SENTENZA
N. 86
ANNO
2019
Commento
alla decisione di
Carolina
Pellegrino
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario
Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
artt. 3, 4, 5, 8, 12, 13, 20 e 46 (recte: comma 1),
della legge
della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di
stabilità regionale 2017) e degli artt. 1, comma 1, 2, comma 1, 5, 6 e 7
della legge
della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni
alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e piano
di indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs.
n. 152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8
«Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei criteri per il corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia
rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»), nonché dell’Allegato
alla medesima legge, che inserisce un allegato D) alla legge regionale 30
dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel
paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai
sensi del D.M. 10 settembre 2010), promossi dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con ricorsi notificati il 25-29 settembre e il 9-14 novembre
2017, depositati in cancelleria il 29 settembre e il 17 novembre 2017, iscritti
rispettivamente ai numeri 77
e 87
del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica numeri 46 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Udito nella udienza pubblica del 4 dicembre 2018
il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati dello Stato Gianni De Bellis
e Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ricorso notificato il 25-29 settembre
2017, depositato il 29 settembre 2017 (reg. ric. n. 77 del 2017), il Presidente
del Consiglio dei ministri ha impugnato numerose disposizioni della legge della
Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità
regionale 2017) e, tra queste, gli artt. 3, 4, 5, 8, 12 (indicato come art. 9
per errore materiale nella delibera autorizzativa del ricorso), 13, 20 e 46 (recte: comma 1), in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 25, secondo comma, 117, primo comma –
quest’ultimo in relazione all’art. 12 della direttiva
2006/1123 CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006,
relativa ai servizi del mercato interno –, secondo comma, lettere
e), l) e s), e terzo comma, della Costituzione.
1.1.– In primo luogo, è impugnato l’art. 3 della
citata legge regionale n. 19 del 2017, che aggiunge il comma 5 all’art. 10
della legge della Regione Basilicata 5 luglio 2002, n. 24 (Variante generale al
piano territoriale di coordinamento del Pollino) (recte:
all’art. 10 della legge della Regione Basilicata 18 ottobre 2006, n. 27,
recante «Variante normativa al piano di coordinamento territoriale del Pollino»).
Tale disposizione sarebbe in contrasto con
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in quanto non rispetterebbe le
disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137), là dove quest’ultimo prevede espressamente la concertazione con
lo Stato per la pianificazione paesaggistica.
Il ricorrente sottolinea che il piano territoriale
di coordinamento del pollino ha valenza di piano paesaggistico, per il cui
aggiornamento l’art. 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, al comma 3, prevede che «le
regioni e il Ministero, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 135,
possono stipulare intese, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, per disciplinare
lo svolgimento congiunto della verifica e dell’adeguamento dei piani
paesaggistici». In attuazione di tale disposizione – ricorda ancora il
ricorrente – è stato sottoscritto il 14 settembre 2011 il Protocollo di intesa
tra il Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC), il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) e la Regione
Basilicata per la definizione congiunta del piano paesaggistico regionale. In
attuazione dell’art. 5 di tale Protocollo è stato, poi, istituito un Comitato
tecnico con determinazione del dirigente generale del Dipartimento ambiente,
territorio e politiche della sostenibilità 19 settembre 2012, n. 7502.
La tesi del ricorrente è che, con la
disposizione impugnata, la Regione avrebbe omesso di dare applicazione agli
accordi recepiti nei provvedimenti suindicati con conseguente violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce alla
competenza esclusiva dello Stato la materia tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali.
1.2.– È impugnato anche l’art. 4 della legge
reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui, sostituendo un articolo
delle Norme Tecniche attuative del Piano territoriale paesistico del
Metapontino, disciplina l’uso dell’arenile vincolato (300 metri dalla linea di
battigia) per la realizzazione di strutture di balneazione, senza alcuna
concertazione con il MIBAC e quindi in contrasto con il Protocollo di intesa
del 14 settembre 2011 e con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
1.3.– L’art. 5 della medesima legge regionale è,
a sua volta, impugnato nella parte in cui detta disposizioni in tema di
interventi edilizi in assenza o in difformità dal titolo abilitativo in
contrasto con gli artt. 31, 33, 34 e 36 del decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)». Più precisamente il
ricorrente sostiene che esso contrasti con i citati principi fondamentali in
materia di governo del territorio – e quindi con l’art. 117, terzo comma, Cost.
– là dove sostituisce la previsione della sanzione della demolizione con quella
di una sanzione pecuniaria e quindi introduce – secondo la difesa statale –
nuove ipotesi di sanatoria di abusi edilizi, in violazione anche della
competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale, nonché
della riserva di legge statale in materia penale, contenuta nell’art. 25 Cost.
L’impugnata disposizione sarebbe, inoltre, irragionevole, alla luce di quanto
stabilito dal legislatore statale agli artt. 45, comma 3, e 46, del d.P.R. n.
380 del 2001.
1.4.– Viene, inoltre, fatto oggetto di censure
l’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, là dove, aggiungendo il
comma 4-bis all’art. 6 della legge della Regione Basilicata 7 agosto 2009, n.
25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla
riqualificazione del patrimonio edilizio esistente), introduce, unilateralmente
e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., deroghe
ai divieti di interventi di ampliamento, rinnovo e interventi straordinari di
riuso del patrimonio edilizio esistente, stabiliti per tutti i Comuni che,
prima dell’entrata in vigore della legge, erano muniti di piani paesaggistici.
1.5.– Sempre con riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., è censurato anche l’art. 12 della legge reg.
Basilicata n. 19 del 2017, in quanto, aggiungendo il comma 7-quater all’art. 2
della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, prevede – unilateralmente – la
possibile realizzazione di interventi di ampliamento, nel caso di pertinenze
della residenza, anche separatamente dall’edificio nell’ambito del lotto
fondiario, in deroga ai limiti e alle distanze stabiliti dagli strumenti
urbanistici, riconoscendo che si può «superare di m. 3,10 l’altezza massima
consentita dagli strumenti urbanistici vigenti».
1.6.– L’art. 13 della legge reg. Basilicata n.
19 del 2017 è, poi, impugnato nella parte in cui, sostituendo il comma
1-quinquies dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, prevede la
possibilità di un mutamento delle destinazioni d’uso a residenza per gli
immobili ricompresi «all’interno delle zone omogenee E» di cui al decreto
ministeriale. 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia,
di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati
agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle
attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della
formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), «in tutte
le zone in cui il piano dell’autorità di bacino ha declassificato la
pericolosità geologica prevista nei piani paesistici». Tale disposizione
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché l’art. 3 Cost.
per irragionevolezza e per l’oscurità della nozione impiegata di "declassificazione”.
1.7.– Ulteriori censure vengono promosse nei
confronti dell’art. 20 della citata legge regionale n. 19 del 2017, nella parte
in cui introduce il comma 3 dell’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 54 del
2015, in quanto introdurrebbe disposizioni in tema di corretto inserimento nel
paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili, ai
sensi del d.m. 10 settembre 2010, in contrasto con
gli impegni assunti in tema di elaborazione del piano paesaggistico regionale,
in seguito alla sottoscrizione del Protocollo di intesa del 14 settembre 2011,
e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Esso,
inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, in relazione ai
principi fondamentali posti dal legislatore statale in materia di produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, cui deve essere ricondotta la
disciplina degli impianti di energia da fonti rinnovabili.
1.8.– È infine impugnato l’art. 46, comma 1,
della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, che, aggiungendo il comma 1-bis
all’art. 76 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 5 (Legge
di stabilità regionale 2015), ha riconosciuto la possibilità di rilasciare
«concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o alle
Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attività in favore di
disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare
strutture stagionali attrezzate per l’accoglienza e il godimento del mare».
Tale norma, non contemplando espressamente procedure selettive per
l’individuazione del soggetto titolare delle concessioni demaniali marittime,
verosimilmente di carattere turistico-ricreativo, si porrebbe in contrasto sia
con la sfera di competenza statale in materia di tutela della concorrenza, di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., sia con l’art. 117, primo
comma, Cost, in relazione all’art. 12 della direttiva 2006/1123/CE.
1.9.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica,
l’Avvocatura generale dello Stato, per conto del Presidente del Consiglio dei
ministri, ha depositato memoria in cui, nel ribadire le ragioni del ricorso, ha
segnalato che la Regione Basilicata, con legge regionale 29 giugno 2018, n. 11
(Collegato alla legge di stabilità regionale 2018), ha modificato alcune delle
disposizioni impugnate.
In particolare, l’art. 47 della citata legge
regionale n. 11 del 2018 ha sostituito l’art. 5 della legge regionale n. 19 del
2017, ma è stato anch’esso oggetto di impugnativa, in quanto il Governo ha
ritenuto che le intervenute modifiche siano affette dai medesimi vizi di
illegittimità costituzionale già denunciati.
A tal proposito, il ricorrente ha anche
ricordato che è, nel frattempo, intervenuta la sentenza n. 140 del
2018, in cui la Corte costituzionale ha precisato che l’art. 31 del d.P.R.
n. 380 del 2001 – anche nel suo comma 5, che riguarda le deroghe al principio della
demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune –
costituisce parametro interposto, qualificabile come principio fondamentale
nella materia del governo del territorio.
Sulla base di tali indicazioni sarebbe evidente
l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge regionale n. 19 del
2017. Sarebbe infatti possibile sostituire la demolizione con una sanzione
pecuniaria, e sarebbero ipotizzabili nuove forme di sanatoria degli abusi
edilizi, diverse da quelle previste dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001,
quindi in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
2.– Con successivo ricorso notificato in data
9-14 novembre 2017 e depositato il 17 novembre 2017 (reg. ric. n. 87 del 2017),
il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 1, comma 1, 2, comma 2, 5, 6 e 7 della legge della
Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alle
leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e piano di
indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs. n.
152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8
«Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei criteri per il corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia
rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»), nonché dell’Allegato alla
medesima legge, che inserisce un allegato D) alla legge regionale 30 dicembre
2015, n. 54 (Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio
e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del
D.M. 10 settembre 2010), in riferimento, nel complesso, agli artt. 42 e 117, primo comma, Cost.
– in relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui all’art.
63 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del
Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto
2008, n. 130, e al principio di favore per le fonti rinnovabili, di cui
alla normativa internazionale e comunitaria (Protocollo
di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici,
fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997 e ratificato con legge 1° giugno 2002, n. 120;
Accordo di Parigi alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite, fatto a Parigi
il 12 dicembre 2015; direttive
del Parlamento europeo e del Consiglio 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla
promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell’elettricità e 2009/28/CE
del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili,
recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e
2003/30/CE) –, secondo
comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
2.1.– La difesa statale premette che la citata
legge regionale n. 21 del 2017 modifica, tra l’altro, la legge reg. Basilicata
n. 54 del 2015, in tema di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e
sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili, ai sensi del
decreto ministeriale 10 settembre 2010, recante «Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili». Tale legge
regionale ha recepito quanto stabilito congiuntamente tra la Regione
Basilicata, il MIBAC e il MATTM, in attuazione di uno degli impegni assunti
(art. 2, punto 4) nel Protocollo di intesa per la per la definizione delle
modalità di elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale, stipulato
ai sensi dell’art. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, e sottoscritto in
data 14 settembre 2011.
La stessa legge reg. Basilicata n. 54 del 2015
ha dato attuazione alle Linee guida contenute nel d.m.
10 settembre 2010 e adottate di concerto tra il Ministero dello Sviluppo
Economico, il MATTM e il MIBAC, ai sensi di quanto previsto dall’art. 12, comma
10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta
da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).
Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda
inoltre che la citata legge regionale ha stabilito i criteri e le modalità per
il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio di alcune tipologie di
impianti da fonti di energia rinnovabili (FER), limitandosi a quelli di grande
generazione al di sopra di 1 MW e individuando – sulla base della tipologia e
potenza specificate nel quadro sinottico allegato alla legge medesima – «Aree e
Siti non idonei» all’installazione, riconducibili alle macro-aree tematiche di
cui agli allegati A) e C), nonché agli elaborati di cui all’allegato B) della
legge stessa.
La legge reg. Basilicata n. 54 del 2015 –
prosegue la difesa statale – stabiliva, all’art. 3, comma 3, che «[n]elle more
dell’approvazione del Piano Paesaggistico Regionale di cui all’art. 135 del D.Lgs. n. 42 del 2004 e nel rispetto dell’Intesa stipulata,
ai sensi dell’art. 145, comma 2, del D.Lgs. n.
42/2004 tra Regione, Ministero dei Beni e le Attività culturali e del Turismo e
il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, la Giunta
regionale, previo parere della Commissione consiliare competente, entro 60
giorni dall’entrata in vigore della presente legge, emana specifiche linee
guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti
rinnovabili con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del D.Lgs. n. 387/2003 e non superiori a 1 MW».
Il ricorrente segnala che, in assenza di tali
criteri, si è determinata, nel frattempo, una incontrollata proliferazione
degli impianti, che, per effetto del regime autorizzatorio semplificato, ha
generato importanti e diffusi impatti sul territorio, tali da indurre la
Regione Basilicata a affrontare il problema.
Il ricorrente rileva che, tuttavia, la Regione
ha ritenuto, in maniera assolutamente unilaterale, di intervenire,
innanzitutto, con la delibera della Giunta regionale 2 marzo 2017, n. 175,
annullata con sentenza 24 luglio 2017, n. 510, del Tribunale amministrativo
regionale per la Basilicata; poi con l’art. 20 della legge regionale n. 19 del
2017, impugnato dal Governo ex art. 127 Cost. per violazione della competenza
esclusiva statale in materia di tutela paesaggistica (art. 117, secondo comma,
lettera s, Cost.).
Ad avviso del ricorrente, con le richiamate
norme della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, la Regione avrebbe superato i
limiti della propria competenza, in violazione della Costituzione.
2.2.– In particolare, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della
citata legge regionale, nonché l’Allegato alla medesima, in quanto
procederebbero, in maniera unilaterale – quindi senza alcun coinvolgimento
dell’amministrazione statale competente – alla modifica e integrazione di
disposizioni legislative regionali già condivise con lo Stato e "recepite”
dalla legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Sarebbero così introdotti elementi
di contrasto e contraddittorietà con gli impegni assunti con la sottoscrizione
del Protocollo di intesa per l’elaborazione del piano paesaggistico regionale,
con conseguente violazione degli artt. 143, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004
e 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, oltre che del d.m.
10 settembre 2010. Le modifiche apportate dalla legge regionale n. 21 del 2017
introdurrebbero, pertanto, solo elementi di confusione e contraddizione, in
violazione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
2.3.– È, poi, impugnato l’art. 5, commi 1 e 2 (recte: art. 5), della legge regionale n. 21 del 2017, nella
parte in cui – nel modificare l’art. 5 (recte: l’art.
5, commi 1 e 2) della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8
(Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili) – stabilisce che agli impianti solari fotovoltaici di potenza fino
a 200 kW, da collocare a terra, può essere applicata la procedura di
autorizzazione semplificata (PAS) a condizione che siano rispettate
congiuntamente le specifiche tecniche contenute nell’Allegato 2 del decreto
legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), le
prescrizioni del paragrafo 2.2.2. dell’appendice A del piano di indirizzo
energetico ambientale regionale (PIEAR), nonché le condizioni di cui alle
lettere da a) a h) ivi specificate (comma 1 del novellato art. 5 legge reg.
Basilicata n. 12 del 2008), prevedendo, altresì, che il mancato rispetto di una
sola di tali condizioni comporta l’applicazione del regime dell’autorizzazione
unica (comma 2 del novellato art. 5).
Così disponendo, il nuovo testo dell’art. 5,
commi 1 e 2, della legge regionale n. 8 del 2012, avrebbe introdotto
ingiustificati aggravi alla realizzazione e all’esercizio degli impianti solari
fotovoltaici di potenza fino a 200 kW, da collocare a terra, in contrasto con i
principi fondamentali previsti dalla legislazione nazionale in materia di
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, e quindi con
l’art. 117, terzo comma, Cost.
2.4.– Sono stati, poi, impugnati il comma 3
dell’art. 5 e il comma 3 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012,
come rispettivamente sostituiti dall’art. 5 e dall’art. 6 della legge regionale
n. 21 del 2017, per violazione dei principi fondamentali fissati dal
legislatore statale in materia di energia, nella parte in cui stabiliscono che
la costruzione e l’esercizio, rispettivamente, di nuovi impianti fotovoltaici a
terra (art. 5) e eolici (art. 6), anche ubicati nello stesso territorio comunale,
sono assoggettati al rilascio dell’autorizzazione unica e non alla procedura
abilitativa semplificata (PAS), ove siano proposti da un soggetto già titolare
di altre autorizzazioni, ottenute tramite PAS o riconducibili allo stesso
centro decisionale, ex art. 2359 del codice civile o per qualsiasi altra
relazione, anche di fatto, sulla base di univoci elementi, e la cui potenza
nominale, sommata tra loro e con quella dell’impianto già autorizzato, superi
la soglia di potenza di 200 kW.
Il ricorrente ritiene che, sebbene l’intento
delle disposizioni impugnate possa rinvenirsi nell’esigenza di evitare
l’elusione della soglia di potenza dei 200 kW per l’applicazione della PAS,
esse tuttavia introdurrebbero un ingiustificato vincolo per l’applicazione
della procedura semplificata sulla base di un criterio solo soggettivo
(peraltro assai generico e quindi di difficile riscontro), senza individuare
alcun limite spaziale di collocazione degli impianti che, paradossalmente,
potrebbero trovarsi anche a chilometri di distanza, in contrasto con i principi
fondamentali posti dal legislatore statale in materia e quindi con il terzo
comma dell’art. 117 Cost.
2.5.– Ulteriori censure
sono rivolte al comma 4 dell’ art. 5 e al comma 4 dell’art. 6, della legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012, come rispettivamente sostituiti dall’art. 5 e
dall’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove stabiliscono
che più impianti fotovoltaici a terra e più impianti eolici, autorizzati con la
PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti un unico centro decisionale,
qualora la somma delle potenze degli impianti superi la soglia di 200 kW.
Tali previsioni, pur ispirate a finalità
antielusive, si porrebbero in contrasto, oltre che con i principi fondamentali
della materia, con l’art. 42 Cost. e con l’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui all'art. 63
TFUE, in quanto impedirebbero la cessione di impianti (o progetti di impianti)
già autorizzati e potenzialmente localizzati a chilometri di distanza, ponendo
un limite ingiustificato all’esercizio del diritto di proprietà.
2.6.– Le medesime censure sono svolte nei
confronti dell’«art. 7, comma 2», della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017 (recte: art. 6-bis, comma 2, della legge regionale n. 8 del
2012, come introdotto dall’art. 7 della legge regionale n. 21 del 2017), nella
parte in cui stabilisce che più impianti fotovoltaici e eolici, autorizzati con
la PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti un unico centro decisionale,
qualora la somma delle potenze degli impianti superi la soglia di 200 kW.
2.7.– È inoltre impugnato l’«art. 7, comma 1»,
della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017 (recte:
art. 6-bis, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2012, come modificato
dall’art. 7 della legge regionale n. 21 del 2017), nella parte in cui pone
condizioni ulteriori – rispetto a quelle individuate dal legislatore statale –
per l’applicazione della PAS agli impianti eolici e fotovoltaici con potenza
nominale inferiore alla tabella A) dell’art.12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del
2003. Più precisamente, secondo il ricorrente, la disposizione regionale
impugnata enucleerebbe, nell’ambito della categoria degli impianti soggetti a
PAS, di cui agli artt. 5 e 6 della legge regionale n. 21 del 2017, un’ulteriore
classe di impianti eolici e fotovoltaici, a terra e su edificio, con una
potenza inferiore ai 200 kW e pari, rispettivamente, a 0-60 kW e a 0-20 kW, in
relazione ai quali detterebbe una serie di condizioni, in mancanza delle quali
tali impianti non potrebbero essere abilitati nemmeno con l’autorizzazione
unica.
Un simile regime autorizzativo non
corrisponderebbe al regime speciale delineato dagli artt. 4 e 6 del d.lgs. n.
28 del 2011 e dalle linee guida di cui al d.m. 10
settembre 2010 (in specie, paragrafi 11 e 12) e si porrebbe, pertanto, in
contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in considerazione della natura di
principio fondamentale attribuito ai regimi di abilitazione alla costruzione ed
esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili.
Inoltre, la mancata previsione della possibilità
di rilascio dell’autorizzazione unica, nel caso di insussistenza dei requisiti
per l’accesso alla procedura semplificata, determinerebbe un divieto generalizzato
di autorizzazione degli impianti di cui al comma 1 dell’art. 6-bis della legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012, in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.
e con il principio di favore per le fonti rinnovabili di cui alla normativa
internazionale e comunitaria (Protocollo di Kyoto, Accordo di Parigi e
direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE).
2.8.– Viene, inoltre, impugnato, per le medesime
ragioni già indicate con riguardo ai commi 1 e 2, relative alla violazione dei
principi fondamentali della materia posti dal legislatore statale, anche il
«comma 3 dell’art. 7» della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017 (recte: il comma 3 dell’art. 6-bis della legge regionale n.
8 del 2012, come introdotto dall’art. 7 della legge regionale n. 21 del 2017),
nella parte in cui stabilisce che, se più impianti di cui al comma 1 sono
riconducibili ad un unico centro decisionale, essi vanno considerati come unico
impianto, per cui si devono rispettare le condizioni contenute negli artt. 5 e
6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituiti dalla legge
regionale n. 21 del 2017.
2.9.– Infine, il ricorrente impugna
congiuntamente gli artt. 5, 6 e 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017,
per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, nell’assoggettare
a PAS impianti di potenza a partire da «0» kW, non farebbero salvo il regime
della comunicazione, previsto dai paragrafi 11 e 12 delle linee guida nazionali
di cui al d.m. 10 settembre 2010 e richiamato
dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011.
Considerato
in diritto
1.– Con ricorso, iscritto al n. 77 del registro
ricorsi del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato varie
disposizioni della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19
(Collegato alla legge di stabilità regionale 2017), tra cui gli artt. 3, 4, 5,
8, 12 (indicato come art. 9 per errore materiale nella delibera autorizzativa
del ricorso), 13, 20 e 46 (recte: comma 1), in
riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 25, secondo comma e 117, primo comma
– quest’ultimo in relazione all’art. 12 della direttiva 2006/1123 CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi
del mercato interno –, secondo comma, lettere e), l) e s), e terzo comma, della
Costituzione.
Con successivo ricorso iscritto al n. 87 del
registro ricorsi del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato gli artt. 1, comma 1, 2, comma 1, 5, 6 e 7 della legge della Regione
Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alle leggi
regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di energia e piano di
indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs. n.
152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n. 9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8
«Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei criteri per il corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia
rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»), nonché l’Allegato alla
medesima legge, che inserisce un allegato D) alla legge della Regione
Basilicata 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei criteri per il corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia
rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010), in riferimento, nel
complesso, agli artt. 42 e 117, secondo comma, lettera s), terzo comma, e primo
comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione delle merci di
cui all’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come
modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e al principio di favore per le
fonti rinnovabili, di cui alla normativa internazionale e comunitaria
(Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997 e ratificato con legge
1° giugno 2002, n. 120; Accordo di Parigi alla Convenzione quadro delle Nazioni
Unite, fatto a Parigi il 12 dicembre 2015; direttive del Parlamento europeo e
del Consiglio 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell'elettricità e 2009/28/CE del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione
delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
1.1.– Riservata a separate pronunce la decisione
delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso
n. 77 del 2017, i giudizi aventi ad oggetto le disposizioni regionali indicate
al precedente punto 1 debbono essere riuniti, in ragione della parziale
connessione oggettiva e della parziale identità dei termini delle questioni ora
all’esame di questa Corte.
2.– Con il primo ricorso (reg. ric. n. 77 del
2017), il Presidente del Consiglio dei ministri promuove, innanzitutto,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Basilicata
n. 19 del 2017, che aggiunge il comma 5 all’art. 10 della legge della Regione
Basilicata 18 ottobre 2006, n. 27, recante «Variante normativa al piano di
coordinamento territoriale del Pollino» (erroneamente indicato come art. 10
della legge della Regione Basilicata 5 luglio 2002, n. 24, recante «Variante
generale al piano territoriale di coordinamento del Pollino»).
Secondo il ricorrente, tale disposizione – che
introduce, unilateralmente, una modifica al piano di coordinamento territoriale
del Pollino, che ha valenza di piano paesaggistico ‒ lederebbe la sfera
di competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Con essa, infatti, il
legislatore regionale avrebbe violato il Protocollo di intesa siglato il 14
settembre 2011 tra il Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC), il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) e la
Regione Basilicata per la definizione congiunta del piano paesaggistico
regionale, in attuazione di quanto disposto dal comma 3 dell’art. 156 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio,
ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), in tema di
verifica e adeguamento dei piani paesistici.
2.1.– La questione è
fondata.
2.1.1.– Questa Corte ha ripetutamente affermato,
anche di recente, che «[l]a disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e
il paesaggio viene […] "a funzionare come un limite alla disciplina che le
Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”» (sentenza n. 66 del
2018). Essa «richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si
esplica in un’attività pianificatoria estesa
sull’intero territorio nazionale […] affidata congiuntamente allo Stato e alle
Regioni» (sentenza
n. 66 del 2018). È in questa prospettiva che il codice dei beni culturali e
del paesaggio pone, all’art. 135, un obbligo di elaborazione congiunta del
piano paesaggistico, con riferimento agli immobili e alle aree dichiarati di
notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 (le c.d. "bellezze
naturali”), alle aree tutelate direttamente dalla legge ai sensi dell’art. 142
(le c.d. "zone Galasso”, come territori costieri, fiumi, torrenti, parchi) e,
infine, agli ulteriori immobili ed aree di notevole interesse pubblico (art.
143, lettera d). Tale obbligo costituisce un principio inderogabile della
legislazione statale, che è, a sua volta, un riflesso della necessaria
«impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 64 del
2015), e mira a «garantire, attraverso la partecipazione degli organi
ministeriali ai procedimenti in materia, l’effettiva ed uniforme tutela
dell’ambiente» (sentenza
n. 210 del 2016).
2.1.2.– La disposizione regionale impugnata è
intervenuta a introdurre una "variante” al piano territoriale di coordinamento
del Pollino, istituito con delibera del Consiglio regionale 21 dicembre 1985,
n. 50, sulla base della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e
varie volte modificato in applicazione dell’art. 19 della legge della Regione
Basilicata 4 agosto 1987, n. 20 (Funzioni amministrative riguardanti la
protezione delle bellezze naturali).
Tale piano, cui è assegnata valenza di "piano
paesistico” secondo la legge della Regione Basilicata 12 febbraio 1990, n. 3
(Piani regionali paesistici di area vasta), incide su una parte rilevante del
territorio dell’Ente Parco del Pollino, istituito con d.P.R. 15 novembre 1993,
al fine di salvaguardare il patrimonio naturalistico e ambientale e permettere
forme di sviluppo durevole e sostenibile del territorio. Tale territorio è,
pertanto, riconducibile ai «parchi e […] riserve nazionali o regionali, nonché
[…] territori di protezione esterna dei parchi» di cui alla lettera f)
dell’art. 142, comma 1, del codice dei beni culturali, per cui l’art. 135,
comma 1, del medesimo codice prescrive la pianificazione congiunta.
Più precisamente, la norma regionale impugnata
ha introdotto una previsione secondo cui è possibile realizzare, in una zona,
designata come "a protezione speciale” e ricondotta ai "Paesaggi di rilevante
interesse” (Zona C3), un distributore di carburanti con annesso fabbricato per
le attività di servizio all'impianto da realizzare, senza peraltro richiedere
neppure l’autorizzazione paesaggistica (di contro a quanto prescritto, ad
esempio, per le opere di adeguamento della viabilità).
Questo intervento si è avuto dopo che la
medesima Regione, in data 14 settembre 2011, ha sottoscritto un Protocollo di
intesa (species degli accordi fra amministrazioni),
con cui si è vincolata a realizzare una forma di «collaborazione istituzionale»
per «garantire la corretta gestione del territorio, un’efficace ed efficiente
tutela e valorizzazione dei caratteri paesaggistici, storici, culturali e
naturalistico-ambientali, attraverso la definizione delle modalità di
elaborazione congiunta del Piano esteso all’intero territorio regionale» (art.
2 del Protocollo). La Regione Basilicata, con la medesima intesa, si è anche
impegnata «ad assicurare la partecipazione degli organi del Ministero (dei beni
culturali) e del Ministero dell’ambiente al procedimento di conformazione e
adeguamento della strumentazione urbanistica secondo il disposto del comma 5
dell’articolo 145 del Codice» (art. 4, comma 3, del Protocollo).
In attuazione di tali indicazioni, è stato
istituito un Comitato tecnico paritetico, cui è stato affidato il compito di
definire i contenuti del nuovo piano paesaggistico, coordinare le azioni
necessarie alla sua redazione, verificare il rispetto dei tempi (e dei modi)
previsti nell’apposito Disciplinare attuativo del Protocollo (art. 5), adottato
il 13 aprile 2017.
Appare, pertanto, evidente che ‒ in tale
contesto, nelle more dell’approvazione congiunta del nuovo piano paesaggistico
e dell’adeguamento, pure congiunto, degli strumenti urbanistici al medesimo
piano ‒ l’intervento della Regione, volto a modificare, unilateralmente,
la disciplina di un’area protetta, in termini peraltro di riduzione di tutela,
costituisce violazione non solo degli impegni assunti con il citato Protocollo
di intesa, ma soprattutto di quanto prescritto dal codice dei beni culturali e
del paesaggio che, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai
procedimenti in materia, mira a garantire «l’effettiva ed uniforme tutela
dell’ambiente» (sentenza
n. 210 del 2016), affidata alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
Deve, quindi, essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, per
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
2.2.– Censure analoghe a quelle appena
richiamate a proposito dell’art. 3 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017
sono rivolte all’art. 4 della medesima legge regionale, nella parte in cui,
sostituendo l’art. 57 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n.
4 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2015), aggiunto al primo
capoverso della nota (1) all’art. 36 delle norme tecniche attuative del piano
territoriale paesistico del Metapontino, disciplina l’uso dell’arenile
vincolato (300 metri dalla linea di battigia) per la realizzazione di strutture
di balneazione.
La difesa statale sostiene che tale disciplina,
adottata senza alcuna concertazione con il MIBAC, sia in contrasto con il
Protocollo di intesa del 14 settembre 2011 e in violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.
2.2.1.– Preliminarmente,
deve rilevarsi la tempestività del ricorso proposto nei confronti dell’art. 4
della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, anche se esso, nel sostituire
l’art. 57 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2015 , non impugnato, ne
riproduce, in buona misura, il testo. È, infatti, avverso la "nuova”
disposizione – anche con riguardo alla parte riproduttiva della precedente –
che si appuntano le censure di violazione del principio di pianificazione
congiunta e quindi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., cosicché
nessun dubbio si pone circa la tempestività dell’impugnazione.
2.2.2.– Nel merito la questione
è fondata.
Come appena rilevato, l’impugnato art. 4 va a
sostituire l’art. 57 della legge regionale n. 4 del 2015, riproducendone il
contenuto nella parte in cui aveva aggiunto un periodo alla nota (1) all’art.
36 delle norme tecniche attuative del piano territoriale paesistico del
Metapontino, approvato con legge regionale n. 3 del 1990. Si tratta di uno dei
sette piani territoriali vigenti nella Regione Basilicata, approvati con la
medesima legge regionale n. 3 del 1990 e successive modifiche, cui è
riconosciuta espressamente valenza paesaggistica.
Con il citato art. 57 la Regione aveva
introdotto e con la norma ora impugnata ha confermato, unilateralmente, la
possibilità di localizzare strutture balneari sull’arenile, incidendo su
un’area, quella dei «territori costieri compresi in una fascia della profondità
di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare»,
menzionata dall’art. 142, comma 1, cod. beni culturali, e che rientra fra i
beni paesaggistici per i quali l’art. 135 impone la pianificazione
paesaggistica congiunta (in virtù del rinvio all’art. 143, comma 1, lettera c,
del medesimo codice).
Anche in tal caso, come per l’art. 3, è,
pertanto, evidente che la Regione Basilicata, nell’introdurre una simile
disciplina ‒ che peraltro segna una riduzione dello standard di tutela di
un bene paesaggistico ‒ senza alcuna concertazione con gli organi
ministeriali competenti, ha violato l’obbligo di pianificazione congiunta
imposto dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in
materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni ambientali, così
venendo meno agli impegni assunti con il Protocollo di intesa sottoscritto il
14 settembre 2011, in vista dell’obiettivo di garantire «un’efficace ed efficiente
tutela e valorizzazione dei caratteri paesaggistici, storici, culturali e
naturalistico-ambientali» (art. 2 del Protocollo).
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Basilicata n. 19
del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
2.3.– È poi impugnato l’art. 5 della medesima
legge regionale n. 19 del 2017, là dove detta disposizioni in tema di
interventi edilizi in assenza o in difformità del titolo abilitativo.
Il ricorrente sostiene, anzitutto, che tale
disposizione vìoli i principi fondamentali in materia di governo del territorio
fissati dal legislatore statale agli artt. 31, 33, 34 e 36 del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)». Essa,
in particolare, introdurrebbe nuove ipotesi di abusi per cui è possibile
sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, nonché nuove ipotesi di
sanatoria di abusi edilizi, diverse da quelle previste dal legislatore statale.
Il censurato art. 5, inoltre, allargherebbe
l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello
Stato, in violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento
civile e penale, nonché della riserva di legge (statale) in materia penale
contenuta nell’art. 25 Cost.
La medesima disposizione sarebbe, infine,
irragionevole, alla luce di quanto stabilito dal legislatore statale agli artt.
45, comma 3, e 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 (d’ora in avanti, anche, t.u. edilizia).
2.3.1.– In via preliminare, occorre tener conto
del fatto che il testo dell’impugnato art. 5 della legge regionale n. 19 del
2017 è stato sostituito dall’art. 47, comma 1, della legge della Regione
Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla legge di stabilità regionale
2018).
Tuttavia, la circostanza che la norma impugnata
ha comunque avuto applicazione nel tempo intercorso fra l’entrata in vigore
della legge regionale n. 19 del 2017, e quella della legge regionale n. 11 del
2018 è già da sola sufficiente a escludere una pronuncia di cessazione della
materia del contendere. A tale esito conduce anche la considerazione che la
disposizione, come novellata, non soddisfa le doglianze del ricorrente, che
l’ha peraltro autonomamente impugnata con un successivo ricorso (iscritto al n.
57 del reg. ric. del 2018).
2.3.2.– Nel merito, non sono fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata
n. 19 del 2017 per violazione degli artt. 25 e 117, secondo comma, lettera l),
Cost.
La norma regionale stabilisce che, nel caso di
interventi edilizi realizzati in assenza o in difformità dal titolo
abilitativo, «i Comuni, con motivata decisione autorizzano il completamento
funzionale ai fini dell’agibilità/abitabilità delle opere realizzate», a
condizione che sussistano alcuni requisiti e cioè: che «sia stato riconosciuto
che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile in quanto la
demolizione delle opere abusive potrebbe pregiudicare strutturalmente la
restante parte delle opere esistenti e sia stata pagata la relativa sanzione»;
che il mancato completamento delle opere costituisca «pregiudizio al decoro e/o
alla qualità urbana dell’area» e il completamento funzionale costituisca
«oggetto di un apposito progetto sul quale si esprime l’ufficio tecnico
comunale»; infine, che le opere abusive, relative a immobili o aree tutelate
paesaggisticamente, non costituiscano «elemento detrattore alla corretta fruizione
del paesaggio e sia stato già espresso parere favorevole alla loro esecuzione o
conservazione da parte delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo».
Dal tenore letterale di tale disposizione emerge
chiaramente che essa non incide sulla responsabilità penale dell’autore
dell’abuso, che resta soggetto alla normativa statale, anche con riguardo alle
sanzioni amministrative che saranno irrogate. L’impugnato art. 5, infatti,
lungi dal delineare nuove fattispecie di condono straordinario o un ampliamento
di un condono disposto dal legislatore statale, interviene solo sulla facoltà,
accordata ai Comuni, in presenza di determinate condizioni, di escludere la
demolizione dell’opera e di autorizzarne, all’opposto, il completamento in
ragione della impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi connessa al
pregiudizio che da tale ripristino deriverebbe, sul piano strutturale, ad opere
esistenti ovvero al decoro e/o alla qualità urbana dell’area allorquando essa
si inserisca all’interno di un apposito progetto su cui si esprime l’ufficio
tecnico comunale.
2.3.3.– Alla luce delle suesposte
considerazioni, deve ritenersi priva di fondamento anche la censura di
violazione dell’art. 3 Cost., promossa, sotto il profilo della ragionevolezza,
in relazione agli artt. 45 e 46 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Tale censura è, infatti, formulata in
riferimento a disposizioni statali nella specie ininfluenti, dato che la norma
regionale non configura alcuna sanatoria ulteriore rispetto a quella di cui
all’art. 36 del t.u. edilizia, che, ai sensi del
successivo art. 45, determina l’estinzione dei reati contravvenzionali previsti
dalle norme urbanistiche vigenti, né legittima atti di disposizione o altri
atti giuridici inerenti alle opere abusive (peraltro acquisite al patrimonio
del Comune, in quanto non demolite), in deroga all’art. 46 del medesimo t.u. edilizia.
2.3.4.– È, invece, fondata la questione di
legittimità costituzionale promossa nei confronti del citato art. 5, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi
fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di governo del
territorio in specie agli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Questa Corte ha di recente (sentenza n. 140 del
2018) dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale che
consentiva ai Comuni – avvalendosi di linee guida regionali – di adottare atti
regolamentari e di indirizzo in materia di misure alternative alla demolizione
degli immobili abusivi, tali da eludere l’obbligo di demolire le opere abusive
acquisite al proprio patrimonio e di far diventare le misure alternative un
esito normale, al posto della demolizione, così da sminuire l’efficacia
deterrente dell’apparato sanzionatorio statale.
In tale occasione questa Corte ha affermato che
«la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con
le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce
un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la
legislazione regionale di dettaglio in materia di "misure alternative alle
demolizioni”» (sentenza
n. 140 del 2018, punto 3.5.1.2 del Considerato in diritto). Tale principio
rivela la scelta operata dal legislatore statale di sanzionare le violazioni
più gravi della normativa urbanistico-edilizia – quali sono la realizzazione di
opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con
variazioni essenziali rispetto a esso, di cui al citato art. 31 del t.u. edilizia – in ragione della gravità del pregiudizio
recato all’interesse pubblico, imponendo la rimozione dell’opera abusiva e, con
essa, il ripristino dell’ordinato assetto del territorio.
Tale principio, pertanto, implica che l’opera
abusiva acquisita al patrimonio comunale debba, di regola, essere demolita e
che possa essere conservata in via solo eccezionale. E quindi soltanto se, con
autonoma deliberazione del consiglio comunale relativa alla singola opera, si
ravvisi, sulla base di tutte le circostanze del caso e di «un’analisi puntuale
delle caratteristiche» della medesima opera, nonché «rispettosa dei canoni
individuati dalla legge statale, che sola può garantire uniformità sull’intero
territorio nazionale» (sentenza n. 140 del
2018, punto 3.5.2. del Considerato in diritto), l’esistenza di uno
specifico interesse pubblico alla conservazione della stessa, prevalente
sull’interesse pubblico al ripristino della conformità del territorio alla
normativa urbanistico-edilizia, nonché l’assenza di un contrasto fra
conservazione dell’opera e rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di
rispetto dell’assetto idrogeologico.
Nella specie, il legislatore lucano, là dove
prescrive, in via generale, che i Comuni «autorizzano il completamento
funzionale ai fini dell’agibilità/abitabilità delle opere realizzate» in
assenza o in totale difformità dal titolo abilitativo, così escludendo il
ripristino dello stato dei luoghi in ragione del pregiudizio che da tale
ripristino deriverebbe, sul piano strutturale, ad opere esistenti ovvero anche
al decoro e/o alla qualità urbana dell’area, allorquando il completamento
funzionale dell’opera abusiva si inserisca all’interno di un apposito progetto
su cui si esprime l’ufficio tecnico comunale, configura tale completamento –
non già la demolizione – quale esito "normale”, addirittura obbligatorio, della
realizzazione di tale opera. In tal modo si inverte il rapporto fra "regola”
(la demolizione) ed "eccezione” (le misure alternative alla demolizione),
delineato dal legislatore statale all’art. 31, comma 5, del t.u.
edilizia e si contraddice la scelta fondamentale espressa dal medesimo
legislatore statale di sanzionare con l’obbligo della rimozione degli
interventi abusivi e del ripristino dell’ordinato assetto del territorio le più
gravi violazioni della normativa urbanistico-edilizia in ragione della entità
del pregiudizio arrecato all’interesse pubblico.
Il contrasto della norma regionale impugnata con
i principi fondamentali dettati dal legislatore statale emerge anche con
riguardo alla previsione di cui all’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001,
pur espressamente richiamata. Quest’ultima, infatti, attiene esclusivamente
alla diversa e meno grave ipotesi degli interventi «eseguiti in parziale
difformità dal permesso di costruire» e ha un ambito di applicazione assai più
limitato di quello della norma regionale impugnata. La norma statale, infatti,
prescrive che «il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione
pari al doppio del costo di produzione […] della parte dell’opera realizzata in
difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio
del valore venale […] per le opere adibite ad usi diversi da quello
residenziale» solo allorquando la demolizione non possa avvenire «senza
pregiudizio della parte eseguita in conformità» e cioè in un caso specifico, ben
diverso da quelli contemplati dalla norma regionale, in cui non solo si esclude
la demolizione, ma si impone il completamento dell’opera abusiva, che risulta
addirittura "valorizzata” nell’ambito di specifici progetti, approvati dai
Comuni, volti a garantire il decoro e/o la qualità urbana.
Sulla base dei richiamati argomenti, deve,
pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge
reg. Basilicata n. 19 del 2017.
2.4.– È, inoltre, impugnato l’art. 8 della
medesima legge regionale n. 19 del 2017, là dove introduce, unilateralmente,
deroghe ai divieti di interventi di ampliamento e rinnovo e di interventi
straordinari di riuso del patrimonio edilizio esistente, stabiliti dalla legge
della Regione Basilicata 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie
volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio
esistente), per tutti i Comuni che, prima dell’entrata in vigore della legge,
erano muniti di piani paesaggistici. Il ricorrente ritiene che, così
disponendo, la norma regionale leda la sfera di competenza statale esclusiva in
materia di tutela dell’ambiente.
2.4.1.– La questione è
fondata.
La disposizione regionale impugnata ha inserito
il comma 4-bis all’art. 6 della legge regionale n. 25 del 2009, con cui la
Regione Basilicata ha dato attuazione al cosiddetto "Piano casa”, in relazione
a quanto stabilito nell’Intesa, raggiunta in sede di Conferenza unificata, il
1° aprile 2009, sull’atto concernente misure per il rilancio dell’economia
attraverso l’attività edilizia, in applicazione dell’art. 11 del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6
agosto 2008, n. 133. Nella richiamata intesa si precisava che simili interventi
non avrebbero potuto essere realizzati in edifici abusivi o ubicati nei centri
storici o in aree di inedificabilità assoluta.
Il citato art. 6 della legge reg. Basilicata n.
25 del 2009, in specie al comma 4, espressamente vieta interventi di
ampliamento, rinnovo e riuso del patrimonio edilizio esistente, in relazione
non solo a edifici realizzati in assenza di titolo abilitativo, ma anche a
quelli ubicati in aree qualificate dagli strumenti di pianificazione
paesaggistica e urbanistica vigenti al momento dell’entrata in vigore della
medesima legge regionale come a vincolo di «inedificabilità assoluta» ovvero
«dichiarate intrasformabili per l’uso insediativo (residenziale, produttiv[o], commerciale e del terziario) d[a]i rispettivi
piani paesistici», nonché in aree riconducibili a «parchi e riserve nazionali e
regionali», di cui all’art. 142, comma 1, lettera f), cod. beni culturali, o, ancora,
in edifici qualificati come beni culturali ai sensi dell’art. 10 cod. beni
culturali o, infine, a quelli ubicati in aree a rischio idrogeologico ed
idraulico secondo i «Piani Stralcio redatti dalle Autorità di Bacino competenti
sul territorio regionale».
Si tratta di interventi vietati, oltre che in
attuazione della citata intesa (come nel caso di quelli inerenti a edifici
realizzati in assenza di titolo abilitativo), in ragione dell’evidente impatto
paesaggistico su zone e beni tutelati dal codice dei beni culturali e del
paesaggio, per i quali quest’ultimo impone allo Stato e alle Regioni l’adozione
di piani paesaggistici ovvero di piani urbanistico-territoriali con specifica
considerazione dei valori paesaggistici.
La deroga ai richiamati divieti, introdotta
dalla norma regionale impugnata, è posta con riferimento all’ipotesi in cui
detti interventi siano realizzati in Comuni che avessero già, prima
dell’entrata in vigore della legge regionale n. 25 del 2009, «Piani paesistici»
(recte: piani a valenza paesaggistica). Pertanto,
sulla base della norma regionale impugnata, è alla luce delle norme di
attuazione di tali piani che deve valutarsi la legittimità o meno dei medesimi
interventi.
Tale previsione che, unilateralmente, assegna
agli strumenti urbanistici comunali (pur a "valenza paesaggistica”) prevalenza
sul piano paesaggistico regionale, si pone in evidente contrasto con quanto
stabilito in relazione alle previsioni del piano medesimo, configurate come
cogenti e inderogabili da parte degli strumenti urbanistici degli enti locali,
dal codice dei beni culturali e del paesaggio, adottato dal legislatore statale
nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Tale competenza è
comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni
ambientali o culturali e si impone al legislatore regionale che eserciti la
propria competenza nella materia "edilizia ed urbanistica”. Il piano è,
infatti, «strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione
non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma
anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo,
in modo da poter consentire l’individuazione delle misure necessarie per il
corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di
trasformazione del territorio» (sentenza n. 172 del
2018).
Poiché gli strumenti urbanistici comunali sono
assoggettati – e devono quindi conformarsi – al piano paesaggistico regionale,
di cui gli artt. 135 e 143 e seguenti cod. beni culturali, essi definiscono
contenuti e modalità di adozione in vista dell’obiettivo di garantire la più
adeguata tutela del paesaggio e dei beni culturali ed ambientali, anche
mediante la cooperazione istituzionale fra Regione e Stato.
Risulta quindi evidente l’illegittimità
costituzionale della norma regionale impugnata che, invertendo unilateralmente
il rapporto fra piano paesaggistico regionale e piano urbanistico comunale a
valenza paesaggistica, determina la lesione della competenza statale in materia
di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», nel segno
peraltro, della riduzione della tutela.
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, per
violazione dell’art. 117, secondo coma, lettera s), Cost.
2.5.– Anche l’art. 12 della legge regionale n.
19 del 2017 è impugnato nella parte in cui introduce, unilateralmente, deroghe
ai limiti posti dall’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009 alla
realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio in
difformità rispetto agli strumenti urbanistici comunali. Il ricorrente assume,
infatti, che il citato art. 12 della legge regionale n. 19 del 2017 vìoli
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., là dove consente –
unilateralmente – la realizzazione di interventi di ampliamento, nel caso di
pertinenze della residenza, anche separatamente dall’edificio nell’ambito del
lotto fondiario, in deroga ai limiti e alle distanze stabiliti dagli strumenti
urbanistici, prevedendo la possibilità di «superare di m. 3,10 l’altezza
massima consentita dagli strumenti urbanistici vigenti».
2.5.1.– La questione è
fondata.
L’impugnato art. 12 interviene a modificare la
disciplina originariamente dettata in tema di interventi di ampliamento del
patrimonio edilizio esistente dalla legge regionale n. 25 del 2009 sul "Piano
casa”, in deroga agli strumenti urbanistici, in linea con quanto stabilito dal
legislatore statale all’art. 2-bis del t.u. edilizia.
Quest’ultimo ha riconosciuto alle Regioni la possibilità di «prevedere, con
proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro
dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444» e di «dettare disposizioni sugli
spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a
quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito
della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un
assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali […] ferma
restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento
al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle
disposizioni integrative».
La norma regionale – che inserisce il comma
7-quater all’art. 2 della legge regionale n. 25 del 2009 – introduce una deroga
al principio già posto dal comma 7 dello stesso art. 2, secondo cui i
richiamati interventi di ampliamento «devono essere realizzati in continuità e
comunque non separatamente dall’edificio per il quale è consentito derogare ai
limiti di distanze indicati dagli strumenti urbanistici vigenti, in attuazione
dell’art. 2-bis del D.P.R. n. 380/2001».
Essa, infatti, prevede che, nel caso di
«pertinenze della residenza», tali interventi «possono essere realizzati
separatamente dall’edificio principale nell’ambito del lotto fondiario» a
condizione che siano rispettati i limiti indicati dalla legge e, in
particolare, «quanto previsto dall’art. 873 del codice civile, primo capoverso,
e quanto stabilito dall’art. 11, commi 1 e 2» della legge della Regione
Basilicata 28 dicembre 2007, n. 28 (Disposizioni per la formazione del Bilancio
di Previsione Annuale e Pluriennale della Regione Basilicata – Legge
Finanziaria 2008), in tema di volumetrie edilizie.
Si deve però notare che questa misura è stata
introdotta dalla Regione a seguito della stipulazione del Protocollo di intesa
del 14 settembre 2011, con cui essa si è vincolata a definire ogni questione
inerente alla «corretta gestione del territorio», secondo la modalità
procedurale della collaborazione istituzionale, in vista dell’adozione del
piano paesaggistico regionale. Pertanto, la circostanza che la Regione sia
intervenuta a dettare una deroga ai limiti per la realizzazione di interventi
di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle
pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici, senza seguire l’indicata
modalità procedurale collaborativa e senza attendere l’adozione congiunta del
piano paesaggistico regionale, delinea una lesione della sfera di competenza
statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali», che si impone al legislatore regionale, sia nelle Regioni a statuto
speciale (sentenza
n. 189 del 2016) che a quelle a statuto ordinario come limite all’esercizio
di competenze primarie e concorrenti.
Il piano paesaggistico regionale, in quanto
strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, consente
l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel
contesto paesaggistico, di tutti gli interventi di trasformazione del
territorio, anche di edilizia e urbanistica. È per questo motivo che la legge
regionale deve disciplinare le procedure di adeguamento degli altri strumenti
di pianificazione e le connesse misure di governo del territorio in linea con
le determinazioni del nuovo piano paesaggistico (sentenza n. 64 del
2015) o, nell’attesa dell’adozione, secondo le modalità concertate e
preliminari alla sua stessa adozione.
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, per
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
2.6.– È, inoltre, impugnato l’art. 13 della
legge regionale n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce la possibilità di
mutamento della destinazione d’uso a residenza degli immobili ricompresi
all’interno delle zone omogenee "E” di cui al d.m. n.
1444 del 1968 «in tutte le zone in cui il piano dell’autorità di bacino ha
declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici».
Il ricorrente sostiene che tale previsione
determini una lesione della sfera di competenza legislativa statale in materia
di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», in quanto
adottata unilateralmente. Sostiene anche che sia irragionevole, e quindi lesiva
dell’art. 3 Cost., in quanto basata su una nozione, quella di
declassificazione, che sarebbe di significato oscuro.
2.6.1.– Preliminarmente, occorre considerare
che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’impugnato art. 13 – più
precisamente, l’art. 5, comma 1-quinquies della legge regionale n. 25 del 2009
da esso sostituito – è stato oggetto di modifiche da parte dell’art. 49 della
legge reg. Basilicata n. 11 del 2018 (Collegato alla legge di stabilità
regionale 2018). Il testo del comma 1-quinquies, novellato dal citato art. 49,
riproduce quello della disposizione impugnata con riguardo alla possibilità di mutamento
di destinazione d’uso a residenza degli immobili ricompresi all’interno delle
zone omogenee "E” di cui al d.m. n. 1444 del 1968
(aree agricole), in relazione alle «zone il cui piano dell’Autorità di bacino
ha declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici»
(ultimo periodo del novellato comma 1-quinquies).
Pertanto, considerato che le uniche, peraltro
marginali, modifiche introdotte riguardano frammenti normativi che non sono
stati fatti oggetto di censura da parte del ricorrente, le questioni di
legittimità costituzionale devono essere estese anche alla parte della nuova
disposizione, riproduttiva di quella impugnata (ultimo periodo del comma
1-quinquies dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009, come
novellato dall’art. 49 della legge regionale n. 11 del 2018).
2.6.2.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017,
promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è
fondata, restando assorbita la censura di violazione dell’art. 3 Cost.
La disposizione impugnata, al pari del
precedente art. 12 già scrutinato, si inserisce nell’ambito delle previsioni –
di cui alla citata legge regionale n. 25 del 2009 – volte a consentire il
mutamento di destinazione d’uso a residenza di immobili originariamente non
destinati a tale funzione, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, in
vista del riutilizzo del patrimonio edilizio dismesso e delle aree edificabili
libere.
Tale disposizione regionale è stata adottata, in
particolare, a seguito di quanto espressamente previsto dal legislatore statale
in specie con il cosiddetto secondo "Piano casa” disciplinato all’art. 5 del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo -Prime disposizioni urgenti
per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n.
106. Quest’ultimo, in vista della «razionalizzazione del patrimonio edilizio
esistente», nonché della «riqualificazione di aree urbane degradate», disponeva
che le Regioni approvassero apposite leggi «per incentivare tali azioni anche
con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano» (comma 9), fra
l’altro, «modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra
loro compatibili o complementari» (lettera c del comma 9), e purché non si
riferiscano «ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad
inedificabilità assoluta» (comma 10) e, comunque, fermo restando il rispetto
delle «normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività
edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle
relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni
contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (comma 11).
In questo quadro, la disposizione regionale
impugnata, nel consentire la destinazione residenziale di immobili siti in aree
ad uso agricolo ai sensi del d.m. n.1444 del 1968, la
estende alle «zone il cui piano dell’Autorità di bacino ha declassificato la
pericolosità geologica prevista nei piani paesistici».
Ai sensi dell’art. 63 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modifiche (d’ora
in avanti anche cod. ambiente), l’Autorità di bacino distrettuale, istituita in
ciascun distretto idrografico in cui è ripartito il territorio nazionale (art.
64), esercita le funzioni e i compiti in materia di difesa del suolo e di
tutela delle acque e gestione delle risorse idriche. Il principale organo
dell’Autorità è la conferenza istituzionale permanente. A essa partecipano i
Presidenti delle Regioni e delle Province autonome il cui territorio è
interessato dal distretto idrografico o gli assessori dai medesimi delegati,
nonché, necessariamente, il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, o i
Sottosegretari di Stato dagli stessi delegati, il Capo del Dipartimento della
protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, e anche altri
Ministri o sottosegretari, allorquando sia coinvolto il loro ambito di
competenza (comma 5). L’Autorità provvede a elaborare il piano di bacino
distrettuale e i relativi stralci e, nell’attività di pianificazione, effettua
la classificazione della pericolosità geologica delle aree intesa quale
probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo di determinata intensità
si verifichi in un dato periodo di tempo e in una data area.
Risulta evidente che tale attività incide, in
linea prevalente, sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza
esclusiva del legislatore statale. Pertanto, il legislatore regionale, nel
consentire la destinazione residenziale anche di quegli immobili siti in aree
agricole, per cui il piano dell’Autorità di bacino abbia declassificato la
pericolosità geologica già indicata nei piani paesistici, senza peraltro
fornire espressi riferimenti a specifici indici di tale pericolosità, ha
introdotto una facoltà che inevitabilmente incide sulla tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema. Ciò può verificarsi ben oltre le indicazioni del legislatore
statale che, come si è già ricordato, imponevano il rispetto delle «normative
di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e in
particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di quelle
relative alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché delle disposizioni
contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (art. 5, comma 11, del d.l.
n. 70 del 2011, come convertito).
Tale facoltà, peraltro, è stata introdotta dal
legislatore lucano a seguito del più volte richiamato Protocollo di intesa del
14 settembre 2011, con cui la Regione Basilicata si è vincolata a definire ogni
questione inerente alla «corretta gestione del territorio», secondo la modalità
procedurale della collaborazione istituzionale, in vista dell’adozione del
piano paesaggistico regionale.
Nonostante ciò, la Regione ha esteso la
possibilità del mutamento di destinazione d’uso a residenza degli immobili siti
nelle zone omogenee "E” (agricole), di là da quanto previsto dal legislatore
statale, senza seguire l’indicata modalità procedurale collaborativa e senza
attendere l’adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, che avrebbe
dovuto recepire la declassificazione della pericolosità dell’area effettuata dall’Autorità
di bacino.
Ciò determina una lesione della sfera di
competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei
beni culturali», che si impone al legislatore regionale che eserciti la propria
competenza nella materia "governo del territorio”.
Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità
costituzionale dell’art. 13 della legge regionale n. 19 del 2017, nella parte
in cui, sostituendo l’art. 5, comma 1-quinquies, della legge regionale n. 25
del 2009, ha consentito il mutamento di destinazione d’uso a residenza per gli
immobili ricompresi nelle zone omogenee "E” (agricole), «in tutte le zone il
cui piano dell’autorità di bacino ha declassificato la pericolosità geologica
prevista nei piani paesistici» (ultimo periodo del comma 1-quinquies).
La declaratoria di illegittimità costituzionale
si estende al nuovo testo del medesimo ultimo periodo del comma 1-quinquies
dell’art. 5 della legge regionale n. 25 del 2009, come successivamente
sostituito dall’art. 49 della legge regionale n. 11 del 2018, in considerazione
del fatto che non solo non è mutato il contenuto precettivo della norma, ma è
anche rimasto inalterato il tenore letterale della stessa.
2.7.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 46,
comma 1, della legge regionale n. 19 del 2017, che, modificando l’art. 76 della
legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 5 (Legge di stabilità
regionale 2015), ha previsto la possibilità che siano rilasciate «concessioni
demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o alle Associazioni di
volontariato che svolgono opere e/o attività in favore di disabili intellettivi
e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare strutture stagionali
attrezzate per l’accoglienza e il godimento del mare». Tale disposizione, non
prevedendo espressamente procedure selettive per l’individuazione del soggetto
titolare delle concessioni demaniali marittime verosimilmente di carattere
turistico-ricreativo, violerebbe la sfera di competenza esclusiva statale in
materia di tutela della concorrenza e si porrebbe in contrasto con l’art. 12
della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12
dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, e, quindi, con l’art.
117, primo comma, Cost.
2.7.1.– La questione non è
fondata, nei sensi di seguito precisati.
Questa Corte ha già avuto modo di osservare che
la disciplina concernente il rilascio delle concessioni su beni demaniali
marittimi investe diversi ambiti materiali, attribuiti alla competenza sia
statale, sia regionale (sentenze n. 157
e n. 40 del 2017),
ma che particolare rilevanza, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento
delle concessioni, «assumono i principi della libera concorrenza e della
libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale» (sentenze n. 213 del
2011 e n. 40
del 2017; nello stesso senso sentenza n. 157 del
2017). A tal proposito, un ruolo centrale è svolto dall’art. 16 del decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE
relativa ai servizi nel mercato interno), che, attuando il contenuto dell’art.
12 della direttiva 2006/123/CE, che richiede procedure di selezione improntate
ad «imparzialità e […] trasparenza», impone la «predeterminazione dei criteri e
la propalazione degli stessi in epoca antecedente l’affidamento» (sentenza n. 109 del
2018, punto 9.3.1. del Considerato in diritto) e, al comma 2, dispone che
nel «[…] fissare le regole della procedura di selezione le autorità competenti
possono tenere conto di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di
politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed
autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio
culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto
comunitario» (sentenza
n. 109 del 2018, punto 9.3.1. del Considerato in diritto). Come precisato
dalla Corte
di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite
C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl
e altri, l’art. 12, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2006/123/CE, impone
che il rilascio di autorizzazioni, qualora il loro numero sia limitato per via
della scarsità delle risorse naturali, sia assoggettato a una procedura di
selezione tra i candidati potenziali, che deve presentare tutte le garanzie di
imparzialità e di trasparenza, escludendo la possibilità di proroghe
automatiche e consente agli Stati membri di tener conto di considerazioni
legate a «motivi imperativi d’interesse generale», anche se solo al momento di
stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali.
In questo quadro deve essere collocata la norma
regionale impugnata.
Quest’ultima si inserisce nell’art. 76 della
legge reg. Basilicata n. 5 del 2015, che, «[i]n attesa del riordino e della
revisione definitivi del quadro normativo nazionale in materia di demanio
marittimo, secondo i principi comunitari», consente il rilascio di «concessioni
demaniali marittime provvisorie e stagionali al fine di consentire l’offerta
dei servizi per la balneazione agli ospiti delle strutture», nonché «al fine di
favorire le attività turistiche balneari legate alle strutture turistiche
ricettive» (comma 1). Tale previsione – cui è stata aggiunta, dall’impugnato
art. 46, comma 1, la norma che dispone la possibilità di rilasciare
«concessioni demaniali marittime provvisorie e stagionali ai Comuni o alle
Associazioni di volontariato che svolgono opere e/o attività in favore di
disabili intellettivi e motori e delle loro famiglie al fine di realizzare
strutture stagionali attrezzate per l’accoglienza e il godimento del mare» – è
stata adottata dal legislatore regionale nel 2015, in deroga al meccanismo
prescritto dall’art. 34 della legge della Regione Basilicata 2 febbraio 2006,
n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e
pluriennale della Regione Basilicata – Legge finanziaria 2006). Quest’ultimo,
«[n]elle more dell’approvazione ed attuazione della variante al Piano regionale
di utilizzazione delle aree demaniali marittime», aveva consentito la
riconferma delle «concessioni demaniali per finalità turistico ricreative ai
già concessionari a tutto il 2005, sia in forma stagionale che pluriennale»,
prorogandole.
In particolare, l’impugnato art. 46, comma 1,
aggiungendo il comma 1-bis al citato art. 76, non fa altro che prevedere che il
rilascio delle concessioni marittime provvisorie e stagionali – che deve
comunque avvenire sulla base di procedure di selezione contraddistinte da
criteri imparziali e trasparenti, resi preventivamente noti mediante
un’adeguata pubblicità – possa avere luogo anche in favore di Comuni o
associazioni di volontariato, che operino per i disabili motori e/o
intellettivi, in vista dell’esigenza di consentire ai disabili e alle loro
famiglie il godimento del mare, esigenza che integra uno dei «motivi imperativi
d’interesse generale conformi al diritto comunitario», di cui all’art. 16,
comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2010, e al paragrafo 3 dell’art. 12 della
direttiva 2006/123/CE.
Si noti che «la definizione dei criteri
dettagliati chiamati a guidare la selezione dei concorrenti all’affidamento
rientra tra le competenze legislative demandate alle Regioni in esito al
trasferimento delle funzioni amministrative legate al demanio marittimo e
idrico nel rispetto dei principi di concorrenza» (sentenza n. 109 del
2018). Devono dunque ritenersi legittime «le conseguenti, diverse,
discipline territoriali […] motivate dalle peculiarità di riferimento e dagli
obiettivi di matrice collettiva che ciascuna realtà regionale, sulla base delle
indicazioni di principio contenute nella legislazione statale di riferimento,
può ritenere preminenti nel procedere alla scelta dei possibili utilizzatori» (sentenza n. 109 del
2018).
2.8.– È, infine, impugnato l’art. 20 della legge
reg. Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce il comma 3
dell’art. 2 della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Tale disposizione è
censurata in quanto, dettando disposizioni in tema di corretto inserimento nel
paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai
sensi del decreto ministeriale 10 settembre 2010 (Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), si porrebbe
in contrasto con gli impegni assunti in tema di elaborazione del piano
paesaggistico regionale, in seguito alla sottoscrizione del Protocollo di
intesa, e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di «tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Essa si porrebbe,
altresì, in contrasto con i principi fondamentali in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost.
2.8.1.– Preliminarmente occorre rilevare che
l’impugnato art. 20 della legge regionale n. 19 del 2017 ha sostituito l’art. 2
della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015. Quest’ultimo, successivamente alla
proposizione del ricorso, è stato nuovamente modificato dall’art. 2 della legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017. Il novellato comma 1 di quest’articolo è stato
oggetto di autonoma impugnativa con il ricorso, iscritto al n. 87 del reg. ric.
del 2017, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, e sarà oggetto di
scrutinio nei successivi punti 3.1.1. e 3.1.2.
Nel suo testo originario, l’art. 20 della legge
reg. Basilicata n. 19 del 2017 è stato in vigore per quasi un anno, periodo
durante il quale deve ritenersi sia stato applicato. Il che è sufficiente a
escludere la possibilità di una pronuncia di cessazione della materia del
contendere.
2.8.2.– Nel merito il
ricorso è fondato.
L’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del
2017, nel sostituire l’art. 2 della legge regionale n. 54 del 2015, riproduce
letteralmente i primi due commi del testo originario di esso, ma aggiunge il
comma 3, che dispone: «Nei buffer [aree di rispetto] relativi alle aree e siti
non idonei è possibile autorizzare l’installazione di impianti alimentati da
fonti rinnovabili nel rispetto delle modalità e prescrizioni indicate nel comma
1 del presente articolo». È a tale comma che sono indirizzate le richiamate
censure.
Tale norma va a incidere sulla disciplina delle
cosiddette aree non idonee all’installazione di impianti di energia alimentati
da fonti rinnovabili, che si pone al crocevia fra la materia della «tutela dell’ambiente»
e quella della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»
(art. 117, terzo comma, Cost.), nel cui ambito questa Corte ha più volte
riconosciuto che «i principi fondamentali sono dettati anche dal d.lgs. n. 387
del 2003 e, in specie, dall’art. 12 (ex multis, sentenza n. 14 del
2018)» (sentenza
n. 177 del 2018) e dalle «Linee guida» adottate, con il d.m.
10 settembre 2010, di concerto tra il Ministero dello sviluppo economico, il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero
per i beni e le attività culturali, proprio in attuazione di quanto previsto
dal citato art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, recante
«Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricità». Le linee guida – vincolanti in quanto adottate in sede di
Conferenza unificata e quindi espressione della leale collaborazione fra Stato
e Regione – costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento
della normativa primaria, e indicano le specifiche tecniche che necessitano di
applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale (fra le altre, sentenza n. 69 del
2018). Dalle stesse si ricava la «ponderazione concertata» (sentenza n. 307 del
2013) imposta dal comma 10 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 ai fini
del bilanciamento fra esigenze connesse alla produzione di energia e interessi
ambientali, cui necessariamente le Regioni devono attenersi per identificare le
"aree non idonee” alla localizzazione degli impianti.
In particolare, il paragrafo 17 delle citate
linee guida allegate al d.m. 10 settembre 2010
demanda l’individuazione di tali aree non idonee a Regioni e Province autonome,
ma nel rispetto di specifici principi e criteri guida relativi alla
localizzazione degli impianti. La dichiarazione di inidoneità deve, infatti,
risultare quale provvedimento finale di un’istruttoria adeguata volta a
prendere in considerazione tutta una serie di interessi coinvolti e cioè la
tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico artistico, delle
tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale.
Inoltre, gli esiti dell’istruttoria devono contenere, in riferimento a ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con
gli obiettivi di protezione ambientale. In ogni caso l’individuazione delle
aree non idonee deve avvenire a opera delle Regioni attraverso atti di
programmazione.
Il 14 settembre 2011 la Regione Basilicata, come
già ricordato, ha siglato un Protocollo di intesa con il MIBAC e con il MATTM,
in vista della elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale. In
particolare, le parti hanno stabilito «di individuare prioritariamente e
congiuntamente la metodologia per il riconoscimento delle aree non idonee alla
localizzazione degli impianti da fonti rinnovabili», ai sensi del d.m. 10 settembre 2010 e «sulla base dei criteri di cui
all’Allegato 3 paragrafo 17 Criteri per l’individuazione di aree non idonee del
citato DM» (art. 4 del Protocollo).
In attuazione di tale impegno, la Regione
Basilicata ha avviato l’istruttoria per l’individuazione delle aree e dei siti
non idonei a cura di un apposito gruppo di lavoro interistituzionale e
interdipartimentale, i cui esiti sono stati recepiti (mediante appositi
allegati) nella legge regionale n. 54 del 2015.
La medesima legge regionale n. 54 del 2015,
all’art. 3, comma 3, (poi abrogato dall’art. 1, comma 1, della legge reg.
Basilicata n. 21 del 2017) ha anche vincolato la Giunta regionale, nelle more
dell’adozione del piano paesaggistico regionale, a adottare «specifiche linee
guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti
rinnovabili con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del
d.lgs. n. 387 del 2003 e non superiori a 1 MW», sempre «nel rispetto
dell’Intesa stipulata».
In questo quadro risulta evidente
l’illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata, nella parte in
cui ha stabilito, in via generale e unilaterale, senza istruttoria e senza
un’adeguata valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, che «Nei
buffer relativi alle aree e siti non idonei è possibile autorizzare
l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili» (art. 2, comma 3,
della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015), in contrasto con i criteri formati
nel rispetto dell’Intesa siglata il 14 settembre 2011, oltre che con i principi
fondamentali fissati nelle richiamate linee guida a tutela dei molteplici e
rilevanti interessi coinvolti (sentenza n. 69 del
2018).
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19
del 2017, nella parte in cui, introducendo l’art. 2, comma 3, della legge reg.
Basilicata n. 54 del 2015, dispone che «Nei buffer relativi alle aree e siti
non idonei è possibile autorizzare l’installazione di impianti alimentati da
fonti rinnovabili».
3.– Con il secondo ricorso (reg. ric. n. 87 del
2017), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di
legittimità costituzionale di diverse disposizioni della legge reg. Basilicata
n. 21 del 2017, nonché «dell’Allegato della medesima che inserisce un allegato
D) alla legge regionale n. 54 del 2015», tutte norme inerenti alla
realizzazione e all’esercizio di impianti di energia da fonti rinnovabili.
3.1.– In primo luogo, il ricorrente ha impugnato
gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della citata legge regionale n. 21 del
2017, nonché l’Allegato alla medesima, in quanto procederebbero, in maniera
unilaterale – quindi senza alcun coinvolgimento dell’amministrazione statale
preposta – alla modifica e integrazione di disposizioni legislative regionali
già condivise con lo Stato, in specie disponendo l’abrogazione dell’art. 3,
comma 3, della legge reg. Basilicata n. 54 del 2015, e introducendo un nuovo
Allegato D) a tale legge regionale per il «"Recepimento dei criteri per il
corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di
energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010”. Aree idonee e non
idonee», in violazione degli impegni assunti con la sottoscrizione del
Protocollo di intesa per l’elaborazione del piano paesaggistico regionale, e in
contrasto con l’art. 143, comma 2, del cod. beni culturali, con l’art. 12,
comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e con il d.m. 10
settembre 2010, con conseguente lesione della sfera di competenza esclusiva
statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).
3.1.1.– Occorre, preliminarmente, precisare che l’impugnato
art. 2, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, è intervenuto a
modificare il testo dell’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 54 del 2015,
già in precedenza modificato dall’art. 20 della legge reg. Basilicata n. 19 del
2017, nel senso che ha introdotto un nuovo Allegato D), che ridefinisce i
criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli
impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del d.m.
10 settembre 2010, con particolare riferimento all’individuazione delle «Aree
idonee e non idonee», in specie «[p]er il corretto
inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da [fonti di energia
rinnovabile] da 0 a 1 MW».
Successivamente alla proposizione del ricorso,
l’art. 2 della legge regionale n. 54 del 2015, come modificato dall’art. 2,
comma 1, della legge regionale n. 21 del 2017 (norma impugnata), è stato
ulteriormente modificato dall’art. 29 della legge della Regione Basilicata 22
novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale
2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei
vari settori di intervento della Regione Basilicata). Tale norma sopravvenuta
ha disposto, al comma 3, l’abrogazione dell’Allegato D), come introdotto dall’art.
2, comma 1, della legge regionale n. 21 del 2017, e precisato che i «criteri e
le modalità per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio delle
tipologie di impianti da fonti di energia rinnovabili» sono individuati in
appositi allegati «formati nel rispetto dell’Intesa stipulata, ai sensi
dell’art. 145, comma 2, del D. Lgs. 22/11/2004, n. 42, tra Regione, Ministero
dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo e il Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare, sulla scorta delle indicazioni fornite
dal D.M. 10/09/2010 per la individuazione delle aree e dei siti non idonei».
Nonostante la sopravvenienza normativa, la norma
impugnata, nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso, è
rimasta in vigore per un lasso di tempo non breve (dal 12 settembre 2017 al 22
novembre 2018), in cui deve ritenersi che abbia avuto applicazione. Pertanto,
sebbene il nuovo testo normativo sia satisfattivo delle doglianze del
ricorrente, non si delineano le condizioni per una pronuncia di cessazione
della materia del contendere.
3.1.2.– Nel merito, la
questione è fondata.
Con la prima delle due norme impugnate, l’art.
1, comma 1, della legge regionale n. 21 del 2017, il legislatore lucano ha,
anzitutto, abrogato la previsione, contenuta nell’art. 3, comma 3, della legge
regionale n. 54 del 2015, che imponeva alla Giunta regionale di provvedere,
nelle more dell’adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, in
collaborazione con gli organi statali competenti, a introdurre «specifiche
linee guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti
rinnovabili con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del
d.lgs. n. 387/2003 e non superiori a 1 MW», attuative di quelle di cui al d.m. 10 settembre 2010 e dei criteri individuati
congiuntamente con organi statali e "recepiti” dalla legge regionale n. 54 del
2015. E ciò peraltro nel rispetto dell’intesa stipulata, ai sensi dell’art.
145, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004 tra Regione Basilicata, MIBAC e MATTM,
intesa che, come si è già ricordato, all’art. 2, comma 4, segnalava fra le
proprie principali finalità quella di «individuare prioritariamente e
congiuntamente la metodologia per il riconoscimento delle aree non idonee alla
localizzazione degli impianti da fonti rinnovabili ai sensi del DM Sviluppo
economico 10 settembre 2010 "Linee guida per l’autorizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili” sulla base dei criteri di cui all’Allegato 3,
paragrafo 17, Criteri per l’individuazione di aree non idonee, del citato DM».
Con l’art. 2, comma 1, della medesima legge reg.
Basilicata n. 21 del 2017, il legislatore regionale ha, di conseguenza, con un
nuovo allegato, l’Allegato D), provveduto a individuare le «Aree idonee e non
idonee», per «il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli
impianti da [fonti di energia rinnovabile] da 0 a 1 MW», in via unilaterale e
generale, e comunque in maniera difforme rispetto a quanto era stato stabilito
all’esito dell’istruttoria "congiunta” fra Stato e Regione, poi "recepita”
dalla medesima legge regionale n. 54 del 2015, nel rispetto dell’intesa
stipulata il 14 settembre 2011 (art. 4 del Protocollo), ai sensi dell’art. 145,
comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004 e in attuazione delle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010.
Risulta, pertanto, evidente che il legislatore
lucano, stabilendo in via generale e unilaterale, senza istruttoria e
valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, l’individuazione
delle aree non idonee all’installazione degli impianti di energia da fonti
rinnovabili e anche quella delle aree idonee, previa abrogazione dei criteri
individuati congiuntamente con gli organi statali, ha violato non solo
l’impegno assunto con il Protocollo di intesa, siglato il 14 settembre 2011 in
attuazione dell’art. 145, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, ma anche i
criteri fissati dal paragrafo 17 delle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, che impongono, fra l’altro,
un’istruttoria adeguata, volta a prendere in considerazione tutti gli interessi
coinvolti, nonché la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli
obiettivi di protezione ambientale e puntuali atti di programmazione. Questi
criteri – come si è già ricordato – «costituiscono, in settori squisitamente tecnici,
il completamento della normativa primaria» (sentenza n. 69 del
2018), che definisce, in specie all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, ad
un tempo, standard omogenei di «tutela dell’ambiente» e principi fondamentali
in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»,
vincolanti per le Regioni.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 2, comma 1, nonché dell’Allegato
alla medesima legge regionale n. 21 del 2017, che inserisce un allegato D) alla
legge regionale n. 54 del 2015.
3.2.– Viene, altresì, impugnato l’art. 5, commi
1 e 2 (recte: art. 5), della legge reg. Basilicata n.
21 del 2017, nella parte in cui, sostituendo i commi 1 e 2 dell’art. 5 della
legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di
produzione di energia da fonti rinnovabili), avrebbe introdotto ingiustificati
aggravi alla realizzazione e all’esercizio degli impianti solari fotovoltaici
di potenza fino a 200 kW, da collocare a terra, in contrasto con l’art 117,
terzo comma Cost., in relazione ai principi fondamentali previsti dalla
legislazione nazionale, di cui al d.lgs. n. 387 del 2003 e, in particolare, al
decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), di attuazione
della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23
aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.
3.2.1.– In linea preliminare, va rilevato che,
successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 5, commi 1 e 2, della
legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall’impugnato art. 5,
della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, è stato abrogato dall’art. 31 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.
Nonostante ciò, nel lasso di tempo intercorso
tra l’entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e l’entrata in
vigore della legge regionale n. 38 del 2018, la disposizione impugnata è stata
applicata. Pertanto, non si profilano le condizioni per una pronuncia di
cessazione della materia del contendere.
3.2.2.– Nel merito, la
questione è fondata.
Questa Corte ha più volte, anche recentemente,
affermato che «la disciplina del regime abilitativo degli impianti di energia
da fonti rinnovabili rientra, oltre che nella materia «tutela dell’ambiente»,
anche nella competenza legislativa concorrente, in quanto riconducibile a
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo
comma, Cost.), nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati anche dal
d.lgs. n. 387 del 2003 e, in specie, dall’art. 12 (ex multis,
sentenza n. 14
del 2018)» (sentenza
n. 177 del 2018). Pertanto, il legislatore statale «attraverso la
disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che, per costante
giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero territorio
nazionale» (sentenze
n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012).
Principi che si desumono dalle «Linee guida» di cui al d.m.
10 settembre 2010, adottate in attuazione dell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n.
387 del 2003, da quest’ultimo decreto e dal d.lgs. n. 28 del 2011, e il cui
rispetto si impone al legislatore regionale.
In particolare, il d.lgs. n. 28 del 2011 ha
provveduto a recepire la Direttiva 2009/28/CE, dettando misure concrete per il
conseguimento, entro il 2020, della quota del 17 per cento di energia da fonti
rinnovabili sui consumi energetici nazionali. A tale scopo ha provveduto alla
semplificazione delle procedure autorizzative. L’art. 6 del citato d.lgs. n. 28
del 2011, in specie, ha stabilito, al comma 1, che per gli impianti alimentati
da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida, si applica
la procedura abilitativa semplificata (PAS). Fra tali impianti ci sono quelli
solari fotovoltaici, che soddisfino determinati requisiti, come, per esempio,
una potenza inferiore alle soglie indicate dalla Tabella A allegata al d.lgs n. 387 del 2003, o anche la collocazione su edifici,
in cui la superficie complessiva dei moduli fotovoltaici dell’impianto non sia
superiore a quella del tetto dell’edificio sul quale i moduli sono collocati,
ex art. 21 del d.m. 6 agosto 2010 (Incentivazione
della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della
fonte solare). Il medesimo art. 6 del citato d.lgs. n. 28 del 2011 ha anche
espressamente riconosciuto, al comma 9, alle Regioni la facoltà di estendere la
soglia di applicazione della procedura semplificata agli impianti di potenza
nominale fino ad 1 MW elettrico.
La disposizione regionale impugnata si muove
secondo quanto previsto dal comma 9 dell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011,
avendo esteso l’applicazione della PAS agli impianti di potenza fino a 200kW.
Essa, tuttavia, detta una serie di condizioni, per il riconoscimento della PAS,
ulteriori rispetto a quelle indicate dalla normativa statale, fra cui, a
esempio, l’osservanza delle specifiche tecniche contenute nell’Allegato 2 del
d. lgs. n. 28 del 2011, imposte dal legislatore statale al diverso fine di
accedere agli incentivi nazionali, o anche specifici vincoli di distanze minime
(indicati alle lettere da a ad h dell’art. 5, comma 1, della legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall’art. 5, comma 1, della legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017). Dal mancato rispetto di tali condizioni, il
legislatore regionale fa scaturire l’obbligo dell’applicazione
dell’autorizzazione unica.
Questa Corte ha più volte chiarito che, in tema
di realizzazione degli impianti di energia da fonti rinnovabili, l’influsso
determinante è stato dato dalla normativa europea che, lungo un percorso
inaugurato dalla direttiva 2001/77/CE, in vista dell’obiettivo di promuovere il
maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili, espressamente collegandolo
alla necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, ha richiesto
agli Stati membri di dettare regole certe, trasparenti e non discriminatorie,
in grado di orientare le scelte degli operatori economici, favorendo gli
investimenti nel settore, nonché di semplificare i procedimenti autorizzatori
(di recente, sentenza
n. 177 del 2018). In attuazione di tali indicazioni europee il legislatore
statale ha, in specie con il d.lgs. n. 28 del 2011, puntualmente disciplinato
le varie ipotesi in cui l’installazione di impianti di energia da fonti
rinnovabili è possibile all’esito di una procedura semplificata (la PAS).
In questo quadro risulta evidente che la norma regionale
impugnata, nella parte in cui stabilisce condizioni diverse e aggiuntive
rispetto a quelle prescritte dal legislatore statale per il rilascio della PAS,
introduce previsioni che si traducono in ingiustificati aggravi per la
realizzazione e l’esercizio degli impianti in questione, in contrasto «con il
principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabile, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa
dell’Unione europea» (sentenze n. 177 del
2018 e n. 13
del 2014; nello stesso senso, sentenza n. 44 del
2011).
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, nella parte in cui ha sostituito i commi 1 e 2 dell’art. 5 della
legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.
3.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
promuove, inoltre, questioni di legittimità costituzionale nei confronti
dell’art. 5, comma 3, (recte: art. 5), della legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha sostituito il comma 3 dell’art. 5
della legge regionale n. 8 del 2012, nonché nei confronti dell’art. 6, comma 3,
(recte: art. 6) della stessa legge regionale n. 21
del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 3 dell’art. 6 della legge
regionale n. 8 del 2012, in quanto stabiliscono che sono assoggettati al rilascio
dell’autorizzazione unica e non alla PAS la costruzione e l’esercizio,
rispettivamente, di nuovi impianti fotovoltaici a terra (art. 5) e eolici (art.
6), anche ubicati nello stesso territorio comunale, proposti da un soggetto già
titolare di altre autorizzazioni ottenute tramite PAS o che siano riconducibili
allo stesso centro decisionale (ex art. 2359 del codice civile) o per qualsiasi
altra relazione, anche di fatto, sulla base di univoci elementi, la cui potenza
nominale, sommata tra loro e con quella dell’impianto già autorizzato, superi
la soglia di potenza di 200 kW. Così disponendo, tali norme si porrebbero in
contrasto con l’art. 117, terzo comma, in relazione ai principi fondamentali
fissati dal legislatore statale in materia di energia e con la finalità della
semplificazione, in quanto escluderebbero l’applicazione della PAS sulla base
di un criterio solo soggettivo (peraltro assai generico e quindi di difficile
riscontro), senza individuare alcun limite spaziale di collocazione degli
impianti, che, quindi, potrebbero trovarsi anche a chilometri di distanza.
3.3.1.– In linea preliminare, occorre ricordare
che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 5, comma 3, della
legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come sostituito dall’impugnato art. 5
della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, è stato abrogato dall’art. 31 della
legge reg. Basilicata n. 38 del 2018.
Nonostante ciò, non ci sono ragioni per
escludere che la disposizione impugnata sia stata applicata nel tempo
intercorso tra l’entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e
l’entrata in vigore della legge regionale n. 38 del 2018. Pertanto, non si
profilano le condizioni per una pronuncia di cessazione della materia del
contendere. Anche l’art. 6, comma 3, della legge regionale n. 8 del 2012, come
sostituito dall’art. 6 della legge regionale n. 21 del 2017 è stato, a sua
volta, sostituito dall’art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018, che ha
dettato una nuova disciplina, oggetto di autonoma impugnazione con il ricorso
iscritto al n. 19 del reg. ricorsi del 2019. In considerazione della
circostanza che, nel periodo in cui è stata in vigore, la norma impugnata ha
avuto presumibilmente applicazione, non sussistono i presupposti per la
dichiarazione di cessazione della materia del contendere.
3.3.2.– Nel merito le
questioni non sono fondate.
Il d.m. 10 settembre
2010, recante le cd «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili», con riguardo agli interventi soggetti a procedura di
autorizzazione semplificata (PAS), dispone, al paragrafo 11.6, che «I limiti di
capacità di generazione e di potenza indicati al successivo paragrafo 12 sono
da intendere come riferiti alla somma delle potenze nominali, per ciascuna
fonte, dei singoli impianti di produzione appartenenti allo stesso soggetto o
su cui lo stesso soggetto ha la posizione decisionale dominante, facenti capo
al medesimo punto di connessione alla rete elettrica».
Si tratta chiaramente di una norma antielusiva,
volta a impedire surrettizi "frazionamenti” degli impianti, finalizzati a
rendere possibile l’autorizzazione semplificata (basata sul silenzio-assenso)
in luogo dell’autorizzazione unica, con conseguente esclusione della
valutazione di compatibilità ambientale. Tale norma, unitamente all’art. 4,
comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, che impone alle Regioni di individuare «i
casi in cui la presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti
alimentati da fonti rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree
contigue sono da valutare in termini cumulativi nell’ambito della valutazione
di impatto ambientale», muove dal presupposto, sottolineato dalla
giurisprudenza amministrativa, che, per quanto sia rilevante l’obiettivo di
incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili, appare altrettanto
meritevole di tutela l’interesse a una corretta valutazione dell’impatto
ambientale degli impianti di cui si discute, al fine di non sacrificare oltre
ogni ragionevole limite il bene ambientale nel suo complesso.
A questo scopo, il legislatore statale ha
stabilito che, in presenza di più istanze dirette alla installazione di
impianti di energia da fonti rinnovabili (e quindi anche fotovoltaici a terra e
eolici), l'amministrazione competente può legittimamente trarre la conclusione
di trovarsi al cospetto di un unico progetto, con la conseguenza di
assoggettare il medesimo a verifica di compatibilità ambientale in caso di
superamento delle soglie di potenza previste dalla normativa di settore,
allorquando il collegamento funzionale tra le istanze si desuma da alcuni
elementi indiziari o sintomatici dell’unicità dell’operazione imprenditoriale,
quali la unicità dell’interlocutore che ha curato i rapporti con
l’Amministrazione, l’identità della società cui vanno imputati gli effetti
giuridici della domanda di autorizzazione e la unicità del punto di
connessione. Pertanto, anche quest’ultimo elemento – che tecnicamente indica la
circostanza che gli impianti abbiano lo stesso nodo di raccolta dell’energia
prodotta per il passaggio dalla media all’alta tensione – è meramente
indiziario o sintomatico dell’unicità dell’operazione imprenditoriale, al pari
degli altri elementi.
In questo contesto, appare evidente che le norme
regionali impugnate mirano al medesimo scopo, individuato dal legislatore
statale, di evitare comportamenti surrettizi dei privati che, mediante una
artificiosa parcellizzazione degli interventi di propria iniziativa, risultino
in concreto preordinati a eludere l’applicazione di una normativa che potrebbe
rivelarsi più gravosa rispetto a un’altra. A tal fine, esse individuano alcuni
indici sintomatici dell’unicità dell’operazione imprenditoriale, suggeriti dal
legislatore statale, indici che ravvisano nella circostanza che le istanze di
costruzione ed esercizio di nuovi impianti, «anche ubicati nello stesso
territorio comunale» (corrispondente al criterio della contiguità delle
localizzazioni prescelte), siano proposte da «un soggetto già titolare di altre
autorizzazioni ottenute tramite PAS o [...] siano riconducibili allo stesso
centro decisionale (ex art. 2359 del codice civile) o per qualsiasi altra
relazione, anche di fatto, sulla base di univoci elementi» (criterio
dell’unicità dell’interlocutore che ha curato i rapporti con l’Amministrazione
e dell’identità della società alla quale vanno imputati gli effetti giuridici
della domanda di autorizzazione).
Si tratta, in altri termini, di previsioni che,
lungi dal porsi in contrasto con i principi fondamentali fissati dal
legislatore statale in materia di energia, in specie contenuti nelle linee
guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, ne
costituiscono specifica attuazione e comunque implicano il rispetto di tutti i
requisiti spaziali stabiliti a tal proposito dalla normativa statale.
3.4.– Sono, inoltre, impugnati l’art. 5, comma
4, (recte: l’art. 5), della legge reg. Basilicata n.
21 del 2017, là dove ha sostituito il comma 4 dell’art. 5 della legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012, e l’art. 6, comma 4, (recte:
l’art. 6) della legge regionale n. 21 del 2017, nella parte in cui ha
sostituito il comma 4 dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, in
quanto stabiliscono, rispettivamente, che più impianti fotovoltaici a terra
(art. 5) e eolici (art. 6), autorizzati con la PAS, non possono essere ceduti a
terzi costituenti un unico centro decisionale, qualora la somma delle potenze
degli impianti superi la soglia di 200 kW. Così prevedendo, le richiamate
disposizioni si porrebbero in contrasto, oltre che con i principi fondamentali
della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»
(art. 117, terzo comma, Cost.), con l’art. 42 Cost. e con l’art. 117, primo
comma, Cost., in relazione al principio di libera circolazione delle merci di
cui all’art. 63 TFUE, in quanto impedirebbero la cessione di impianti (o
progetti di impianti) già autorizzati e potenzialmente localizzati a chilometri
di distanza, ponendo un limite ingiustificato all’esercizio del diritto di
proprietà.
3.4.1.– Come si è già ricordato, l’intero art. 5
della legge regionale n. 8 del 2012, come sostituito dall’art. 5 della legge
regionale n. 21 del 2017, e quindi anche l’impugnato comma 4 del primo, è stato
abrogato. Tuttavia, non sussistono elementi atti a escludere che, nel tempo
intercorso tra l’entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2017, e
l’entrata in vigore della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, la disposizione
impugnata sia stata applicata. Pertanto, non si profilano le condizioni per una
pronuncia di cessazione della materia del contendere.
Anche l’art. 6, comma 3, della legge regionale
n. 8 del 2012, come sostituito dall’impugnato art. 6 della legge regionale n.
21 del 2017 è stato, a sua volta, sostituito dall’art. 32 della legge regionale
n. 38 del 2018, che ha dettato una nuova disciplina, oggetto di autonoma
impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
iscritto al n. 19 del reg. ric. 2019.
Considerato che, nel lasso di tempo in cui è
stata in vigore, la norma impugnata ha avuto presumibilmente applicazione, non
sussistono i presupposti per la dichiarazione di cessazione della materia del
contendere.
3.4.2.– Nel merito le questioni sono fondate in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
Le norme impugnate, come si è già ricordato,
stabiliscono il divieto di cessione a terzi, costituenti un unico centro
decisionale, di più impianti fotovoltaici a terra (art. 5, comma 4, della legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012) e eolici (art. 6, comma 4, della medesima legge
regionale), autorizzati con la PAS, qualora la somma delle potenze di tali
impianti superi la soglia di 200 kW.
Poiché un simile divieto non è contemplato dalla
normativa statale che fissa i principi fondamentali della materia, è palese il
contrasto delle norme regionali denunciate con tali principi.
Si tratta di un divieto che non può
legittimamente fondarsi sul silenzio del legislatore statale, in quanto si
risolve in una limitazione di un diritto – quello di cedere gli impianti – che
costituisce espressione della libertà di iniziativa economica di cui all’art.
41 Cost. (pur non evocato dal ricorrente), strumentalmente connessa al diritto
di proprietà (degli impianti), tutelato dall’art. 42 Cost., per cui la
Costituzione stabilisce una riserva di legge.
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, là dove ha sostituito l’art. 5, comma 4, della legge reg. Basilicata
n. 8 del 2012, e dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella
parte in cui ha sostituito l’art. 6, comma 4, della legge regionale n. 8 del
2012.
3.4.3.– Restano assorbite le questioni di
legittimità costituzionale prospettate in riferimento agli artt. 42 e 117,
primo comma, Cost., in relazione all’art. 63 TFUE.
3.5.– Analoghe censure sono rivolte dal Presidente
del Consiglio dei ministri all’art. 7, comma 2 (recte:
all’art. 7), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha introdotto
l’art. 6-bis, comma 2, nella legge regionale n. 8 del 2012. Tale comma è
infatti impugnato nella parte in cui stabilisce che più impianti fotovoltaici e
eolici, autorizzati con la PAS, non possono essere ceduti a terzi costituenti
un unico centro decisionale, qualora la somma delle potenze degli impianti
superi la soglia di 200 kW, in quanto sarebbe in contrasto, oltre che con i
principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia», con l’art. 42 Cost. e con l’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione al principio di libera circolazione delle merci di cui
all’art. 63 TFUE.
3.5.1.– In linea preliminare, occorre rilevare
che, sebbene la norma impugnata sia stata abrogata dall’art. 33 della legge
reg. Basilicata n. 38 del 2018, non sussistono le condizioni per dichiarare la
cessazione della materia del contendere, poiché non vi sono ragioni per
escludere che abbia avuto applicazione nel periodo di vigenza della stessa.
3.5.2.– Nel merito, la questione è fondata in
riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 42 Cost.
Si è già detto, con riferimento agli artt. 5 e 6
della medesima legge regionale n. 21 del 2017 (punto 3.4.2.), che un simile
divieto di cessione a terzi di impianti non è contemplato dalla normativa
statale di principio.
Pertanto, la norma regionale impugnata, che
interviene a porre un limite a un diritto che costituisce espressione della
libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. (pur non evocato dal
ricorrente), strumentalmente connessa al diritto di proprietà (degli impianti),
entrambi garantiti da una riserva di legge, si pone in evidente contrasto con
quei principi fondamentali e deve, di conseguenza, essere dichiarata
costituzionalmente illegittima.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, nella
parte in cui ha introdotto l’art. 6-bis, comma 2, della legge reg. Basilicata
n. 8 del 2018.
3.5.3.– Resta assorbita la questione di
legittimità costituzionale prospettata in riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all’art. 63 TFUE.
3.6.– È, inoltre, impugnato l’art. 7 della legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove, inserendo l’art. 6-bis, comma 1, nella
legge regionale n. 8 del 2012, stabilisce ulteriori condizioni per
l’applicazione della PAS agli impianti eolici e fotovoltaici con potenza
nominale inferiore alla tabella A) dell’art.12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del
2003, in mancanza delle quali tali impianti non possono essere abilitati
nemmeno con l’autorizzazione unica. Ciò sarebbe in contrasto con il regime di
abilitazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili delineato dagli artt. 4 e 6 del d.lgs.
n. 28 del 2011 e dalle linee guida (paragrafi 11 e 12), di cui al d.m. 10 settembre 2010, e quindi in contrasto con l’art.
117, terzo comma, Cost. Viene dedotta anche la violazione del principio di
favore per le fonti rinnovabili, di cui al Protocollo di Kyoto, all’Accordo di
Parigi e alle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE, e quindi il contrasto con
l’art. 117, primo comma, Cost.
3.6.1.– Preliminarmente si deve rilevare che,
sebbene l’art. 6-bis, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, come
introdotto dall’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, sia stato
abrogato dall’art. 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, non ricorrono
i presupposti per una declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Non ci sono, infatti, elementi che inducano a escludere che la norma impugnata
sia stata applicata nel periodo di sua vigenza.
3.6.2.– La questione proposta in riferimento
all’art. 117, terzo comma, Cost., è fondata.
Come si è già ricordato, il legislatore statale,
«attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti
di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che, per
costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero
territorio nazionale» (sentenza n. 69 del
2018). Principi che si desumono dalle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, previste dall’art. 12, comma 10,
del d.lgs. n. 387 del 2003, da quest’ultimo e dal d.lgs. n. 28 del 2011 e che
sono stati introdotti dal legislatore statale in attuazione della normativa
dell’Unione europea, in vista dell’obiettivo di massima diffusione delle fonti
di energia rinnovabile.
Occorre anzitutto individuare tali principi nel
caso oggetto della norma regionale impugnata, per verificare poi la
compatibilità di quest’ultima con i primi.
Con riguardo agli impianti eolici e fotovoltaici
con potenza nominale inferiore alla Tabella A) allegata all’art. 12, comma 5,
del d.lgs. n. 387 del 2003, e cioè in relazione, rispettivamente, agli impianti
eolici di potenza compresa fra 0-60 Kw (par. 12.6), e
agli impianti fotovoltaici a terra con potenza compresa fra 0-20 kW (par.
12.2.), le linee guida, di cui al d.m. 10 settembre
2010, si limitano a prescrivere la PAS, senza richiedere nessun altro
requisito.
La norma regionale impugnata, invece, prescrive,
per il rilascio dell’autorizzazione con procedura semplificata, con riferimento
agli impianti fotovoltaici a terra con potenza compresa fra 0-20 kW, ulteriori
condizioni tecniche inerenti al rapporto superficie radiante dei
pannelli/superficie disponibile, alle dimensioni degli impianti, nonché alle
caratteristiche delle schermature e recinzioni, a distanze minime (art. 6-bis,
comma 1, numero 1, lettere da a a g); con riguardo
agli impianti eolici di potenza fra 0-60 Kw,
ulteriori condizioni tecniche inerenti alle dimensioni degli impianti, alla
localizzazione, alle distanze minime (art. 6-bis, comma 1, numero 2, lettere da
a a f).
Risulta evidente che tali condizioni sono
diverse e aggiuntive rispetto a quelle prescritte dal legislatore statale per
il rilascio della PAS. Esse, pertanto, si traducono in ingiustificati aggravi
per la realizzazione e l’esercizio degli impianti in questione, che possono
essere addirittura preclusivi degli stessi, ove si consideri che non è neanche
prevista l’applicabilità del regime dell’autorizzazione unica nel caso di
mancato rispetto delle condizioni prescritte. Ciò è in contrasto «con il
principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabile, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa
dell’Unione europea» (sentenze n. 177 del
2018 e n.
13 del 2014;
nello stesso senso, sentenza n. 44 del
2011).
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove
ha inserito l’art. 6-bis, comma 1, nella legge reg. Basilicata n. 8 del 2012.
3.6.3.– Resta assorbita le
questione di legittimità costituzionale prospettata in riferimento all’art.
117, primo comma, Cost., in relazione al Protocollo di Kyoto, all’Accordo di
Parigi e alle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE.
3.7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna, inoltre, l’art. 7, comma 3 (recte: l’art.
7), della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove, inserendo l’art.
6-bis, comma 3, nella legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, stabilisce che «[q]ualora più impianti di cui al comma 1 sono riconducibili ad
un unico centro decisionale, devono essere considerati un unico impianto per
cui devono rispettare le condizioni contenute negli artt. 5 e 6». Così
disponendo, sarebbero violati i principi fondamentali stabiliti dal legislatore
in materia di energia e, quindi, l’art. 117, terzo comma, Cost.
3.7.1.– Anche in tal caso, occorre ribadire, in
linea preliminare, che, sebbene l’art. 6-bis, comma 3, della legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012, come introdotto dall’art. 7 della legge reg.
Basilicata n. 21 del 2017, sia stato abrogato dall’art. 33 della legge reg.
Basilicata n. 38 del 2018, non ricorrono i presupposti per una declaratoria di
cessazione della materia del contendere. Non ci sono, infatti, elementi che
inducano a escludere che la norma impugnata sia stata applicata nel periodo di
sua vigenza.
3.7.2.– La questione non è
fondata.
Come già ricordato (par. 3.3.2.), le linee
guida, di cui al d.m. 10 settembre 2010, al paragrafo
11.6., ai fini dell’applicazione della PAS, stabiliscono che «I limiti di
capacità di generazione e di potenza indicati al successivo paragrafo 12 sono
da intendere come riferiti alla somma delle potenze nominali, per ciascuna
fonte, dei singoli impianti di produzione appartenenti allo stesso soggetto o
su cui lo stesso soggetto ha la posizione decisionale dominante, facenti capo
al medesimo punto di connessione alla rete elettrica […]».
La ratio antielusiva sottesa a tale previsione,
volta a evitare comportamenti surrettizi dei privati che, mediante una
artificiosa parcellizzazione degli interventi di propria iniziativa, risultino
in concreto preordinati a eludere l’applicazione di una normativa che potrebbe
rivelarsi più gravosa rispetto a un’altra, è la stessa che contraddistingue
anche la norma regionale impugnata.
Quest’ultima, in presenza di più impianti
riconducibili a un unico centro decisionale, ravvisa un unico impianto soggetto
agli ulteriori adempimenti prescritti dagli artt. 5 e 6 per gli impianti di
potenza maggiore (fino a 200 KW), sempre che sussistano – come già chiarito –
le condizioni spaziali previste dalla normativa statale.
Emerge in maniera chiara, pertanto, che la norma
regionale impugnata, lungi dal porsi in contrasto con i principi fondamentali
stabiliti dal legislatore statale, ne costituisce attuazione.
3.8.– Sono, infine, impugnati gli artt. 5, 6 e 7
della legge reg. Basilicata n. 21 del 2017, per violazione dell’art. 117, terzo
comma, Cost. Tali norme, nell’assoggettare a PAS impianti di energia da fonti
rinnovabili di potenza a partire da «0» kW, non farebbero salvo il regime della
comunicazione, previsto dai paragrafi 11 e 12 delle linee guida nazionali di
cui al d.m. 10 settembre 2010 e richiamato dall’art.
6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011.
3.8.1.– In linea preliminare, occorre rilevare
che la legge regionale n. 38 del 2018, entrata in vigore successivamente alla
proposizione del ricorso, ha inciso sugli artt. 5, 6 e 7 della legge regionale
n. 21 del 2017.
Più precisamente, gli artt. 5 e 7 della legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017 sono stati abrogati per effetto,
rispettivamente, degli artt. 31 e 33 della legge reg. Basilicata n. 38 del
2018. L’art. 6 della citata legge regionale n. 21 del 2017 è stato modificato
dall’art. 32 della legge regionale n. 38 del 2018, autonomamente impugnato con
un successivo ricorso, iscritto al n. 7 del registro ricorsi 2019.
Tuttavia, il periodo di vigenza delle norme in
esame e l’assenza di elementi atti a escludere che tali norme siano state
applicate impediscono di ritenere cessata la materia del contendere.
3.8.2.– Le questioni – che in ragione delle
dichiarazioni di incostituzionalità di cui ai precedenti punti 3.2.2, 3.4.2,
3.5.2 e 3.6.2, investono i residui commi degli artt. 5, 6 e 6-bis della legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012 – non sono fondate.
Nel quadro di semplificazione delle procedure
autorizzative delineato dal d.lgs. n. 28 del 2011, accanto all’autorizzazione
unica (AU) e alla procedura abilitativa semplificata (PAS), è prevista la mera
comunicazione al Comune di inizio dei lavori – corredata da una dettagliata
relazione a firma di un progettista abilitato – per la realizzazione e
l’esercizio di alcune tipologie di piccoli impianti per la produzione di
energia elettrica, calore e freddo da fonti di energia rinnovabili (FER),
assimilabili ad attività edilizia libera. In particolare, le linee guida, di
cui al d.m. 10 settembre 2010, ricomprendono in tale
categoria impianti eolici e fotovoltaici contraddistinti da specifiche
caratteristiche strutturali, tassativamente individuate.
Con specifico riguardo agli impianti solari
fotovoltaici, il paragrafo 12.1. delle citate linee guida assoggetta al regime
della mera comunicazione solo gli impianti «aderenti o integrati nei tetti di
edifici esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della
falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi», con
superficie non superiore a quella del tetto su cui è realizzato l’impianto e
che «non ricadono nel campo di applicazione del decreto legislativo 22 gennaio
2004 e s.m.i […], nei casi previsti dall’articolo 11,
comma 3, del decreto legislativo n. 115 del 2008» (lettera a), nonché gli
impianti «realizzati su edifici esistenti o sulle loro pertinenze», «aventi una
capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto» e
«realizzati al di fuori della Zona A, di cui al decreto del Ministro per i
lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444» (lettera b). Quanto agli impianti
eolici, il paragrafo 12.5 delle medesime linee guida prescrive il regime della
mera comunicazione solo per gli impianti «installati sui tetti degli edifici
esistenti di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a
1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro», sempre che i relativi interventi
«non ricad[a]no nel campo di applicazione del d.lgs.
n. 42 del 2004, nei casi previsti dall’articolo 11, comma 3, del decreto
legislativo n. 115 del 2008» (lettera a), nonché per le «torri anemometriche
finalizzate alla misurazione temporanea del vento», «realizzate mediante
strutture mobili, semifisse o comunque amovibili», «installate in aree non
soggette a vincolo o a tutela» e comunque con il consenso del proprietario del
fondo e a condizione che «la rilevazione non duri più di trentasei mesi» e che «entro
un mese dalla conclusione della rilevazione il soggetto titolare rimuov[a] le predette apparecchiature ripristinando lo
stato dei luoghi» (lettera b). Quanto alla potenza, l’art. 6, comma 11, del
d.lgs. n. 28 del 2011 consente alle Regioni di estendere il regime della
comunicazione «ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con
potenza nominale fino a 50 Kw, nonché agli impianti
fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva
la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle
risorse idriche».
Appare evidente che si tratta di una disciplina
speciale, la cui applicabilità è condizionata dalla sussistenza dei requisiti
"strutturali” degli impianti tassativamente indicati dal legislatore statale,
disciplina su cui non incidono le norme regionali impugnate. Queste ultime,
infatti, hanno un diverso ambito di applicazione, proprio perché dettano i
limiti all’utilizzo della PAS per gli impianti solari fotovoltaici e per gli
impianti eolici in generale, senza interferire con la speciale disciplina
inerente al regime di comunicazione previsto, come si è rilevato, dal
legislatore statale per specifiche tipologie di impianti eolici e solari
fotovoltaici, tassativamente individuate sulla base non dell’esclusivo elemento
della potenza, ma di peculiari caratteristiche strutturali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle
altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso n. 77 del
registro ricorsi 2017;
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5, 8 e 12 della legge della
Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità
regionale 2017);
2)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg.
Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui ha sostituito l’art. 5, comma
1-quinquies, ultimo periodo, della legge della Regione Basilicata 7 agosto
2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e
alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente);
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 49 della legge della Regione
Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla legge di stabilità regionale
2018), nella parte in cui ha novellato l’art. 5, comma 1-quinquies, ultimo
periodo, della legge reg. Basilicata n. 25 del 2009;
4)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge reg.
Basilicata n. 19 del 2017, nella parte in cui introduce l’art. 2, comma 3,
della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2015, n. 54 (Recepimento dei
criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli
impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010);
5) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 2, comma
1, della legge della Regione Basilicata 11 settembre 2017, n. 21 (Modifiche ed
integrazioni alle leggi regionali 19 gennaio 2010, n. 1 «Norme in materia di
energia e piano di indirizzo energetico ambientale regionale – D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 – legge regionale n.
9/2007»; 26 aprile 2012, n. 8 «Disposizioni in materia di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili» e 30 dicembre 2015, n. 54 «Recepimento dei
criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli
impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10 settembre 2010»),
nonché dell’Allegato alla medesima legge, che inserisce un allegato D) nella
legge reg. Basilicata n. 54 del 2015;
6) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, nella parte in cui ha sostituito i commi 1 e 2 dell’art. 5 della
legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili);
7) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 4 dell’art. 5 della legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012, e dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, nella parte in cui ha sostituito il comma 4 dell’art. 6 della legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012;
8) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, nella parte in cui ha inserito l’art. 6-bis, comma 1, nella legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012;
9) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, là dove ha introdotto l’art. 6-bis, comma 2, della legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012;
10) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 19 del
2017, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli
artt. 3, 25 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il ricorso iscritto al
registro ricorsi n. 77 del 2017;
11) dichiara
non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 46, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 19 del
2017, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli
artt. 117, secondo comma, lettera e), e primo comma, Cost., in relazione
all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, con il ricorso
iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2017;
12) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge
reg. Basilicata n. 21 del 2017, là dove ha sostituito il comma 3 dell’art. 5 della
legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, dell’art. 6 della legge reg. Basilicata n.
21 del 2017, là dove ha sostituito i commi 1, 2 e 3 dell’art. 6 della legge
reg. Basilicata n. 8 del 2012, e dell’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 21
del 2017, là dove ha inserito l’art. 6-bis, comma 3, nella legge reg.
Basilicata n. 8 del 2012, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri,
in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., con il ricorso iscritto al n.
87 del registro ricorsi 2017.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2019.