del legislatore, che ne delimita i rigorosi presupposti oggettivi e soggettivi, in armonia con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza.
4.2.– La scelta di limitare la concessione del beneficio ai militari e ai dipendenti civili che cessino dal servizio dopo avere acquistato il diritto alla pensione non contrasta con il principio di eguaglianza.
Il giudice a quo prende le mosse dall’assunto che, a parità di servizio speciale prestato, debba essere identico il trattamento previdenziale e che sia arbitraria ogni distinzione fondata su un elemento estraneo alla ratio dell’aumento convenzionale dell’anzianità di servizio.
Tale assunto non può essere condiviso, poiché accosta in chiave comparativa singoli aspetti di un’articolata disciplina previdenziale, senza avere riguardo alla ratio che la ispira.
I servizi speciali, che determinano l’aumento figurativo dell’anzianità, sono valutati solo dopo che siano raggiunti i requisiti di legge per ottenere la pensione, in una prospettiva che abbraccia l’intero percorso lavorativo. Nell’àmbito di una tale valutazione onnicomprensiva, il conseguimento del diritto alla pensione non configura un dato accidentale ed estrinseco, ma rappresenta un tratto distintivo di rilievo cruciale, che rivela l’eterogeneità delle fattispecie poste a raffronto e giustifica il trattamento differenziato dei servizi speciali di chi non abbia maturato il diritto alla pensione.
Il diverso trattamento deve essere peraltro valutato alla luce della posizione previdenziale complessiva dei lavoratori iscritti a forme obbligatorie di previdenza sostitutive o esonerative, che non abbiano raggiunto l’anzianità utile al conseguimento della pensione. Per tali categorie, il legislatore appresta la speciale tutela della costituzione di una posizione assicurativa presso l’INPS, che «assolve una funzione di tutela previdenziale» e garantisce al lavoratore l’erogazione «di un trattamento pensionistico, secondo le regole dell’assicurazione generale obbligatoria» (sentenza n. 113 del 2001, punto 6. del Considerato in diritto).
Nel quadro di un contemperamento non irragionevole tra l’adeguatezza della tutela previdenziale e la sostenibilità degli oneri necessari a salvaguardarla si deve collocare la scelta di ancorare la posizione assicurativa al solo servizio effettivo, senza computare la maggiorazione figurativa per gli speciali servizi prestati.
4.3.– La sentenza n. 113 del 2001, richiamata dal rimettente a sostegno delle censure e riguardante la diversa fattispecie della valutazione dei periodi di studio regolarmente riscattati (art. 124, quinto comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973), non conduce a conclusioni diverse da quelle prospettate.
Questa Corte ha ritenuto del tutto eccentrico, ai fini della costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, il requisito della coesistenza di un’attività di lavoro subordinato. Tale requisito, che contraddice l’esigenza sempre più avvertita di valorizzare i periodi di studio, avrebbe pregiudicato proprio i lavoratori che hanno dovuto ritardare l’inizio della loro attività per acquisire il titolo necessario per essere ammessi all’impiego.
4.4.– La disciplina oggi scrutinata si inquadra in un diverso contesto e risponde alla diversa finalità di incentivare chi continua a mettere a frutto la professionalità acquisita a beneficio dell’amministrazione, senza sacrificare in misura sproporzionata i diritti di chi non abbia raggiunto l’anzianità utile a ottenere la pensione.
La legge, oltre a prevedere in tale ipotesi la costituzione di una posizione assicurativa presso l’INPS, riconosce i particolari servizi prestati, che concorrono a determinare l’indennità una tantum corrisposta all’atto della cessazione dal servizio (artt. 42 e 52 del d.P.R. n. 1092 del 1973).
Collocata in un orizzonte sistematico di più ampio respiro, la disciplina censurata non determina dunque sperequazioni arbitrarie, ma rispecchia un bilanciamento tra contrapposti interessi, che tiene conto della diversità delle situazioni comparate e non travalica i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 124, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, giudice unico delle pensioni, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2018.