Ordinanza n. 36 del 2015

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ORDINANZA N. 36

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                 Giudice

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra G.G. e l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), con ordinanza del 15 aprile 2014, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato.

Ritenuto che con ordinanza depositata il 15 aprile 2014, il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) − come modificato dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688 (Manovre urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11 − nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;

che il Consiglio di Stato è chiamato a rendere il parere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da G.G., già sub-agente di una compagnia di assicurazioni, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza con la quale il presidente dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (d’ora in avanti, IVASS) gli ha irrogato la sanzione amministrativa di 108.029,60 euro, applicando il cumulo del minimo edittale di 1.000 euro per ciascuna delle 108 violazioni degli artt. 117 (obbligo di separazione patrimoniale, per l’omesso versamento dei premi assicurativi riscossi su un apposito conto) e 183 (obbligo di correttezza) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private);

che il giudice rimettente − ritenuta l’infondatezza degli altri motivi di impugnazione − riferisce che, a fondamento del ricorso, è stata altresì denunciata la mancata applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni e, in ogni caso, l’eccessività della sanzione;

che il Consiglio di Stato osserva che l’art. 8 della legge n. 689 del 1981, come modificato dall’art. 1-sexies del d.l. n. 688 del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 1986, ha introdotto nel sistema sanzionatorio amministrativo il cumulo giuridico − corrispondente a quello previsto per le pene dall’art. 81, secondo comma, del codice penale − limitandolo tuttavia alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie; tale limitazione violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto determinerebbe un’irrazionale disparità di trattamento tra chi commetta violazioni in materia previdenziale e assistenziale e chi commetta illeciti amministrativi in altre materie;

che ad avviso del Consiglio di Stato − mediante un intervento settoriale inserito all’interno della disciplina generale sulla repressione degli illeciti amministrativi − è stato previsto un istituto, parimenti generale, di mitigazione delle sanzioni, qual è la continuazione, limitando tuttavia il beneficio alla sola materia considerata dalla legge settoriale, così immotivatamente escludendolo per tutte le altre; tale limitazione sarebbe irrazionale, tanto più che la continuazione, come istituto di mitigazione delle sanzioni, in linea di principio e salvo ragionevoli eccezioni, sarebbe estensibile alla generalità delle leggi repressive;

che la rilevanza della questione viene ricollegata al fatto che – se il cumulo giuridico fosse applicabile al caso di specie − la sanzione complessiva massima irrogabile sarebbe notevolmente inferiore a quella irrogata in concreto; infatti, la sanzione massima, pari a 10.000 euro per ciascuna violazione, aumentata sino al triplo, per effetto della continuazione, sarebbe pari a 30.000 euro; pertanto, l’eventuale declaratoria di incostituzionalità della disposizione censurata, comporterebbe l’annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato;

che il rimettente si dichiara consapevole del fatto che − con le ordinanze n. 468 del 1989 e n. 23 del 1995 − la questione sopra prospettata è stata ritenuta manifestamente inammissibile, sul rilievo che la discrezionalità del legislatore precluda un intervento additivo «nel configurare il concorso tra violazioni omogenee, o anche tra violazioni eterogenee, nonché (e soprattutto) nel predisporre un’idonea disciplina organizzativa in ordine all’accertamento ed alla contestazione della continuazione»;

che, tuttavia, la limitazione del cumulo giuridico prevista dalla disposizione censurata non sarebbe qualificabile in termini di discrezionalità, quanto piuttosto di casualità, determinata da un intervento di carattere settoriale; e d’altra parte, ad avviso del rimettente, non sarebbe comprensibile il richiamo, contenuto nelle pronunce suddette, alla necessità di una «disciplina organizzativa in ordine all’accertamento e alla contestazione della continuazione»;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;

che la difesa statale sottolinea come, nelle ordinanze n. 468 del 1989 e n. 23 del 1995, la Corte abbia già valutato la questione formulata dal Consiglio di Stato, dichiarandola manifestamente inammissibile; in particolare, è stata ritenuta di esclusiva competenza del legislatore la decisione “sul se e sul come” configurare il concorso tra violazioni omogenee o anche tra violazioni eterogenee, nonché nel predisporre un’idonea disciplina organizzativa in ordine all’accertamento ed alla contestazione della continuazione;

che tali argomentazioni – ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato − conservano la loro attualità, non essendovi alcun parametro costituzionale che vincoli il legislatore nello stabilire se la continuazione possa essere limitata al solo concorso materiale omogeneo, o se viceversa debba essere estesa anche a plurime violazioni eterogenee;

che inoltre, con riferimento alla tesi secondo cui non sarebbe consentito al legislatore limitare l’istituto della continuazione alla sola legge settoriale della previdenza ed assistenza obbligatorie, si osserva che rientra nella discrezionalità del legislatore l’individuazione dell’ambito di applicazione delle disposizioni normative;

che la scelta di consentire l’unificazione, ai fini del trattamento sanzionatorio, delle sole violazioni amministrative in materia previdenziale, non sarebbe affatto irragionevole, né arbitrariamente discriminatoria, poiché si tratta di illeciti che, quasi necessariamente, riguardano una pluralità di dipendenti;

che d’altra parte, la collocazione di tale limitazione nell’ambito della norma generale in tema di illeciti amministrativi costituisce una scelta di mera tecnica legislativa, dalla quale non si potrebbe ricavare la conclusione che la continuazione degli illeciti amministrativi abbia assunto la qualità di istituto generale del diritto sanzionatorio.

Considerato che, con ordinanza depositata il 15 aprile 2014, il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) − come modificato dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688 (Manovre urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11 − nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;

che il Consiglio di Stato osserva che l’art. 8 della legge n. 689 del 1981 ha introdotto nel sistema sanzionatorio amministrativo il cumulo giuridico − corrispondente a quello previsto per le pene dall’art. 81, secondo comma, del codice penale − limitandolo tuttavia alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie;

che il giudice rimettente, nel dare conto della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, denuncia la disparità di trattamento derivante dalla norma impugnata, che delimita l’ambito applicativo del cumulo giuridico delle sanzioni alle sole violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, con ciò escludendolo per tutte le altre violazioni amministrative;

che, ad avviso del Consiglio di Stato, tale limitazione violerebbe l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto determinerebbe un’irrazionale disparità di trattamento tra chi commetta violazioni in materia previdenziale e assistenziale e chi commetta illeciti amministrativi in altre materie;

che, tuttavia, la motivazione dell’ordinanza di rimessione non contiene indicazioni sufficienti ad una completa ricostruzione della fattispecie a quo, necessaria al fine di valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale;

che in particolare l’ordinanza non chiarisce quali siano gli esatti termini degli illeciti amministrativi contestati, con riferimento alle plurime condotte che hanno dato luogo al provvedimento sanzionatorio impugnato; in particolare, non vengono fornite indicazioni circa le concrete modalità esecutive delle violazioni, con riferimento alla natura eterogenea delle plurime condotte, al contesto temporale in cui le stesse sono state realizzate e, in definitiva, alla riconducibilità delle stesse ad un medesimo disegno trasgressivo, come richiesto dalla disposizione impugnata;

che – alla luce del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione − tale carenza costituisce motivo di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in quanto preclusiva della valutazione della rilevanza, non essendo stati forniti sufficienti elementi che consentano di ritenere che le plurime violazioni contestate siano riconducibili al modello del concorso materiale e possano – in ipotesi − essere unificate sotto il vincolo della continuazione, come disciplinato dall’art. 8, secondo comma, della legge n. 689 del 1981;

che, inoltre, nell’ordinanza di rimessione non si rinviene alcuna considerazione circa l’applicabilità al caso in esame della disciplina stabilita dall’art. 327 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), il quale, al comma 1, conferisce rilievo, nella disciplina delle attività assicurative, al cosiddetto “illecito seriale”, costituito da «più violazioni della stessa disposizione del presente codice, o delle norme di attuazione, per le quali sia prevista l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, attraverso una pluralità di azioni od omissioni la cui reiterazione sia dipesa dalla medesima disfunzione dell’organizzazione dell’impresa o dell’intermediario».

che per queste ipotesi di concorso materiale − alle quali si accompagni la tempestiva e puntuale adozione di misure correttive indicate dall’istituto di vigilanza – la disposizione in esame prevede un particolare trattamento sanzionatorio, consistente in «un’unica sanzione amministrativa pecuniaria, sostitutiva di quelle derivanti dalle violazioni della medesima disposizione, che sarà determinata in misura non inferiore ad euro cinquantamila e non superiore ad euro cinquecentomila»;

che, tuttavia, il giudice a quo − nel censurare la delimitazione del più favorevole trattamento sanzionatorio alle sole violazioni in materia di assistenza e previdenza − non considera affatto la concreta applicabilità del trattamento previsto dalla norma speciale di cui all’art. 327 del d.lgs. n. 209 del 2005, la quale potrebbe essere decisiva, in relazione alle censure formulate dal ricorrente;

che lo stesso Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni ha espressamente affermato – proprio con riferimento alla disposizione dell’art. 327 del d.lgs. n. 209 del 2005 − che «Il Codice non effettua alcuna distinzione in base alla tipologia della violazione e alla sua gravità, ma fissa un range unico di sanzione per tutte le categorie di illecito ad esso astrattamente riconducibili […]» (Esiti della pubblica consultazione in ordine al Regolamento n. 1 dell’8 ottobre 2013, concernente la procedura di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie; art. 11);

che, pertanto, la mancata considerazione, da parte del giudice a quo, di tale disciplina, che ha introdotto, sia pure in chiave settoriale e non sistematica, un particolare regime del cumulo giuridico delle sanzioni in relazione a plurime violazioni di disposizioni in materia assicurativa, costituisce un’ulteriore ragione di inammissibilità della questione, per l’incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento;

che in ogni caso, anche laddove il giudice a quo avesse ritenuto in concreto non applicabile la disciplina dell’art. 327 del codice delle assicurazioni private al caso sottoposto al suo esame − ciò che allo stato non è possibile accertare − tuttavia una valutazione sistematica dell’istituto dell’illecito seriale, previsto da tale disposizione nell’ambito della disciplina del cumulo giuridico delle sanzioni amministrative pecuniarie, avrebbe potuto condurre ad una diversa conclusione in ordine alla compatibilità dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 con l’art. 3 Cost.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), introdotto dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 febbraio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2015.