Sentenza n. 86 del 2019

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SENTENZA N. 86

ANNO 2019

 

Commento alla decisione di

 

Carolina Pellegrino

Ambiente ed energia: la Corte costituzionale conferma i suoi orientamenti e il suo ruolo di supplenza ermeneutica

 

per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5, 8, 12, 13, 20 e 46 (recte: comma 1), della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017) e degli artt. 1, comma 1, 2, comma 1, 5, 6 e 7 della legge della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e piano di indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8 «Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»), nonché dell’Allegato alla medesima legge, che inserisce un allegato D) alla legge regionale 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorsi notificati il 25-29 settembre e il 9-14 novembre 2017, depositati in cancelleria il 29 settembre e il 17 novembre 2017, iscritti rispettivamente ai numeri 77 e 87 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 46 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Udito nella udienza pubblica del 4 dicembre 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati dello Stato Gianni De Bellis e Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 25-29 settembre 2017, depositato il 29 settembre 2017 (reg. ric. n. 77 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato numerose disposizioni della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017) e, tra queste, gli artt. 3, 4, 5, 8, 12 (indicato come art. 9 per errore materiale nella delibera autorizzativa del ricorso), 13, 20 e 46 (recte: comma 1), in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 25, secondo comma, 117, primo comma – quest’ultimo in relazione all’art. 12 della direttiva 2006/1123 CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno –, secondo comma, lettere e), l) e s), e terzo comma, della Costituzione.

1.1.– In primo luogo, è impugnato l’art. 3 della citata legge regionale n. 19 del 2017, che aggiunge il comma 5 all’art. 10 della legge della Regione Basilicata 5 luglio 2002, n. 24 (Variante generale al piano territoriale di coordinamento del Pollino) (recte: all’art. 10 della legge della Regione Basilicata 18 ottobre 2006, n. 27, recante «Variante normativa al piano di coordinamento territoriale del Pollino»).

Tale disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in quanto non rispetterebbe le disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), là dove quest’ultimo prevede espressamente la concertazione con lo Stato per la pianificazione paesaggistica.

Il ricorrente sottolinea che il piano territoriale di coordinamento del pollino ha valenza di piano paesaggistico, per il cui aggiornamento l’art. 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, al comma 3, prevede che «le regioni e il Ministero, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 135, possono stipulare intese, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, per disciplinare lo svolgimento congiunto della verifica e dell’adeguamento dei piani paesaggistici». In attuazione di tale disposizione – ricorda ancora il ricorrente – è stato sottoscritto il 14 settembre 2011 il Protocollo di intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC), il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) e la Regione Basilicata per la definizione congiunta del piano paesaggistico regionale. In attuazione dell’art. 5 di tale Protocollo è stato, poi, istituito un Comitato tecnico con determinazione del dirigente generale del Dipartimento ambiente, territorio e politiche della sostenibilità 19 settembre 2012, n. 7502.

La tesi del ricorrente è che, con la disposizione impugnata, la Regione avrebbe omesso di dare applicazione agli accordi recepiti nei provvedimenti suindicati con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

1.2.– È impugnato anche l’art. 4 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui, sostituendo un articolo delle Norme Tecniche attuative del Piano territoriale paesistico del Metapontino, disciplina l’uso dell’arenile vincolato (300 metri dalla linea di battigia) per la realizzazione di strutture di balneazione, senza alcuna concertazione con il MIBAC e quindi in contrasto con il Protocollo di intesa del 14 settembre 2011 e con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

1.3.– L’art. 5 della medesima legge regionale è, a sua volta, impugnato nella parte in cui detta disposizioni in tema di interventi edilizi in assenza o in difformità dal titolo abilitativo in contrasto con gli artt. 31, 33, 34 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)». Più precisamente il ricorrente sostiene che esso contrasti con i citati principi fondamentali in materia di governo del territorio – e quindi con l’art. 117, terzo comma, Cost. – là dove sostituisce la previsione della sanzione della demolizione con quella di una sanzione pecuniaria e quindi introduce – secondo la difesa statale – nuove ipotesi di sanatoria di abusi edilizi, in violazione anche della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale, nonché della riserva di legge statale in materia penale, contenuta nell’art. 25 Cost. L’impugnata disposizione sarebbe, inoltre, irragionevole, alla luce di quanto stabilito dal legislatore statale agli artt. 45, comma 3, e 46, del d.P.R. n. 380 del 2001.

1.4.– Viene, inoltre, fatto oggetto di censure l’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, là dove, aggiungendo il comma 4-bis all’art. 6 della legge della Regione Basilicata 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente), introduce, unilateralmente e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., deroghe ai divieti di interventi di ampliamento, rinnovo e interventi straordinari di riuso del patrimonio edilizio esistente, stabiliti per tutti i Comuni che, prima dell’entrata in vigore della legge, erano muniti di piani paesaggistici.

1.5.– Sempre con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è censurato anche l’art. 12 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, in quanto, aggiungendo il comma 7-quater all’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, prevede – unilateralmente – la possibile realizzazione di interventi di ampliamento, nel caso di pertinenze della residenza, anche separatamente dall’edificio nell’ambito del lotto fondiario, in deroga ai limiti e alle distanze stabiliti dagli strumenti urbanistici, riconoscendo che si può «superare di m. 3,10 l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti».

1.6.– L’art. 13 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 è, poi, impugnato nella parte in cui, sostituendo il comma 1-quinquies dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, prevede la possibilità di un mutamento delle destinazioni d’uso a residenza per gli immobili ricompresi «all’interno delle zone omogenee E» di cui al decreto ministeriale. 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), «in tutte le zone in cui il piano dell’autorità di bacino ha declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici». Tale disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché l’art. 3 Cost. per irragionevolezza e per l’oscurità della nozione impiegata di "declassificazione”.

1.7.– Ulteriori censure vengono promosse nei confronti dell’art. 20 della citata legge regionale n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce il comma 3 dell’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015, in quanto introdurrebbe disposizioni in tema di corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili, ai sensi del d.m. 10 settembre 2010, in contrasto con gli impegni assunti in tema di elaborazione del piano paesaggistico regionale, in seguito alla sottoscrizione del Protocollo di intesa del 14 settembre 2011, e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Esso, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, in relazione ai principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, cui deve essere ricondotta la disciplina degli impianti di energia da fonti rinnovabili.

1.8.– È infine impugnato l’art. 46, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, che, aggiungendo il comma 1-bis all’art. 76 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 5 (Legge di stabilità regionale 2015), ha riconosciuto la possibilità di rilasciare «concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attività in favore di disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare strutture stagionali attrezzate per l’accoglienza e il godimento del mare». Tale norma, non contemplando espressamente procedure selettive per l’individuazione del soggetto titolare delle concessioni demaniali marittime, verosimilmente di carattere turistico-ricreativo, si porrebbe in contrasto sia con la sfera di competenza statale in materia di tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., sia con l’art. 117, primo comma, Cost, in relazione all’art. 12 della direttiva 2006/1123/CE.

1.9.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato memoria in cui, nel ribadire le ragioni del ricorso, ha segnalato che la Regione Basilicata, con legge regionale 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018), ha modificato alcune delle disposizioni impugnate.

In particolare, l’art. 47 della citata legge regionale n. 11 del 2018 ha sostituito l’art. 5 della legge regionale n. 19 del 2017, ma è stato anch’esso oggetto di impugnativa, in quanto il Governo ha ritenuto che le intervenute modifiche siano affette dai medesimi vizi di illegittimità costituzionale già denunciati.

A tal proposito, il ricorrente ha anche ricordato che è, nel frattempo, intervenuta la sentenza n. 140 del 2018, in cui la Corte costituzionale ha precisato che l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 – anche nel suo comma 5, che riguarda le deroghe al principio della demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune – costituisce parametro interposto, qualificabile come principio fondamentale nella materia del governo del territorio.

Sulla base di tali indicazioni sarebbe evidente l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge regionale n. 19 del 2017. Sarebbe infatti possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, e sarebbero ipotizzabili nuove forme di sanatoria degli abusi edilizi, diverse da quelle previste dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, quindi in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

2.– Con successivo ricorso notificato in data 9-14 novembre 2017 e depositato il 17 novembre 2017 (reg. ric. n. 87 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, 2, comma 2, 5, 6 e 7 della legge della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e piano di indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8 «Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»), nonché dell’Allegato alla medesima legge, che inserisce un allegato D) alla legge regionale 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010), in riferimento, nel complesso, agli artt. 42 e 117, primo comma, Cost. – in relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui all’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e al principio di favore per le fonti rinnovabili, di cui alla normativa internazionale e comunitaria (Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997 e ratificato con legge 1° giugno 2002, n. 120; Accordo di Parigi alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite, fatto a Parigi il 12 dicembre 2015; direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità e 2009/28/CE del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) –, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.

2.1.– La difesa statale premette che la citata legge regionale n. 21 del 2017 modifica, tra l’altro, la legge reg. Basilicata n. 54 del 2015, in tema di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili, ai sensi del decreto ministeriale 10 settembre 2010, recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili». Tale legge regionale ha recepito quanto stabilito congiuntamente tra la Regione Basilicata, il MIBAC e il MATTM, in attuazione di uno degli impegni assunti (art. 2, punto 4) nel Protocollo di intesa per la per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale, stipulato ai sensi dell’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, e sottoscritto in data 14 settembre 2011.

La stessa legge reg. Basilicata n. 54 del 2015 ha dato attuazione alle Linee guida contenute nel d.m. 10 settembre 2010 e adottate di concerto tra il Ministero dello Sviluppo Economico, il MATTM e il MIBAC, ai sensi di quanto previsto dall’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda inoltre che la citata legge regionale ha stabilito i criteri e le modalità per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio di alcune tipologie di impianti da fonti di energia rinnovabili (FER), limitandosi a quelli di grande generazione al di sopra di 1 MW e individuando – sulla base della tipologia e potenza specificate nel quadro sinottico allegato alla legge medesima – «Aree e Siti non idonei» all’installazione, riconducibili alle macro-aree tematiche di cui agli allegati A) e C), nonché agli elaborati di cui all’allegato B) della legge stessa.

La legge reg. Basilicata n. 54 del 2015 – prosegue la difesa statale – stabiliva, all’art. 3, comma 3, che «[n]elle more dell’approvazione del Piano Paesaggistico Regionale di cui all’art. 135 del D.Lgs. n. 42 del 2004 e nel rispetto dell’Intesa stipulata, ai sensi dell’art. 145, comma 2, del D.Lgs. n. 42/2004 tra Regione, Ministero dei Beni e le Attività culturali e del Turismo e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, la Giunta regionale, previo parere della Commissione consiliare competente, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, emana specifiche linee guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti rinnovabili con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del D.Lgs. n. 387/2003 e non superiori a 1 MW».

Il ricorrente segnala che, in assenza di tali criteri, si è determinata, nel frattempo, una incontrollata proliferazione degli impianti, che, per effetto del regime autorizzatorio semplificato, ha generato importanti e diffusi impatti sul territorio, tali da indurre la Regione Basilicata a affrontare il problema.

Il ricorrente rileva che, tuttavia, la Regione ha ritenuto, in maniera assolutamente unilaterale, di intervenire, innanzitutto, con la delibera della Giunta regionale 2 marzo 2017, n. 175, annullata con sentenza 24 luglio 2017, n. 510, del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata; poi con l’art. 20 della legge regionale n. 19 del 2017, impugnato dal Governo ex art. 127 Cost. per violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela paesaggistica (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

Ad avviso del ricorrente, con le richiamate norme della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, la Regione avrebbe superato i limiti della propria competenza, in violazione della Costituzione.

2.2.– In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della citata legge regionale, nonché l’Allegato alla medesima, in quanto procederebbero, in maniera unilaterale – quindi senza alcun coinvolgimento dell’amministrazione statale competente – alla modifica e integrazione di disposizioni legislative regionali già condivise con lo Stato e "recepite” dalla legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Sarebbero così introdotti elementi di contrasto e contraddittorietà con gli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di intesa per l’elaborazione del piano paesaggistico regionale, con conseguente violazione degli artt. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004 e 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, oltre che del d.m. 10 settembre 2010. Le modifiche apportate dalla legge regionale n. 21 del 2017 introdurrebbero, pertanto, solo elementi di confusione e contraddizione, in violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

2.3.– È, poi, impugnato l’art. 5, commi 1 e 2 (recte: art. 5), della legge regionale n. 21 del 2017, nella parte in cui – nel modificare l’art. 5 (recte: l’art. 5, commi 1 e 2) della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili) – stabilisce che agli impianti solari fotovoltaici di potenza fino a 200 kW, da collocare a terra, può essere applicata la procedura di autorizzazione semplificata (PAS) a condizione che siano rispettate congiuntamente le specifiche tecniche contenute nell’Allegato 2 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), le prescrizioni del paragrafo 2.2.2. dell’appendice A del piano di indirizzo energetico ambientale regionale (PIEAR), nonché le condizioni di cui alle lettere da a) a h) ivi specificate (comma 1 del novellato art. 5 legge reg. Basilicata n. 12 del 2008), prevedendo, altresì, che il mancato rispetto di una sola di tali condizioni comporta l’applicazione del regime dell’autorizzazione unica (comma 2 del novellato art. 5).

Così disponendo, il nuovo testo dell’art. 5, commi 1 e 2, della legge regionale n. 8 del 2012, avrebbe introdotto ingiustificati aggravi alla realizzazione e all’esercizio degli impianti solari fotovoltaici di potenza fino a 200 kW, da collocare a terra, in contrasto con i principi fondamentali previsti dalla legislazione nazionale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, e quindi con l’art. 117, terzo comma, Cost.

2.4.– Sono stati, poi, impugnati il comma 3 dell’art. 5 e il comma 3 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come rispettivamente sostituiti dall’art. 5 e dall’art. 6 della legge regionale n. 21 del 2017, per violazione dei principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di energia, nella parte in cui stabiliscono che la costruzione e l’esercizio, rispettivamente, di nuovi impianti fotovoltaici a terra (art. 5) e eolici (art. 6), anche ubicati nello stesso territorio comunale, sono assoggettati al rilascio dell’autorizzazione unica e non alla procedura abilitativa semplificata (PAS), ove siano proposti da un soggetto già titolare di altre autorizzazioni, ottenute tramite PAS o riconducibili allo stesso centro decisionale, ex art. 2359 del codice civile o per qualsiasi altra relazione, anche di fatto, sulla base di univoci elementi, e la cui potenza nominale, sommata tra loro e con quella dell’impianto già autorizzato, superi la soglia di potenza di 200 kW.

Il ricorrente ritiene che, sebbene l’intento delle disposizioni impugnate possa rinvenirsi nell’esigenza di evitare l’elusione della soglia di potenza dei 200 kW per l’applicazione della PAS, esse tuttavia introdurrebbero un ingiustificato vincolo per l’applicazione della procedura semplificata sulla base di un criterio solo soggettivo (peraltro assai generico e quindi di difficile riscontro), senza individuare alcun limite spaziale di collocazione degli impianti che, paradossalmente, potrebbero trovarsi anche a chilometri di distanza, in contrasto con i principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia e quindi con il terzo comma dell’art. 117 Cost.

2.5.– Ulteriori censure sono rivolte al comma 4 dell’ art. 5 e al comma 4 dell’art. 6, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come rispettivamente sostituiti dall’art. 5 e dall’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove stabiliscono che più impianti fotovoltaici a terra e più impianti eolici, autorizzati con la PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti un unico centro decisionale, qualora la somma delle potenze degli impianti superi la soglia di 200 kW.

Tali previsioni, pur ispirate a finalità antielusive, si porrebbero in contrasto, oltre che con i principi fondamentali della materia, con l’art. 42 Cost. e con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui all'art. 63 TFUE, in quanto impedirebbero la cessione di impianti (o progetti di impianti) già autorizzati e potenzialmente localizzati a chilometri di distanza, ponendo un limite ingiustificato all’esercizio del diritto di proprietà.

2.6.– Le medesime censure sono svolte nei confronti dell’«art. 7, comma 2», della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017 (recte: art. 6-bis, comma 2, della legge regionale n. 8 del 2012, come introdotto dall’art. 7 della legge regionale n. 21 del 2017), nella parte in cui stabilisce che più impianti fotovoltaici e eolici, autorizzati con la PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti un unico centro decisionale, qualora la somma delle potenze degli impianti superi la soglia di 200 kW.

2.7.– È inoltre impugnato l’«art. 7, comma 1», della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017 (recte: art. 6-bis, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2012, come modificato dall’art. 7 della legge regionale n. 21 del 2017), nella parte in cui pone condizioni ulteriori – rispetto a quelle individuate dal legislatore statale – per l’applicazione della PAS agli impianti eolici e fotovoltaici con potenza nominale inferiore alla tabella A) dell’art.12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003. Più precisamente, secondo il ricorrente, la disposizione regionale impugnata enucleerebbe, nell’ambito della categoria degli impianti soggetti a PAS, di cui agli artt. 5 e 6 della legge regionale n. 21 del 2017, un’ulteriore classe di impianti eolici e fotovoltaici, a terra e su edificio, con una potenza inferiore ai 200 kW e pari, rispettivamente, a 0-60 kW e a 0-20 kW, in relazione ai quali detterebbe una serie di condizioni, in mancanza delle quali tali impianti non potrebbero essere abilitati nemmeno con l’autorizzazione unica.

Un simile regime autorizzativo non corrisponderebbe al regime speciale delineato dagli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 e dalle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010 (in specie, paragrafi 11 e 12) e si porrebbe, pertanto, in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in considerazione della natura di principio fondamentale attribuito ai regimi di abilitazione alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Inoltre, la mancata previsione della possibilità di rilascio dell’autorizzazione unica, nel caso di insussistenza dei requisiti per l’accesso alla procedura semplificata, determinerebbe un divieto generalizzato di autorizzazione degli impianti di cui al comma 1 dell’art. 6-bis della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. e con il principio di favore per le fonti rinnovabili di cui alla normativa internazionale e comunitaria (Protocollo di Kyoto, Accordo di Parigi e direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE).

2.8.– Viene, inoltre, impugnato, per le medesime ragioni già indicate con riguardo ai commi 1 e 2, relative alla violazione dei principi fondamentali della materia posti dal legislatore statale, anche il «comma 3 dell’art. 7» della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017 (recte: il comma 3 dell’art. 6-bis della legge regionale n. 8 del 2012, come introdotto dall’art. 7 della legge regionale n. 21 del 2017), nella parte in cui stabilisce che, se più impianti di cui al comma 1 sono riconducibili ad un unico centro decisionale, essi vanno considerati come unico impianto, per cui si devono rispettare le condizioni contenute negli artt. 5 e 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituiti dalla legge regionale n. 21 del 2017.

2.9.– Infine, il ricorrente impugna congiuntamente gli artt. 5, 6 e 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, nell’assoggettare a PAS impianti di potenza a partire da «0» kW, non farebbero salvo il regime della comunicazione, previsto dai paragrafi 11 e 12 delle linee guida nazionali di cui al d.m. 10 settembre 2010 e richiamato dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso, iscritto al n. 77 del registro ricorsi del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato varie disposizioni della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017), tra cui gli artt. 3, 4, 5, 8, 12 (indicato come art. 9 per errore materiale nella delibera autorizzativa del ricorso), 13, 20 e 46 (recte: comma 1), in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 25, secondo comma e 117, primo comma – quest’ultimo in relazione all’art. 12 della direttiva 2006/1123 CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno –, secondo comma, lettere e), l) e s), e terzo comma, della Costituzione.

Con successivo ricorso iscritto al n. 87 del registro ricorsi del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 1, comma 1, 2, comma 1, 5, 6 e 7 della legge della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e piano di indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8 «Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»), nonché l’Allegato alla medesima legge, che inserisce un allegato D) alla legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010), in riferimento, nel complesso, agli artt. 42 e 117, secondo comma, lettera s), terzo comma, e primo comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui all’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e al principio di favore per le fonti rinnovabili, di cui alla normativa internazionale e comunitaria (Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997 e ratificato con legge 1° giugno 2002, n. 120; Accordo di Parigi alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite, fatto a Parigi il 12 dicembre 2015; direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità e 2009/28/CE del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).

1.1.– Riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso n. 77 del 2017, i giudizi aventi ad oggetto le disposizioni regionali indicate al precedente punto 1 debbono essere riuniti, in ragione della parziale connessione oggettiva e della parziale identità dei termini delle questioni ora all’esame di questa Corte.

2.– Con il primo ricorso (reg. ric. n. 77 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri promuove, innanzitutto, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, che aggiunge il comma 5 all’art. 10 della legge della Regione Basilicata 18 ottobre 2006, n. 27, recante «Variante normativa al piano di coordinamento territoriale del Pollino» (erroneamente indicato come art. 10 della legge della Regione Basilicata 5 luglio 2002, n. 24, recante «Variante generale al piano territoriale di coordinamento del Pollino»).

Secondo il ricorrente, tale disposizione – che introduce, unilateralmente, una modifica al piano di coordinamento territoriale del Pollino, che ha valenza di piano paesaggistico ‒ lederebbe la sfera di competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Con essa, infatti, il legislatore regionale avrebbe violato il Protocollo di intesa siglato il 14 settembre 2011 tra il Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC), il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) e la Regione Basilicata per la definizione congiunta del piano paesaggistico regionale, in attuazione di quanto disposto dal comma 3 dell’art. 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), in tema di verifica e adeguamento dei piani paesistici.

2.1.– La questione è fondata.

2.1.1.– Questa Corte ha ripetutamente affermato, anche di recente, che «[l]a disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e il paesaggio viene […] "a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”» (sentenza n. 66 del 2018). Essa «richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un’attività pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale […] affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni» (sentenza n. 66 del 2018). È in questa prospettiva che il codice dei beni culturali e del paesaggio pone, all’art. 135, un obbligo di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento agli immobili e alle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 (le c.d. "bellezze naturali”), alle aree tutelate direttamente dalla legge ai sensi dell’art. 142 (le c.d. "zone Galasso”, come territori costieri, fiumi, torrenti, parchi) e, infine, agli ulteriori immobili ed aree di notevole interesse pubblico (art. 143, lettera d). Tale obbligo costituisce un principio inderogabile della legislazione statale, che è, a sua volta, un riflesso della necessaria «impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 64 del 2015), e mira a «garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente» (sentenza n. 210 del 2016).

2.1.2.– La disposizione regionale impugnata è intervenuta a introdurre una "variante” al piano territoriale di coordinamento del Pollino, istituito con delibera del Consiglio regionale 21 dicembre 1985, n. 50, sulla base della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e varie volte modificato in applicazione dell’art. 19 della legge della Regione Basilicata 4 agosto 1987, n. 20 (Funzioni amministrative riguardanti la protezione delle bellezze naturali).

Tale piano, cui è assegnata valenza di "piano paesistico” secondo la legge della Regione Basilicata 12 febbraio 1990, n. 3 (Piani regionali paesistici di area vasta), incide su una parte rilevante del territorio dell’Ente Parco del Pollino, istituito con d.P.R. 15 novembre 1993, al fine di salvaguardare il patrimonio naturalistico e ambientale e permettere forme di sviluppo durevole e sostenibile del territorio. Tale territorio è, pertanto, riconducibile ai «parchi e […] riserve nazionali o regionali, nonché […] territori di protezione esterna dei parchi» di cui alla lettera f) dell’art. 142, comma 1, del codice dei beni culturali, per cui l’art. 135, comma 1, del medesimo codice prescrive la pianificazione congiunta.

Più precisamente, la norma regionale impugnata ha introdotto una previsione secondo cui è possibile realizzare, in una zona, designata come "a protezione speciale” e ricondotta ai "Paesaggi di rilevante interesse” (Zona C3), un distributore di carburanti con annesso fabbricato per le attività di servizio all'impianto da realizzare, senza peraltro richiedere neppure l’autorizzazione paesaggistica (di contro a quanto prescritto, ad esempio, per le opere di adeguamento della viabilità).

Questo intervento si è avuto dopo che la medesima Regione, in data 14 settembre 2011, ha sottoscritto un Protocollo di intesa (species degli accordi fra amministrazioni), con cui si è vincolata a realizzare una forma di «collaborazione istituzionale» per «garantire la corretta gestione del territorio, un’efficace ed efficiente tutela e valorizzazione dei caratteri paesaggistici, storici, culturali e naturalistico-ambientali, attraverso la definizione delle modalità di elaborazione congiunta del Piano esteso all’intero territorio regionale» (art. 2 del Protocollo). La Regione Basilicata, con la medesima intesa, si è anche impegnata «ad assicurare la partecipazione degli organi del Ministero (dei beni culturali) e del Ministero dell’ambiente al procedimento di conformazione e adeguamento della strumentazione urbanistica secondo il disposto del comma 5 dell’articolo 145 del Codice» (art. 4, comma 3, del Protocollo).

In attuazione di tali indicazioni, è stato istituito un Comitato tecnico paritetico, cui è stato affidato il compito di definire i contenuti del nuovo piano paesaggistico, coordinare le azioni necessarie alla sua redazione, verificare il rispetto dei tempi (e dei modi) previsti nell’apposito Disciplinare attuativo del Protocollo (art. 5), adottato il 13 aprile 2017.

Appare, pertanto, evidente che ‒ in tale contesto, nelle more dell’approvazione congiunta del nuovo piano paesaggistico e dell’adeguamento, pure congiunto, degli strumenti urbanistici al medesimo piano ‒ l’intervento della Regione, volto a modificare, unilateralmente, la disciplina di un’area protetta, in termini peraltro di riduzione di tutela, costituisce violazione non solo degli impegni assunti con il citato Protocollo di intesa, ma soprattutto di quanto prescritto dal codice dei beni culturali e del paesaggio che, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, mira a garantire «l’effettiva ed uniforme tutela dell’ambiente» (sentenza n. 210 del 2016), affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Deve, quindi, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.2.– Censure analoghe a quelle appena richiamate a proposito dell’art. 3 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 sono rivolte all’art. 4 della medesima legge regionale, nella parte in cui, sostituendo l’art. 57 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2015), aggiunto al primo capoverso della nota (1) all’art. 36 delle norme tecniche attuative del piano territoriale paesistico del Metapontino, disciplina l’uso dell’arenile vincolato (300 metri dalla linea di battigia) per la realizzazione di strutture di balneazione.

La difesa statale sostiene che tale disciplina, adottata senza alcuna concertazione con il MIBAC, sia in contrasto con il Protocollo di intesa del 14 settembre 2011 e in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.2.1.– Preliminarmente, deve rilevarsi la tempestività del ricorso proposto nei confronti dell’art. 4 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, anche se esso, nel sostituire l’art. 57 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2015 , non impugnato, ne riproduce, in buona misura, il testo. È, infatti, avverso la "nuova” disposizione – anche con riguardo alla parte riproduttiva della precedente – che si appuntano le censure di violazione del principio di pianificazione congiunta e quindi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., cosicché nessun dubbio si pone circa la tempestività dell’impugnazione.

2.2.2.– Nel merito la questione è fondata.

Come appena rilevato, l’impugnato art. 4 va a sostituire l’art. 57 della legge regionale n. 4 del 2015, riproducendone il contenuto nella parte in cui aveva aggiunto un periodo alla nota (1) all’art. 36 delle norme tecniche attuative del piano territoriale paesistico del Metapontino, approvato con legge regionale n. 3 del 1990. Si tratta di uno dei sette piani territoriali vigenti nella Regione Basilicata, approvati con la medesima legge regionale n. 3 del 1990 e successive modifiche, cui è riconosciuta espressamente valenza paesaggistica.

Con il citato art. 57 la Regione aveva introdotto e con la norma ora impugnata ha confermato, unilateralmente, la possibilità di localizzare strutture balneari sull’arenile, incidendo su un’area, quella dei «territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare», menzionata dall’art. 142, comma 1, cod. beni culturali, e che rientra fra i beni paesaggistici per i quali l’art. 135 impone la pianificazione paesaggistica congiunta (in virtù del rinvio all’art. 143, comma 1, lettera c, del medesimo codice).

Anche in tal caso, come per l’art. 3, è, pertanto, evidente che la Regione Basilicata, nell’introdurre una simile disciplina ‒ che peraltro segna una riduzione dello standard di tutela di un bene paesaggistico ‒ senza alcuna concertazione con gli organi ministeriali competenti, ha violato l’obbligo di pianificazione congiunta imposto dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni ambientali, così venendo meno agli impegni assunti con il Protocollo di intesa sottoscritto il 14 settembre 2011, in vista dell’obiettivo di garantire «un’efficace ed efficiente tutela e valorizzazione dei caratteri paesaggistici, storici, culturali e naturalistico-ambientali» (art. 2 del Protocollo).

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.3.– È poi impugnato l’art. 5 della medesima legge regionale n. 19 del 2017, là dove detta disposizioni in tema di interventi edilizi in assenza o in difformità del titolo abilitativo.

Il ricorrente sostiene, anzitutto, che tale disposizione vìoli i principi fondamentali in materia di governo del territorio fissati dal legislatore statale agli artt. 31, 33, 34 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)». Essa, in particolare, introdurrebbe nuove ipotesi di abusi per cui è possibile sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, nonché nuove ipotesi di sanatoria di abusi edilizi, diverse da quelle previste dal legislatore statale.

Il censurato art. 5, inoltre, allargherebbe l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato, in violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale, nonché della riserva di legge (statale) in materia penale contenuta nell’art. 25 Cost.

La medesima disposizione sarebbe, infine, irragionevole, alla luce di quanto stabilito dal legislatore statale agli artt. 45, comma 3, e 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 (d’ora in avanti, anche, t.u. edilizia).

2.3.1.– In via preliminare, occorre tener conto del fatto che il testo dell’impugnato art. 5 della legge regionale n. 19 del 2017 è stato sostituito dall’art. 47, comma 1, della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018).

Tuttavia, la circostanza che la norma impugnata ha comunque avuto applicazione nel tempo intercorso fra l’entrata in vigore della legge regionale n. 19 del 2017, e quella della legge regionale n. 11 del 2018 è già da sola sufficiente a escludere una pronuncia di cessazione della materia del contendere. A tale esito conduce anche la considerazione che la disposizione, come novellata, non soddisfa le doglianze del ricorrente, che l’ha peraltro autonomamente impugnata con un successivo ricorso (iscritto al n. 57 del reg. ric. del 2018).

2.3.2.– Nel merito, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 per violazione degli artt. 25 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La norma regionale stabilisce che, nel caso di interventi edilizi realizzati in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, «i Comuni, con motivata decisione autorizzano il completamento funzionale ai fini dell’agibilità/abitabilità delle opere realizzate», a condizione che sussistano alcuni requisiti e cioè: che «sia stato riconosciuto che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile in quanto la demolizione delle opere abusive potrebbe pregiudicare strutturalmente la restante parte delle opere esistenti e sia stata pagata la relativa sanzione»; che il mancato completamento delle opere costituisca «pregiudizio al decoro e/o alla qualità urbana dell’area» e il completamento funzionale costituisca «oggetto di un apposito progetto sul quale si esprime l’ufficio tecnico comunale»; infine, che le opere abusive, relative a immobili o aree tutelate paesaggisticamente, non costituiscano «elemento detrattore alla corretta fruizione del paesaggio e sia stato già espresso parere favorevole alla loro esecuzione o conservazione da parte delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo».

Dal tenore letterale di tale disposizione emerge chiaramente che essa non incide sulla responsabilità penale dell’autore dell’abuso, che resta soggetto alla normativa statale, anche con riguardo alle sanzioni amministrative che saranno irrogate. L’impugnato art. 5, infatti, lungi dal delineare nuove fattispecie di condono straordinario o un ampliamento di un condono disposto dal legislatore statale, interviene solo sulla facoltà, accordata ai Comuni, in presenza di determinate condizioni, di escludere la demolizione dell’opera e di autorizzarne, all’opposto, il completamento in ragione della impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi connessa al pregiudizio che da tale ripristino deriverebbe, sul piano strutturale, ad opere esistenti ovvero al decoro e/o alla qualità urbana dell’area allorquando essa si inserisca all’interno di un apposito progetto su cui si esprime l’ufficio tecnico comunale.

2.3.3.– Alla luce delle suesposte considerazioni, deve ritenersi priva di fondamento anche la censura di violazione dell’art. 3 Cost., promossa, sotto il profilo della ragionevolezza, in relazione agli artt. 45 e 46 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Tale censura è, infatti, formulata in riferimento a disposizioni statali nella specie ininfluenti, dato che la norma regionale non configura alcuna sanatoria ulteriore rispetto a quella di cui all’art. 36 del t.u. edilizia, che, ai sensi del successivo art. 45, determina l’estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, né legittima atti di disposizione o altri atti giuridici inerenti alle opere abusive (peraltro acquisite al patrimonio del Comune, in quanto non demolite), in deroga all’art. 46 del medesimo t.u. edilizia.

2.3.4.– È, invece, fondata la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti del citato art. 5, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di governo del territorio in specie agli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Questa Corte ha di recente (sentenza n. 140 del 2018) dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale che consentiva ai Comuni – avvalendosi di linee guida regionali – di adottare atti regolamentari e di indirizzo in materia di misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi, tali da eludere l’obbligo di demolire le opere abusive acquisite al proprio patrimonio e di far diventare le misure alternative un esito normale, al posto della demolizione, così da sminuire l’efficacia deterrente dell’apparato sanzionatorio statale.

In tale occasione questa Corte ha affermato che «la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia di "misure alternative alle demolizioni”» (sentenza n. 140 del 2018, punto 3.5.1.2 del Considerato in diritto). Tale principio rivela la scelta operata dal legislatore statale di sanzionare le violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia – quali sono la realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso, di cui al citato art. 31 del t.u. edilizia – in ragione della gravità del pregiudizio recato all’interesse pubblico, imponendo la rimozione dell’opera abusiva e, con essa, il ripristino dell’ordinato assetto del territorio.

Tale principio, pertanto, implica che l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale debba, di regola, essere demolita e che possa essere conservata in via solo eccezionale. E quindi soltanto se, con autonoma deliberazione del consiglio comunale relativa alla singola opera, si ravvisi, sulla base di tutte le circostanze del caso e di «un’analisi puntuale delle caratteristiche» della medesima opera, nonché «rispettosa dei canoni individuati dalla legge statale, che sola può garantire uniformità sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 140 del 2018, punto 3.5.2. del Considerato in diritto), l’esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conservazione della stessa, prevalente sull’interesse pubblico al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia, nonché l’assenza di un contrasto fra conservazione dell’opera e rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.

Nella specie, il legislatore lucano, là dove prescrive, in via generale, che i Comuni «autorizzano il completamento funzionale ai fini dell’agibilità/abitabilità delle opere realizzate» in assenza o in totale difformità dal titolo abilitativo, così escludendo il ripristino dello stato dei luoghi in ragione del pregiudizio che da tale ripristino deriverebbe, sul piano strutturale, ad opere esistenti ovvero anche al decoro e/o alla qualità urbana dell’area, allorquando il completamento funzionale dell’opera abusiva si inserisca all’interno di un apposito progetto su cui si esprime l’ufficio tecnico comunale, configura tale completamento – non già la demolizione – quale esito "normale”, addirittura obbligatorio, della realizzazione di tale opera. In tal modo si inverte il rapporto fra "regola” (la demolizione) ed "eccezione” (le misure alternative alla demolizione), delineato dal legislatore statale all’art. 31, comma 5, del t.u. edilizia e si contraddice la scelta fondamentale espressa dal medesimo legislatore statale di sanzionare con l’obbligo della rimozione degli interventi abusivi e del ripristino dell’ordinato assetto del territorio le più gravi violazioni della normativa urbanistico-edilizia in ragione della entità del pregiudizio arrecato all’interesse pubblico.

Il contrasto della norma regionale impugnata con i principi fondamentali dettati dal legislatore statale emerge anche con riguardo alla previsione di cui all’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, pur espressamente richiamata. Quest’ultima, infatti, attiene esclusivamente alla diversa e meno grave ipotesi degli interventi «eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire» e ha un ambito di applicazione assai più limitato di quello della norma regionale impugnata. La norma statale, infatti, prescrive che «il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione […] della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale […] per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale» solo allorquando la demolizione non possa avvenire «senza pregiudizio della parte eseguita in conformità» e cioè in un caso specifico, ben diverso da quelli contemplati dalla norma regionale, in cui non solo si esclude la demolizione, ma si impone il completamento dell’opera abusiva, che risulta addirittura "valorizzata” nell’ambito di specifici progetti, approvati dai Comuni, volti a garantire il decoro e/o la qualità urbana.

Sulla base dei richiamati argomenti, deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017.

2.4.– È, inoltre, impugnato l’art. 8 della medesima legge regionale n. 19 del 2017, là dove introduce, unilateralmente, deroghe ai divieti di interventi di ampliamento e rinnovo e di interventi straordinari di riuso del patrimonio edilizio esistente, stabiliti dalla legge della Regione Basilicata 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente), per tutti i Comuni che, prima dell’entrata in vigore della legge, erano muniti di piani paesaggistici. Il ricorrente ritiene che, così disponendo, la norma regionale leda la sfera di competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.

2.4.1.– La questione è fondata.

La disposizione regionale impugnata ha inserito il comma 4-bis all’art. 6 della legge regionale n. 25 del 2009, con cui la Regione Basilicata ha dato attuazione al cosiddetto "Piano casa”, in relazione a quanto stabilito nell’Intesa, raggiunta in sede di Conferenza unificata, il 1° aprile 2009, sull’atto concernente misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia, in applicazione dell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. Nella richiamata intesa si precisava che simili interventi non avrebbero potuto essere realizzati in edifici abusivi o ubicati nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta.

Il citato art. 6 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, in specie al comma 4, espressamente vieta interventi di ampliamento, rinnovo e riuso del patrimonio edilizio esistente, in relazione non solo a edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo, ma anche a quelli ubicati in aree qualificate dagli strumenti di pianificazione paesaggistica e urbanistica vigenti al momento dell’entrata in vigore della medesima legge regionale come a vincolo di «inedificabilità assoluta» ovvero «dichiarate intrasformabili per l’uso insediativo (residenziale, produttiv[o], commerciale e del terziario) d[a]i rispettivi piani paesistici», nonché in aree riconducibili a «parchi e riserve nazionali e regionali», di cui all’art. 142, comma 1, lettera f), cod. beni culturali, o, ancora, in edifici qualificati come beni culturali ai sensi dell’art. 10 cod. beni culturali o, infine, a quelli ubicati in aree a rischio idrogeologico ed idraulico secondo i «Piani Stralcio redatti dalle Autorità di Bacino competenti sul territorio regionale».

Si tratta di interventi vietati, oltre che in attuazione della citata intesa (come nel caso di quelli inerenti a edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo), in ragione dell’evidente impatto paesaggistico su zone e beni tutelati dal codice dei beni culturali e del paesaggio, per i quali quest’ultimo impone allo Stato e alle Regioni l’adozione di piani paesaggistici ovvero di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici.

La deroga ai richiamati divieti, introdotta dalla norma regionale impugnata, è posta con riferimento all’ipotesi in cui detti interventi siano realizzati in Comuni che avessero già, prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 25 del 2009, «Piani paesistici» (recte: piani a valenza paesaggistica). Pertanto, sulla base della norma regionale impugnata, è alla luce delle norme di attuazione di tali piani che deve valutarsi la legittimità o meno dei medesimi interventi.

Tale previsione che, unilateralmente, assegna agli strumenti urbanistici comunali (pur a "valenza paesaggistica”) prevalenza sul piano paesaggistico regionale, si pone in evidente contrasto con quanto stabilito in relazione alle previsioni del piano medesimo, configurate come cogenti e inderogabili da parte degli strumenti urbanistici degli enti locali, dal codice dei beni culturali e del paesaggio, adottato dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Tale competenza è comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali e si impone al legislatore regionale che eserciti la propria competenza nella materia "edilizia ed urbanistica”. Il piano è, infatti, «strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio» (sentenza n. 172 del 2018).

Poiché gli strumenti urbanistici comunali sono assoggettati – e devono quindi conformarsi – al piano paesaggistico regionale, di cui gli artt. 135 e 143 e seguenti cod. beni culturali, essi definiscono contenuti e modalità di adozione in vista dell’obiettivo di garantire la più adeguata tutela del paesaggio e dei beni culturali ed ambientali, anche mediante la cooperazione istituzionale fra Regione e Stato.

Risulta quindi evidente l’illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata che, invertendo unilateralmente il rapporto fra piano paesaggistico regionale e piano urbanistico comunale a valenza paesaggistica, determina la lesione della competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», nel segno peraltro, della riduzione della tutela.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo coma, lettera s), Cost.

2.5.– Anche l’art. 12 della legge regionale n. 19 del 2017 è impugnato nella parte in cui introduce, unilateralmente, deroghe ai limiti posti dall’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009 alla realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio in difformità rispetto agli strumenti urbanistici comunali. Il ricorrente assume, infatti, che il citato art. 12 della legge regionale n. 19 del 2017 vìoli l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., là dove consente – unilateralmente – la realizzazione di interventi di ampliamento, nel caso di pertinenze della residenza, anche separatamente dall’edificio nell’ambito del lotto fondiario, in deroga ai limiti e alle distanze stabiliti dagli strumenti urbanistici, prevedendo la possibilità di «superare di m. 3,10 l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti».

2.5.1.– La questione è fondata.

L’impugnato art. 12 interviene a modificare la disciplina originariamente dettata in tema di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente dalla legge regionale n. 25 del 2009 sul "Piano casa”, in deroga agli strumenti urbanistici, in linea con quanto stabilito dal legislatore statale all’art. 2-bis del t.u. edilizia. Quest’ultimo ha riconosciuto alle Regioni la possibilità di «prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444» e di «dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali […] ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative».

La norma regionale – che inserisce il comma 7-quater all’art. 2 della legge regionale n. 25 del 2009 – introduce una deroga al principio già posto dal comma 7 dello stesso art. 2, secondo cui i richiamati interventi di ampliamento «devono essere realizzati in continuità e comunque non separatamente dall’edificio per il quale è consentito derogare ai limiti di distanze indicati dagli strumenti urbanistici vigenti, in attuazione dell’art. 2-bis del D.P.R. n. 380/2001».

Essa, infatti, prevede che, nel caso di «pertinenze della residenza», tali interventi «possono essere realizzati separatamente dall’edificio principale nell’ambito del lotto fondiario» a condizione che siano rispettati i limiti indicati dalla legge e, in particolare, «quanto previsto dall’art. 873 del codice civile, primo capoverso, e quanto stabilito dall’art. 11, commi 1 e 2» della legge della Regione Basilicata 28 dicembre 2007, n. 28 (Disposizioni per la formazione del Bilancio di Previsione Annuale e Pluriennale della Regione Basilicata – Legge Finanziaria 2008), in tema di volumetrie edilizie.

Si deve però notare che questa misura è stata introdotta dalla Regione a seguito della stipulazione del Protocollo di intesa del 14 settembre 2011, con cui essa si è vincolata a definire ogni questione inerente alla «corretta gestione del territorio», secondo la modalità procedurale della collaborazione istituzionale, in vista dell’adozione del piano paesaggistico regionale. Pertanto, la circostanza che la Regione sia intervenuta a dettare una deroga ai limiti per la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici, senza seguire l’indicata modalità procedurale collaborativa e senza attendere l’adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, delinea una lesione della sfera di competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», che si impone al legislatore regionale, sia nelle Regioni a statuto speciale (sentenza n. 189 del 2016) che a quelle a statuto ordinario come limite all’esercizio di competenze primarie e concorrenti.

Il piano paesaggistico regionale, in quanto strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, consente l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, di tutti gli interventi di trasformazione del territorio, anche di edilizia e urbanistica. È per questo motivo che la legge regionale deve disciplinare le procedure di adeguamento degli altri strumenti di pianificazione e le connesse misure di governo del territorio in linea con le determinazioni del nuovo piano paesaggistico (sentenza n. 64 del 2015) o, nell’attesa dell’adozione, secondo le modalità concertate e preliminari alla sua stessa adozione.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.6.– È, inoltre, impugnato l’art. 13 della legge regionale n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce la possibilità di mutamento della destinazione d’uso a residenza degli immobili ricompresi all’interno delle zone omogenee "E” di cui al d.m. n. 1444 del 1968 «in tutte le zone in cui il piano dell’autorità di bacino ha declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici».

Il ricorrente sostiene che tale previsione determini una lesione della sfera di competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», in quanto adottata unilateralmente. Sostiene anche che sia irragionevole, e quindi lesiva dell’art. 3 Cost., in quanto basata su una nozione, quella di declassificazione, che sarebbe di significato oscuro.

2.6.1.– Preliminarmente, occorre considerare che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’impugnato art. 13 – più precisamente, l’art. 5, comma 1-quinquies della legge regionale n. 25 del 2009 da esso sostituito – è stato oggetto di modifiche da parte dell’art. 49 della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018). Il testo del comma 1-quinquies, novellato dal citato art. 49, riproduce quello della disposizione impugnata con riguardo alla possibilità di mutamento di destinazione d’uso a residenza degli immobili ricompresi all’interno delle zone omogenee "E” di cui al d.m. n. 1444 del 1968 (aree agricole), in relazione alle «zone il cui piano dell’Autorità di bacino ha declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici» (ultimo periodo del novellato comma 1-quinquies).

Pertanto, considerato che le uniche, peraltro marginali, modifiche introdotte riguardano frammenti normativi che non sono stati fatti oggetto di censura da parte del ricorrente, le questioni di legittimità costituzionale devono essere estese anche alla parte della nuova disposizione, riproduttiva di quella impugnata (ultimo periodo del comma 1-quinquies dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, come novellato dall’art. 49 della legge regionale n. 11 del 2018).

2.6.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è fondata, restando assorbita la censura di violazione dell’art. 3 Cost.

La disposizione impugnata, al pari del precedente art. 12 già scrutinato, si inserisce nell’ambito delle previsioni – di cui alla citata legge regionale n. 25 del 2009 – volte a consentire il mutamento di destinazione d’uso a residenza di immobili originariamente non destinati a tale funzione, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, in vista del riutilizzo del patrimonio edilizio dismesso e delle aree edificabili libere.

Tale disposizione regionale è stata adottata, in particolare, a seguito di quanto espressamente previsto dal legislatore statale in specie con il cosiddetto secondo "Piano casa” disciplinato all’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo -Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106. Quest’ultimo, in vista della «razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente», nonché della «riqualificazione di aree urbane degradate», disponeva che le Regioni approvassero apposite leggi «per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano» (comma 9), fra l’altro, «modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari» (lettera c del comma 9), e purché non si riferiscano «ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta» (comma 10) e, comunque, fermo restando il rispetto delle «normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (comma 11).

In questo quadro, la disposizione regionale impugnata, nel consentire la destinazione residenziale di immobili siti in aree ad uso agricolo ai sensi del d.m. n.1444 del 1968, la estende alle «zone il cui piano dell’Autorità di bacino ha declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici».

Ai sensi dell’art. 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modifiche (d’ora in avanti anche cod. ambiente), l’Autorità di bacino distrettuale, istituita in ciascun distretto idrografico in cui è ripartito il territorio nazionale (art. 64), esercita le funzioni e i compiti in materia di difesa del suolo e di tutela delle acque e gestione delle risorse idriche. Il principale organo dell’Autorità è la conferenza istituzionale permanente. A essa partecipano i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico o gli assessori dai medesimi delegati, nonché, necessariamente, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, o i Sottosegretari di Stato dagli stessi delegati, il Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, e anche altri Ministri o sottosegretari, allorquando sia coinvolto il loro ambito di competenza (comma 5). L’Autorità provvede a elaborare il piano di bacino distrettuale e i relativi stralci e, nell’attività di pianificazione, effettua la classificazione della pericolosità geologica delle aree intesa quale probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo di determinata intensità si verifichi in un dato periodo di tempo e in una data area.

Risulta evidente che tale attività incide, in linea prevalente, sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva del legislatore statale. Pertanto, il legislatore regionale, nel consentire la destinazione residenziale anche di quegli immobili siti in aree agricole, per cui il piano dell’Autorità di bacino abbia declassificato la pericolosità geologica già indicata nei piani paesistici, senza peraltro fornire espressi riferimenti a specifici indici di tale pericolosità, ha introdotto una facoltà che inevitabilmente incide sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Ciò può verificarsi ben oltre le indicazioni del legislatore statale che, come si è già ricordato, imponevano il rispetto delle «normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito).

Tale facoltà, peraltro, è stata introdotta dal legislatore lucano a seguito del più volte richiamato Protocollo di intesa del 14 settembre 2011, con cui la Regione Basilicata si è vincolata a definire ogni questione inerente alla «corretta gestione del territorio», secondo la modalità procedurale della collaborazione istituzionale, in vista dell’adozione del piano paesaggistico regionale.

Nonostante ciò, la Regione ha esteso la possibilità del mutamento di destinazione d’uso a residenza degli immobili siti nelle zone omogenee "E” (agricole), di là da quanto previsto dal legislatore statale, senza seguire l’indicata modalità procedurale collaborativa e senza attendere l’adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, che avrebbe dovuto recepire la declassificazione della pericolosità dell’area effettuata dall’Autorità di bacino.

Ciò determina una lesione della sfera di competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», che si impone al legislatore regionale che eserciti la propria competenza nella materia "governo del territorio”.

Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge regionale n. 19 del 2017, nella parte in cui, sostituendo l’art. 5, comma 1-quinquies, della legge regionale n. 25 del 2009, ha consentito il mutamento di destinazione d’uso a residenza per gli immobili ricompresi nelle zone omogenee "E” (agricole), «in tutte le zone il cui piano dell’autorità di bacino ha declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici» (ultimo periodo del comma 1-quinquies).

La declaratoria di illegittimità costituzionale si estende al nuovo testo del medesimo ultimo periodo del comma 1-quinquies dell’art. 5 della legge regionale n. 25 del 2009, come successivamente sostituito dall’art. 49 della legge regionale n. 11 del 2018, in considerazione del fatto che non solo non è mutato il contenuto precettivo della norma, ma è anche rimasto inalterato il tenore letterale della stessa.

2.7.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 46, comma 1, della legge regionale n. 19 del 2017, che, modificando l’art. 76 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 5 (Legge di stabilità regionale 2015), ha previsto la possibilità che siano rilasciate «concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attività in favore di disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare strutture stagionali attrezzate per l’accoglienza e il godimento del mare». Tale disposizione, non prevedendo espressamente procedure selettive per l’individuazione del soggetto titolare delle concessioni demaniali marittime verosimilmente di carattere turistico-ricreativo, violerebbe la sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e si porrebbe in contrasto con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, e, quindi, con l’art. 117, primo comma, Cost.

2.7.1.– La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.

Questa Corte ha già avuto modo di osservare che la disciplina concernente il rilascio delle concessioni su beni demaniali marittimi investe diversi ambiti materiali, attribuiti alla competenza sia statale, sia regionale (sentenze n. 157 e n. 40 del 2017), ma che particolare rilevanza, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento delle concessioni, «assumono i principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale» (sentenze n. 213 del 2011 e n. 40 del 2017; nello stesso senso sentenza n. 157 del 2017). A tal proposito, un ruolo centrale è svolto dall’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), che, attuando il contenuto dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, che richiede procedure di selezione improntate ad «imparzialità e […] trasparenza», impone la «predeterminazione dei criteri e la propalazione degli stessi in epoca antecedente l’affidamento» (sentenza n. 109 del 2018, punto 9.3.1. del Considerato in diritto) e, al comma 2, dispone che nel «[…] fissare le regole della procedura di selezione le autorità competenti possono tenere conto di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario» (sentenza n. 109 del 2018, punto 9.3.1. del Considerato in diritto). Come precisato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl e altri, l’art. 12, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2006/123/CE, impone che il rilascio di autorizzazioni, qualora il loro numero sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, sia assoggettato a una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza, escludendo la possibilità di proroghe automatiche e consente agli Stati membri di tener conto di considerazioni legate a «motivi imperativi d’interesse generale», anche se solo al momento di stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali.

In questo quadro deve essere collocata la norma regionale impugnata.

Quest’ultima si inserisce nell’art. 76 della legge reg. Basilicata n. 5 del 2015, che, «[i]n attesa del riordino e della revisione definitivi del quadro normativo nazionale in materia di demanio marittimo, secondo i principi comunitari», consente il rilascio di «concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali al fine di consentire l’offerta dei servizi per la balneazione agli ospiti delle strutture», nonché «al fine di favorire le attività turistiche balneari legate alle strutture turistiche ricettive» (comma 1). Tale previsione – cui è stata aggiunta, dall’impugnato art. 46, comma 1, la norma che dispone la possibilità di rilasciare «concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o alle Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attività in favore di disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare strutture stagionali attrezzate per l’accoglienza e il godimento del mare» – è stata adottata dal legislatore regionale nel 2015, in deroga al meccanismo prescritto dall’art. 34 della legge della Regione Basilicata 2 febbraio 2006, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata – Legge finanziaria 2006). Quest’ultimo, «[n]elle more dell’approvazione ed attuazione della variante al Piano regionale di utilizzazione delle aree demaniali marittime», aveva consentito la riconferma delle «concessioni demaniali per finalità turistico ricreative ai già concessionari a tutto il 2005, sia in forma stagionale che pluriennale», prorogandole.

In particolare, l’impugnato art. 46, comma 1, aggiungendo il comma 1-bis al citato art. 76, non fa altro che prevedere che il rilascio delle concessioni marittime provvisorie e stagionali – che deve comunque avvenire sulla base di procedure di selezione contraddistinte da criteri imparziali e trasparenti, resi preventivamente noti mediante un’adeguata pubblicità – possa avere luogo anche in favore di Comuni o associazioni di volontariato, che operino per i disabili motori e/o intellettivi, in vista dell’esigenza di consentire ai disabili e alle loro famiglie il godimento del mare, esigenza che integra uno dei «motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario», di cui all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2010, e al paragrafo 3 dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Si noti che «la definizione dei criteri dettagliati chiamati a guidare la selezione dei concorrenti all’affidamento rientra tra le competenze legislative demandate alle Regioni in esito al trasferimento delle funzioni amministrative legate al demanio marittimo e idrico nel rispetto dei principi di concorrenza» (sentenza n. 109 del 2018). Devono dunque ritenersi legittime «le conseguenti, diverse, discipline territoriali […] motivate dalle peculiarità di riferimento e dagli obiettivi di matrice collettiva che ciascuna realtà regionale, sulla base delle indicazioni di principio contenute nella legislazione statale di riferimento, può ritenere preminenti nel procedere alla scelta dei possibili utilizzatori» (sentenza n. 109 del 2018).

2.8.– È, infine, impugnato l’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce il comma 3 dell’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Tale disposizione è censurata in quanto, dettando disposizioni in tema di corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del decreto ministeriale 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), si porrebbe in contrasto con gli impegni assunti in tema di elaborazione del piano paesaggistico regionale, in seguito alla sottoscrizione del Protocollo di intesa, e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Essa si porrebbe, altresì, in contrasto con i principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

2.8.1.– Preliminarmente occorre rilevare che l’impugnato art. 20 della legge regionale n. 19 del 2017 ha sostituito l’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Quest’ultimo, successivamente alla proposizione del ricorso, è stato nuovamente modificato dall’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017. Il novellato comma 1 di quest’articolo è stato oggetto di autonoma impugnativa con il ricorso, iscritto al n. 87 del reg. ric. del 2017, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, e sarà oggetto di scrutinio nei successivi punti 3.1.1. e 3.1.2.

Nel suo testo originario, l’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 è stato in vigore per quasi un anno, periodo durante il quale deve ritenersi sia stato applicato. Il che è sufficiente a escludere la possibilità di una pronuncia di cessazione della materia del contendere.

2.8.2.– Nel merito il ricorso è fondato.

L’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nel sostituire l’art. 2 della legge regionale n. 54 del 2015, riproduce letteralmente i primi due commi del testo originario di esso, ma aggiunge il comma 3, che dispone: «Nei buffer [aree di rispetto] relativi alle aree e siti non idonei è possibile autorizzare l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili nel rispetto delle modalità e prescrizioni indicate nel comma 1 del presente articolo». È a tale comma che sono indirizzate le richiamate censure.

Tale norma va a incidere sulla disciplina delle cosiddette aree non idonee all’installazione di impianti di energia alimentati da fonti rinnovabili, che si pone al crocevia fra la materia della «tutela dell’ambiente» e quella della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo comma, Cost.), nel cui ambito questa Corte ha più volte riconosciuto che «i principi fondamentali sono dettati anche dal d.lgs. n. 387 del 2003 e, in specie, dall’art. 12 (ex multis, sentenza n. 14 del 2018)» (sentenza n. 177 del 2018) e dalle «Linee guida» adottate, con il d.m. 10 settembre 2010, di concerto tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero per i beni e le attività culturali, proprio in attuazione di quanto previsto dal citato art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità». Le linee guida – vincolanti in quanto adottate in sede di Conferenza unificata e quindi espressione della leale collaborazione fra Stato e Regione – costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria, e indicano le specifiche tecniche che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale (fra le altre, sentenza n. 69 del 2018). Dalle stesse si ricava la «ponderazione concertata» (sentenza n. 307 del 2013) imposta dal comma 10 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 ai fini del bilanciamento fra esigenze connesse alla produzione di energia e interessi ambientali, cui necessariamente le Regioni devono attenersi per identificare le "aree non idonee” alla localizzazione degli impianti.

In particolare, il paragrafo 17 delle citate linee guida allegate al d.m. 10 settembre 2010 demanda l’individuazione di tali aree non idonee a Regioni e Province autonome, ma nel rispetto di specifici principi e criteri guida relativi alla localizzazione degli impianti. La dichiarazione di inidoneità deve, infatti, risultare quale provvedimento finale di un’istruttoria adeguata volta a prendere in considerazione tutta una serie di interessi coinvolti e cioè la tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale. Inoltre, gli esiti dell’istruttoria devono contenere, in riferimento a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione ambientale. In ogni caso l’individuazione delle aree non idonee deve avvenire a opera delle Regioni attraverso atti di programmazione.

Il 14 settembre 2011 la Regione Basilicata, come già ricordato, ha siglato un Protocollo di intesa con il MIBAC e con il MATTM, in vista della elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale. In particolare, le parti hanno stabilito «di individuare prioritariamente e congiuntamente la metodologia per il riconoscimento delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti da fonti rinnovabili», ai sensi del d.m. 10 settembre 2010 e «sulla base dei criteri di cui all’Allegato 3 paragrafo 17 Criteri per l’individuazione di aree non idonee del citato DM» (art. 4 del Protocollo).

In attuazione di tale impegno, la Regione Basilicata ha avviato l’istruttoria per l’individuazione delle aree e dei siti non idonei a cura di un apposito gruppo di lavoro interistituzionale e interdipartimentale, i cui esiti sono stati recepiti (mediante appositi allegati) nella legge regionale n. 54 del 2015.

La medesima legge regionale n. 54 del 2015, all’art. 3, comma 3, (poi abrogato dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017) ha anche vincolato la Giunta regionale, nelle more dell’adozione del piano paesaggistico regionale, a adottare «specifiche linee guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti rinnovabili con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del d.lgs. n. 387 del 2003 e non superiori a 1 MW», sempre «nel rispetto dell’Intesa stipulata».

In questo quadro risulta evidente l’illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata, nella parte in cui ha stabilito, in via generale e unilaterale, senza istruttoria e senza un’adeguata valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, che «Nei buffer relativi alle aree e siti non idonei è possibile autorizzare l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili» (art. 2, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015), in contrasto con i criteri formati nel rispetto dell’Intesa siglata il 14 settembre 2011, oltre che con i principi fondamentali fissati nelle richiamate linee guida a tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti (sentenza n. 69 del 2018).

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui, introducendo l’art. 2, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015, dispone che «Nei buffer relativi alle aree e siti non idonei è possibile autorizzare l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili».

3.– Con il secondo ricorso (reg. ric. n. 87 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nonché «dell’Allegato della medesima che inserisce un allegato D) alla legge regionale n. 54 del 2015», tutte norme inerenti alla realizzazione e all’esercizio di impianti di energia da fonti rinnovabili.

3.1.– In primo luogo, il ricorrente ha impugnato gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della citata legge regionale n. 21 del 2017, nonché l’Allegato alla medesima, in quanto procederebbero, in maniera unilaterale – quindi senza alcun coinvolgimento dell’amministrazione statale preposta – alla modifica e integrazione di disposizioni legislative regionali già condivise con lo Stato, in specie disponendo l’abrogazione dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015, e introducendo un nuovo Allegato D) a tale legge regionale per il «"Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010”. Aree idonee e non idonee», in violazione degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di intesa per l’elaborazione del piano paesaggistico regionale, e in contrasto con l’art. 143, comma 2, del cod. beni culturali, con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e con il d.m. 10 settembre 2010, con conseguente lesione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

3.1.1.– Occorre, preliminarmente, precisare che l’impugnato art. 2, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, è intervenuto a modificare il testo dell’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 54 del 2015, già in precedenza modificato dall’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nel senso che ha introdotto un nuovo Allegato D), che ridefinisce i criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del d.m. 10 settembre 2010, con particolare riferimento all’individuazione delle «Aree idonee e non idonee», in specie «[p]er il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da [fonti di energia rinnovabile] da 0 a 1 MW».

Successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 2 della legge regionale n. 54 del 2015, come modificato dall’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 21 del 2017 (norma impugnata), è stato ulteriormente modificato dall’art. 29 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata). Tale norma sopravvenuta ha disposto, al comma 3, l’abrogazione dell’Allegato D), come introdotto dall’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 21 del 2017, e precisato che i «criteri e le modalità per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio delle tipologie di impianti da fonti di energia rinnovabili» sono individuati in appositi allegati «formati nel rispetto dell’Intesa stipulata, ai sensi dell’art. 145, comma 2, del D. Lgs. 22/11/2004, n. 42, tra Regione, Ministero dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sulla scorta delle indicazioni fornite dal D.M. 10/09/2010 per la individuazione delle aree e dei siti non idonei».

Nonostante la sopravvenienza normativa, la norma impugnata, nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso, è rimasta in vigore per un lasso di tempo non breve (dal 12 settembre 2017 al 22 novembre 2018), in cui deve ritenersi che abbia avuto applicazione. Pertanto, sebbene il nuovo testo normativo sia satisfattivo delle doglianze del ricorrente, non si delineano le condizioni per una pronuncia di cessazione della materia del contendere.

3.1.2.– Nel merito, la questione è fondata.

Con la prima delle due norme impugnate, l’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 21 del 2017, il legislatore lucano ha, anzitutto, abrogato la previsione, contenuta nell’art. 3, comma 3, della legge regionale n. 54 del 2015, che imponeva alla Giunta regionale di provvedere, nelle more dell’adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, in collaborazione con gli organi statali competenti, a introdurre «specifiche linee guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti rinnovabili con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del d.lgs. n. 387/2003 e non superiori a 1 MW», attuative di quelle di cui al d.m. 10 settembre 2010 e dei criteri individuati congiuntamente con organi statali e "recepiti” dalla legge regionale n. 54 del 2015. E ciò peraltro nel rispetto dell’intesa stipulata, ai sensi dell’art. 145, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004 tra Regione Basilicata, MIBAC e MATTM, intesa che, come si è già ricordato, all’art. 2, comma 4, segnalava fra le proprie principali finalità quella di «individuare prioritariamente e congiuntamente la metodologia per il riconoscimento delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti da fonti rinnovabili ai sensi del DM Sviluppo economico 10 settembre 2010 "Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” sulla base dei criteri di cui all’Allegato 3, paragrafo 17, Criteri per l’individuazione di aree non idonee, del citato DM».

Con l’art. 2, comma 1, della medesima legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, il legislatore regionale ha, di conseguenza, con un nuovo allegato, l’Allegato D), provveduto a individuare le «Aree idonee e non idonee», per «il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da [fonti di energia rinnovabile] da 0 a 1 MW», in via unilaterale e generale, e comunque in maniera difforme rispetto a quanto era stato stabilito all’esito dell’istruttoria "congiunta” fra Stato e Regione, poi "recepita” dalla medesima legge regionale n. 54 del 2015, nel rispetto dell’intesa stipulata il 14 settembre 2011 (art. 4 del Protocollo), ai sensi dell’art. 145, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004 e in attuazione delle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010.

Risulta, pertanto, evidente che il legislatore lucano, stabilendo in via generale e unilaterale, senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, l’individuazione delle aree non idonee all’installazione degli impianti di energia da fonti rinnovabili e anche quella delle aree idonee, previa abrogazione dei criteri individuati congiuntamente con gli organi statali, ha violato non solo l’impegno assunto con il Protocollo di intesa, siglato il 14 settembre 2011 in attuazione dell’art. 145, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, ma anche i criteri fissati dal paragrafo 17 delle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, che impongono, fra l’altro, un’istruttoria adeguata, volta a prendere in considerazione tutti gli interessi coinvolti, nonché la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione ambientale e puntuali atti di programmazione. Questi criteri – come si è già ricordato – «costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria» (sentenza n. 69 del 2018), che definisce, in specie all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, ad un tempo, standard omogenei di «tutela dell’ambiente» e principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», vincolanti per le Regioni.

Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 2, comma 1, nonché dell’Allegato alla medesima legge regionale n. 21 del 2017, che inserisce un allegato D) alla legge regionale n. 54 del 2015.

3.2.– Viene, altresì, impugnato l’art. 5, commi 1 e 2 (recte: art. 5), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui, sostituendo i commi 1 e 2 dell’art. 5 della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili), avrebbe introdotto ingiustificati aggravi alla realizzazione e all’esercizio degli impianti solari fotovoltaici di potenza fino a 200 kW, da collocare a terra, in contrasto con l’art 117, terzo comma Cost., in relazione ai principi fondamentali previsti dalla legislazione nazionale, di cui al d.lgs. n. 387 del 2003 e, in particolare, al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), di attuazione della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

3.2.1.– In linea preliminare, va rilevato che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 5, commi 1 e 2, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall’impugnato art. 5, della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, è stato abrogato dall’art. 31 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

Nonostante ciò, nel lasso di tempo intercorso tra l’entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e l’entrata in vigore della legge regionale n. 38 del 2018, la disposizione impugnata è stata applicata. Pertanto, non si profilano le condizioni per una pronuncia di cessazione della materia del contendere.

3.2.2.– Nel merito, la questione è fondata.

Questa Corte ha più volte, anche recentemente, affermato che «la disciplina del regime abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili rientra, oltre che nella materia «tutela dell’ambiente», anche nella competenza legislativa concorrente, in quanto riconducibile a «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo comma, Cost.), nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati anche dal d.lgs. n. 387 del 2003 e, in specie, dall’art. 12 (ex multis, sentenza n. 14 del 2018)» (sentenza n. 177 del 2018). Pertanto, il legislatore statale «attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale» (sentenze n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012). Principi che si desumono dalle «Linee guida» di cui al d.m. 10 settembre 2010, adottate in attuazione dell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, da quest’ultimo decreto e dal d.lgs. n. 28 del 2011, e il cui rispetto si impone al legislatore regionale.

In particolare, il d.lgs. n. 28 del 2011 ha provveduto a recepire la Direttiva 2009/28/CE, dettando misure concrete per il conseguimento, entro il 2020, della quota del 17 per cento di energia da fonti rinnovabili sui consumi energetici nazionali. A tale scopo ha provveduto alla semplificazione delle procedure autorizzative. L’art. 6 del citato d.lgs. n. 28 del 2011, in specie, ha stabilito, al comma 1, che per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida, si applica la procedura abilitativa semplificata (PAS). Fra tali impianti ci sono quelli solari fotovoltaici, che soddisfino determinati requisiti, come, per esempio, una potenza inferiore alle soglie indicate dalla Tabella A allegata al d.lgs n. 387 del 2003, o anche la collocazione su edifici, in cui la superficie complessiva dei moduli fotovoltaici dell’impianto non sia superiore a quella del tetto dell’edificio sul quale i moduli sono collocati, ex art. 21 del d.m. 6 agosto 2010 (Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare). Il medesimo art. 6 del citato d.lgs. n. 28 del 2011 ha anche espressamente riconosciuto, al comma 9, alle Regioni la facoltà di estendere la soglia di applicazione della procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico.

La disposizione regionale impugnata si muove secondo quanto previsto dal comma 9 dell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, avendo esteso l’applicazione della PAS agli impianti di potenza fino a 200kW. Essa, tuttavia, detta una serie di condizioni, per il riconoscimento della PAS, ulteriori rispetto a quelle indicate dalla normativa statale, fra cui, a esempio, l’osservanza delle specifiche tecniche contenute nell’Allegato 2 del d. lgs. n. 28 del 2011, imposte dal legislatore statale al diverso fine di accedere agli incentivi nazionali, o anche specifici vincoli di distanze minime (indicati alle lettere da a ad h dell’art. 5, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall’art. 5, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017). Dal mancato rispetto di tali condizioni, il legislatore regionale fa scaturire l’obbligo dell’applicazione dell’autorizzazione unica.

Questa Corte ha più volte chiarito che, in tema di realizzazione degli impianti di energia da fonti rinnovabili, l’influsso determinante è stato dato dalla normativa europea che, lungo un percorso inaugurato dalla direttiva 2001/77/CE, in vista dell’obiettivo di promuovere il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili, espressamente collegandolo alla necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, ha richiesto agli Stati membri di dettare regole certe, trasparenti e non discriminatorie, in grado di orientare le scelte degli operatori economici, favorendo gli investimenti nel settore, nonché di semplificare i procedimenti autorizzatori (di recente, sentenza n. 177 del 2018). In attuazione di tali indicazioni europee il legislatore statale ha, in specie con il d.lgs. n. 28 del 2011, puntualmente disciplinato le varie ipotesi in cui l’installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili è possibile all’esito di una procedura semplificata (la PAS).

In questo quadro risulta evidente che la norma regionale impugnata, nella parte in cui stabilisce condizioni diverse e aggiuntive rispetto a quelle prescritte dal legislatore statale per il rilascio della PAS, introduce previsioni che si traducono in ingiustificati aggravi per la realizzazione e l’esercizio degli impianti in questione, in contrasto «con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea» (sentenze n. 177 del 2018 e n. 13 del 2014; nello stesso senso, sentenza n. 44 del 2011).

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito i commi 1 e 2 dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.

3.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri promuove, inoltre, questioni di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 5, comma 3, (recte: art. 5), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha sostituito il comma 3 dell’art. 5 della legge regionale n. 8 del 2012, nonché nei confronti dell’art. 6, comma 3, (recte: art. 6) della stessa legge regionale n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 3 dell’art. 6 della legge regionale n. 8 del 2012, in quanto stabiliscono che sono assoggettati al rilascio dell’autorizzazione unica e non alla PAS la costruzione e l’esercizio, rispettivamente, di nuovi impianti fotovoltaici a terra (art. 5) e eolici (art. 6), anche ubicati nello stesso territorio comunale, proposti da un soggetto già titolare di altre autorizzazioni ottenute tramite PAS o che siano riconducibili allo stesso centro decisionale (ex art. 2359 del codice civile) o per qualsiasi altra relazione, anche di fatto, sulla base di univoci elementi, la cui potenza nominale, sommata tra loro e con quella dell’impianto già autorizzato, superi la soglia di potenza di 200 kW. Così disponendo, tali norme si porrebbero in contrasto con l’art. 117, terzo comma, in relazione ai principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di energia e con la finalità della semplificazione, in quanto escluderebbero l’applicazione della PAS sulla base di un criterio solo soggettivo (peraltro assai generico e quindi di difficile riscontro), senza individuare alcun limite spaziale di collocazione degli impianti, che, quindi, potrebbero trovarsi anche a chilometri di distanza.

3.3.1.– In linea preliminare, occorre ricordare che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 5, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall’impugnato art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, è stato abrogato dall’art. 31 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.

Nonostante ciò, non ci sono ragioni per escludere che la disposizione impugnata sia stata applicata nel tempo intercorso tra l’entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e l’entrata in vigore della legge regionale n. 38 del 2018. Pertanto, non si profilano le condizioni per una pronuncia di cessazione della materia del contendere. Anche l’art. 6, comma 3, della legge regionale n. 8 del 2012, come sostituito dall’art. 6 della legge regionale n. 21 del 2017 è stato, a sua volta, sostituito dall’art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018, che ha dettato una nuova disciplina, oggetto di autonoma impugnazione con il ricorso iscritto al n. 19 del reg. ricorsi del 2019. In considerazione della circostanza che, nel periodo in cui è stata in vigore, la norma impugnata ha avuto presumibilmente applicazione, non sussistono i presupposti per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

3.3.2.– Nel merito le questioni non sono fondate.

Il d.m. 10 settembre 2010, recante le cd «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», con riguardo agli interventi soggetti a procedura di autorizzazione semplificata (PAS), dispone, al paragrafo 11.6, che «I limiti di capacità di generazione e di potenza indicati al successivo paragrafo 12 sono da intendere come riferiti alla somma delle potenze nominali, per ciascuna fonte, dei singoli impianti di produzione appartenenti allo stesso soggetto o su cui lo stesso soggetto ha la posizione decisionale dominante, facenti capo al medesimo punto di connessione alla rete elettrica».

Si tratta chiaramente di una norma antielusiva, volta a impedire surrettizi "frazionamenti” degli impianti, finalizzati a rendere possibile l’autorizzazione semplificata (basata sul silenzio-assenso) in luogo dell’autorizzazione unica, con conseguente esclusione della valutazione di compatibilità ambientale. Tale norma, unitamente all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, che impone alle Regioni di individuare «i casi in cui la presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree contigue sono da valutare in termini cumulativi nell’ambito della valutazione di impatto ambientale», muove dal presupposto, sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa, che, per quanto sia rilevante l’obiettivo di incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili, appare altrettanto meritevole di tutela l’interesse a una corretta valutazione dell’impatto ambientale degli impianti di cui si discute, al fine di non sacrificare oltre ogni ragionevole limite il bene ambientale nel suo complesso.

A questo scopo, il legislatore statale ha stabilito che, in presenza di più istanze dirette alla installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili (e quindi anche fotovoltaici a terra e eolici), l'amministrazione competente può legittimamente trarre la conclusione di trovarsi al cospetto di un unico progetto, con la conseguenza di assoggettare il medesimo a verifica di compatibilità ambientale in caso di superamento delle soglie di potenza previste dalla normativa di settore, allorquando il collegamento funzionale tra le istanze si desuma da alcuni elementi indiziari o sintomatici dell’unicità dell’operazione imprenditoriale, quali la unicità dell’interlocutore che ha curato i rapporti con l’Amministrazione, l’identità della società cui vanno imputati gli effetti giuridici della domanda di autorizzazione e la unicità del punto di connessione. Pertanto, anche quest’ultimo elemento – che tecnicamente indica la circostanza che gli impianti abbiano lo stesso nodo di raccolta dell’energia prodotta per il passaggio dalla media all’alta tensione – è meramente indiziario o sintomatico dell’unicità dell’operazione imprenditoriale, al pari degli altri elementi.

In questo contesto, appare evidente che le norme regionali impugnate mirano al medesimo scopo, individuato dal legislatore statale, di evitare comportamenti surrettizi dei privati che, mediante una artificiosa parcellizzazione degli interventi di propria iniziativa, risultino in concreto preordinati a eludere l’applicazione di una normativa che potrebbe rivelarsi più gravosa rispetto a un’altra. A tal fine, esse individuano alcuni indici sintomatici dell’unicità dell’operazione imprenditoriale, suggeriti dal legislatore statale, indici che ravvisano nella circostanza che le istanze di costruzione ed esercizio di nuovi impianti, «anche ubicati nello stesso territorio comunale» (corrispondente al criterio della contiguità delle localizzazioni prescelte), siano proposte da «un soggetto già titolare di altre autorizzazioni ottenute tramite PAS o [...] siano riconducibili allo stesso centro decisionale (ex art. 2359 del codice civile) o per qualsiasi altra relazione, anche di fatto, sulla base di univoci elementi» (criterio dell’unicità dell’interlocutore che ha curato i rapporti con l’Amministrazione e dell’identità della società alla quale vanno imputati gli effetti giuridici della domanda di autorizzazione).

Si tratta, in altri termini, di previsioni che, lungi dal porsi in contrasto con i principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di energia, in specie contenuti nelle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, ne costituiscono specifica attuazione e comunque implicano il rispetto di tutti i requisiti spaziali stabiliti a tal proposito dalla normativa statale.

3.4.– Sono, inoltre, impugnati l’art. 5, comma 4, (recte: l’art. 5), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha sostituito il comma 4 dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, e l’art. 6, comma 4, (recte: l’art. 6) della legge regionale n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 4 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, in quanto stabiliscono, rispettivamente, che più impianti fotovoltaici a terra (art. 5) e eolici (art. 6), autorizzati con la PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti un unico centro decisionale, qualora la somma delle potenze degli impianti superi la soglia di 200 kW. Così prevedendo, le richiamate disposizioni si porrebbero in contrasto, oltre che con i principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo comma, Cost.), con l’art. 42 Cost. e con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui all’art. 63 TFUE, in quanto impedirebbero la cessione di impianti (o progetti di impianti) già autorizzati e potenzialmente localizzati a chilometri di distanza, ponendo un limite ingiustificato all’esercizio del diritto di proprietà.

3.4.1.– Come si è già ricordato, l’intero art. 5 della legge regionale n. 8 del 2012, come sostituito dall’art. 5 della legge regionale n. 21 del 2017, e quindi anche l’impugnato comma 4 del primo, è stato abrogato. Tuttavia, non sussistono elementi atti a escludere che, nel tempo intercorso tra l’entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e l’entrata in vigore della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, la disposizione impugnata sia stata applicata. Pertanto, non si profilano le condizioni per una pronuncia di cessazione della materia del contendere.

Anche l’art. 6, comma 3, della legge regionale n. 8 del 2012, come sostituito dall’impugnato art. 6 della legge regionale n. 21 del 2017 è stato, a sua volta, sostituito dall’art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018, che ha dettato una nuova disciplina, oggetto di autonoma impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 19 del reg. ric. 2019.

Considerato che, nel lasso di tempo in cui è stata in vigore, la norma impugnata ha avuto presumibilmente applicazione, non sussistono i presupposti per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

3.4.2.– Nel merito le questioni sono fondate in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

Le norme impugnate, come si è già ricordato, stabiliscono il divieto di cessione a terzi, costituenti un unico centro decisionale, di più impianti fotovoltaici a terra (art. 5, comma 4, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012) e eolici (art. 6, comma 4, della medesima legge regionale), autorizzati con la PAS, qualora la somma delle potenze di tali impianti superi la soglia di 200 kW.

Poiché un simile divieto non è contemplato dalla normativa statale che fissa i principi fondamentali della materia, è palese il contrasto delle norme regionali denunciate con tali principi.

Si tratta di un divieto che non può legittimamente fondarsi sul silenzio del legislatore statale, in quanto si risolve in una limitazione di un diritto – quello di cedere gli impianti – che costituisce espressione della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. (pur non evocato dal ricorrente), strumentalmente connessa al diritto di proprietà (degli impianti), tutelato dall’art. 42 Cost., per cui la Costituzione stabilisce una riserva di legge.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha sostituito l’art. 5, comma 4, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, e dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito l’art. 6, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2012.

3.4.3.– Restano assorbite le questioni di legittimità costituzionale prospettate in riferimento agli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 63 TFUE.

3.5.– Analoghe censure sono rivolte dal Presidente del Consiglio dei ministri all’art. 7, comma 2 (recte: all’art. 7), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha introdotto l’art. 6-bis, comma 2, nella legge regionale n. 8 del 2012. Tale comma è infatti impugnato nella parte in cui stabilisce che più impianti fotovoltaici e eolici, autorizzati con la PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti un unico centro decisionale, qualora la somma delle potenze degli impianti superi la soglia di 200 kW, in quanto sarebbe in contrasto, oltre che con i principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», con l’art. 42 Cost. e con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui all’art. 63 TFUE.

3.5.1.– In linea preliminare, occorre rilevare che, sebbene la norma impugnata sia stata abrogata dall’art. 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, non sussistono le condizioni per dichiarare la cessazione della materia del contendere, poiché non vi sono ragioni per escludere che abbia avuto applicazione nel periodo di vigenza della stessa.

3.5.2.– Nel merito, la questione è fondata in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 42 Cost.

Si è già detto, con riferimento agli artt. 5 e 6 della medesima legge regionale n. 21 del 2017 (punto 3.4.2.), che un simile divieto di cessione a terzi di impianti non è contemplato dalla normativa statale di principio.

Pertanto, la norma regionale impugnata, che interviene a porre un limite a un diritto che costituisce espressione della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. (pur non evocato dal ricorrente), strumentalmente connessa al diritto di proprietà (degli impianti), entrambi garantiti da una riserva di legge, si pone in evidente contrasto con quei principi fondamentali e deve, di conseguenza, essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui ha introdotto l’art. 6-bis, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2018.

3.5.3.– Resta assorbita la questione di legittimità costituzionale prospettata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 63 TFUE.

3.6.– È, inoltre, impugnato l’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove, inserendo l’art. 6-bis, comma 1, nella legge regionale n. 8 del 2012, stabilisce ulteriori condizioni per l’applicazione della PAS agli impianti eolici e fotovoltaici con potenza nominale inferiore alla tabella A) dell’art.12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, in mancanza delle quali tali impianti non possono essere abilitati nemmeno con l’autorizzazione unica. Ciò sarebbe in contrasto con il regime di abilitazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili delineato dagli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 e dalle linee guida (paragrafi 11 e 12), di cui al d.m. 10 settembre 2010, e quindi in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. Viene dedotta anche la violazione del principio di favore per le fonti rinnovabili, di cui al Protocollo di Kyoto, all’Accordo di Parigi e alle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE, e quindi il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.

3.6.1.– Preliminarmente si deve rilevare che, sebbene l’art. 6-bis, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come introdotto dall’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, sia stato abrogato dall’art. 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, non ricorrono i presupposti per una declaratoria di cessazione della materia del contendere. Non ci sono, infatti, elementi che inducano a escludere che la norma impugnata sia stata applicata nel periodo di sua vigenza.

3.6.2.– La questione proposta in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., è fondata.

Come si è già ricordato, il legislatore statale, «attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 69 del 2018). Principi che si desumono dalle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, previste dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, da quest’ultimo e dal d.lgs. n. 28 del 2011 e che sono stati introdotti dal legislatore statale in attuazione della normativa dell’Unione europea, in vista dell’obiettivo di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile.

Occorre anzitutto individuare tali principi nel caso oggetto della norma regionale impugnata, per verificare poi la compatibilità di quest’ultima con i primi.

Con riguardo agli impianti eolici e fotovoltaici con potenza nominale inferiore alla Tabella A) allegata all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, e cioè in relazione, rispettivamente, agli impianti eolici di potenza compresa fra 0-60 Kw (par. 12.6), e agli impianti fotovoltaici a terra con potenza compresa fra 0-20 kW (par. 12.2.), le linee guida, di cui al d.m. 10 settembre 2010, si limitano a prescrivere la PAS, senza richiedere nessun altro requisito.

La norma regionale impugnata, invece, prescrive, per il rilascio dell’autorizzazione con procedura semplificata, con riferimento agli impianti fotovoltaici a terra con potenza compresa fra 0-20 kW, ulteriori condizioni tecniche inerenti al rapporto superficie radiante dei pannelli/superficie disponibile, alle dimensioni degli impianti, nonché alle caratteristiche delle schermature e recinzioni, a distanze minime (art. 6-bis, comma 1, numero 1, lettere da a a g); con riguardo agli impianti eolici di potenza fra 0-60 Kw, ulteriori condizioni tecniche inerenti alle dimensioni degli impianti, alla localizzazione, alle distanze minime (art. 6-bis, comma 1, numero 2, lettere da a a f).

Risulta evidente che tali condizioni sono diverse e aggiuntive rispetto a quelle prescritte dal legislatore statale per il rilascio della PAS. Esse, pertanto, si traducono in ingiustificati aggravi per la realizzazione e l’esercizio degli impianti in questione, che possono essere addirittura preclusivi degli stessi, ove si consideri che non è neanche prevista l’applicabilità del regime dell’autorizzazione unica nel caso di mancato rispetto delle condizioni prescritte. Ciò è in contrasto «con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea» (sentenze n. 177 del 2018 e n. 13 del 2014; nello stesso senso, sentenza n. 44 del 2011).

Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha inserito l’art. 6-bis, comma 1, nella legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.

3.6.3.– Resta assorbita le questione di legittimità costituzionale prospettata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al Protocollo di Kyoto, all’Accordo di Parigi e alle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE.

3.7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 7, comma 3 (recte: l’art. 7), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove, inserendo l’art. 6-bis, comma 3, nella legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, stabilisce che «[q]ualora più impianti di cui al comma 1 sono riconducibili ad un unico centro decisionale, devono essere considerati un unico impianto per cui devono rispettare le condizioni contenute negli artt. 5 e 6». Così disponendo, sarebbero violati i principi fondamentali stabiliti dal legislatore in materia di energia e, quindi, l’art. 117, terzo comma, Cost.

3.7.1.– Anche in tal caso, occorre ribadire, in linea preliminare, che, sebbene l’art. 6-bis, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come introdotto dall’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, sia stato abrogato dall’art. 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, non ricorrono i presupposti per una declaratoria di cessazione della materia del contendere. Non ci sono, infatti, elementi che inducano a escludere che la norma impugnata sia stata applicata nel periodo di sua vigenza.

3.7.2.– La questione non è fondata.

Come già ricordato (par. 3.3.2.), le linee guida, di cui al d.m. 10 settembre 2010, al paragrafo 11.6., ai fini dell’applicazione della PAS, stabiliscono che «I limiti di capacità di generazione e di potenza indicati al successivo paragrafo 12 sono da intendere come riferiti alla somma delle potenze nominali, per ciascuna fonte, dei singoli impianti di produzione appartenenti allo stesso soggetto o su cui lo stesso soggetto ha la posizione decisionale dominante, facenti capo al medesimo punto di connessione alla rete elettrica […]».

La ratio antielusiva sottesa a tale previsione, volta a evitare comportamenti surrettizi dei privati che, mediante una artificiosa parcellizzazione degli interventi di propria iniziativa, risultino in concreto preordinati a eludere l’applicazione di una normativa che potrebbe rivelarsi più gravosa rispetto a un’altra, è la stessa che contraddistingue anche la norma regionale impugnata.

Quest’ultima, in presenza di più impianti riconducibili a un unico centro decisionale, ravvisa un unico impianto soggetto agli ulteriori adempimenti prescritti dagli artt. 5 e 6 per gli impianti di potenza maggiore (fino a 200 KW), sempre che sussistano – come già chiarito – le condizioni spaziali previste dalla normativa statale.

Emerge in maniera chiara, pertanto, che la norma regionale impugnata, lungi dal porsi in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale, ne costituisce attuazione.

3.8.– Sono, infine, impugnati gli artt. 5, 6 e 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Tali norme, nell’assoggettare a PAS impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza a partire da «0» kW, non farebbero salvo il regime della comunicazione, previsto dai paragrafi 11 e 12 delle linee guida nazionali di cui al d.m. 10 settembre 2010 e richiamato dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011.

3.8.1.– In linea preliminare, occorre rilevare che la legge regionale n. 38 del 2018, entrata in vigore successivamente alla proposizione del ricorso, ha inciso sugli artt. 5, 6 e 7 della legge regionale n. 21 del 2017.

Più precisamente, gli artt. 5 e 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017 sono stati abrogati per effetto, rispettivamente, degli artt. 31 e 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018. L’art. 6 della citata legge regionale n. 21 del 2017 è stato modificato dall’art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018, autonomamente impugnato con un successivo ricorso, iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2019.

Tuttavia, il periodo di vigenza delle norme in esame e l’assenza di elementi atti a escludere che tali norme siano state applicate impediscono di ritenere cessata la materia del contendere.

3.8.2.– Le questioni – che in ragione delle dichiarazioni di incostituzionalità di cui ai precedenti punti 3.2.2, 3.4.2, 3.5.2 e 3.6.2, investono i residui commi degli artt. 5, 6 e 6-bis della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012 – non sono fondate.

Nel quadro di semplificazione delle procedure autorizzative delineato dal d.lgs. n. 28 del 2011, accanto all’autorizzazione unica (AU) e alla procedura abilitativa semplificata (PAS), è prevista la mera comunicazione al Comune di inizio dei lavori – corredata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato – per la realizzazione e l’esercizio di alcune tipologie di piccoli impianti per la produzione di energia elettrica, calore e freddo da fonti di energia rinnovabili (FER), assimilabili ad attività edilizia libera. In particolare, le linee guida, di cui al d.m. 10 settembre 2010, ricomprendono in tale categoria impianti eolici e fotovoltaici contraddistinti da specifiche caratteristiche strutturali, tassativamente individuate.

Con specifico riguardo agli impianti solari fotovoltaici, il paragrafo 12.1. delle citate linee guida assoggetta al regime della mera comunicazione solo gli impianti «aderenti o integrati nei tetti di edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi», con superficie non superiore a quella del tetto su cui è realizzato l’impianto e che «non ricadono nel campo di applicazione del decreto legislativo 22 gennaio 2004 e s.m.i […], nei casi previsti dall’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo n. 115 del 2008» (lettera a), nonché gli impianti «realizzati su edifici esistenti o sulle loro pertinenze», «aventi una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto» e «realizzati al di fuori della Zona A, di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444» (lettera b). Quanto agli impianti eolici, il paragrafo 12.5 delle medesime linee guida prescrive il regime della mera comunicazione solo per gli impianti «installati sui tetti degli edifici esistenti di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro», sempre che i relativi interventi «non ricad[a]no nel campo di applicazione del d.lgs. n. 42 del 2004, nei casi previsti dall’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo n. 115 del 2008» (lettera a), nonché per le «torri anemometriche finalizzate alla misurazione temporanea del vento», «realizzate mediante strutture mobili, semifisse o comunque amovibili», «installate in aree non soggette a vincolo o a tutela» e comunque con il consenso del proprietario del fondo e a condizione che «la rilevazione non duri più di trentasei mesi» e che «entro un mese dalla conclusione della rilevazione il soggetto titolare rimuov[a] le predette apparecchiature ripristinando lo stato dei luoghi» (lettera b). Quanto alla potenza, l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente alle Regioni di estendere il regime della comunicazione «ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 Kw, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche».

Appare evidente che si tratta di una disciplina speciale, la cui applicabilità è condizionata dalla sussistenza dei requisiti "strutturali” degli impianti tassativamente indicati dal legislatore statale, disciplina su cui non incidono le norme regionali impugnate. Queste ultime, infatti, hanno un diverso ambito di applicazione, proprio perché dettano i limiti all’utilizzo della PAS per gli impianti solari fotovoltaici e per gli impianti eolici in generale, senza interferire con la speciale disciplina inerente al regime di comunicazione previsto, come si è rilevato, dal legislatore statale per specifiche tipologie di impianti eolici e solari fotovoltaici, tassativamente individuate sulla base non dell’esclusivo elemento della potenza, ma di peculiari caratteristiche strutturali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso n. 77 del registro ricorsi 2017;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5, 8 e 12 della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui ha sostituito l’art. 5, comma 1-quinquies, ultimo periodo, della legge della Regione Basilicata 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente);

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 49 della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018), nella parte in cui ha novellato l’art. 5, comma 1-quinquies, ultimo periodo, della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce l’art. 2, comma 3, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010);

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e piano di indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8 «Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»), nonché dell’Allegato alla medesima legge, che inserisce un allegato D) nella legge reg. Basilicata n. 54 del 2015;

6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito i commi 1 e 2 dell’art. 5 della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili);

7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 4 dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, e dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 4 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012;

8) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella parte in cui ha inserito l’art. 6-bis, comma 1, nella legge reg. Basilicata n. 8 del 2012;

9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha introdotto l’art. 6-bis, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012;

10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 25 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il ricorso iscritto al registro ricorsi n. 77 del 2017;

11) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, con il ricorso iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2017;

12) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha sostituito il comma 3 dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha sostituito i commi 1, 2 e 3 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, e dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha inserito l’art. 6-bis, comma 3, nella legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., con il ricorso iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2017.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2019.