SENTENZA N. 240
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge
11 dicembre 1962, n. 1746 (Estensione al personale militare, in servizio per
conto dell’O.N.U. in zone d’intervento, dei benefici combattentistici),
promossi con nove ordinanze del 12 febbraio 2015 dal Tribunale amministrativo
regionale per il Friuli Venezia Giulia e con un’ordinanza del 17 dicembre 2015
dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara,
rispettivamente iscritte ai nn. 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80 ed 81 del
registro ordinanze 2015 e al n. 35
del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 19 e 20, prima serie speciale,
dell’anno 2015, e 9, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti
gli atti di costituzione di B.M., S.A. e D.B.D., di V.F. ed altri, L.V. ed
altri e F.F. ed altri, nonché gli atti di intervento dell’Inps e del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi
gli avvocati Luciano Quarta per B.M., S.A. e D.B.D., Giacomo Crovetti per V.F.
ed altri, L.V. ed altri e F.F. ed altri, Dario Marinuzzi per l’INPS, e
l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale
amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con nove ordinanze di
analogo contenuto, ed iscritte ai numeri da 73 ad 81 del registro ordinanze del
2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico
della legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (Estensione al personale militare, in
servizio per conto dell’ONU in zone d’intervento, dei benefici
combattentistici) per violazione dell’art. 3 della
Costituzione.
1.1.– Riferisce il
giudice a quo che numerosi dipendenti del Ministero della difesa, tutti
ufficiali, sottufficiali, graduati e militari, hanno chiesto il riconoscimento
dei benefici combattentistici previsti dall’articolo unico della legge n. 1746
del 1962, dall’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre
1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), dall’art. 3 della
legge 24 aprile 1950, n. 390 (Computo delle campagne della guerra 1940-45),
dall’art. 5 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165 (Attuazione delle
deleghe conferite dall’articolo 2, comma 23, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e
dell’articolo 1, commi 97, lettera g), e 99 della L. 23 dicembre 1996, n. 662
in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti
pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo
nazionale dei vigili del fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del
pubblico impiego. In sostanza – prosegue il rimettente – le domande sono
dirette ad ottenere i benefici derivanti dalla valutazione dei periodi di
servizio svolti per conto dell’ONU, come previsto dall’art. 18, comma 1, del
d.P.R. n. 1092 del 1973 secondo il quale «Il servizio computabile è aumentato
di un anno per ogni campagna di guerra riconosciuta ai sensi delle disposizioni
vigenti in materia» e che comporterebbe quindi il diritto alla supervalutazione
ai fini pensionistico-previdenziali, nonché il relativo diritto al riscatto ai
fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita.
Espone il TAR
rimettente che alcuni tribunali amministrativi regionali (TAR per il
Friuli-Venezia Giulia, sentenza n. 450 del 2014 e TAR per la Lombardia,
sentenza n. 1168 del 2014), pronunciandosi su identiche questioni, avevano
riconosciuto il beneficio richiesto; nondimeno, il Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 5172 del 2014, ha affermato che l’interpretazione corretta
dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 limiterebbe il beneficio della
supervalutazione prevista dalla legge n. 390 del 1950 solamente alle campagne
di guerra del periodo 1940-1945. Secondo il TAR per il Friuli-Venezia Giulia la
sentenza del Consiglio di Stato sopra citata costituirebbe attualmente il
diritto vivente in materia.
Per tali motivi, il
rimettente solleva d’ufficio la questione di costituzionalità dell’articolo
unico della legge n. 1746 del 1962, così come interpretato dal Consiglio di
Stato nella predetta decisione, e cioè in quanto esso si riferirebbe unicamente
ai benefici stipendiali previsti per le campagne di guerra della seconda guerra
mondiale.
Osserva il giudice a
quo che l’attività svolta dai militari italiani per conto dell’ONU nelle
cosiddette missioni di pace o equiparate si dovrebbe considerare, per le
concrete modalità e i rischi anche mortali, equivalente ad una campagna di
guerra vera e propria, anche se le finalità siano ovviamente quelle di
mantenere o ripristinare la pace.
Pertanto, la
limitazione dei benefici previsti espressamente dalla disposizione impugnata
per le sole attività belliche della seconda guerra mondiale costituirebbe una
disparità di trattamento in situazioni sostanzialmente identiche, e quindi
violerebbe il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.
In punto di
rilevanza, sostiene il rimettente che la questione risulterebbe decisiva nel
giudizio a quo, in quanto i benefici richiesti dai militari sarebbero collegati
all’interpretazione attuale della impugnata normativa.
2.– Ha svolto atto di
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità o comunque
l’infondatezza della questione sollevata dal TAR friulano.
Il Presidente del
Consiglio eccepisce preliminarmente l’inammissibilità della questione in quanto
si fonderebbe su una incompleta ricostruzione e su una conseguente mancata
ponderazione o considerazione del quadro normativo di riferimento.
Evidenzia inoltre
che la Corte ha più volte ribadito che «la mancata utilizzazione dei poteri
interpretativi, che la legge riconosce al giudice remittente, e la mancata
esplorazione di diverse soluzioni ermeneutiche, al fine di far fronte al dubbio
di costituzionalità ipotizzato, integrano omissioni tali da rendere
manifestamente inammissibile la sollevata questione di legittimità
costituzionale» (sentenza
n. 10 del 2013). Tanto, si prosegue, ridonderebbe «anche in termini di
insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza» (sentenza n. 314 del
2013 ed ordinanza
n. 322 del 2013), configurandosi, «di fatto, quale improprio tentativo di
ottenere un avallo interpretativo da parte della Corte» (ordinanza n. 198
del 2013).
Secondo
l’interveniente, la questione sarebbe inoltre da ritenersi inammissibile anche
per il mancato esperimento, da parte del giudice a quo, di un tentativo teso a
rintracciare un’interpretazione della disposizione censurata che la renda
conforme alla Costituzione, manifestando anche sotto tale profilo la
inadeguatezza della motivazione del provvedimento di rimessione.
Espone al riguardo
il Presidente del Consiglio che l’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973
non sarebbe applicabile al di fuori dell’ipotesi espressamente prevista
dell’evento bellico nel quale il militare dovrebbe essere direttamente
impiegato, né potrebbero trovare applicazione le disposizioni recate dalla
legge n. 390 del 1950, perché espressamente applicabili esclusivamente alle
«campagne della guerra 1940-45», e quindi riconoscibili al personale ivi
indicato ed alle condizioni dettate in tale provvedimento. Secondo la difesa
dello Stato, sarebbe poi dirimente l’esplicita esclusione posta dall’art. 5,
comma 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 824 recante "Norme di attuazione,
modificazione ed integrazione della legge 24 maggio 1970, n. 336, concernente
norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex combattenti ed
assimilati” in ragione della quale le disposizioni della legge 24 maggio 1970,
n. 336 e quelle della stessa legge non si applicano al personale di cui alla
legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (personale militare impiegato in missione per
conto dell’ONU).
Evidenzia in
proposito il Presidente del Consiglio che la stessa [legge n. 824 del 1971],
all’art. 2, sancisce anche che «[...] la valutazione va effettuata nella misura
di un anno intero per ciascuna campagna di guerra, riconosciuta tale
dall’autorità competente». Nello stesso senso, anche il richiamato art. 18 del
d.P.R. n. 1092 del 1973, rubricato «Campagne di guerra», statuisce che «Il
servizio computabile è aumentato di un anno per ogni campagna di guerra
riconosciuta ai sensi delle disposizioni vigenti in materia».
Le disposizioni
sopra citate, quindi, richiederebbero un riconoscimento formale delle «campagne
di guerra» da parte delle Autorità competenti; riconoscimento che, per le
missioni svolte per conto dell’ONU non potrebbe aver luogo, poiché
l’Amministrazione della difesa non potrebbe trascrivere a matricola, come
«campagne di guerra», le suddette missioni di pace, in mancanza di una norma in
tal senso.
Sottolinea inoltre
il Presidente del Consiglio che dalle determinazioni periodiche dello Stato
Maggiore della Difesa, invocate dai ricorrenti, discenderebbe esclusivamente il
riconoscimento formale delle zone di intervento delle missioni svolte per conto
dell’ONU e non anche la loro equiparazione con gli eventi bellici.
Secondo
l’interveniente basterebbe evidenziare, sul punto, che la dichiarazione dello
stato di guerra è prerogativa del Capo dello Stato, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 87, comma nono della Costituzione, e non sarebbe quindi sufficiente
una determinazione amministrativa come quella del Capo di Stato Maggiore della
difesa. L’impossibilità di supervalutare ai fini pensionistici le "campagne di
guerra» troverebbe inoltre, a giudizio della difesa erariale, uno sbarramento
ulteriore anche nella previsione di cui all’art. 3 della legge 3 agosto 2009,
n. 108 recante « Proroga della partecipazione italiana a missioni
internazionali» che, al comma 4, in virtù del rinvio posto all’art. 19 del
d.P.R. n. 1092 del 1973, prevede l’aumento di un terzo del servizio prestato
sulla costa in tempo di guerra: avendo già il legislatore previsto un simile
beneficio per il servizio prestato in tempo di guerra, non sarebbe sostenibile
il riconoscimento di un’ulteriore abbreviazione temporale per lo stesso
servizio e per le medesime finalità.
Per completezza,
peraltro, evidenzia il Presidente del Consiglio che non sarebbe priva di
fondamento neanche la tesi secondo cui il sopra richiamato art. 18, comma 1,
del d.P.R. n. 1092 del 1973 sarebbe da considerarsi implicitamente abrogato e,
comunque, disapplicato.
Tanto si desumerebbe
dall’art. 5 del d.lgs. 30 aprile 1997, n. 165 (articolo inserito nel Titolo l,
rubricato "Personale delle Forze Armate, compresa l’Arma dei carabinieri, del
Corpo della Guardia di finanza, delle Forze di polizia ad ordinamento civile e
del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”) che, nel limitare a cinque anni la
supervalutazione dei periodi di servizio in particolari condizioni, enumera
esclusivamente le situazioni previste dagli artt. 19, 20, 21 e 22 del d.P.R. 29
dicembre 1973, n. 1092, senza menzionare l’art. 18 (riferito alle «campagne di
guerra»).
Inoltre, secondo
l’interveniente la tesi dell’inoperatività dell’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del
1973 troverebbe conferma nei lavori preparatori del Codice dell’ordinamento
militare e del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di
ordinamento militare (sono richiamate, in particolare, le note a piè di testo
all’articolato degli schemi dei provvedimenti posti all’esame del Consiglio di
Stato, Commissione Speciale Difesa, Adunanza del 10 febbraio 2010, n. 149 e
152), ove si precisa, con riferimento all’art. 1858 del predetto codice che,
pur trattandosi di norma non più attivata, «la conservazione dell’art. 18
nell’ordinamento giuridico è, però, opportuna, tenuto conto dei rischi
conseguenti al verificarsi di una crisi internazionale»; si tratterebbe quindi
di rischi correlati al verificarsi di una situazione di guerra, ma che non
sarebbe rinvenibile nell’impegno militare internazionale per conto dell’ONU.
Relativamente alla
questione di costituzionalità dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962,
come prospettata dal TAR per il Friuli-Venezia Giulia, secondo
l’interpretazione datane dal diritto vivente e dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato, obietta il Presidente del Consiglio che il giudice a quo
affermerebbe direttamente, senza altra motivazione, che l’attività svolta dai militari
italiani per conto dell’ONU nelle cosiddette missioni di pace o equiparate si
debba considerare, per le concrete modalità ed i rischi anche mortali,
equivalente ad una campagna di guerra vera e propria.
Tuttavia, secondo la
difesa erariale, la pretesa equiparazione sarebbe difatti sostenuta dal
rimettente poggiandola unicamente sui rischi anche mortali che si correrebbero
nelle missioni svolte per conto dell’ONU ma, diversamente, prosegue il
Presidente del Consiglio, il TAR non avrebbe tenuto in adeguato conto la
vigente normativa, dalla quale emergerebbe chiaramente la non sovrapponibilità
tout court delle campagne di guerra con le missioni svolte per conto dell’ONU,
che sarebbero inequivocabilmente missioni di pace, tanto che nell’ordinamento
giuridico non vi sarebbe una norma apposita che equipari espressamente le
missioni di pace per conto dell’ONU alle «campagne di guerra», come quelle del
1915-1918 e del 1940-1945.
Inoltre, di fatto si
tratterebbe di situazioni assolutamente differenti: le missioni per conto
dell’ONU sarebbero operazioni c.d. di peacekeeping, volte a garantire sicurezza
ed aiuto a milioni di persone, sostenendo nel contempo le fragili istituzioni
che sorgono nella fase post-bellica; le campagne di guerra sarebbero, invece,
situazioni di conflitto bellico fra Stati sovrani o coalizioni per la
risoluzione di una controversia internazionale.
Infine, il
Presidente del consiglio evidenzia che l’eventuale accoglimento della questione
sollevata esporrebbe l’erario a notevoli esborsi economici, dovendosi
riconoscere la supervalutazione in argomento ai moltissimi militari che hanno
partecipato nel tempo alle missioni di pace per conto dell’ONU; esborsi,
oltretutto, imprevedibili e non calcolabili, considerato che la pretesa
economica andrebbe estesa anche a tutti i partecipanti alle future missioni in
teatri operativi internazionali.
3.– E’ intervenuto
altresì nel presente giudizio l’Istituto Nazionale della Previdenza sociale
(INPS) chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal
TAR per il Friuli-Venezia Giulia sia dichiarata inammissibile o comunque
manifestamente infondata. Premette l’INPS di non essere stato evocato nel
giudizio pendente dinanzi al TAR friulano, ma nondimeno ritiene di vantare
comunque un interesse qualificato ed immediatamente inerente al rapporto
dedotto nel giudizio a quo, tale da poter essere inciso dalla decisione del
giudice rimettente adottata in esito al giudizio incidentale di legittimità
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 244 del 2014;
nn. 134 e 116 del 2013; n. 223 del 2012;
nn. 304, 293 e 199 del 2011; n. 151 del 2009).
Al riguardo evidenzia che i benefici reclamati dagli attori nel giudizio di
merito, tutti appartenenti alle Forze armate dello Stato, si riferiscono a
prestazioni pensionistiche e previdenziali la cui gestione ed erogazione è ora
normativamente prevista tra i compiti istituzionali dell’INPS, in quanto
succeduto ex lege all’INPDAP: le domande dei
ricorrenti tendono a conseguire il riconoscimento del diritto alla supervalutazione
dei servizi resi per conto dell’ONU in zona d’intervento, con effetti incidenti
sia sul trattamento pensionistico, sia sull’indennità di buonuscita,
prestazioni entrambe gestite ed erogate dall’INPS.
3.1.– Tanto
premesso, l’Istituto interveniente deduce innanzi tutto l’inammissibilità della
questione di costituzionalità in quanto il TAR avrebbe denunciato la lesione
del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. sul presupposto di una
piena ed incondizionata equiparabilità dell’attività svolta dal personale
militare dello Stato per conto dell’ONU, nelle zone d’intervento individuate
dallo Stato Maggiore della difesa, alle «campagne di guerra», ma non avrebbe
minimamente indicato quali siano gli elementi identitari delle fattispecie poste
a confronto; difatti, si prosegue, il rimettente avrebbe fatto unicamente
menzione all’equiparabile rischio mortale presente in entrambe le situazioni;
neppure, secondo l’INPS, il giudice a quo avrebbe argomentato per quale ragione
non sarebbe possibile addivenire, pur considerato il dedotto diritto vivente
costituito dall’orientamento di opposto segno del Consiglio di Stato, ad una
interpretazione della norma costituzionalmente orientata nel senso fatto
proprio nell’atto di promovimento.
Secondo l’istituto
previdenziale ulteriore profilo di inammissibilità della questione sollevata
sarebbe costituito dal fatto che il TAR per il Friuli Venezia Giulia avrebbe
errato nell’impugnare solamente l’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 e
non anche – o piuttosto – il primo comma dell’art. 1 della legge n. 390 del
1950, disposizione che invece limita il riconoscimento delle campagne di guerra
ai soli combattenti impegnati nelle operazioni che si sono svolte nell’arco
temporale ricompreso dal 1° giugno 1940 all’8 maggio 1945.
Rammenta l’INPS che,
in base al principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (è
richiamata tra le altre l’ordinanza n. 36 del
2015), le predette carenti indicazioni del giudice rimettente non
potrebbero in alcun modo essere ora integrate attraverso una autonoma indagine
effettuata sugli atti dei giudizi a quibus.
Nel merito, secondo
l’INPS la questione sarebbe infondata in quanto, pur non disconoscendo il
valore fondamentale delle missioni di pace ed il rischio effettivamente insito
in tale tipo di attività, resterebbero indubbiamente delle differenze
sostanziali rispetto agli eventi bellici che hanno caratterizzato il secolo
scorso e che quindi ben potrebbero giustificare una diversità di disciplina,
sia sotto il profilo pensionistico che previdenziale. Al riguardo, secondo
l’INPS la natura, i presupposti e le finalità che hanno connotato l’intervento
in guerra da parte del nostro Paese nel secondo conflitto mondiale sarebbero
del tutto differenti rispetto a quelli che giustificano ora una specifica
missione di pace.
Infine, osserva
l’Istituto previdenziale che la disciplina normativa censurata dal giudice
rimettente era stata emanata in un contesto di crescita economica in cui ben
poteva giustificarsi una supervalutazione di alcuni specifici servizi, peraltro
resi al Paese nel contesto di un evento assolutamente unico ed eccezionale;
diversamente, si prosegue, nell’attuale situazione economica – caratterizzata
da una diffusa ed ormai protratta crisi economica che ha inciso profondamente
in tutti i campi, ma particolarmente in tema di quiescenza e di previdenza,
comportando un innalzamento dei requisiti per ottenere le prestazioni ed un
diverso meccanismo di computo al fine di garantire un significativo risparmio
di spesa – la diversità di disciplina censurata dal Tribunale amministrativo
regionale per il Friuli Venezia Giulia non apparirebbe meritevole di censura.
4.– Sono intervenuti
nei giudizi iscritti ai nn. 73, 77 e 79 del reg. ord.
del 2015, rispettivamente, i sigg. M. B., A. S., D. D. B. ed altri, ricorrenti
nei giudizi a quibus pendenti presso il TAR per il
Friuli Venezia Giulia, e tutti difesi dall’avv. Luciano Quarta.
Espongono i medesimi
di essere ufficiali, sottufficiali e graduati dell’Esercito italiano in
servizio permanente effettivo, e di aver svolto servizio fuori area, prendendo
parte ad una serie di missioni in zone di intervento tutte ricomprese
nell’elencazione contenuta nella determinazione dello Stato Maggiore difesa in
data 11 gennaio 2007 (Afghanistan, Iraq, Egitto, Somalia, Eritrea, etc.),
successivamente aggiornata nel 2013.
Secondo i medesimi i
benefici segnatamente riconosciuti ai combattenti ai sensi dell’art. 18 del
d.P.R. n. 1092 del 1973 dovrebbero essere estesi, per effetto dell’art. unico
della legge n. 1746 del 1962 anche a quei militari che hanno preso parte a
quelle missioni in aree geografiche espressamente individuate dallo Stato
Maggiore difesa, così come indicato al secondo comma dell’articolo unico
citato, alle condizioni e nei termini dettati dalla legge n. 390 del 1950, che
quindi stabilirebbe quando sorga il diritto al riconoscimento della campagna di
guerra. Il meccanismo sarebbe poi completato da un atto amministrativo di
determinazione, con cadenza biennale, dello Stato Maggiore difesa, che elenca
ed individua le zone di intervento in cui lo svolgimento del servizio comporta
il riconoscimento della «campagna di guerra».
In relazione alla
non manifesta infondatezza della questione, osservano innanzi tutto i
ricorrenti che dalla tesi sostenuta dal Consiglio di Stato nell’ambito della
citata sentenza n. 5172 del 2014, deriverebbe che il beneficio esteso al
personale in missione ONU, introdotto dall’articolo unico della legge n. 1746
del 1962, sarebbe limitato ad un effetto acceleratorio sulla maturazione degli
scatti stipendiali, per di più attualmente precluso per il personale militare
di rango non dirigenziale, in ragione del mutamento del sistema retributivo,
mentre tutto il personale militare, di ogni carriera e grado, che prendesse
parte ad una missione con caratteristiche sostanziali del tutto identiche, ma
caratterizzata dall’attribuzione della definizione formale di guerra, non
avrebbe diritto a conseguire il beneficio di cui all’art. 18 del d.P.R. n. 1092
del 1973.
Tanto condurrebbe, secondo
i ricorrenti, ad una evidente sperequazione che richiederebbe di riflettere sul
concetto giuridico di guerra, laddove attualmente l’ipotesi della guerra,
intesa come l’evento costituito dalla formale contrapposizione di due governi
legittimi ed internazionalmente riconosciuti avrebbe assunto una dimensione
marginale, rispetto ad altri fenomeni, quali quello della c.d. "guerra
asimmetrica” in cui eserciti regolari si trovano a fronteggiare organizzazioni
con chiara capacità ed intenti offensivi, muniti di armi, spesso non
dichiaratamente riconducibili a governi e variamente definite (insorti,
terroristi, etc.).
Ma in entrambi i
casi, secondo i ricorrenti, si avranno combattimenti, uso delle armi, perdite
umane, distruzione di beni, profughi, rifugiati, ecc.; come sarebbe avvenuto in
molte missioni internazionali di pace quali quelle in Somalia, Balcani, Iraq,
Afghanistan, Libano. In tali contesti difetterebbe solamente la formale
dichiarazione dello stato di guerra, tanto che anche il diritto internazionale
nel definire gli eventi bellici terrebbe conto degli aspetti sostanziali,
riferendosi non tanto ad un astratto e formale concetto giuridico di guerra ma
di conflitto armato, laddove l’elemento realmente caratterizzante sarebbe
proprio quello di un conflitto e si prescinderebbe dall’elemento costituito
dalla formale contrapposizione tra eserciti regolari, espressione di governi
stranieri legittimi, e dalla formale dichiarazione di guerra dall’uno
all’altro.
Secondo i ricorrenti
pertanto la partecipazione ad un conflitto armato caratterizzerebbe in modo
identico sia il servizio svolto dal personale che opera nell’ambito di una
missione di guerra che quello del personale impiegato in una cosiddetta
"missione di pace”.
Nondimeno, secondo i
medesimi della disciplina impugnata potrebbe darsi anche una interpretazione
costituzionalmente orientata, laddove si ritenesse che l’articolo unico della
legge n. 1746 del 1962 consenta tutt’ora l’estensione ai militari partecipanti
a missioni ONU del beneficio previsto dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973,
purché vi sia il riconoscimento di una «campagna di guerra», riconoscimento che
sarebbe disciplinato dall’art. 3 della legge n. 390 del 1950 e che sarebbe
completato con la periodica determinazione da parte dello Stato Maggiore della
difesa.
5.– Sono intervenuti
nei giudizi iscritti ai nn. 78 ed 80 del reg. ord.
2015, rispettivamente, anche i sigg. V. L., F. F. ed altri, tutti difesi
dall’avv. Giacomo Crovetti.
Espongono i medesimi
che la disposizione impugnata pone in relazione diretta lo status del soggetto
destinatario dei benefici (aver prestato servizio in missioni a guida ONU –
elemento soggettivo) con i benefici in oggetto (spettano tutti quei benefici
riconoscibili ed attribuibili ai combattenti – elemento oggettivo) senza
limitazione alcuna, sicché ogni ulteriore condizione che fosse introdotta in
via interpretativa, verrebbe a ledere il principio di eguaglianza sostanziale,
introducendo delle disparità assenti nel dettato legislativo.
Evidenziano inoltre
che, contrariamente alla giurisprudenza amministrativa relativa al personale in
servizio, quella della Corte dei conti relativa al personale in quiescenza è
conformemente e costantemente orientata in favore dei ricorrenti (salvo rare
decisioni di segno contrario). Ne deriverebbe che il personale in servizio non
vedrebbe applicati i richiesti benefici combattentistici, contrariamente a
quello in quiescenza; ciò si tradurrebbe nella necessità per il personale in
servizio di transitare in quiescenza per vedersi riconosciuti detti benefici
attraverso il ricorso alla Corte dei conti mentre, in realtà, si sostiene, tali
benefici avrebbero anche la funzione proprio di favorire l’eventuale transito
in quiescenza e, pertanto, necessariamente richiederebbero di essere applicati
anche al personale in servizio, al fine di evitare disparità di trattamento tra
identiche situazioni di fatto e diritto.
Evidenziano inoltre
l’incoerenza dell’Amministrazione della difesa che, da un lato contrasterebbe
le tesi dei ricorrenti sostenendo che i benefici combattentistici non
troverebbero più luogo, ma dall’altro continua a pubblicare la Direttiva emessa
dallo Stato Maggiore difesa con la quale vengono rese note le missioni
internazionali a cui sono applicabili i benefici di cui alla legge n. 1746 del
1962.
Nel merito, i
predetti ricorrenti sostengono la totale equiparabilità delle attuali missioni
di pace alle campagne militari. L’aumento di tali missioni, a partire dagli
anni ’90 avrebbe anzi reso più attuale la disposizione impugnata.
Il criterio
discretivo comune sarebbe quindi solo la presenza di un tangibile rischio di
assoggettamento ad atti od intenti ostili conseguenti all’espletamento della
missione ONU da parte del personale impiegato in teatro operativo. D’altro
canto, osservano i medesimi ricorrenti, il concetto stesso di guerra sarebbe
profondamente mutato rispetto al passato, alla luce delle recenti esperienze
maturate a decorrere dalla prima guerra del Golfo, sicché sarebbe impossibile
delimitare tale concetto riferendosi alle sole esperienze dei passati conflitti
mondiali, in violazione del principio costituzionale di eguaglianza sostanziale
di cui all’art. 3 Cost.
6.– Ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1746
del 1962, per violazione dell’art. 3 Cost., anche
il TAR per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con ordinanza iscritta al n.
35 del reg. ord. 2016.
Espone il giudice a
quo che i ricorrenti hanno chiesto l’accertamento del loro diritto alla
supervalutazione, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 1997,
sia ai fini previdenziali, sia, con relativo riscatto, per la liquidazione
dell’indennità di buonuscita, con riferimento al periodo di servizio svolto per
conto dell’ONU, essendo stati impiegati in zone operative, per periodi pari o
superiori a tre mesi.
I medesimi,
pertanto, chiedono l’applicazione, nei loro confronti, dell’articolo unico
della legge n. 1746 del 1962, che estende al personale militare, in servizio
per conto dell’ONU in località operative, i benefici combattentistici previsti
dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dall’art. 3 della legge n. 360 del
1990, dall’art. 5 del d.lgs. n.165 del 1997, dall’art. 1, comma 99, della legge
n. 662 del 1996, dagli artt. 15 e 24 del d.P.R. n. 1032 del 1973.
Nondimeno, prosegue
il TAR rimettente, tali benefici non sarebbero applicabili ai ricorrenti, in
quanto la legge n. 1746 del 1962 riguarderebbe solamente coloro che hanno
partecipato alle «campagne di guerra» nel periodo 11 giugno 1940 - 08 maggio
1945.
Il TAR abruzzese
espone che la questione non potrebbe essere accolta stante la puntuale
previsione del beneficio, per le sole «campagne di guerra», cui il legislatore
non avrebbe mai equiparato le missioni per conto dell’ONU, che non avrebbero
carattere bellico ed operano in tempo di pace. Difetterebbe in proposito lo
«stato di guerra» che, si prosegue, è una dichiarazione rientrante nelle
prerogative del Capo dello Stato (a mente dell’art. 87, comma nono, Cost.) e
non dello Stato Maggiore della difesa. Inoltre, evidenzia il rimettente, la
legge n. 824 del 1971 esclude espressamente (art. 5, comma 2) il personale di
cui alla legge n. 1746 del 1962 e parimenti anche il d.P.R. n. 1092 del 1973
richiama gli artt. 19, 20, 21 e 22, ma non l’art.18, riferito alla «campagna di
guerra», che non sarebbe quindi applicabile alle operazioni in tempo di pace,
così come dicasi per l’art. 1858 del cod. ord. mil., che richiama tale
disposizione.
Al riguardo,
evidenzia il giudice a quo che sul punto vi sarebbe un costante orientamento
giurisprudenziale (confermato anche di recente dal Consiglio di Stato, sezione
quarta, con la decisione n. 5172 del 2014), che peraltro darebbe rilevanza alla
sollevata questione di costituzionalità: ne deriverebbe in sostanza una
unilaterale esclusione dai benefici combattentistici per il personale militare
che ha operato nelle cosiddette zone d’intervento ONU; peraltro, osserva il
rimettente che si tratterebbe di un beneficio economico che, per essere
riscattato ai fini della buonuscita, dovrebbe essere usufruito in costanza del
servizio, circostanza che darebbe fondatezza all’eccezione d’incostituzionalità
per violazione dell’art. 3 Cost.
Conclusivamente, il
TAR abruzzese ritiene di sollevare la questione di costituzionalità
dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, «in base all’illustrata
discriminazione, posta nell’ambito del settore militare, tra le diverse
qualifiche del personale, con violazione dell’art. 3 Costituzione».
7.– Ha svolto atto
di intervento in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri.
Il patrocinio
erariale, premessa un’articolata descrizione dell’ambito normativo di rilievo,
ha eccepito l’inammissibilità della questione sollevata dal TAR per l’Abruzzo
per incompleta ricostruzione del quadro normativo, incompleta descrizione della
fattispecie e comunque per mancato esperimento di una soluzione
costituzionalmente orientata. Nel merito, il Presidente del Consiglio ha
chiesto che la questione sia dichiarata infondata stante l’erroneo accostamento
di situazioni differenti, ossia le missioni di pace svolte per conto dell’ONU e
le campagne di guerra del periodo 1940-1945.
8.– E’ altresì
intervenuto nel presente giudizio l’INPS. L’Istituto previdenziale ha dedotto
l’inammissibilità della questione sollevata in quanto non verrebbero
«adeguatamente esplicitate le motivazioni per cui si invoca l’esclusione
unilaterale dai benefici, nonché la necessità di aver fruito del beneficio in
costanza di servizio». Nel merito ritiene che la questione sia infondata stante
l’esistenza di differenze sostanziali tra l’intervento in guerra da parte
dell’Italia nel secondo conflitto mondiale rispetto alle missioni di pace
svolte per conto dell’ONU.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale
amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, con nove ordinanze di
analogo contenuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’articolo unico della legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (Estensione al
personale militare, in servizio per conto dell’O.N.U. in zone d’intervento, dei
benefici combattentistici), in riferimento all’art. 3 Cost.
Il giudice a quo
riferisce di essere stato adito da numerosi dipendenti del Ministero della
difesa, tutti ufficiali, sottufficiali, graduati e militari, i quali hanno
agito contro il Ministero della difesa chiedendo il riconoscimento dei
cosiddetti benefici combattentistici previsti dall’articolo unico della legge
n. 1746 del 1962, dall’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 29
dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul
trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato),
dall’art. 3 della legge 24 aprile 1950, n. 390 (Computo delle campagne della
guerra 1940-45), dall’art. 5 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165
(Attuazione delle deleghe conferite dall’articolo 2, comma 23, della L. 8
agosto 1995, n. 335, e dell’articolo 1, commi 97, lettera g), e 99 della L. 23
dicembre 1996, n. 662 in materia di armonizzazione al regime previdenziale
generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di
polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché del personale non
contrattualizzato del pubblico impiego.
I ricorrenti, in
qualità di militari impiegati in missioni di pace svolte per conto dell’ONU,
aspirerebbero innanzi tutto ad ottenere il beneficio previsto dall’art. 18 del
d.P.R. n. 1092 del 1973, comportante la cosiddetta supervalutazione dei periodi
di svolgimento di servizio in missioni per conto dell’ONU, mediante la quale si
otterrebbe il riconoscimento di periodi di anzianità figurativa, utili sia ai
fini del conseguimento anticipato della pensione che dell’incremento del
trattamento di buonuscita.
Il rimettente
riferisce che alcuni tribunali amministrativi regionali (TAR per il Friuli
Venezia Giulia, sentenza n. 450 del 2014, e TAR per la Lombardia, sentenza n.
1168 del 2014), pronunciandosi su identiche questioni, avevano riconosciuto il
beneficio richiesto; nondimeno, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5172
del 2014, che costituirebbe attualmente il diritto vivente in materia, ha
affermato che l’interpretazione corretta dell’articolo unico della legge n.
1746 del 1962 limiterebbe il beneficio della supervalutazione solamente alle
campagne di guerra svoltesi negli anni 1940-1945. Per tali motivi, il giudice a
quo solleva d’ufficio la questione di costituzionalità dell’articolo unico
della legge n. 1746 del 1962, così come interpretato dal Consiglio di Stato
nella predetta decisione, e cioè in quanto esso si riferirebbe unicamente al
beneficio previsto per le campagne di guerra della seconda guerra mondiale.
A suo avviso
l’attività svolta dai militari italiani per conto dell’ONU nelle cosiddette
missioni di pace o equiparate si dovrebbe considerare, per le concrete modalità
ed i rischi anche mortali, equivalente ad una campagna di guerra vera e
propria, anche se le finalità siano ovviamente quelle di mantenere o di
ripristinare la pace.
Pertanto, la
limitazione dei benefici previsti espressamente dalla disposizione impugnata
alle sole attività belliche della seconda guerra mondiale costituirebbe una
disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente identiche e quindi
violerebbe il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.
2.– Anche il TAR per
l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con ordinanza iscritta al n. 35 del
reg. ord. 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 in riferimento all’art. 3
Cost. .
Il giudice a quo
espone che i ricorrenti hanno chiesto l’accertamento del loro diritto alla
supervalutazione con riferimento al periodo di servizio svolto per conto
dell’ONU ed, in via subordinata, hanno eccepito l’incostituzionalità dei limiti
applicativi della medesima norma in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost.
Il TAR riferisce che
i ricorrenti sono stati impiegati dall’ONU, in zone operative, per periodi pari
o superiori a tre mesi e chiedono l’applicazione, nei loro confronti,
dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, che estende al personale
militare, in servizio per conto dell’ONU in località operative, i benefici
combattentistici previsti dagli artt. 15 e 24 del d.P.R. n. 1032 del 1973,
dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dall’art. 3 della legge n. 360 del
1990, dall’art. 5 del d.lgs. n.165 del 1997 e dall’art. 1, comma 99 della legge
n. 662 del 1996.
Nondimeno, prosegue
il rimettente, tali benefici non sarebbero applicabili ai ricorrenti in quanto
la legge n. 1746 del 1962 riguarderebbe solamente coloro che hanno partecipato
alle campagne di guerra nel periodo 11 giugno 1940 - 08 maggio 1945, mentre le
missioni svolte per conto dell’ONU non sarebbero tali.
Il TAR per l’Abruzzo
espone che la pretesa non potrebbe essere accolta stante la puntuale previsione
del beneficio per le sole «campagne di guerra», cui il legislatore non avrebbe
mai equiparato le missioni per conto dell’ONU, che non avrebbero carattere
bellico ed operano in tempo di pace. Difetterebbe in proposito lo «stato di
guerra» che è una dichiarazione rientrante nelle prerogative del Capo dello
Stato (a mente dell’art. 87, nono comma, Cost.) e non dello Stato maggiore
della difesa. Inoltre, evidenzia il rimettente, la legge 9 ottobre 1971, n. 824
(Norme di attuazione, modificazione ed integrazione della legge 24 maggio 1970,
n. 336, concernente norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici
ex combattenti ed assimilati), esclude espressamente (art. 5, comma 2) il
personale di cui alla legge n. 1746 del 1962 e parimenti nel d.P.R. n. 1092 del
1973 sono richiamati gli artt. 19, 20, 21 e 22, ma non anche l’art.18, riferito
alla campagne di guerra, che sarebbe quindi inapplicabile alle operazioni in
tempo di pace, così come l’art. 1858 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.
66 (Codice dell’Ordinamento militare), che richiama tale disposizione.
Al riguardo, il
giudice a quo rammenta l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla
decisione del Consiglio di Stato, sezione quarta, n. 5172 del 2014, che
confermerebbe l’unilaterale esclusione dai benefici combattentistici per il
personale militare che ha operato in "zone d’intervento” ONU.
Conclusivamente, il
TAR per l’Abruzzo solleva la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 «in base all’illustrata
discriminazione, posta nell’ambito del settore militare, tra le diverse
qualifiche del personale, con violazione dell’art. 3 Costituzione».
3.– I giudizi devono
essere riuniti, riguardando la medesima disposizione e potendo essere definiti
con un’unica pronuncia.
4.– La questione di
legittimità costituzionale sollevata dal TAR per l’Abruzzo, sezione staccata di
Pescara, è inammissibile.
Il giudice a quo si
è limitato ad indicare il parametro costituzionale (art. 3 Cost.) senza
minimamente enunciare le ragioni della denunciata discriminazione e quindi i
motivi di contrasto tra la norma censurata ed il parametro invocato.
5.– Come disposto
con ordinanza
letta all’udienza del 4 ottobre 2016 l’intervento dell’Istituto Nazionale
della Previdenza sociale (INPS) è ammissibile sebbene lo stesso non fosse parte
nei giudizi pendenti davanti al TAR per il Friuli Venezia Giulia. L’INPS
difatti, pur non essendo parte del giudizio principale, è portatore di un
interesse qualificato, direttamente collegato al rapporto sostanziale dedotto
in giudizio e, conseguentemente, suscettibile di essere inciso dall’esito del
processo principale in quanto ente preposto all’erogazione delle prestazioni
reclamate dai ricorrenti (sentenza n. 244 del
2014 ed allegata ordinanza emessa
all’udienza del 7 ottobre 2014).
6.– Le eccezioni di
inammissibilità sollevate dall’Avvocatura Generale dello Stato e dall’INPS
circa l’insufficiente ricostruzione del quadro normativo da parte dei giudici
rimettenti non sono fondate.
Ancorché le
ordinanze di rimessione non contengano la ricostruzione completa del vastissimo
quadro normativo di riferimento dei benefici combattentistici, nondimeno il
richiamo alle provvidenze previste dalla partecipazione alle «campagne di
guerra» rende sufficiente ed univoco il collegamento tra la legge impugnata e
la pretesa equiparazione ai «combattenti».
Tale collegamento,
tuttavia, è precluso dall’interpretazione adottata dal Consiglio di Stato nella
citata sentenza n. 5172 del 2014. In questi termini la ricostruzione del TAR
per il Friuli Venezia Giulia risulta coerente con la premessa ermeneutica e
rende sufficientemente chiara la rilevanza della questione sollevata.
Parimenti, non è
fondata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa erariale per il
mancato esperimento da parte del giudice a quo del tentativo di individuare una
diversa interpretazione della norma in senso costituzionalmente orientato.
Secondo il
rimettente la predetta decisione del Consiglio di Stato, unitamente al rilievo
che ad essa si sono rapidamente adeguati altri tribunali amministrativi
regionali, avrebbe fatto sorgere un diritto vivente in materia.
In proposito, può
invero revocarsi in dubbio che una sola pronuncia del giudice amministrativo di
appello, seppur seguita da altre decisioni conformi di vari organi
giurisdizionali di primo grado, abbia già determinato l’insorgenza di un
diritto vivente sull’interpretazione dell’articolo unico oggetto di censura.
Tuttavia, pur
assumendo il difetto di un vero e proprio diritto vivente, si deve tenere conto
della circostanza che un’eventuale pronuncia di dissenso da parte del TAR
rimettente lo avrebbe esposto ad una assai probabile riforma della propria
decisione. In situazioni come queste, se il giudice non si determinasse a
sollevare la questione di legittimità costituzionale, l’alternativa sarebbe
dunque solo adeguarsi ad una interpretazione che non si condivide o assumere
una pronuncia in contrasto, probabilmente destinata ad essere riformata. In
tale ipotesi, quindi, la via della proposizione della questione di legittimità
costituzionale costituisce l’unica idonea ad impedire che continui a trovare
applicazione una disposizione ritenuta costituzionalmente illegittima.
Al riguardo, si
osserva ulteriormente che, in considerazione della struttura della norma censurata,
la soluzione prescelta dal giudice rimettente, cioè di ritenere
l’interpretazione data dal Consiglio di Stato non altrimenti superabile, tanto
più essendo essa in via di consolidamento, non pare implausibile e non lascia
spazio in concreto alla sperimentazione di altre opzioni, dato che tutte
comunque verrebbero a confliggere con quella fatta propria dal giudice
amministrativo di appello. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto
dal Presidente del Consiglio dei ministri, la questione proposta non si risolve
nella mera ricerca di un avallo interpretativo da parte di questa Corte.
Infatti, una volta che il giudice abbia consapevolmente scelto in modo non
implausibile una determinata interpretazione della norma, che ritiene non
superabile, «la possibilità di un’ulteriore interpretazione alternativa, che il
giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo
rilievo ai fini del rispetto delle regole del processo costituzionale, in
quanto la verifica dell’esistenza e della legittimità di tale ulteriore
interpretazione è questione che attiene al merito della controversia, e non
alla sua ammissibilità» (sentenza n. 221 del
2015).
È altresì priva di
fondamento l’eccezione sollevata dall’INPS secondo la quale il giudice avrebbe
errato nel sollevare la questione di legittimità costituzionale del solo
articolo unico della legge n. 1746 del 1962 e non anche di questo in combinato
disposto con l’art. 1, primo comma, della legge n. 390 del 1950 (laddove esso
ne limiterebbe l’applicabilità alle «campagne di guerra del 1940-45»), se non,
addirittura, solamente di quest’ultima disposizione.
Si osserva in
proposito che il rimettente avrebbe potuto prestare ossequio
all’interpretazione del Consiglio di Stato ed in tal caso ne sarebbe derivata
l’irrilevanza dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, mentre
avrebbero assunto rilievo esclusivo altre disposizioni (quali l’art. 18 del
d.P.R. n. 1092 del 1973 e l’art. 1 della legge n. 390 del 1950), suscettibili
di essere denunciate per aver esse previsto che i benefici sono riservati ai
soli partecipanti alle «campagne di guerra» e non invece anche ai partecipanti
alle missioni ONU. Ma, come già detto, la diversa opzione interpretativa
prescelta dal rimettente, in conformità ai nuovi orientamenti della
giurisprudenza amministrativa, non è implausibile e quindi la disposizione
impugnata mantiene la sua rilevanza nel percorso decisionale a cui è chiamato.
7.– Venendo al
merito, occorre innanzitutto sottolineare come non possa essere accolto
l’argomento della difesa erariale, che ha prospettato le conseguenze
pregiudizievoli per le casse dell’Erario in ragione dell’elevato numero di
ricorrenti.
Se «appartiene alla
discrezionalità legislativa, col solo limite della palese irrazionalità, stabilire
i modi e la misura dei trattamenti di quiescenza, nonché le variazioni
dell’ammontare delle prestazioni, attraverso un bilanciamento fra valori
contrapposti che contemperi le esigenze di vita dei beneficiari con le concrete
disponibilità finanziarie e le esigenze di bilancio» (sentenza n. 372 del
1998), nondimeno la prospettazione del rilevante impegno finanziario
derivante per le casse dello Stato dell’accoglimento della questione sollevata
non può di per sé rappresentare una preclusione all’accoglimento, ma semmai un
elemento da tenere in considerazione, ove dettagliatamente documentato dallo
Stato, nel bilanciamento degli interessi coinvolti nel giudizio costituzionale.
8.– Tutto ciò
premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della
legge n. 1746 del 1962 sollevata dal TAR per il Friuli Venezia Giulia in
riferimento all’art. 3 Cost. non è fondata.
Innanzitutto, si
deve evidenziare che il giudice a quo nelle ordinanze di rimessione non riporta
fedelmente il contenuto della sentenza n. 5172 del 2014 del Consiglio di Stato
che – a suo dire – costituirebbe diritto vivente. Al riguardo deve precisarsi
che tale decisione ha escluso che l’articolo unico della legge n. 1746 del 1962
si riferisca alla legge n. 390 del 1950, dacché tale provvedimento
riguarderebbe solamente quei militari che hanno preso parte a campagne di
guerra del secondo conflitto mondiale; diversamente, detta decisione ha
ritenuto che il riferimento si dovesse intendere rivolto ai benefici
concernenti aumenti stipendiali attribuiti ai combattenti in forza dell’art. 7
del regio decreto-legge 27 ottobre 1922, n. 1427, «concernente il trattamento
economico degli ufficiali e dei sottufficiali del Regio esercito, della Regia
guardia di finanza e della Regia guardia per la pubblica sicurezza».
Nondimeno, tale
imprecisione non muta la sostanza della questione, che appunto è imperniata
sulla negazione che l’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 possa valere
ad estendere ai militari impegnati in missioni per conto dell’ONU i benefici
previsti in disposizioni entrate in vigore in periodi successivi, in primis
quello contemplato dall’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973, il quale
prevede che «il servizio computabile è aumentato di un anno per ogni campagna di
guerra riconosciuta ai sensi delle disposizioni vigenti in materia».
8.1.– Pertanto
l’inquadramento corretto della questione non può prescindere dalla
considerazione del tempo e delle circostanze che costituirono l’occasio legis della disposizione
impugnata, nonché la successiva evoluzione del complessivo quadro normativo di
riferimento. Le circostanze dell’adozione della legge, rese esplicite dagli
atti parlamentari (l’uccisione di numerosi militari italiani impiegati in
Kindu, ex Congo belga, avvenuta nel novembre del 1961), evidenziano una
situazione a quel tempo del tutto nuova (la partecipazione delle forze armate
italiane a missioni in zone di conflitto per conto dell’ONU) ed in gran parte
sfornita di adeguata disciplina specifica. Di qui la soluzione legislativa di
estendere al personale partecipante alla missione la disciplina prevista per le
campagne di guerra.
Solo molti anni dopo
e in un contesto profondamente mutato, dal punto di vista sia internazionale
che dell’ordinamento militare italiano, la proliferazione delle cosiddette
"missioni di pace” sotto l’egida delle Nazioni Unite ha prodotto una
legislazione specifica, di regola dettata per singole missioni o per gruppi di
missioni. Tra i tanti provvedimenti si possono ricordare il decreto-legge 7
gennaio 2000, n. 1 (Disposizioni urgenti per prorogare la partecipazione
militare italiana a missioni internazionali di pace), convertito dall’art. 1,
comma 1, della legge 7 marzo 2000, n. 44, nonché l’art. 3 della legge 3 agosto
2009, n. 108 (Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali).
Inoltre una disciplina di carattere generale è stata adottata di recente con la
legge 21 luglio 2016, n. 145 (Disposizioni concernenti la partecipazione
dell’Italia alle missioni internazionali), in vigore dal 31 dicembre 2016.
Tali provvedimenti
legislativi contengono tra l’altro previsioni dettagliate in materia di
trattamento economico e previdenziale, di indennità di missione e di coperture
assicurative specifiche in favore del personale militare coinvolto.
Difatti, ai suddetti
militari in servizio all’estero è stato riconosciuto: il trattamento di
missione all’estero (regio decreto 3 giugno 1926, n. 941 (Indennità al
personale dell’amministrazione dello Stato incaricato di missione all’estero),
rideterminato di volta in volta e graduato a seconda dei diversi teatri
operativi; la percezione di altre indennità o rimborsi, tra le quali
l’indennità di lungo servizio all’estero: legge 8 luglio 1961, n. 642, recante
«Trattamento economico del personale dell’Esercito, della Marina e
dell’Aeronautica destinato isolatamente all’estero presso Delegazioni o
Rappresentanze militari ovvero presso enti, comandi od organismi
internazionali»; l’estensione delle disposizioni in materia di missione
all’estero: art. 1 della legge 18 maggio 1982, n. 301, recante «Norme a tutela
del personale militare in servizio per conto dell’ONU in zone di intervento»;
si vedano ora al riguardo gli artt. 1807 e 1808 del cod. ord. mil.); il
godimento di un trattamento assicurativo specifico (si vedano tra gli altri:
l’art. 3 del decreto-legge 28 dicembre 2001 n. 451, recante «Disposizioni
urgenti per la proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari
internazionali» – convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge
27 febbraio 2002, n. 15; l’art. 10 del decreto-legge 19 gennaio 2005, n. 3,
recante «Proroga della partecipazione italiana alla missione internazionale in
Iraq e misure di incentivazione della produttività del personale dei Ministeri
della difesa e degli affari esteri» – convertito con modificazioni dall’art. 1,
comma 1, della legge 18 marzo 2005, n. 37; l’art. 39-viciesbis del
decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, recante «Definizione e proroga di
termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti», convertito con modificazioni
dall’art. 1, comma 1, della legge 23 febbraio 2006, n. 51).
Quindi, per effetto
del mutato contesto internazionale e dell’evoluzione dell’ordinamento militare,
l’interprete non può più arrestarsi alla generale equiparazione posta dalla
disposizione impugnata tra i militari impegnati in missioni per conto dell’ONU
ed i «combattenti» impegnati in «campagne di guerra», in quanto per i primi il
legislatore ha di volta in volta individuato regole specifiche incidenti sul
trattamento retributivo e pensionistico nonché dirette anche a compensare gli
specifici rischi connessi agli interventi.
Al riguardo è
significativo rammentare il comma 39 dell’art. 39-vicies semel (rubricato:
«Partecipazione di personale militare a missioni internazionali») del d.l. n.
273 del 2005 (ora sostituito dall’art. 1808, comma 2, del cod. ord. mil.), a
mente del quale i trattamenti economici previsti in favore dei militari in
questione sono erogati anche per compensare disagi e rischi collegati al loro
impiego nei teatri operativi.
Inoltre, in
occasione dell’adozione delle disposizioni successive, il legislatore ha sempre
dimostrato di aver avuto ben presente la distinzione tra le campagne di guerra
e le missioni ONU, tanto che ha ritenuto di estendere ai partecipanti alle
suddette missioni alcune provvidenze riservate alle campagne di guerra (l’art.
2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n.
915, recante «Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra», ha
esteso ai militari la spettanza della pensione, assegno o indennità di guerra),
mentre per le altre ha escluso espressamente tale estensione (l’art. 5, comma
2, della legge 9 ottobre 1971, n. 824, recante «Norme di attuazione,
modificazione ed integrazione della legge 24 maggio 1970, n. 336, concernente
norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex combattenti ed
assimilati», precisa che le disposizioni della legge 24 maggio 1970, n. 336,
recante «Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex
combattenti ed assimilati», «non si applicano al personale di cui alla legge 11
dicembre 1962, n. 1746»).
Peraltro, il
concetto di "combattente” è stato a suo tempo individuato con riferimento ai
partecipanti a vario titolo al secondo conflitto mondiale, come testimonia il
decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137 (Norme per la concessione dei benefici
ai combattenti della seconda guerra mondiale), il quale individua i destinatari
di tali benefici (militari, militarizzati, prigionieri e partigiani).
In proposito, questa
Corte ha già affermato che «Il decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137, come
modificato dalla legge n. 93 del 1952, costituisce la fonte normativa cui
occorre riferirsi per la qualifica di "combattente” e per l’individuazione dei
requisiti – comprese le cause di esclusione – che definiscono l’ambito
soggettivo di applicazione dei benefici combattentistici. Tanto i requisiti che
le cause di esclusione fissate dal decreto hanno portata generale perché
determinano, circoscrivendola, la categoria dei combattenti ai fini
dell’individuazione dei destinatari dei benefici (già) previsti (all’epoca
dell’entrata in vigore della normativa: art. 1, primo comma) nonché di quelli
riconosciuti da leggi successive (sentenza n. 234 del
1989)» (sentenza
n. 211 del 1993).
Con specifico
riferimento poi all’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092
del 1973, che prevede il beneficio reclamato dai ricorrenti, è opportuno
ricordare che nei lavori preparatori del Codice dell’ordinamento militare e del
Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare
(sono significative in proposito le note a pié di
testo all’articolato degli schemi dei provvedimenti posti all’esame del
Consiglio di Stato, Commissione Speciale Difesa, Adunanza del 10 febbraio 2010,
nn. 149 e 152) viene affermato, con riferimento
all’art. 1858 cod. ord. mil., che, pur trattandosi di norma non più attivata in
favore dei militari appartenenti a contingenti inviati in missione all’estero,
«la conservazione dell’art. 18 (campagne di guerra) del d.P.R. n. 1092 del 1973
nell’ordinamento giuridico è, però, opportuna, tenuto conto dei rischi
conseguenti al verificarsi di una crisi internazionale».
Tale osservazione conferma
la volontà del legislatore di riservare l’applicabilità di tale disposizione a
situazioni ben diverse da quelle dell’impiego di militari nelle missioni ONU.
Ed infatti, la legge
n. 108 del 2009, mentre da un canto con l’art. 3, comma 4, in virtù del rinvio
posto all’art. 19 del d.P.R. n. 1092 del 1973, prevede l’aumento di un terzo
del servizio prestato sulla costa in tempo di guerra, estendendo quindi ai
militari in questione un trattamento all’origine riservato a chi prestava il
servizio «in tempo di guerra», di contro non applica ai suddetti militari anche
il precedente art. 18 del medesimo d.P.R., rendendo così evidente come tale
opzione derivi direttamente da una consapevole scelta del legislatore che ha
inteso riservare l’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per il caso di
sopravvenienza di una nuova crisi internazionale, fonte di situazioni estreme.
In sostanza, l’esame
della disciplina entrata in vigore successivamente alla legge impugnata
restituisce un quadro particolarmente articolato, stratificatosi nel corso
degli ultimi decenni, nei quali buona parte dei benefici sono stati destinati
esclusivamente a soggetti coinvolti a vario titolo nell’ultimo conflitto
mondiale. Solo alcuni di tali benefici sono stati successivamente estesi anche
ai militari impiegati nelle missioni ONU.
Di contro, a quei
soggetti che dovessero assumere in futuro la qualifica di veri e propri
"combattenti”, anche al di fuori del servizio militare svolto
professionalmente, attualmente l’ordinamento riserva la particolare provvidenza
prevista dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, giusta il richiamo posto
dall’art. 1858 cod. ord. mil.
Il tutto risulta
quindi frutto di scelte discrezionali del legislatore non irragionevoli. Tale
assunto è confermato proprio dalla disciplina delle missioni svolte per conto
delle Nazioni Unite, per le quali le disposizioni, che di volta in volta hanno
stabilito il trattamento economico ed accessorio unitamente ad altre
provvidenze, hanno tenuto in considerazione anche le rilevanti specificità e
criticità delle singole missioni.
8.2.– Non risulta
pertinente l’obiezione sollevata dai ricorrenti nei giudizi principali secondo
la quale, dovendosi adeguare l’ordinamento interno a quello internazionale (pur
se per diverse finalità), al concetto di guerra inteso in senso tradizionale
sarebbero stati nel tempo assimilati altri concetti, quali quelli di crisi
internazionale o di conflitto armato, cosicché l’estensione potrebbe riguardare
anche quello di missione di pace svolta per conto dell’ONU.
In proposito, se
invero, a partire dal decreto-legge 1° dicembre 2001, n. 421 (Disposizioni
urgenti per la partecipazione di personale militare all’operazione
multinazionale denominata "Enduring Freedom”), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma
1, della legge 31 gennaio 2002, n. 6, e dal d.l. n. 451 del 2001, è stata
prevista l’applicazione del codice penale militare di guerra ai soggetti
impiegati in (solamente) alcune operazioni armate e che con l’art. 2 della
legge n. 15 del 2002 sono stati aggiunti due commi all’art. 165 del cod. pen. mil. guerra, parificando a tali fini le «operazioni
militari armate svolte all’estero» al «conflitto armato», tanto però dimostra
ulteriormente che in tale ambito non esiste nell’ordinamento un principio
generale di assimilazione, se non laddove il legislatore abbia ritenuto
discrezionalmente di equiparare – a certi fini ed entro certi limiti – le
missioni internazionali ai conflitti bellici. Un’ulteriore conferma di tale
distinta disciplina, a seconda che ricorra il caso dello «stato di guerra
deliberata» o della «crisi internazionale» era contenuta nell’art. 2, comma 1,
lett. f), della legge 14 novembre 2000, n. 331 (Norme per l’istituzione del
servizio militare professionale), abrogata dall’art. 2268, comma 1, n. 984, del
d.lgs. n. 66 del 2010, laddove si prevedeva che si potesse ricorrere al
reclutamento mediante leva obbligatoria:
1) qualora fosse
deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione;
2) qualora una grave
crisi internazionale nella quale l’Italia fosse coinvolta direttamente o in
ragione della sua appartenenza ad un’organizzazione internazionale
giustificasse un aumento della consistenza numerica delle Forze armate.
Il comma 2 stabiliva
che «il servizio militare obbligatorio nei casi previsti dalla lettera f) del
comma 1 ha la durata di dieci mesi, prolungabili unicamente in caso di
deliberazione dello stato di guerra», rendendo quindi evidente la distinta
considerazione del legislatore di eventi estremi come la grave crisi internazionale
e lo stato di guerra deliberato.
Per tutto quanto sin
qui esposto non rileva l’equiparazione proposta dal TAR tra le guerre e le
missioni di pace sotto il profilo dei rischi mortali egualmente presenti in
entrambe le situazioni.
Difatti, al di là
della presenza di rischi mortali (rischi che nelle missioni ONU il legislatore,
di recente, sembra aver scelto di compensare graduando gli emolumenti e le
indennità a seconda del teatro operativo e degli obiettivi della missione), ben
diversa rimarrebbe la situazione di una partecipazione di limitati contingenti
di soldati professionisti in missioni svolte in territorio estero e quella di
«guerre» o «crisi internazionali» che imponessero addirittura il ricorso alla
leva obbligatoria generalizzata. Tanto basterebbe a giustificare di per sé la
scelta del legislatore di non estendere tout court ai militari impegnati in
missioni ONU tutti i benefici combattentistici, quali essi siano.
In proposito, questa
Corte ha già riconosciuto la piena discrezionalità del legislatore nella
decisione di non estendere (altri) benefici combattentistici riservati ai soli
partecipanti a veri e propri fatti di guerra ai partecipanti alle operazioni di
polizia coloniale, le quali, per essere tese alla reintegrazione ed al mantenimento
dell’ordine pubblico interno nel territorio soggetto alla sovranità dello Stato
e non dirette contro uno Stato straniero, non potevano assimilarsi alle
operazioni belliche (sentenza n. 509 del
1988).
8.3.– Tali
considerazioni conducono ad ulteriori ragioni d’infondatezza.
Poiché i ricorrenti
dei giudizi a quibus aspirano a provvidenze aventi
natura retributiva e pensionistica che attualmente l’ordinamento riserva ai
soli «combattenti» in «campagne di guerra», il raffronto non andrebbe fatto
tenendo conto dei rischi mortali presenti in entrambe le situazioni, ma tra il
trattamento complessivo riservato ai militari partecipanti alle missioni svolte
per conto dell’ONU e quello destinato ai «combattenti». Ed al riguardo, per
quanto si è detto, non sussiste alcuna sperequazione tra la posizione del
militare che nell’ambito di un servizio svolto professionalmente decida
volontariamente di partecipare a missioni internazionali e che quindi riceva un
peculiare trattamento retributivo e stipendiale, comunque migliorativo rispetto
a quello normalmente percepito nel corso del rapporto di lavoro, e quella
dell’arruolato in seguito a provvedimenti più o meno generali di richiamo alle
armi, cui spetterebbe – allo stato della legislazione esistente – oltre alla
sola supervalutazione di cui all’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, un
compenso giornaliero, il cosiddetto "soldo”, poco più che simbolico.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge 11 dicembre 1962, n.
1746 (Estensione al personale militare, in servizio per conto
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite - ONU - in zone d’intervento, dei
benefici combattentistici), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal
Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara,
con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962
sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale amministrativo
regionale per il Friuli Venezia Giulia con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 ottobre
2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 novembre
2016.
Allegato:
Ordinanza letta
all’udienza del 4 ottobre 2016