Sentenza n. 211 del 1993

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SENTENZA N. 211

ANNO 1993

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137 (Norme per la concessione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale) e del combinato disposto dell'art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137 con gli artt.72 e 412 del codice penale militare di pace, promossi con n. 2 ordinanze emesse l'8 giugno 1992 dal Tribunale militare di sorveglianza di Roma sulle istanze proposte da Giotti Giovanni e Salvadori Uliviero, iscritte ai nn.529 e 530 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto in fatto

l. -- Adito da Giovanni Giotti per la riabilitazione militare dalla condanna per diserzione riportata nel 1947, il Tribunale militare di sorveglianza di Roma, con ordinanza emessa l'8 giugno 1992, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: dell'art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137, nella parte in cui determinerebbe un effetto penale militare della condanna per il reato di diserzione, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione; del combinato disposto dello stesso art. 11 del decreto legislativo n. 137 del 1948 e degli artt. 72 e 412 del codice penale militare di pace (regio decreto 20 febbraio 1941, n.303), recanti la disciplina dell'istituto della riabilitazione militare e del relativo procedimento, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Perchè si estinguano <le pene militari accessorie e gli altri effetti penali militari> di una condanna per reato militare, è necessario che, una volta che sia intervenuta la riabilitazione comune, in un nuovo e distinto procedimento il Tribunale militare di sorveglianza -- in luogo del soppresso Tribunale supremo militare -- dichiari l'estensione degli effetti estintivi anche a quelle specifiche ulteriori conseguenze della condanna, disponendo così la "riabilitazione militare".

L'autorità rimettente premette che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, <gli altri effetti penali militari> di cui all'art. 72 del c.p.m.p. sono riconducibili, per la generalità dei reati militari, alla perdita delle distinzioni onorifiche di guerra e, <relativamente ai reati di diserzione commessi da soggetti aventi diritto ai benefici combattentistici>, alla <perdita di tale diritto ai sensi dell'art. 11 del decreto legislativo n. 137 del 1948> (<i benefici in favore dei combattenti non sono applicabili ai disertori>), e che, ai fini della ammissibilità della riabilitazione militare, occorre valutare caso per caso se, dopo la riabilitazione comune, residui in capo al condannato taluna delle dette conseguenze sfavorevoli, nella specie consistente nella perdita dei benefici combattentistici attestata dal foglio matricolare agli atti.

Ora, posto che gli effetti penali della condanna devono discendere da una fattispecie normativa compresa fra le fonti del diritto penale, dovendo obbedire agli stessi principii che disciplinano la materia penale, l'art.11, lett. a), del decreto legislativo n. 137 del 1948, ad avviso del giudice a quo, viola il princìpio di legalità posto dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione: da una parte, infatti, la norma è retroattiva, perchè le condanne per diserzione da cui fa discendere l'effetto sfavorevole non possono che riferirsi a fatti, come quello in esame, commessi prima del 1948; dall'altra, essa è priva del requisito della sufficiente determinatezza, in quanto gli effetti prodotti sono indicati "sinteticamente ma enigmaticamente", nell'intero testo del decreto, con la formula "benefici in favore dei combattenti", con la conseguenza che "la fattispecie in questione condiziona una serie aperta di effetti, potenzialmente di qualsivoglia natura, sottratta al dominio della tipicità" (viene indicata fra essi la maggiorazione della pensione sociale riconosciuta dall'art. 6 della legge n. 140 del 1985 agli "ex combattenti" di cui alla legge n. 336 del 1970 e "successive modificazioni e integrazioni").

Una seconda censura l'autorità rimettente rivolge al combinato disposto dello stesso art. 11 del decreto legislativo n. 137 del 1948 e degli artt. 72 e 412 del c.p.m.p. nella interpretazione fornitane dalla Corte di Cassazione, lamentando la violazione dell'art. 3 della Costituzione: la qualifica di effetto penale "militare" attribuito alla previsione del detto art. 11 determina per il condannato per diserzione la necessità di attivare un procedimento ulteriore rispetto alla riabilitazione comune.

Da quella particolare condanna discende quindi, oltre che un effetto penale specifico, un'ulteriore gravosa conseguenza processuale, attesa la impermeabilità di quell'effetto alla riottenuta riabilitazione comune.

Tale duplicità procedimentale -- che non riposa sulla previsione di differenti parametri formali, essendo regolati i due giudizi dal medesimo procedimento, ed avendo ad oggetto i medesimi elementi indicati dall'art.179 del codice penale -- si spiega solo alla luce di una concezione dell'ordinamento militare come separato e distinto da quello statuale, e realizza per il condannato per diserzione una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento.

2. -- É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, eccependo in primo luogo l'inammissibilità della questione. L'art. 11 del decreto legislativo n. 137 del 1948 non rileverebbe nel giudizio a quo, che non ha ad oggetto la legittimità della esclusione dei disertori da benefici, nella specie peraltro imprecisati, mancando nell'ordinanza ogni riferimento a specifiche domande del ricorrente.

Le questioni sollevate, ad avviso dell'Avvocatura, sono poi infondate, perchè l'art. 11 denunciato non disciplina una fattispecie penale, ma piuttosto collega a determinate situazioni alcune esclusioni da benefici di vario tipo, effetti quindi non rimuovibili con la riabilitazione militare. Quanto alla lamentata indeterminatezza della fattispecie, la sentenza n. 234 del 1989 ha chiarito che le esclusioni previste dall'art.11 si applicano ad ogni tipo di beneficio, stabilito da leggi anteriori o non al 1952.

Infine, la questione sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione -- cui in ogni caso è estraneo l'art.11 del decreto legislativo n. 137 del 1948 -- è manifestamente infondata: se condivisa, porrebbe infatti in radicale discussione lo stesso campo di applicazione del codice penale militare di pace ed i principii che lo sorreggono.

3. -- Nel corso di un analogo procedimento per la riabilitazione militare promosso da Uliviero Salvadori, la medesima autorità ha sollevato, con distinta ordinanza (n. 530 del 1992) emessa l'8 giugno 1992, identica questione.

Anche in tale giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, riportandosi alle difese svolte nel giudizio rubricato al n. 529 del 1992.

Considerato in diritto

l. -- Le due ordinanze (R.O. nn. 529 e 530 del 1992) del Tribunale militare di sorveglianza di Roma, emesse entrambe l'8 giugno 1992, sollevano identiche questioni. I relativi giudizi vanno pertanto riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2. -- La prima questione investe l'art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137 (Norme per la concessione di benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale). La norma, nel disporre la non applicabilità ai disertori dei "benefici in favore dei combattenti", determinando così un effetto penale militare della condanna per detto reato, violerebbe il principio di legalità posto dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione: a) in quanto norma retroattiva, perchè le condanne per diserzione da cui l'effetto discende non possono che riferirsi, come nei giudizi a quibus, a fatti commessi prima della sua entrata in vigore; b) in quanto gli effetti sono indicati in modo generico, con la conseguenza che la fattispecie, in forza del richiamo agli "ex combattenti" contenuto in leggi successive, investe una serie aperta di effetti, sottratta al dominio della tipicità.

3. -- La questione è infondata.

Il decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137, come modificato dalla legge n. 93 del 1952, costituisce la fonte normativa cui occorre riferirsi per la qualifica di "combattente" e per l'individuazione dei requisiti - - comprese le cause di esclusione -- che definiscono l'ambito soggettivo di applicazione dei benefici combattentistici. Tanto i requisiti che le cause di esclusione fissate dal decreto hanno portata generale perchè determinano, circoscrivendola, la categoria dei combattenti ai fini dell'individuazione dei destinatari dei benefici (già) previsti (all'epoca dell'entrata in vigore della normativa: art. 1, primo comma) nonchè di quelli riconosciuti da leggi successive (sentenza n. 234 del 1989).

L'autorità rimettente muove dalla premessa che l'esclusione -- recte: la non applicabilità -- dai benefici dei combattenti disertori, disposta dall'art. 11 del detto decreto, costituisca, messa in relazione con disposizioni successive che attribuiscono singoli benefici alla categoria, un effetto penale militare della condanna per il reato di diserzione.

La premessa è inesatta. Alla inapplicabilità, disposta dalla norma del 1948, di benefici specifici attribuiti da leggi successive agli ex combattenti, categoria che per definizione non comprende i disertori, fa invero difetto il carattere della afflittività. Dal disposto dell'art.11 del decreto, come interpretato dal giudice a quo, non può farsi discendere una limitazione della sfera giuridica, prima integra, dei soggetti destinatari.

Proprio l'esclusione della maggiorazione della pensione sociale riconosciuta agli ex combattenti dall'art. 6 della legge 15 aprile 1985, n. 140, che l'autorità rimettente addita come conseguenza pregiudizievole derivante dalla norma censurata, dimostra la fragilità dell'assunto, basato su un'inversione logica. Questa Corte, premesso che in materia di concessione di benefici a particolari categorie di cittadini il legislatore ha un ampio potere discrezionale, ha affermato infatti (nella sentenza n. 234 del 1989 già citata) che quello previsto dall'art. 6 della legge n. 140 del 1985 ha "funzione di gratificazione di un merito che non senza ragione si ritiene non possa essere rivendicato" da chi -- nella specie si trattava dell'ipotesi, pure prevista dall'art.11, primo comma, del decreto legislativo n. 137 del 1948, degli ufficiali che avevano in seguito aderito alla R.s.i. --, pur rientrando astrattamente nel novero degli ex combattenti, per espressa esclusione non ne rivesta la qualifica.

Posto che l'attribuzione del beneficio ha funzione di gratificare un merito, il suo mancato riconoscimento non può dunque assumere una valenza anche in senso lato sanzionatoria.

4. -- Viene altresì impugnato il combinato disposto dell'art. 11 del decreto legislativo n. 137 del 1948, e degli artt. 72 e 412 del c.p.m.p., che recano la disciplina, rispettivamente, dell'istituto della riabilitazione militare e del relativo procedimento. Tale normativa, imponendo al condannato per diserzione che abbia già ottenuto la riabilitazione comune di instaurare un giudizio ulteriore, diretto alla riabilitazione militare, qualora intenda rimuovere i residui effetti penali militari della condanna, darebbe luogo ad un gravoso ed ingiustificato raddoppio di giudizi, regolati dalla medesima procedura ed aventi ad oggetto i medesimi elementi, realizzando una disparità di trattamento a danno di tali condannati, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

La questione è inammissibile.

5. -- La riabilitazione militare, a norma dell'art. 72 del c.p.m.p., ha la funzione specifica di estinguere le pene militari accessorie e gli altri effetti penali militari. Essa costituisce un'eccezione ("salvo che la legge disponga altri menti") alla regola, fissata dall'art. 178 del codice penale, che attribuisce alla riabilitazione comune la funzione di estinguere "le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna".

Anche a voler trascurare che le condizioni cui è subordinata la riabilitazione militare sono di ordine squisitamente militare, essendo il giudizio diretto alla reintegrazione dell'onore militare, alla stregua dei valori propri di quel consorzio ed ai peculiari riflessi della condanna sullo status militare, per definire la questione è decisiva una considerazione di carattere preliminare.

Sia la valutazione della proporzionalità della pena rispetto al fatto contemplato come illecito, sia la previsione di cause di estinzione del reato in relazione al disvalore ad esso assegnato, sono affidate all'apprezzamento discrezionale del legislatore, sindacabile solo quando integri arbitrio perchè irrazionale o non giustificato. Al legislatore è dunque attribuita anche la scelta della forma di riabilitazione per la rimozione degli effetti pregiudizievoli ulteriori rispetto alla sanzione principale della condanna. Questa Corte, con la sentenza n. 289 del 1992, ha affermato che la riabilitazione come istituto in sè considerato è espressione di un principio generale e di un'esigenza, ancorchè non rispondenti ad alcuna norma costituzionale, di vasta applicabilità. In ciascuna delle forme di riabilitazione previste dall'ordinamento vigente <si riscontra un nucleo normativo comune, tanto con riferimento ai presupposti per l'applicazione [...], quanto con riferimento agli effetti>. Tuttavia, ciascuna delle forme di riabilitazione indicate costituisce un modello a sè.

La scelta di un modello o di un altro ovvero, in radice, la scelta del meccanismo per la rimozione degli effetti ulteriori, non è costituzionalmente obbligata e spetta al legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità politica, valutare quale istituto sia più coerente con le sanzioni prescelte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948, n.137 (Norme per la concessione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale), sollevata dal Tribunale militare di sorveglianza di Roma con le ordinanze in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137, in relazione agli artt. 72 e 412 del codice penale militare di pace, sollevata dal Tribunale militare di sorveglianza di Roma con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 03/05/93.