Sentenza n. 113/2001

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SENTENZA N.113

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 124, ultimo comma (recte: quinto comma), del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) e 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), promosso con ordinanza emessa il 5 febbraio 1999 dal Pretore di Torino nel procedimento civile tra Ortalda Luisa e l'INPS, iscritta al n. 287 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visti gli atti di costituzione di Ortalda Luisa e dell'INPS nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 2000 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi gli avvocati Francesco Paolo Videtta per Ortalda Luisa, Antonino Sgroi per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.¾ Nel corso di un giudizio promosso da una pensionata amministrata dall'INPS, al fine di ottenere il computo, nel trattamento di reversibilità, dei contributi versati dal coniuge defunto per il riscatto degli anni di laurea, il Pretore di Torino ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), "in combinato disposto con l’ultimo comma dell’art. 124" del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).

Espone, in punto di fatto, il rimettente che il marito della ricorrente aveva presentato, in data 11 giugno 1973, domanda al Ministero di grazia e giustizia per il riscatto della durata legale degli studi universitari, ai sensi dell'art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973.

Dopo la sua morte, avvenuta in data 26 ottobre 1975, senza aver maturato il diritto a pensione, la vedova, quale coniuge superstite avente diritto all'indennità una tantum in forza dell'art. 81 del citato d.P.R., aveva chiesto che "il predetto Ministero trasferisse all’INPS i contributi relativi alla retribuzione percepita dal marito come magistrato".

Rammenta ancora l’ordinanza che, successivamente, la ricorrente aveva rivolto istanza di computo di tali contributi a fini di pensione, ma che l'istanza stessa era stata respinta sulla base della motivazione che il riscatto degli anni di laurea non era "stato trasferito all’INPS in quanto utilizzato dal Ministero di grazia e giustizia per la concessione dell’indennità una tantum".

1.1.¾ Tanto premesso, il giudice a quo osserva che l'art. 124 del menzionato d.P.R. n. 1092 del 1973 dispone, per i servizi computabili a domanda, che "la costituzione della posizione assicurativa presso l'INPS si effettua a norma dell’art. 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646" e che, a sua volta, quest'ultima disposizione subordina la costituzione di detta posizione assicurativa, per i periodi ammessi al riscatto in favore dei dipendenti statali, alla condizione che si tratti di periodi per i quali vi sia stata effettiva prestazione di lavoro.

Nel rilevare, altresì, che, nella fattispecie, le somme relative al riscatto degli anni di laurea "sono state riversate alla Tesoreria centrale dello Stato", l'ordinanza perviene alla conclusione che, in base al richiamato quadro normativo, l’INPS non poteva che respingere l’istanza di computo del suddetto periodo, non concernendo gli anni del corso di laurea periodi nei quali vi era stata effettiva prestazione lavorativa.

Il rimettente dubita, tuttavia, della ragionevolezza di un sistema che, consentendo al dipendente civile dello Stato il riscatto degli anni di studio universitario, solo ed esclusivamente quando il diploma di laurea sia necessario per l’ammissione in servizio, impedisca, poi, di utilizzare il periodo riscattato, unicamente perchè la posizione contributiva, a seguito di ricongiungimento contributivo (o di costituzione di nuova posizione contributiva), viene a costituirsi presso l'INPS.

L’ordinanza, mentre ritiene giustificato che il dipendente civile dello Stato non possa costituire una posizione assicurativa presso l'INPS, attraverso il riscatto di periodi di studi universitari per i quali non ricorrano i presupposti dell'ordinamento pensionistico statale ¾ e cioé essenzialmente la circostanza che detti studi costituiscano "condizione necessaria" per l’ammissione in servizio ¾ é dell'avviso che analoga conclusione non possa ammettersi quando il dipendente abbia riscattato, presso l’Amministrazione di appartenenza, il periodo corrispondente al corso di laurea, nel rispetto delle previste condizioni.

In quest’ultima ipotesi l’ostacolo al computo degli anni relativi, anzichè evitare un trattamento di favore, verrebbe a "discriminare in modo ingiustificato coloro che abbiano riscattato", in presenza dei requisiti richiesti dall’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il periodo legale del corso di laurea; e questo solo perchè l’erogazione della pensione avviene a carico dell’INPS e non dello Stato.

2.¾ Si é costituita la ricorrente nel giudizio a quo, la quale ha chiesto, in primo luogo, che la sollevata questione sia dichiarare infondata, dovendosi la normativa interpretare nel senso che essa non impedisca di costituire presso l’INPS la posizione assicurativa, anche per il periodo della durata legale degli studi universitari ammessi a riscatto giusta l’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973.

In via subordinata, la parte chiede che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale della normativa censurata, a causa della ingiustificata disparità di trattamento fra quei dipendenti che hanno riscattato, in forza dell’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il periodo degli studi universitari, ma hanno maturato il diritto a pensione a carico dello Stato, e quelli che, avendo anch’essi riscattato ex art. 13 il periodo degli studi universitari, hanno maturato il diritto a pensione verso l’INPS.

3.¾ Si é, altresì, costituito l’INPS, parte convenuta nel giudizio a quo, per sentir dichiarare inammissibile e, comunque, infondata la sollevata questione.

La memoria eccepisce, pregiudizialmente, che sull’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, inserito in un decreto presidenziale, non può essere esercitato il sindacato di legittimità costituzionale, trattandosi di fonte subordinata "gerarchicamente alle fonti legislative" e che, in ogni caso, "la Corte non può essere chiamata a sindacare la legittimità costituzionale dell’interpretazione di una legge, come nel caso di specie". Si sostiene, altresì, il difetto di rilevanza della questione stessa, nel senso che la norma denunciata, ottenuta in via di interpretazione e "non esplicitamente dettata dall’ordinamento", costituirebbe "mero presupposto di fatto sul quale si é radicato il provvedimento di diniego dell’ente previdenziale", fondato sulla circostanza che l’ente stesso non é "in possesso dei contributi figurativi collegati al riscatto del corso di laurea in quanto gli stessi sono rimasti presso il Ministero di grazia e giustizia".

Nel merito, la parte costituita ritiene non fondata la questione, attesa la previsione, in favore di coloro che non hanno maturato il diritto a pensione, "di un duplice reticolato di tutela costituito dall’erogazione della cd. indennità una tantum e dalla creazione di una posizione previdenziale presso l’INPS".

Aggiunge, inoltre, la memoria che "i meccanismi di calcolo del riscatto, presso il Ministero di grazia e giustizia e presso l’INPS", sono diversi, tanto da comportare, nell’ipotesi del riscatto del periodo di laurea presso l’amministrazione statale, "un onere pecuniario a carico del lavoratore di molto inferiore rispetto a quello affrontato da altro lavoratore" presso l’INPS, con la conseguenza che, a fronte di una pensione eguale, ma di un differente onere relativo al riscatto, si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento a discapito della seconda categoria di lavoratori.

4.¾ E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, "riservando ogni più ampia difesa", ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per la manifesta infondatezza della questione.

5.¾ Nell'imminenza dell'udienza, tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.

5.1.¾ La ricorrente nel giudizio a quo, contestata la fondatezza della eccezione di inammissibilità proposta dall’INPS, sostiene, nel merito, che il meccanismo di cui al denunciato art. 124 "non prevede che l’ex dipendente consegua due volte la stessa utilità economica (una volta a titolo di indennità e una volta a titolo di posizione assicurativa INPS); ma prevede che dalla stessa indennità una tantum sia prelevata la somma necessaria a costituire presso l’INPS una posizione assicurativa per il periodo di servizio prestato".

L’affermazione secondo la quale il riscatto del periodo di laurea "sarebbe molto meno oneroso per i dipendenti dello Stato che per gli iscritti all’INPS", sarebbe non solo sarebbe indimostrata, ma anche priva di fondamento, giacchè, ai sensi dell’art. 124 citato, la posizione INPS viene costituita "con il versamento della somma che lo stesso INPS liquida, secondo i propri criteri e in base al periodo considerato".

5.2.¾ L’INPS, nel ribadire le conclusioni rassegnate in precedenza, insiste, anzitutto, per l’irrilevanza della sollevata questione, a motivo della inapplicabilità, nel caso di specie, di una disciplina riguardante, invece, "altri soggetti onerati dalla legge a riversare all’INPS i contributi dagli stessi riscossi".

La memoria contesta, inoltre, "l’interpretazione correttiva" prospettata dalla controparte nel giudizio principale, citando, a conforto di quanto sostenuto, anche l'orientamento espresso dalla Corte dei conti in fattispecie analoga.

5.3.¾ L’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, nel concludere nuovamente per l’inammissibilità e, in ogni caso, per l’infondatezza della questione, sostiene che la normativa censurata non sarebbe pertinente al caso, in quanto l’istanza presentata a suo tempo dalla ricorrente, non era stata rigettata in applicazione della normativa denunciata, "ma per il fatto che l’Istituto previdenziale non aveva ricevuto il contributo di riscatto".

Nel merito, la difesa erariale sostiene che, essendo stata prospettata l’incostituzionalità della norma denunciata "solo per il verificarsi di una situazione anomala ed eccezionale in capo alla parte interessata", la "erronea applicazione della norma e le situazioni patologiche attinenti al funzionamento della medesima non possono essere poste a base di una pronuncia di illegittimità".

Considerato in diritto

1.¾ Il Pretore di Torino dubita della legittimità costituzionale dell'art. 124, ultimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), denunciato in combinato disposto con l'art. 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), per contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

2.¾ Deve anzitutto osservarsi che, in virtù di quanto emerge chiaramente dall'ordinanza di rimessione, oggetto della censura di incostituzionalità é non già l'ultimo comma dell'art. 124, bensì il "quinto comma" della medesima disposizione.

L’imprecisa indicazione, da parte del giudice a quo, della norma portata al vaglio della Corte é suscettibile, tuttavia, di essere rettificata nel predetto senso, sì da non precludere, di per sè, l'esame della questione nei termini più puntuali in cui la stessa avrebbe dovuto essere prospettata.

3.¾ Il censurato art. 124, quinto comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nel disciplinare, in favore del dipendente statale che cessi dal servizio senza aver maturato il diritto a pensione, la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, prevede che essa, per i "servizi computabili a domanda", "si effettui a norma dell’art. 40" della legge n. 1646 del 1962.

Quest'ultima disposizione, dal canto suo, subordina, per i periodi ammessi a riscatto od a riconoscimento, la costituzione stessa alla duplice condizione "che tali periodi non siano coperti da contribuzione" nell’assicurazione generale obbligatoria, e che, per gli stessi, "vi sia stata effettiva prestazione di lavoro subordinato".

Il rimettente ritiene non ragionevole e ingiustificatamente discriminatoria una disciplina che preclude, a causa del difetto del secondo degli accennati requisiti, la valutazione a fini pensionistici del periodo corrispondente alla durata legale degli anni di studio universitario, benchè utilmente riscattato presso l'Amministrazione statale di provenienza, nel rispetto delle condizioni previste dalla relativa normativa (art. 13 dello stesso d.P.R. n. 1092 del 1973). E questo solo perchè la posizione assicurativa per l'erogazione della pensione viene ad essere costituita presso l'INPS.

4.¾ Vanno esaminate, preliminarmente al merito, le eccezioni sollevate dall’INPS e dall’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri.

4.1.¾ L’Istituto deduce, in primo luogo, l’inammissibilità della questione sotto un duplice profilo: da un lato, perchè l’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quanto norma di decreto presidenziale, sarebbe contenuta in una fonte subordinata "gerarchicamente alle fonti legislative", non suscettibile, come tale, di sindacato in sede di giudizio di costituzionalità; dall’altro, perchè, nel caso di specie, il rimettente chiederebbe alla Corte uno scrutinio sulla "legittimità costituzionale dell’interpretazione di una legge".

Entrambe le eccezioni sono infondate. Quanto alla prima é sufficiente rilevare che il d.P.R. n. 1092 del 1973, essendo stato emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, costituisce atto di normazione primaria delegata (art. 76 della Costituzione), dotato, come tale, di valore e forza di legge, e, al tempo stesso, soggetto al giudizio di questa Corte (art. 134 della Costituzione).

Quanto alla seconda eccezione, va considerato che l’ordinanza, lungi dal prospettare un quesito interpretativo, tale da lasciare irrisolto il dubbio ermeneutico sulla portata delle disposizioni denunciate, individua, non senza plausibilmente argomentare, la "norma" in contrasto con il parametro evocato, rinvenendola nel combinato disposto delle disposizioni medesime. Il che é sufficiente per dare ingresso al giudizio di costituzionalità.

4.2.¾ Sia l'INPS che l’Avvocatura generale dello Stato eccepiscono, inoltre, il difetto di rilevanza della questione, sostenendo che le norme denunciate non sarebbero direttamente applicabili alla fattispecie oggetto di cognizione innanzi al giudice a quo. Secondo l'INPS, esse costituirebbero soltanto "il mero presupposto di fatto sul quale si é successivamente radicato il provvedimento di diniego dell’ente previdenziale". Non dissimile é la posizione dell'Avvocatura, la quale assume che la normativa censurata non sarebbe pertinente al caso, essendo stata l'istanza a suo tempo presentata dalla ricorrente rigettata non in applicazione della normativa stessa, "ma per il fatto che l'Istituto previdenziale non aveva ricevuto il contributo di riscatto".

Anche tali eccezioni vanno disattese, dal momento che il giudice a quo evidenzia espressamente che egli é chiamato a decidere anche su una domanda di accertamento del diritto al riconoscimento dell’incremento della posizione assicurativa spettante all'interessata presso l'INPS, tramite il computo del periodo di studi riscattato, così fornendo una motivazione esauriente e plausibile, in fatto e diritto, quanto all’applicabilità nel giudizio principale delle disposizioni censurate.

5.¾ Nel merito, la questione é fondata.

6.¾ Onde valutarne la portata, occorre rammentare, anzitutto, che l’istituto della costituzione di posizione assicurativa presso l’INPS, già previsto, in via generale, dall’articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 322, e successivamente disciplinato, per i dipendenti dello Stato, dall’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, assolve una funzione di tutela previdenziale in favore del lavoratore iscritto a forme obbligatorie di previdenza sostitutive ovvero esonerative, che cessi dal servizio senza diritto a pensione, garantendo al medesimo la possibilità di fruire, in presenza ovviamente delle previste condizioni, di un trattamento pensionistico, secondo le regole dell’assicurazione generale obbligatoria.

In vista di ciò, é contemplato il versamento, alla gestione INPS, di un importo contributivo commisurato al periodo di servizio prestato dal lavoratore e determinato in base alle norme della predetta assicurazione (articolo unico, comma primo, della legge n. 322 del 1952).

Per i dipendenti dello Stato il suddetto importo complessivo é portato in detrazione dell' indennità una tantum spettante agli interessati, ponendosi a carico dello Stato l’eventuale onere differenziale (art. 124, secondo comma); onere che, invece, deve essere interamente assunto dallo Stato nel caso in cui il diritto all’indennità medesima non sussista.

Lo stesso art. 124, prevede, al quinto comma, che la costituzione della posizione assicurativa riguardi ¾ sia pure nei termini già precisati ¾ anche i "servizi computabili a domanda", da individuare, alla stregua di siffatta locuzione, che figura anche nella rubrica del Capo II del Titolo II del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quelli che formano oggetto delle disposizioni contenute nel Capo stesso, tra le quali si rinviene anche l’art. 13 che consente il riscatto a fini di quiescenza dei "periodi di studi superiori e di esercizio professionale", a patto che il diploma di laurea costituisca "condizione necessaria per l’ammissione in servizio".

7.¾ Così ricostruito il quadro normativo nel quale si inscrive la sollevata questione, va rilevato che il rimettente ¾ censurando le disposizioni dell'art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell'art. 40 della legge n. 1646 del 1962, nella parte in cui esigono che, anche per i periodi di studio testè rammentati, ricorra il requisito dell'avvenuto svolgimento di attività lavorativa subordinata ¾ segnala, in definitiva, una esigenza di razionalità della normativa denunciata, dal punto di vista della sua coerenza con l’ordinamento, sulla quale la Corte non può non convenire.

Infatti, se l'intento dell'art. 40 della legge n. 1646 del 1962, come si può plausibilmente ritenere, era quello di ricondurre alle regole di base dell'ordinamento pensionistico INPS, vigenti all'epoca in cui esso fu emanato, la possibile eterogeneità degli ordinamenti pensionistici di provenienza, quanto a periodi suscettibili di riscatto o riconoscimento a fini pensionistici, tuttavia, per effetto del rinvio successivamente operato dal quinto comma dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, la norma che lega la valutabilità degli stessi alla coesistenza di una prestazione lavorativa subordinata non può non risultare priva di ogni "causa giustificativa" se riferita al periodo di studi universitari che sia stato riscattato, presso l’amministrazione statale di appartenenza del dipendente, in armonia con la regola dettata dall’art. 13 dello stesso d.P.R. n. 1092 del 1973.

Come questa Corte ha avuto più volte occasione di rilevare, l'istituto del riscatto per i dipendenti statali, quale si configura in quest'ultima disposizione, rappresenta l'epilogo di un lungo processo normativo preordinato a garantire alla preparazione professionale "ogni migliore considerazione ai fini di quiescenza" (sentenza n. 52 del 2000). E questo non solo per incentivare l’accesso nella pubblica amministrazione di personale idoneo per preparazione e cultura, ma anche al fine di evitare la penalizzazione dei lavoratori che abbiano dovuto ritardare l'inizio della loro attività onde acquisire il titolo necessario per essere ammessi all'impiego (sentenza n. 112 del 1996).

Si tratta, dunque, di esigenze che non possono essere frustrate unicamente per il fatto che la posizione assicurativa viene a costituirsi, in virtù di quanto obbligatoriamente previsto dalla legge (articolo unico della legge n. 322 del 1958 e art. 124, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973), presso l'INPS, specie a considerare quella generale tendenza, da tempo emersa nell'ordinamento, volta a valorizzare, in ogni caso, i periodi di studio che precedono l'attività lavorativa. Difatti, già con l'art. 50 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e dunque antecedentemente al censurato art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, la facoltà di riscatto degli anni di studio universitario é stata estesa anche ai lavoratori privati iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, senza imporre, tuttavia, la condizione di strumentalità del corso universitario rispetto all’accesso in servizio o alla progressione in carriera. Principi analoghi sono stati, poi, accolti anche dall'art. 2-novies del decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30 (convertito, con modificazioni, nella legge 16 aprile 1974, n. 114); disposizione resa successivamente applicabile, dall’art. 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184, ai dipendenti pubblici, con compiuta parificazione tra tutti i lavoratori circa la facoltà di riscattare i periodi di studio universitari.

8.¾ Nei termini evidenziati, non é dubbio, dunque, che le disposizioni denunciate contrastino con l'art. 3 della Costituzione, giacchè comportano, nel caso all’esame, una preclusione che non é, invero, sorretta da alcuna giustificazione.

Va da sè che, alla declaratoria di incostituzionalità delle censurate disposizioni, in combinato disposto tra loro, consegue non solo il computo, nella posizione assicurativa costituita presso l’ente previdenziale, del periodo di studi riscattato ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, ma anche l’obbligo per l’amministrazione statale di versare i relativi contributi all’INPS, secondo le regole dettate, in via generale, dallo stesso art. 124.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 124, quinto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) e 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), nella parte in cui ¾ per i periodi di studi che siano stati oggetto di riscatto ai sensi e per gli effetti dell'art. 13 del citato d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 ¾ subordinano la costituzione della posizione assicurativa nella assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, alla condizione che, per gli stessi periodi, "vi sia stata effettiva prestazione di lavoro subordinato".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2001.