Sentenza n. 238 del 2018

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SENTENZA N. 238

ANNO 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio            LATTANZI                                        Presidente

-      Aldo                            CAROSI                                            Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                               

-      Mario Rosario             MORELLI                                                  

-      Giancarlo                     CORAGGIO                                              

-      Giuliano                       AMATO                                                     

-      Silvana             SCIARRA                                                  

-      Daria                           de PRETIS                                                 

-      Nicolò             ZANON                                                     

-      Frano                          MODUGNO                                              

-      Augusto Antonio          BARBERA                                                 

-      Giulio                           PROSPERETTI                                          

-      Giovanni                      AMOROSO                                               

-      Francesco                    VIGANO’                                                  

-      Luca                            ANTONINI’                                              

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 23, 26, commi 2, 3 e 4, primo periodo, 30, comma 2, 33 e 45 della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale 2017), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 25-29 settembre 2017, depositato in cancelleria il 29 settembre 2017, iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Udito nella udienza pubblica del 4 dicembre 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia;

udito l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 25 - 29 settembre 2017 e depositato in cancelleria il successivo 29 settembre (r.r. 77 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale 2017).

Secondo il ricorrente, le norme contenute, in particolare, negli artt. 23, 26, 30, 33 e 45 della legge regionale impugnata sarebbero illegittime per contrasto con diverse disposizioni costituzionali.

1.1.– L’art. 23 modifica l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Basilicata 14 ottobre 2008, n. 25 (Disposizioni in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private), mediante la sostituzione dell’espressione «entro due anni» con quella «entro cinque anni», così prorogando di tre anni i termini concessi alle strutture sanitarie per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure di autorizzazione, di cui alla legge della Regione Basilicata 5 aprile 2000, n. 28 (Norme in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private).

La proroga così disposta – che, ad avviso del Governo, non avrebbe peraltro un preciso dies a quo, decorrendo i termini di cui trattasi dalla data di comunicazione dell’idoneità del piano di adeguamento da parte della competente commissione tecnica di valutazione regionale – contrasterebbe con quanto dettato dall’art. 8-ter, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), secondo cui l’esercizio delle attività sanitarie e sociosanitarie presuppone il possesso di determinati requisiti minimi, la cui verifica deve effettuarsi prima del rilascio dell’autorizzazione e dell’avvio di qualsiasi attività.

Considerato che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la competenza regionale in materia di autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria rientra nella potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute e che, pertanto, le Regioni sono vincolate al rispetto dei principi fondamentali fissati dalle norme statali, la disposizione impugnata, nel determinare una dilazione temporale per l’adeguamento ai requisiti minimi richiesti alle strutture sanitarie a garanzia della sicurezza dei cittadini, violerebbe l’art. 117, comma terzo, della Costituzione in relazione agli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, i quali fissano i livelli essenziali di sicurezza e qualità che debbono essere soddisfatti da tutte le strutture che vogliono effettuare prestazioni sanitarie, indipendentemente dal fatto che intendano, o meno, chiedere anche l’accreditamento.

1.2.– L’art. 26 sancisce l’applicabilità della disciplina sull’autorizzazione sanitaria di cui alla legge reg. Basilicata n. 28 del 2000 a tutte le strutture sociosanitarie a ciclo residenziale e semiresidenziale già attive e operanti, convenzionate col Servizio sanitario regionale, per le quali non si è tuttavia ancora conclusa la verifica preventiva sui requisiti minimi.

In particolare, il comma 3 di detto articolo, nel consentire a tali strutture di continuare a svolgere l’attività previa presentazione della domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 15 della legge reg. Basilicata n. 28 del 2000, si porrebbe in contrasto con quanto previsto dall’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo cui il rilascio dell’autorizzazione e la verifica del possesso dei requisiti minimi precede l’esercizio dell’attività sanitaria.

Inoltre la norma impugnata, nel prevedere, al comma 2, l’applicazione di un regime di accreditamento provvisorio, nelle more del perfezionamento di quello istituzionale, in favore delle strutture sociosanitarie che abbiano già in corso convenzioni o contratti con Aziende sanitarie locali, stipulati previa selezione con procedure di evidenza pubblica, dando inoltre loro titolo a stipulare nuovi accordi con le ASL per la durata massima di 18 mesi (comma 4), configurerebbe un’ipotesi di accreditamento ope legis nei confronti di strutture di cui verrebbe presunta la regolarità, indipendentemente dal possesso effettivo dei requisiti minimi.

Per l’accreditamento, evidenzia il ricorrente, occorrono requisiti ulteriori rispetto a quelli necessari per l’autorizzazione, oltre all’accettazione del sistema di pagamento a prestazione, ai sensi dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992. Detti «requisiti ulteriori» hanno natura di principi fondamentali che le Regioni devono rispettare, come più volte affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 361 del 2008); pertanto, vi sarebbe una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per lesione dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, stabiliti dal citato art. 8-quater.

La norma regionale impugnata, inoltre, nel riconoscere l’accreditamento provvisorio in favore delle strutture sociosanitarie di cui alla legge della Regione Basilicata 14 febbraio 2007, n. 4 (Rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale), violerebbe ulteriormente l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 796, lettera t), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», come da ultimo modificato dal comma 1-bis dell’art. 7 del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), come convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2014, n. 15, secondo cui il regime provvisorio, per le strutture sociosanitarie diverse da quelle ospedaliere e ambulatoriali, deve cessare entro il 31 ottobre 2014. Il ricorrente aggiunge che detto termine, come ritenuto dalla Corte costituzionale, costituisce anch’esso principio fondamentale della materia «tutela della salute», vincolante per le Regioni.

1.3.– L’art. 30, comma 2, parimenti impugnato – nel consentire che le strutture sanitarie private accreditate con il Servizio sanitario nazionale possono avvalersi dell’opera di medici in rapporto esclusivo con il SSN o dell’opera di medici in rapporto con altre strutture private accreditate – disattenderebbe il principio generale di unicità del rapporto di lavoro del personale medico con il SSN, di cui all’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica).

La portata del suddetto principio è stata più volte esaminata dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 8 maggio 2003, n. 2430 e 22 giugno 2004, n. 4463), la quale ha chiarito come il principio in questione debba essere inteso estensivamente, avendo un carattere oggettivo e assoluto. Ne deriverebbe, quindi, un’incompatibilità assoluta – riferita anche alle strutture sanitarie private accreditate, come disposto dall’art. 1, comma 5, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) – operante nei confronti di qualsiasi altra attività e che risponde alla finalità della norma, diretta a «garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico» (sentenza n. 457 del 1993).

Secondo il ricorrente, la ratio giustificativa del divieto si rinviene altresì nel primo comma dell’art. 98 Cost., laddove «il principio dell’esclusivo servizio della Nazione» appare caratterizzare la natura stessa del rapporto di lavoro di cui trattasi. La funzione di valorizzazione del perseguimento dei fini di pubblico interesse, cui è istituzionalmente preposta l’Amministrazione, svolta dal divieto di cui all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, potrebbe infatti essere compromessa dalla compresenza, nella stessa persona del dipendente, di altri rapporti potenzialmente in conflitto tendenti ad interessi «diversi» da quello collettivo.

Il ricorrente ritiene pertanto che l’art. 30, comma 2, laddove sembra consentire una duplicità di rapporti che invece l’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 mira chiaramente a scongiurare, violi il principio di unicità del rapporto del personale medico del SSN, che si pone, nella materia di competenza concorrente della tutela della salute, quale principio fondamentale.

Il Governo ravvisa inoltre profili di incostituzionalità anche nel caso in cui la disposizione censurata venga inquadrata nel diverso ambito della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di esclusiva spettanza statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Il contemporaneo esercizio dell’attività da parte del medico presso più strutture private accreditate potrebbe infatti pregiudicare la qualità dell’attività assistenziale prestata ed impedire, al contempo, l’effettivo espletamento della funzione ausiliaria rispetto alle strutture pubbliche che i soggetti accreditati sono chiamati a svolgere (viene citata la sentenza n. 457 del 1993).

1.4.– L’art. 33, relativo alla mobilità interregionale attiva in materia sanitaria, si porrebbe in contrasto con la legislazione statale, laddove esclude dal computo dei tetti di spesa alcune tipologie di prestazioni.

In particolare, l’esclusione delle prestazioni di alta complessità sarebbe disposta senza aver previsto modalità di compensazione atte a garantire il rispetto degli obiettivi finanziari di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, e prima della sottoscrizione di qualsiasi accordo di confine.

Ai sensi dell’art. 1, comma 574, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», le Regioni possono infatti programmare l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, nonché di prestazioni erogate dagli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in altre Regioni ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilità interregionale, in deroga ai limiti previsti, purché le stesse, al fine di garantire l’invarianza dell’effetto finanziario, provvedano ad adottare misure alternative, volte a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessità erogate in regime ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario e in riabilitazione e lungodegenza, acquistate dagli erogatori privati accreditati, in misura tale da assicurare il rispetto degli obiettivi di riduzione di cui al d.l. n. 95 del 2012. Il predetto obiettivo finanziario può essere assicurato anche attraverso misure alternative a valere su altre aree della spesa sanitaria.

Ad avviso del Governo, la deroga alla produzione di prestazioni rese in mobilità, contenuta nella norma regionale impugnata, sarebbe stata inoltre disposta prima di qualsiasi accordo di confine sottoscritto. Al riguardo il ricorrente rileva che, ai sensi del decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), i posti letto riservati alla mobilità attiva sono già ricompresi nella programmazione regionale che deve essere approvata dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA, come previsto dall’art. 1, comma 541, lettera e) (recte: lettera c), della legge n. 208 del 2015. Qualsiasi modifica dovrebbe avvenire quindi solo a seguito di accordi di confine già stipulati, al fine di garantire la compatibilità nazionale.

Infine, con riferimento all’esclusione delle altre tipologie di prestazioni dal tetto di spesa, la norma regionale si porrebbe in contrasto con la legislazione vigente, che non prevede tali esclusioni, passibili di determinare oneri aggiuntivi e non coperti.

La disposizione regionale, quindi, violerebbe il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria quale principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., e l’art. 81, terzo comma, Cost., sotto il profilo della mancata copertura finanziaria.

1.5.– Da ultimo, l’art. 45, parimenti censurato, interviene sull’art. 6, comma 2, della legge della Regione Basilicata 27 ottobre 2014, n. 30, recante «Misure per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo patologico (G.A.P.)», in materia di autorizzazione all’esercizio delle sale da gioco e installazione di apparecchi da gioco entro la distanza di 500 metri dai luoghi sensibili, mediante la soppressione dell’avverbio «non», dopo le parole «nel caso di ubicazioni in un raggio».

La disposizione regionale, secondo il ricorrente, contrasterebbe con quanto stabilito dall’art. 1, comma 936, della legge n. 208 del 2015, secondo cui le caratteristiche dei punti vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori, e al fine di prevenire il rischio di accesso dei minori di età, sono determinati in sede di Conferenza unificata, le cui intese sono poi recepite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti.

La norma quindi violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza.

2.– La Regione Basilicata non si è costituita in giudizio.

3.– Con memoria depositata il 13 novembre 2018, il ricorrente ha rilevato l’avvenuta modifica di alcune delle disposizioni impugnate, ad opera di leggi adottate dalla Regione Basilicata dopo la notifica del ricorso.

In particolare, l’art. 26, relativo alle strutture sociosanitarie, è stato modificato dall’art. 73 della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018), mediante l’abrogazione del comma 2 e la sostituzione del comma 4.

L’art. 33, parimenti impugnato, è stato invece abrogato dall’art. 45, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018.

A tal riguardo, il ricorrente ha comunque evidenziato l’impossibilità di dichiarare la cessazione della materia del contendere, in quanto non emergerebbe con certezza che le norme soppresse non abbiano trovato concreta applicazione nel periodo di vigenza; conseguentemente, ha affermato la permanenza dell’interesse ad una pronuncia di accoglimento.

4.– Da ultimo, con atto di rinuncia parziale depositato il 26 novembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare alla questione di cui all’art. 26, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, in ragione dell’intervenuta abrogazione della norma e dell’attestazione, fornita dalla Regione Basilicata, della sua mancata applicazione medio tempore.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso in epigrafe indicato, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale 2017).

Riservata a separate pronunce la decisione delle questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri su altre disposizioni della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, lo scrutinio deve essere qui limitato a quelle aventi ad oggetto gli artt. 23, 26, 30, 33 e 45 della legge regionale censurata.

2.– L’impugnato art. 23 ha modificato l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Basilicata 14 ottobre 2008, n. 25 (Disposizioni in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private), mediante la sostituzione dell’espressione «entro due anni» con quella «entro cinque anni».

Così disponendo, secondo il ricorrente, si sarebbero illegittimamente prorogati i termini concessi alle strutture sanitarie per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure di autorizzazione, di cui alla legge della Regione Basilicata 5 aprile 2000, n. 28 (Norme in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private), in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 8, comma 4, e 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), i quali fissano i livelli essenziali di sicurezza e qualità che debbono essere soddisfatti da tutte le strutture che vogliono effettuare prestazioni sanitarie, indipendentemente dal fatto che intendano, o meno, chiedere anche l’accreditamento.

L’art. 1 della legge reg. Basilicata n. 25 del 2008, nel testo modificato dalla legge impugnata, prevede infatti: «1. Allo scopo di consentire il completamento dei processi di adeguamento connessi alle procedure di autorizzazione di cui alla L.R. 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. le strutture sanitarie dotate di posti letto, che erogano prestazioni sanitarie in regime di ricovero e quelle dotate di posti residenziali per assistenza riabilitativa ai disabili psichici e psiconeuromotori, e per quelle strutture riabilitative che erogano ai disabili psichici e psiconeuromotori prestazioni in regime ambulatoriale, fatto salvo il possesso dei requisiti minimi generali di cui al D.P.R. 14 gennaio 1997, devono eseguire gli adeguamenti di cui all’art. 15 comma 6 lett. a) della L.R. 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i., entro cinque anni dalla data di comunicazione da parte della Commissione Tecnica Aziendale della adeguatezza del progetto esecutivo con relativo cronoprogramma vincolante per l’ultimazione dei lavori di adeguamento ai requisiti previsti dalla normativa vigente».

Dopo la proposizione del ricorso, il legislatore regionale è intervenuto nuovamente in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie, modificando ancora, con la legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), il termine concesso per l’adeguamento delle strutture.

L’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017 ha infatti previsto che: «1. Le strutture sanitarie di cui all’art. 1, comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2008, n. 25 e smi, per le quali la competente Commissione Tecnica Aziendale esprime parere di adeguatezza del piano di adeguamento ai requisiti previsti dalla normativa vigente, devono ultimare i relativi lavori entro il termine di anni tre dalla espressione del suddetto parere».

Successivamente, con la legge della Regione Basilicata 29 gennaio 2018, n. 1 (Modifica ed integrazione all’articolo 23 della legge regionale 30 dicembre 2017, n. 39), è stato aggiunto anche un comma 2 all’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017 che così dispone: «Le strutture sanitarie di cui al comma 1 per le quali la competente Commissione Tecnica Aziendale alla data del 31 dicembre 2017 ha già espresso parere di adeguatezza del piano di adeguamento ai requisiti previsti dalla normativa vigente, devono ultimare i relativi lavori entro il termine di anni tre decorrenti dall’entrata in vigore della presente legge».

2.1.– Questa Corte ritiene che occorra procedere all’estensione della questione prospettata dal ricorso in riferimento all’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, anche nei confronti del sopravvenuto art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, in considerazione del fatto che la disposizione sopravvenuta «presenta una portata precettiva paragonabile alla prima sotto il profilo della potenziale lesività dei principi costituzionali invocati dal ricorrente» (sentenza n. 39 del 2016). Sicché il vizio lamentato con riguardo alla prima deve essere valutato anche in riferimento alla seconda legge regionale.

2.2.– La questione, come sopra ricostruita, è fondata.

Secondo il costante orientamento di questa Corte (ex multis, sentenza n. 161 del 2016), la competenza regionale in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private si inquadra nella potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute, che preclude alle Regioni di derogare ai principi fondamentali fissati dalle norme statali, quali sono tra l’altro le norme di principio contenute negli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 (ex multis, sentenza n. 59 del 2015). Questi ultimi stabiliscono i livelli qualitativi e i requisiti minimi strutturali e organizzativi per ottenere l’autorizzazione all’esercizio, il cui possesso va verificato prima dello svolgimento di qualsiasi attività.

Con la legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 (Norme in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private), la Regione Basilicata, «in attuazione dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni, degli articoli 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997 e dell’art. 8-ter del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229», ha definito i «requisiti minimi strutturali, funzionali ed organizzativi delle strutture sanitarie pubbliche e private, il controllo e la vigilanza sulle medesime nonché le procedure per il rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione, all’apertura ed all’esercizio dell’attività sanitaria» (art. 1, comma 1), stabilendo, all’art. 15, che, per continuare a svolgere l’attività, le strutture private già autorizzate e quelle attive che sono soggette ad autorizzazione ai sensi della legge regionale n. 28 del 2000, debbano presentare domanda di rinnovo dell’autorizzazione ovvero domanda introduttiva del procedimento di autorizzazione entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 7 della legge reg. Basilicata n. 28 del 2000, la domanda di autorizzazione all’apertura e all’esercizio di attività sanitaria deve essere indirizzata al Presidente della Giunta regionale, che provvede ad inoltrarla alla Azienda Sanitaria U.S.L. territorialmente competente, per l’istruttoria e il rilascio del parere obbligatorio da parte di un’apposita commissione tecnica.

Il termine per l’adeguamento di cui al sopra citato art. 15 è stato più volte rivisto dal legislatore regionale, fino alla modifica apportata dalla norma impugnata e successivamente dall’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017.

Il Governo, nell’impugnare la proroga disposta dalla legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, mira quindi a censurare la situazione per cui le strutture sanitarie già attive e in esercizio possano (continuare ad) erogare prestazioni sanitarie prima ancora che la verifica circa il possesso dei requisiti minimi sia stata completata.

La censura coglie nel segno. In effetti, la normativa regionale in esame, nel prorogare i termini per l’adeguamento, consente a dette strutture di operare a prescindere dalla conclusione della verifica circa l’adeguatezza della struttura stessa; pertanto, essa risulta in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione agli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, da qualificarsi come principi fondamentali della materia «tutela della salute» (sentenza n. 59 del 2015), vincolanti per le Regioni, in particolare quanto alla necessità che l’esercizio dell’attività sanitaria avvenga previa verifica del possesso dei requisiti minimi.

2.3.– Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 e dell’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, quest’ultimo come modificato dall’art. 1 della legge regionale n. 1 del 2018.

3.– L’art. 26 della legge regionale impugnata ha ad oggetto le strutture sociosanitarie di cui alla legge della Regione Basilicata 14 febbraio 2007, n. 4 (Rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale).

Esso prescrive: «1. A decorrere dalla data di approvazione del provvedimento definitivo di Giunta regionale previsto dall’art. 21, comma 1 della legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4, a tutte le strutture sociosanitarie a ciclo residenziale e semiresidenziale si applicano le disposizioni normative contenute nella legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. 2. Le strutture sociosanitarie di cui alla legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4 e s.m.i. che per effetto del comma 1 rientrano nel campo di applicazione della legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. e che hanno in corso, da almeno tre anni, convenzioni o contratti con Aziende sanitarie locali, stipulati previa selezione con procedure di evidenza pubblica si intendono provvisoriamente accreditate per i servizi resi in regime non residenziale, residenziale, semiresidenziale, nelle more della regolamentazione dell’accreditamento istituzionale. 3. Le strutture sociosanitarie di cui alla legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4 e s.m.i. che per effetto del comma 1 rientrano nel campo di applicazione della legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. attive alla data di entrata in vigore della presente legge, per continuare a svolgere l’attività, devono presentare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 15 della legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. e delle disposizioni attuative regionali corredata del piano di adeguamento. 4. Le Aziende sanitarie locali sono autorizzate a stipulare, con le strutture di cui al comma 2, convenzioni o contratti, anche in prosecuzione di quelli in corso, di durata non superiore a 18 mesi. Fino alla scadenza dei predetti 18 mesi le tariffe stabilite dai contratti in essere restano confermate. Nelle more della regolamentazione dell’accreditamento istituzionale, sono sospese le eventuali procedure in corso per l'affidamento dei servizi di cui al comma 2. 5. La Regione entro 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge emana i provvedimenti attuativi per la regolamentazione dell’accreditamento istituzionale dei servizi e delle strutture di cui al presente articolo».

3.1.– Preliminarmente occorre osservare che, nonostante l’art. 26 appaia integralmente impugnato tanto nel ricorso quanto nella delibera autorizzativa del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2017, le censure si appuntano esclusivamente sui commi 2, 3 e 4, primo periodo, di detto articolo. Pertanto, il ricorso deve intendersi limitato a tali norme, sulle quali si svolgerà lo scrutinio di costituzionalità.

3.2.– Successivamente alla proposizione del ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, la Regione Basilicata ha modificato le disposizioni in esame.

Infatti, l’art. 73 della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018), ha abrogato il comma 2 e sostituito il primo e il secondo periodo del comma 4 dell’art. 26 nei termini seguenti: «I contratti in essere con le strutture sociosanitarie di cui al comma 1 stipulati con le Aziende sanitarie locali proseguono la loro validità nelle more della regolamentazione dell’accreditamento istituzionale».

A seguito della novella legislativa, il Presidente del Consiglio dei ministri – dopo aver inizialmente confermato il proprio interesse alla declaratoria di illegittimità costituzionale in ragione dell’assenza di prove circa la mancata attuazione della norma impugnata nel periodo di vigenza – ha da ultimo dichiarato di volere rinunciare esclusivamente all’impugnazione dell’art. 26, comma 2, relativo all’accreditamento ope legis delle strutture sociosanitarie.

3.3.– Pertanto, a seguito della rinunzia parziale al ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e tenuta presente la mancata costituzione della parte resistente, dev’essere dichiarata, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del processo limitatamente alla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 26, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 (per un caso analogo, sentenza n. 183 del 2016).

3.4.– Al contrario, non sono state oggetto di rinuncia le questioni vertenti sul comma 3 e sul comma 4, primo periodo, del medesimo art. 26.

3.5.– Il comma 3 prescrive che le strutture sociosanitarie già attive ed operanti devono presentare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge censurata, domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 15 della legge reg. Basilicata n. 28 del 2000 e s.m.i., per poter continuare a svolgere l’attività sanitaria.

Ad avviso del ricorrente, detta previsione si pone in contrasto con quanto previsto in materia di autorizzazione dall’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, a norma del quale il rilascio dell’autorizzazione e la verifica del possesso dei requisiti minimi precede l’esercizio delle attività sanitarie e sociosanitarie.

La questione è fondata per le medesime considerazioni svolte in merito alle strutture sanitarie di cui al precedente art. 23 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, alle quali si rinvia.

Di conseguenza, il comma 3 dell’art. 26 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento all’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992.

3.6.– Con riguardo al comma 4, nella parte in cui (primo periodo) autorizza le ASL a stipulare contratti o convenzioni di durata non superiore a diciotto mesi con le strutture sociosanitarie provvisoriamente accreditate, l’Avvocatura dello Stato ha chiesto l’accoglimento della questione per il periodo in cui la norma ha avuto vigenza, fino all’intervento del legislatore regionale, non risultando e non essendo stata dedotta la sua mancata applicazione nel suddetto arco temporale.

Come sopra rilevato, la disposizione è stata modificata dall’art. 73, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018. Deve, quindi, essere preliminarmente valutata l’incidenza dello ius superveniens sulla questione in esame.

Le modifiche normative sopravvenute non possono ritenersi idonee a determinare la cessazione della materia del contendere.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimità costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente le seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto applicazione medio tempore (ex plurimis, sentenza n. 171 del 2018). L’assenza di qualsiasi indicazione (non essendosi costituita la Regione resistente) circa la mancata applicazione della norma censurata induce a ritenere non provato tale ultimo requisito, anche in considerazione del tempo di vigenza della norma abrogata, che è stata modificata circa un anno dopo la sua entrata in vigore.

Pertanto, la questione deve essere esaminata nel merito e, per ragioni analoghe a quelle già espresse al precedente punto 2.1. in riferimento all’art. 23, deve essere estesa alla nuova disposizione, come modificata dalla legge reg. Basilicata n. 11 del 2018.

Invero, se da un lato l’intervenuta novella legislativa ha di fatto eliminato il riferimento operato al comma 2 (abrogato) – riferimento che consentiva alle aziende sanitarie di stipulare convenzioni o contratti, anche in prosecuzione di quelli in corso, di durata non superiore a 18 mesi con le strutture provvisoriamente accreditate – la nuova disposizione, nel riconoscere la perdurante «validità» (recte: efficacia) dei contratti già stipulati con strutture sociosanitarie per le quali non si sia concluso l’accreditamento, continua a mantenere un contenuto asseritamente lesivo, paragonabile a quello della disposizione impugnata. La questione deve quindi, come sopra rilevato, essere estesa al nuovo comma 4, primo periodo, dell’impugnato art. 26.

Nel merito la questione è fondata.

La norma regionale consente, nella prima versione, la stipula di contratti con strutture provvisoriamente accreditate ope legis – per le quali si presume, senza che sia accertato, il possesso effettivo dei requisiti per l’accreditamento – e, nella seconda, il mantenimento della «validità» dei contratti già stipulati con le strutture sociosanitarie «nelle more della regolamentazione dell’accreditamento istituzionale». In entrambi i casi, le aziende sanitare risultano abilitate a intrattenere rapporti contrattuali con soggetti nei cui confronti non è stata portata a termine, con esito positivo, la verifica dei requisiti previsti dalla legge nell’ambito delle procedure di accreditamento. Così disponendo, le norme in giudizio contrastano con l’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992 – che questa Corte ha già ripetutamente qualificato come principio fondamentale della materia della tutela della salute (sentenza n. 132 del 2013) – il quale richiede per l’accreditamento «requisiti ulteriori» rispetto a quelli previsti per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria, fissando altresì la necessaria interdipendenza tra accreditamento e accordi contrattuali (sentenza n. 124 del 2015). Ne consegue la violazione dei limiti di competenza in materia di tutela della salute ex art. 117, terzo comma, Cost.

3.7.– Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, primo periodo, della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 nel suo testo originario e in quello sostituito dall’art. 73, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2018.

4.– L’art. 30 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 ha ad oggetto misure di coordinamento e razionalizzazione, finalizzate ad ottimizzare la gestione delle liste d’attesa.

4.1.– In via preliminare, la questione va circoscritta al solo comma 2 dell’art. 30, nonostante che tale articolo appaia integralmente impugnato nel ricorso. Il ricorso infatti, atteso sia il contenuto della delibera governativa, sia il tenore delle censure, deve ritenersi limitato al suddetto comma.

Il richiamato comma 2 dispone che: «Al fine di migliorare l’integrazione tra le strutture accreditate del Servizio sanitario regionale, ferme restanti le disposizioni di cui all’art. 4, comma 7 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 in materia di incompatibilità, le strutture sanitarie private accreditate con il Servizio sanitario nazionale possono altresì avvalersi: a) dell’opera di medici in rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale, sempre che questa rientri nell’ambito di accordi e/o protocolli di intesa stipulati con le Aziende del Servizio sanitario regionale di dipendenza; b) dell’opera di medici in rapporto con altre strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le norme in contrasto con quanto disposto al presente comma».

La disposizione regionale consente quindi alle strutture sanitarie private accreditate con il Servizio sanitario nazionale (SSN) di avvalersi dell’opera di medici in rapporto esclusivo con il SSN.

Ad avviso del Governo, tale previsione disattende il principio di unicità del rapporto di lavoro del personale medico con il SSN, sancito dall’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), il quale prescrive che: «Con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale. […] L’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dall’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.»

4.2.– La questione è fondata.

Questa Corte ha già ritenuto che, col suddetto principio, il legislatore statale ha «inteso garantire la massima efficienza e funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico»; allo stesso tempo, il legislatore ha ritenuto che «potesse spiegare effetti negativi il contemporaneo esercizio da parte del medico dipendente di attività professionale presso strutture convenzionate» (sentenza n. 457 del 1993).

La portata di detto principio è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, TAR Veneto, sezione terza, sentenza 24 luglio 2017, n. 743; TAR Campania, sezione quinta, sentenza 31 gennaio 2013, n. 685; Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 22 giugno 2004, n. 4463, e 8 maggio 2003, n. 2430) che ne ha più volte sottolineato il carattere oggettivo e assoluto, da cui deriva il divieto, per il medico dipendente, di svolgere contemporaneamente l’attività professionale presso strutture convenzionate, oggi accreditate.

La particolare natura delle istituzioni sanitarie private convenzionate, le quali svolgono una funzione integrativa e sussidiaria della stessa rete sanitaria pubblica, impone che il medico che già presta la sua attività in rapporto esclusivo con il SSN non possa, contemporaneamente, operare anche presso una struttura privata convenzionata. Per lo stesso motivo anche l’esercizio dell’attività libero-professionale intra moenia è consentito dal legislatore purché ciò avvenga oltre l’orario di lavoro, all’interno o al di fuori della struttura sanitaria, ma con l’espressa esclusione delle strutture private convenzionate (cui l’art. 1, comma 5, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», ha affiancato, quanto ad incompatibilità, le strutture private accreditate).

La norma regionale impugnata, laddove prevede che una struttura sanitaria privata accreditata possa avvalersi di medici in rapporto esclusivo con il SSN, disattende dunque il principio di unicità del rapporto di lavoro, in tal modo violando l’art. 117, terzo comma, Cost.

Restano assorbiti gli altri profili di censura.

5.– L’art. 33 della legge regionale impugnata, avente ad oggetto la mobilità interregionale in materia sanitaria, prevede che: «1. In riferimento alle prestazioni erogate in mobilità attiva interregionale dalle strutture sanitarie accreditate e contrattualizzate con il Servizio sanitario regionale, coerentemente con quanto definito in sede di Conferenza delle Regioni, anche ai fini della sottoscrizione degli accordi interregionali per la compensazione della mobilità sanitaria, non sono computabili per il raggiungimento dei tetti di spesa le seguenti prestazioni: a) relativamente alle attività di ricovero, i DRG di alta complessità; b) relativamente alle attività di specialistica ambulatoriale (ex art. 25 della legge 833/1978), le prestazioni trasferite da regime ospedaliero a regime ambulatoriale e quelle considerabili salva-vita definite critiche dal Piano nazionale di governo delle liste di attesa per il triennio 2010-2012 (punto 3.1 del Piano, intesa Stato-Regioni del 28 ottobre 2010)».

La disposizione in esame, nell’escludere dai tetti di spesa alcune tipologie di prestazioni, contrasterebbe, secondo la prospettazione del ricorrente, con i limiti della competenza legislativa regionale disposti dall’art. 117, terzo comma, Cost., perché inosservante del principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria disposto dall’art. 1, comma 574, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nonché con l’art. 81, terzo comma, Cost., sotto il profilo della mancata copertura finanziaria.

5.1.– In primo luogo, occorre osservare che la norma è stata interamente abrogata dall’art. 45, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018. Tuttavia, in ragione dell’interesse manifestato dall’Avvocatura dello Stato all’accoglimento della questione ed in assenza di una prova circa la mancata applicazione della norma nel periodo di vigenza, non può ritenersi cessata la materia del contendere e la questione deve essere esaminata nel merito (per un caso analogo, sentenza n. 185 del 2018).

5.2.– Ai sensi dell’art. 1, comma 574, della legge n. 208 del 2015, le Regioni possono programmare l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, nonché di prestazioni erogate da parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilità interregionale, in deroga al tetto di spesa sanitaria complessiva annua fissato dal legislatore nazionale, purché prevedano misure alternative, volte in particolare a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessità acquistate dagli erogatori privati accreditati o incidenti su altre aree della spesa sanitaria, così da assicurare il rispetto degli obiettivi finanziari di riduzione della spesa, di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135.

Questa Corte ha già osservato che «[l]’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012 fissa un generale obiettivo di riduzione della spesa relativa all’"acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera” […]. Tale disposizione, dunque, può considerarsi espressione di un principio fondamentale in materia di "coordinamento della finanza pubblica”, poiché riguarda "non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte corrente” (ex plurimis, sentenze n. 218 e n. 153 del 2015, n. 289 del 2013, n. 69 del 2011) e lascia "ciascuna Regione […] libera di darvi attuazione […] in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale”» (sentenza n. 183 del 2016).

Nel caso in esame, la Regione Basilicata, nell’escludere i DRG di alta complessità dal computo per il raggiungimento dei tetti di spesa, non ha in effetti previsto alcuna misura alternativa di compensazione, andando a incidere negativamente sul risultato finanziario complessivo indicato nella legge statale.

Parimenti, la non computabilità nei tetti di spesa delle altre prestazioni, relative all’attività di specialistica ambulatoriale (di cui alla lettera b dell’impugnato art. 33), è passibile di determinare oneri aggiuntivi e non coperti, sicché non è consentita dalla legislazione nazionale.

Di conseguenza, l’art. 33 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per aver previsto la non computabilità di alcune prestazioni ai fini del raggiungimento dei tetti di spesa, senza garantire il rispetto degli obiettivi di riduzione della spesa sanitaria, nonché dell’art. 81, terzo comma, Cost., per mancata copertura finanziaria.

6.– La questione vertente sull’art. 45 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., è manifestamente infondata.

Con la disposizione impugnata, il legislatore regionale ha infatti inteso esclusivamente correggere l’errore materiale costituito dall’indebita inserzione dell’avverbio «non», dopo le parole «nel caso di ubicazioni in un raggio», contenuto nell’art. 6 della legge della Regione Basilicata 27 ottobre 2014, n. 30, recante «Misure per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo patologico (G.A.P.)».

Prima dell’intervento censurato, la disposizione disponeva: «l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette» (corsivi aggiunti). La presenza del secondo «non» appare priva di qualunque significato coerente con la ratio legis.

È chiaro quindi che quanto disposto dall’impugnato art. 45 si è reso necessario al fine di assicurare l’osservanza di una distanza minima di sicurezza dai luoghi ritenuti sensibili. L’accoglimento della questione nei termini richiesti dal ricorrente avrebbe invece l’effetto aberrante di vanificare la tutela che la previsione di una zona minima di distanza intende assicurare.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 23, 26, commi 3 e 4, primo periodo, nel testo originario e in quello sostituito dall’art. 73, comma 2, della legge della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2018), 30, comma 2, e 33 della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale 2017);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23 della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), come modificato dall’art. 1 della legge della Regione Basilicata 29 gennaio 2018, n. 1 (Modifica ed integrazione all’articolo 23 della legge regionale 30 dicembre 2017, n. 39);

3) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe;

4) dichiara estinto il processo limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2018.