Sentenza n. 53 del 2017

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SENTENZA N. 53

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-      Alessandro                  CRISCUOLO                                     Giudice

-      Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-      Aldo                            CAROSI                                                   ”

-      Marta                           CARTABIA                                             ”

-      Mario Rosario             MORELLI                                                ”

-      Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-      Giuliano                       AMATO                                                   ”

-      Silvana                         SCIARRA                                                ”

-      Daria                            de PRETIS                                               ”

-      Nicolò                          ZANON                                                               ”

-      Franco                         MODUGNO                                             ”

-      Augusto Antonio       BARBERA                                               ”

-      Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 3, 24 e 69, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), promosso dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra B. L. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 28 settembre 2015, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione dell’Inps, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2017 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato Vincenzo Stumpo per l’Inps e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 28 settembre 2015, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 2016, il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 3, 24 e 69, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), per violazione degli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.

1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere sulla domanda proposta da B. L., che, nel 2012, ha prestato attività di lavoro agricolo per novantanove giornate e ha richiesto all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, disciplinata dall’art. 7, comma 3, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 maggio 1988, n. 160.

L’INPS ha rigettato la domanda della parte ricorrente, sulla base della legge n. 92 del 2012, che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, ha abrogato l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti (art. 2, comma 69, lettera b), senza prevedere per i lavoratori agricoli (art. 2, comma 3) quell’assorbimento nella indennità di disoccupazione “mini-ASpI”, disposto per tutti gli altri lavoratori «con riferimento ai periodi lavorativi dell’anno 2012» (art. 2, comma 24).

Il giudice a quo rileva che l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, richiesta dalla parte ricorrente, tutela tutti i lavoratori occasionali, saltuari o stagionali e svolge una funzione di integrazione del reddito a beneficio di «chi opera in un settore o in un mercato del lavoro che non riesce ad assicurare occupazione stabile».

Si tratta, difatti, di prestazioni erogate l’anno successivo «in riferimento alla disoccupazione registrata a consuntivo nell’anno precedente» e commisurate non alle giornate di disoccupazione, ma alle giornate di occupazione.

Nel caso di specie, la parte ricorrente, pur avendo maturato il diritto all’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti «secondo la normativa di legge vigente nel periodo di lavoro», non potrebbe beneficiarne in concreto, in virtù delle disposizioni sopravvenute della legge n. 92 del 2012, così come interpretate in sede amministrativa (Messaggio INPS del 17 dicembre 2012, n. 20774).

1.2.– Il giudice rimettente assume che l’assetto così delineato contrasti con l’art. 3 Cost., poiché riserverebbe ai lavoratori agricoli un trattamento deteriore, escludendoli dal meccanismo di salvaguardia dell’assorbimento nella “mini-AspI”, accordato a tutti gli altri lavoratori dall’art. 2, comma 24, della legge n. 92 del 2012.

La disciplina in esame violerebbe l’art. 3 Cost. anche sotto un altro profilo, in quanto, in contrasto con il principio di ragionevolezza e con la tutela dell’affidamento, colpirebbe con efficacia retroattiva «il periodo di sottoccupazione agricola già verificatosi nel 2012».

La normativa censurata, nel rendere tale periodo «del tutto sterile ai fini della protezione previdenziale accordata dalla legge», sarebbe lesiva anche del precetto espresso dall’art. 38, secondo comma, Cost., che prescrive di apprestare a favore del lavoratore «strumenti di previdenza adeguati rispetto alle sue esigenze di vita, senza irrazionalità normative o previsioni di natura retroattiva».

2.– Nel giudizio si è costituito l’INPS, con memoria del 15 febbraio 2016, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dal Tribunale ordinario di Ravenna.

Quanto al profilo preliminare dell’ammissibilità, l’INPS imputa al giudice rimettente di avere omesso ogni valutazione sulla rilevanza della questione, menzionata soltanto nel dispositivo dell’ordinanza.

In particolare, la parte ricorrente nel giudizio principale avrebbe presentato la domanda amministrativa il 26 febbraio 2013 e avrebbe depositato il ricorso solo il 10 marzo 2015, senza ottemperare al termine di decadenza fissato, per la proposizione dell’azione giudiziaria, dall’art. 47, terzo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli articoli 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale).

L’INPS reputa ininfluente il fatto che tale decadenza, inderogabile e rilevabile d’ufficio, non sia stata eccepita nel giudizio principale.

L’omesso rilievo della decadenza non potrebbe che riverberarsi sulla motivazione in punto di rilevanza, connotandola come implausibile e carente.

La questione, nel merito, non sarebbe fondata.

L’INPS ricostruisce l’evoluzione normativa che ha contraddistinto l’indennità di disoccupazione agricola e si sofferma sulle innovazioni introdotte dalla legge n. 92 del 2012, che elimina per tutti i lavoratori l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti e istituisce due nuove indennità mensili per il sostegno al reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perso involontariamente l’occupazione: l’assicurazione sociale per l’impiego “ASpI”, che si indirizza a una platea più ampia di beneficiari (apprendisti, personale artistico, soci lavoratori di cooperativa legati alla società da un vincolo di subordinazione), presenta una misura e una durata più estese ed è finanziata da un contributo ordinario e da maggiorazioni contributive, e l’indennità di disoccupazione “mini-ASpI”, che differisce dalla ASpI in quanto non presuppone un requisito di anzianità assicurativa e richiede soltanto tredici settimane di contribuzione da attività lavorativa negli ultimi dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

L’INPS argomenta che, in virtù dell’art. 2, comma 3, della legge n. 92 del 2012, gli operai agricoli beneficiano delle tutele previgenti, con esclusione della sola indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, e che non merita censure la scelta normativa di abrogare per tutti i lavoratori l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti e di escludere i lavoratori agricoli dall’applicazione transitoria della mini-ASpI, del tutto estranea all’àmbito della previdenza agricola.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., l’INPS pone in risalto l’eterogeneità delle due fattispecie oggetto di raffronto: il settore agricolo si differenzierebbe dagli altri settori produttivi e tale specificità giustificherebbe il regime peculiare della tutela contro la disoccupazione preservato anche dalla legge n. 92 del 2012.

Peraltro, il fluire del tempo ben potrebbe delimitare le sfere di applicazione delle norme nell’àmbito del riordino complessivo di una disciplina, senza dare àdito a disparità di trattamento costituzionalmente censurabili.

L’INPS, nel disconoscere ogni contrasto con l’art. 38, secondo comma, Cost., replica che compete alla discrezionalità del legislatore individuare i tempi, i modi e la misura delle prestazioni sociali, sulla base di un razionale contemperamento con la tutela di altri diritti di rango costituzionale e nel rispetto dei limiti di compatibilità finanziaria.

3.– Nel giudizio, con memoria del 23 febbraio 2016, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in quanto irrilevante, e di respingerla nel merito, perché infondata.

In particolare, il giudice a quo non avrebbe esaminato l’eventuale fondatezza della pretesa della ricorrente in forza della pregressa disciplina, recata dall’art. 32, primo comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati), che subordina l’erogazione dell’indennità all’accredito complessivo di almeno centodue contributi giornalieri nel biennio di riferimento.

Pertanto, il giudice a quo non avrebbe dimostrato in modo persuasivo la rilevanza della questione proposta.

La questione, nel merito, non sarebbe fondata.

Secondo la difesa dello Stato, la riforma del sistema degli ammortizzatori sociali non avrebbe eliminato le misure di tutela a favore dei lavoratori agricoli e, in particolare, l’indennità di disoccupazione agricola, correlata all’accredito complessivo di almeno centodue contributi giornalieri in un arco temporale che abbraccia l’anno nel quale è richiesta l’indennità e l’anno precedente.

Non potrebbe dirsi violato l’art. 38, secondo comma, Cost., poiché si dovrebbe valutare il sistema delle assicurazioni sociali “nel suo complesso” e tener fermo che è demandata al legislatore la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali, in un razionale bilanciamento con altri diritti costituzionalmente garantiti e nei limiti delle disponibilità finanziarie.

L’Avvocatura generale dello Stato esclude ogni profilo di contrasto con l’art. 3 Cost., in considerazione della diversità strutturale dei rapporti di lavoro posti a raffronto e della peculiarità del lavoro agricolo.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 3, 24 e 69, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione.

I dubbi di costituzionalità investono la disciplina in esame, «nella parte in cui non prevede che ai lavoratori agricoli che abbiano già maturato il titolo all’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti – in ragione dei periodi lavorativi effettuati nell’anno 2012 – non possa applicarsi la prestazione della mini-Aspi (come stabilito per tutti gli altri lavoratori dall’art. 2, 24° comma l. cit.)».

In particolare, il giudice a quo denuncia il contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, e assume che la disciplina impugnata discrimini arbitrariamente i lavoratori agricoli.

Nell’abrogare l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti (art. 2, comma 69, lettera b), la legge n. 92 del 2012 escluderebbe solo per tale categoria di lavoratori (art. 2, comma 3) l’applicazione della regola generale dell’art. 2, comma 24, che, per le indennità di disoccupazione a requisiti ridotti maturate nel 2012, sancisce l’assorbimento nella prestazione della “mini-AspI” erogata nel 2013.

Il contrasto con l’art. 3 Cost. è dedotto sotto un ulteriore profilo, per la violazione del principio di ragionevolezza e di affidamento, «ancor più vitale per il lavoratore disoccupato».

Il giudice rimettente lamenta che la disciplina censurata, senza alcuna ragione giustificatrice, escluda con effetti retroattivi la tutela previdenziale per il periodo di sottoccupazione agricola risalente al 2012, così vanificando l’affidamento riposto dai consociati nella certezza dei rapporti giuridici.

In tale ottica, sarebbe paradigmatico il caso della parte ricorrente nel giudizio principale che, con tre giornate di lavoro in più, avrebbe potuto fruire delle prestazioni ordinarie di disoccupazione erogate nel settore agricolo a fronte di centodue giornate lavorative.

Una disciplina transitoria così congegnata, suscettibile di pregiudicare la tutela previdenziale accordata dalla legge vigente al tempo del verificarsi dell’evento protetto (il periodo di sottoccupazione agricola, riferito all’anno 2012), si porrebbe in antitesi anche con l’art. 38 Cost., che impone di apprestare «strumenti di previdenza adeguati» rispetto alle esigenze di vita del lavoratore, «senza irrazionalità normative o previsioni di natura retroattiva».

2.– È preliminare l’esame delle eccezioni di inammissibilità, formulate dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dall’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri intervenuto in giudizio.

Tali eccezioni, che fanno leva sulla carente motivazione in punto di rilevanza, devono essere disattese.

2.1.– L’INPS eccepisce che la parte ricorrente nel giudizio principale è incorsa nella decadenza annuale prevista dall’art. 47, terzo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli articoli 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) per le azioni giudiziarie in materia di prestazioni erogate dalle «gestioni per l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria» (art. 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, recante «Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro»).

L’omesso rilievo officioso della decadenza, che ha «natura di ordine pubblico», renderebbe implausibile la motivazione sulla rilevanza della questione proposta.

2.1.1.– L’eccezione non può essere accolta.

Con riguardo ai presupposti processuali, che condizionano la valida instaurazione del giudizio principale, la verifica di questa Corte, «meramente strumentale al riscontro della rilevanza della questione di costituzionalità» (sentenza n. 241 del 2008, punto 5.2. del Considerato in diritto), si arresta se il giudice rimettente ha offerto una motivazione non implausibile in ordine alla sussistenza delle condizioni dell’azione.

La Corte, a tale riguardo, non può sostituire la propria valutazione a quella già compiuta dal giudice a quo, eventualmente anche in via implicita (sentenza n. 120 del 2015, punto 3.1. del Considerato in diritto), con il supporto di «argomenti non arbitrari» (sentenza n. 241 del 2016, punto 3.3. del Considerato in diritto).

Solo la manifesta implausibilità della motivazione, che ricorre quando «nessun dubbio possa nutrirsi sul punto» (sentenza n. 154 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto), potrebbe riflettersi sulla rilevanza della questione.

2.1.2.– Tali condizioni non si riscontrano nel caso di cui qui si discute.

Il giudice rimettente non ha ravvisato preclusioni all’esame nel merito della domanda, anche alla luce dei dati probatori e degli argomenti addotti dalle parti costituite, che non hanno adombrato preclusioni di sorta e non hanno allegato elementi di fatto e di diritto idonei a dimostrare la tardività dell’azione intrapresa.

Pertanto, non si può ritenere manifestamente implausibile la valutazione in punto di rilevanza, espressa dal giudice rimettente sulla scorta delle allegazioni e degli elementi di prova acquisiti nel necessario contraddittorio fra le parti (art. 101, secondo comma, del codice di procedura civile), presidio del giusto processo costituzionalmente garantito (art. 111 Cost.).

2.2.– La difesa dello Stato ritiene lacunosa la motivazione sulla rilevanza. Il giudice rimettente avrebbe trascurato di esaminare l’eventuale fondatezza della pretesa alla luce della disciplina generale, racchiusa nell’art. 32, primo comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati).

Anche tale eccezione non coglie nel segno.

Il giudice a quo, nel ripercorrere gli antecedenti della vicenda, ha specificato che la lavoratrice, con tre giornate di lavoro in più, «avrebbe avuto accesso alle prestazioni ordinarie di disoccupazione previste per il settore agricolo (tuttora ancorate al requisito di 102 giornate)» e ha così escluso, con una motivazione che non può ritenersi implausibile, la spettanza dell’indennità di disoccupazione agricola ordinaria.

3.– Nel merito, la questione, non è fondata, nei termini di séguito esposti.

3.1.– La legge n. 92 del 2012 ha delineato una nuova architettura delle tutele contro la disoccupazione, estese a una platea più vasta di beneficiari (apprendisti, soci lavoratori di cooperativa legati alla società da un vincolo di subordinazione, pubblici dipendenti con rapporto di lavoro a termine) e articolate in due fondamentali tipologie di prestazioni: l’assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e la mini-ASpI, erogata a decorrere dal 1° gennaio 2013 ai soggetti «che possano far valere almeno tredici settimane di contribuzione di attività lavorativa negli ultimi dodici mesi, per la quale siano stati versati o siano dovuti i contributi per l’assicurazione obbligatoria» (art. 2, comma 20) e corrisposta mensilmente «per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione nell’ultimo anno» (art. 2, comma 21).

In un disegno volto a semplificare e a razionalizzare la protezione accordata ai lavoratori disoccupati, il legislatore del 2012 ha demandato alla mini-ASpI la funzione di tutelare i lavoratori precari o con carriere discontinue, un tempo beneficiari dell’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti (art. 7, comma 3, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, recante «Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 maggio 1988, n. 160).

Tale indennità, riconosciuta a chi avesse prestato almeno settantotto giorni di attività lavorativa nell’anno di riferimento e corrisposta l’anno successivo, apprestava una tutela ai lavoratori occasionali, saltuari o stagionali di tutti i settori produttivi, che non avessero raggiunto l’anno di contribuzione nell’arco del biennio oppure, nell’àmbito dell’agricoltura, il requisito delle centodue giornate di lavoro, previsto per accedere all’indennità di disoccupazione agricola ordinaria.

La legge attribuiva il diritto all’indennità «per un numero di giornate pari a quelle lavorate nell’anno stesso e comunque non superiore alla differenza tra il numero 312, diminuito delle giornate di trattamento di disoccupazione eventualmente goduto, e quello delle giornate di lavoro prestate».

A decorrere dal 1° gennaio 2013, l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti è stata abrogata per tutti i lavoratori (art. 2, comma 69, lettera b, della legge n. 92 del 2012).

Nel disciplinare la transizione dall’indennità abrogata alla nuova forma di tutela della mini-ASpI, il legislatore ha stabilito che le prestazioni relative all’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti si dovessero considerare assorbite, «con riferimento ai periodi lavorativi dell’anno 2012, nelle prestazioni della mini-ASpI liquidate a decorrere dal 1° gennaio 2013» (art. 2, comma 24).

Da tale meccanismo di salvaguardia sono esclusi i lavoratori agricoli, in virtù dell’art. 2, comma 3, della legge n. 92 del 2012, che, per gli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato, mantiene inalterato il sistema previgente di tutele, incentrato sulla distinzione tra lavoratori agricoli a tempo indeterminato e a tempo determinato.

Per i primi operano le previsioni dell’art. 32 della legge n. 264 del 1949, con le successive modificazioni.

Quanto agli operai agricoli a tempo determinato, vengono in rilievo le disposizioni dell’art. 25 della legge 8 agosto 1972, n. 457 (Miglioramenti ai trattamenti previdenziali ed assistenziali nonché disposizioni per la integrazione del salario in favore dei lavoratori agricoli), in tema di trattamento speciale di disoccupazione per i lavoratori agricoli a tempo determinato, che abbiano effettuato nel corso dell’anno solare almeno centocinquantuno giornate di lavoro, e le previsioni dell’art. 7 della legge 16 febbraio 1977, n. 37 (Ulteriori miglioramenti delle prestazioni previdenziali nel settore agricolo), che si rivolgono ai lavoratori agricoli a tempo determinato, «che risultino iscritti negli elenchi nominativi per un numero di giornate di lavoro non inferiore a 101 e non superiore a 150».

L’art. 1, commi 55, 56 e 57 della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), è intervenuto a ridefinire secondo una misura uniforme l’importo dell’indennità ordinaria di disoccupazione prevista «per gli operai agricoli a tempo determinato e le figure equiparate» (art. 1, comma 55) e a regolare il raggiungimento «del requisito annuo di 270 contributi giornalieri» (art. 1, comma 57).

Il legislatore del 2012, con una scelta confermata anche dalla successiva disciplina degli ammortizzatori sociali (art. 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183»), ha preservato la specificità della tutela contro la disoccupazione dei lavoratori agricoli.

Tale specificità, legata alla natura stagionale dell’attività svolta (sentenza n. 497 del 1988, punto 4. del Considerato in diritto), emerge nella predominante funzione di integrazione del reddito (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 18 luglio 1996, n. 6491), che si manifesta nella cesura tra il sorgere del diritto e l’erogazione nel corso dell’anno successivo e nel peculiare meccanismo di liquidazione, ancorato alle giornate di lavoro e non a quelle di disoccupazione.

L’indicata specificità, peraltro, non rende meno imperiosa l’esigenza di predisporre meccanismi finalizzati a garantire la perdurante adeguatezza delle prestazioni corrisposte (sentenza n. 288 del 1994).

3.2.– Nel dirimere i dubbi interpretativi, che la normativa del 2012 ha ingenerato, l’INPS ha chiarito che gli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato sono esclusi dall’intera disciplina delle nuove indennità ASpI e mini-ASpI ai sensi dell’articolo 2, comma 3, della legge n. 92 del 2012 (Messaggio INPS del 17 dicembre 2012, n. 20774).

Per effetto di tale legge di riforma (art. 2, commi 3, 24 e 69, lettera b), ai lavoratori agricoli non sarebbe stato più possibile erogare «la prestazione della disoccupazione ordinaria agricola con requisiti ridotti sia a regime per gli eventi di disoccupazione involontaria intervenuti dal 1 gennaio 2013, sia per gli eventi già verificatisi nel 2012».

Da tali considerazioni scaturisce, come conseguenza inevitabile, il rigetto delle domande di indennità di disoccupazione agricola presentate entro il 2 aprile 2013 da lavoratori agricoli che non abbiano cumulato i centodue contributi giornalieri, con riferimento all’attività lavorativa dipendente prestata prevalentemente nel settore agricolo nel biennio 2011-2012.

A tale indirizzo, concordato con il Ministero del lavoro, l’INPS ha mostrato di conformarsi anche in un successivo documento (Messaggio INPS del 23 aprile 2013, n. 6675), che prefigura una «reiezione automatica» delle domande dei lavoratori agricoli in possesso, per il 2012, dei soli requisiti contributivi ridotti (settantotto giornate di lavoro).

4.– La questione di costituzionalità, sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, si colloca in questo quadro di riferimento.

Nella vicenda, sottoposta al vaglio del giudice rimettente, l’INPS ha respinto una domanda relativa all’indennità di disoccupazione agricola a requisiti contributivi ridotti, maturata nel corso del 2012.

Il giudice a quo muove dall’assunto che l’interpretazione offerta dall’INPS sia «imposta dalla disciplina di legge in vigore» e che tale interpretazione conduca al rigetto della pretesa della parte ricorrente.

Nella prospettiva del giudice rimettente, le disposizioni che sanciscono, a partire dal 1° gennaio 2013, l’abrogazione dell’indennità di disoccupazione a requisiti contributivi ridotti, senza estendere ai lavoratori agricoli il meccanismo di salvaguardia dell’assorbimento nella mini-ASpI, rendono ineludibili le conseguenze tratteggiate dall’INPS: la normativa sopravvenuta al momento della liquidazione, nel 2013, impedisce di corrispondere le indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, maturate nel corso del 2012, nella vigenza della disciplina poi abrogata a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Il giudice rimettente non trascura di sperimentare un’interpretazione costituzionalmente orientata e offre una motivazione adeguata sugli ostacoli che a tale interpretazione si frappongono. Il giudice a quo, infatti, ritiene che la stessa sia preclusa dal tenore letterale delle disposizioni e dalla lettura accreditata in sede amministrativa.

Se l’interpretazione prescelta dal giudice rimettente sia la sola persuasiva, è questione che attiene al merito e non al profilo preliminare dell’ammissibilità (sentenze n. 42 del 2017, n. 95 del 2016 e n. 45 del 2016).

Lo scrutinio di costituzionalità si rende necessario, «pure solo al fine di stabilire se la soluzione conforme a Costituzione rifiutata dal giudice rimettente sia invece possibile» (sentenza n. 42 del 2017, punto 2.2. del Considerato in diritto).

5.– Nel merito, si deve rilevare che la soluzione conforme a Costituzione è praticabile e doverosa, in assenza di un orientamento diffuso, idoneo a costituire diritto vivente.

Al rango di diritto vivente, difatti, non assurgono le indicazioni operative offerte dall’INPS, che è parte del contenzioso e si è limitato a dar conto, senza altre specificazioni, di una lettura concordata con il Ministero del lavoro e imposta dal “combinato disposto” delle proposizioni normative impugnate.

Questa Corte ha già affermato che «l’eventuale diversa applicazione data dall’INPS alla norma censurata non vincola il giudice nella sua istituzionale funzione interpretativa della legge» (sentenza n. 296 del 1995, punto 3. del Considerato in diritto), soprattutto quando si possa esplorare un’interpretazione adeguatrice che, nel caso di specie, preservi la compatibilità della norma denunciata con i princìpi di ragionevolezza, di legittimo affidamento e di adeguatezza della tutela previdenziale.

Le disposizioni censurate, lette in una prospettiva unitaria, si compongono in un quadro coerente, che consente di fugare i dubbi di legittimità costituzionale.

Una lettura sistematica non comporta necessariamente l’eliminazione radicale e retroattiva di una prestazione previdenziale già acquisita, in contrasto con i princìpi a più riprese enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 45 del 2016, punto 5.3. del Considerato in diritto, sentenza n. 446 del 2002, punto 6. del Considerato in diritto, e sentenza n. 211 del 1997, punto 4. del Considerato in diritto); contrasto non attenuato dal fatto che ai lavoratori agricoli sia comunque attribuita la diversa indennità di disoccupazione ordinaria, che contempla requisiti più rigorosi e si atteggia come un’autonoma forma di tutela (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 giugno 1999, n. 5658).

La lettera e lo spirito della legge convergono nell’avvalorare un’interpretazione rispettosa dei parametri costituzionali invocati.

5.1.– L’art. 2, comma 69, lettera b), della legge n. 92 del 2012, che abroga, a decorrere dal 1° gennaio 2013, le disposizioni riguardanti l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, deve essere inteso nel senso che la disciplina previgente cessa di operare per la disoccupazione riferita al 2013 e si applica, per contro, alla disoccupazione relativa al 2012.

Difatti, la disciplina applicabile ratione temporis deve essere individuata alla stregua della normativa vigente quando si perfezionano gli elementi costitutivi del diritto: nel caso di specie, la fattispecie costitutiva del diritto all’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti si è completata nel vigore della legge antecedente e non può essere assoggettata alla disciplina sopravvenuta al tempo della liquidazione.

La liquidazione è ininfluente ai fini del sorgere del diritto. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il requisito contributivo delle settantotto giornate lavorate deve maturare nello stesso anno in cui ricade il periodo di disoccupazione, indipendentemente dal fatto che la corresponsione avvenga nell’anno successivo (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 30 aprile 2014, n. 9459), fatto, quest’ultimo, che non interferisce con il maturare del diritto.

Non vi sono elementi testuali incontrovertibili che inducano ad escludere, per la disoccupazione riferita al 2012, l’applicazione della disciplina vigente al momento in cui il diritto è sorto e che impongano di considerare retroattivamente soppresso un diritto già acquisito in forza della legge ratione temporis applicabile.

I lavori preparatori della legge n. 92 del 2012 non lasciano trasparire l’intento di disporre una caducazione retroattiva dei diritti già maturati per le prestazioni svolte, con effetti che si rivelerebbero eccentrici rispetto a quelli generali della riforma.

Né varrebbe obiettare che l’art. 2, comma 24, della legge n. 92 del 2012 ha previsto, solo per lavoratori diversi da quelli agricoli, l’assorbimento nella mini-ASpI.

La regola transitoria, prevista al riguardo dal legislatore, si spiega con l’intento di istituire un raccordo con la nuova disciplina in tema di mini-ASpI.

Peraltro, il legislatore non avrebbe potuto dettare per i lavoratori agricoli una siffatta regola di salvaguardia, estendendo in via transitoria una prestazione, la mini-ASpI, che alla previdenza agricola non si applica a regime.

5.2.– Tale interpretazione, inoltre, è in consonanza con la ratio che ispira l’intervento riformatore.

5.2.1.– Il legislatore si prefigge di delineare un assetto degli ammortizzatori sociali «più efficiente, coerente ed equo» (art. 1, comma 1, lettera d), e ha introdotto le novità più significative secondo un meccanismo di «graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma degli ammortizzatori sociali di cui alla presente legge» (art. 2, comma 64).

Tale gradualità permea la riforma nei suoi capisaldi, come emerge dalla disciplina dell’eliminazione dell’indennità di mobilità, scandita da un articolato percorso transitorio (art. 2, comma 46).

Se l’interpretazione privilegiata è in armonia con gli enunciati obiettivi di equità e di gradualità, la prospettazione di un’eliminazione retroattiva dell’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti per i soli lavoratori agricoli si pone in evidente dissonanza con le linee ispiratrici tracciate dal legislatore.

5.2.2.– Per altro verso, l’interpretazione qui prospettata rispecchia, anche sul versante della normativa transitoria, la specialità della tutela contro la disoccupazione agricola, che l’avvicendarsi delle diverse discipline ha confermato nei suoi tratti salienti.

Sarebbe contraddittorio, rispetto al regime di favore che il legislatore ha riservato ai lavoratori agricoli, escluderli retroattivamente da ogni forma di tutela per la disoccupazione del 2012, che abbia dato titolo a richiedere l’indennità a requisiti contributivi ridotti.

6.– Così interpretata, la disciplina in esame si sottrae alle censure proposte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 3, 24 e 69, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2017.