Sentenza n. 234 del 1989

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SENTENZA N. 234

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 del decreto lgs. 4 marzo 1948, n. 137 (Norme per la concessione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale), dell'art. 2 della legge 23 febbraio 1952, n. 93 (Ratifica, con modificazioni, del Decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137, recante norme per la concessione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale) e dell'art. 6, n. 1, della legge 15 aprile 1985, n. 140 (Miglioramento e perequazione di trattamenti pensionistici e aumento della pensione sociale), promosso con ordinanza emessa il 1° luglio 1987 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Biagetti Lanfranco e l'I.N.P.D.A.I., iscritta al n. 562 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Visto l'atto di costituzione di Biagetti Lanfranco nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi l'avv. Guido Conti per Biagetti Lanfranco e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1.-Il Pretore di Roma interpreta restrittivamente l'art. 6 della legge n. 140 del 1985 nel senso che il beneficio ivi disposto in favore degli ex combattenti (maggiorazione del trattamento pensionistico nella misura di lire 30.000 mensili) e applicabile nei limiti delle cause di esclusione previste dagli artt. 11 del d.lgs. n. 137 del 1948 e 2 della legge n. 93 del 1952, restandone esclusi in particolare coloro che abbiano riportato sanzioni disciplinari per avere aderito alla sedicente repubblica sociale italiana. Alla stregua di questa interpretazione egli dubita della legittimità costituzionale della normativa risultante dalle tre disposizioni citate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione.

Occorre precisare che, nel dichiarare la rilevanza della questione, il giudice remittente si è implicitamente adeguato alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, non sempre condivisa dai giudici inferiori, secondo la quale il condono delle sanzioni disciplinari, disposto dalla legge 18 marzo 1968, n. 250, non incide sul fatto dell'avvenuta irrogazione della sanzione, e quindi non fa venir meno gli effetti che ne derivano ad altri fini, diversi dalla sanzionabilità dell'illecito, quali l'esclusione dai benefici combattentistici prevista dall'art. 11 del decreto legislativo n. 137 citato.

2. - Mentre la Corte non può che prendere atto della valutazione del giudice a quo da cui dipende la rilevanza della sollevata questione di costituzionalità, va esaminata preliminarmente la diversa interpretazione delle norme impugnate prospettata dal ricorrente per fondare una domanda diretta, in via principale, a ottenere una sentenza interpretativa di rigetto. A suo avviso le cause di esclusione sopra richiamate riguarderebbero esclusivamente i benefici combattentistici stabiliti dalle leggi in vigore al tempo in cui furono emanati il decreto legislativo del 1948 e la legge del 1952, di guisa che, vertendo il giudizio a quo su un beneficio concesso da una legge del 1985, la questione non avrebbe ragione d'essere.

A questa tesi si oppone insuperabilmente il rilievo che il decreto del 1948, ratificato dalla legge n. 93 del 1952, e la fonte normativa cui si deve fare riferimento per l'accertamento della qualifica di <combattente> e degli altri requisiti che definiscono l'ambito soggettivo di applicazione dei benefici combattentistici.

Nel novero di tali requisiti rientrano pure le cause di esclusione, le quali, pertanto, hanno una portata generale e si applicano anche ai benefici concessi da leggi successive al 1952.

Né si può dire - come si legge nella sentenza n. 3008 del 1978 della Cassazione, in contrasto con la giurisprudenza del Consiglio di Stato -che le disposizioni del decreto legislativo del 1948 sono state superate dalla legge del 1952, il cui art. 2 avrebbe circoscritto ai divieti indicati nel secondo comma le conseguenze delle sanzioni disciplinari riportate dai militari per il loro comportamento all'atto dell'armistizio o dopo l'8 settembre 1943.

L'art. 2 della legge del 1952 ha soltanto mitigato l'art. 11, primo comma, del decreto del 1948, sottraendo all'ambito oggettivo di incidenza delle cause di inapplicabilità i benefici elencati nel primo comma alle lettere a) e b). Poiché la norma ha carattere eccezionale, l'elenco deve considerarsi tassativo.

3. -Nelle norme denunciate il giudice remittente ravvisa anzitutto una contrarietà al principio di solidarietà, di cui agli artt. 2 e 38 della Costituzione. La censura non e fondata. In materia previdenziale tale principio presuppone uno stato di bisogno di coloro in favore dei quali si rende operante. Siffatto presupposto e estraneo all'aumento della pensione concesso agli ex combattenti dalla norma impugnata, la quale non ha una funzione adeguatrice della misura della pensione alle esigenze di vita dei titolari, bensì una funzione di riconoscimento di benemerenze acquistate verso il Paese.

Nemmeno sussiste l'ipotizzata violazione del principio di eguaglianza. Come osserva giustamente l'Avvocatura dello Stato, in materia di concessione di benefici a particolari categorie di cittadini il legislatore ha un ampio potere discrezionale, non soggetto a controllo fino a quando non sconfini nell'irrazionalità. Mentre già la legge del 1952 ha riconosciuto che non sarebbe ragionevole continuare a negare ai militari in questione, per il solo fatto dell'adesione alla repubblica di Salo, i benefici di cui all'art. 2, primo comma, della legge medesima, aventi la funzione di compensare gli ex combattenti delle opportunità di lavoro perdute a causa della partecipazione alle operazioni di guerra dell'esercito italiano, non appare invece irrazionale il mantenimento dell'esclusione da benefici di altro tipo, come quello previsto dall'art. 6 della legge n. 140 del 1985, avente una funzione di gratificazione di un merito che non senza ragione si ritiene non possa essere rivendicato dagli ufficiali che, pur avendo prestato onorevole servizio nei reparti operanti dell'esercito italiano, abbiano dopo l'armistizio aderito a una formazione politico-militare ribelle al potere legittimo dello Stato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11 del decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137 (Norme per la concessione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale), ratificato, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 1952, n. 93, dell'art. 2 di tale legge e dell'art. 6 della legge 15 aprile 1985, n. 140 (Miglioramento e perequazione di trattamenti pensionistici e aumento della pensione sociale), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/04/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 21/04/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE