SENTENZA
N. 238
ANNO
2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò
ZANON ”
- Frano MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco
VIGANO’ ”
- Luca ANTONINI’ ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
artt.
23, 26, commi 2, 3 e 4, primo periodo, 30, comma 2, 33 e 45 della legge della
Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità
regionale 2017), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 25-29 settembre 2017, depositato in cancelleria il 29 settembre
2017, iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Udito nella udienza
pubblica del 4 dicembre 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia;
udito l’avvocato dello
Stato Gianni De Bellis per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ricorso
notificato il 25 - 29 settembre 2017 e depositato in cancelleria il successivo
29 settembre (r.r. 77 del 2017), il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune
disposizioni della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19
(Collegato alla legge di Stabilità regionale 2017).
Secondo il ricorrente, le norme contenute, in
particolare, negli artt. 23, 26, 30, 33 e 45 della legge regionale impugnata
sarebbero illegittime per contrasto con diverse disposizioni costituzionali.
1.1.– L’art. 23 modifica l’art. 1, comma 1,
della legge della Regione Basilicata 14 ottobre 2008, n. 25 (Disposizioni in
materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private),
mediante la sostituzione dell’espressione «entro due anni» con quella «entro
cinque anni», così prorogando di tre anni i termini concessi alle strutture
sanitarie per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure di
autorizzazione, di cui alla legge della Regione Basilicata 5 aprile 2000, n. 28
(Norme in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e
private).
La proroga così disposta – che, ad avviso del
Governo, non avrebbe peraltro un preciso dies a quo,
decorrendo i termini di cui trattasi dalla data di comunicazione dell’idoneità
del piano di adeguamento da parte della competente commissione tecnica di
valutazione regionale – contrasterebbe con quanto dettato dall’art. 8-ter,
comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), secondo cui l’esercizio delle attività sanitarie e
sociosanitarie presuppone il possesso di determinati requisiti minimi, la cui
verifica deve effettuarsi prima del rilascio dell’autorizzazione e dell’avvio
di qualsiasi attività.
Considerato che, secondo la costante
giurisprudenza costituzionale, la competenza regionale in materia di
autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria rientra nella potestà
legislativa concorrente in materia di tutela della salute e che, pertanto, le
Regioni sono vincolate al rispetto dei principi fondamentali fissati dalle
norme statali, la disposizione impugnata, nel determinare una dilazione
temporale per l’adeguamento ai requisiti minimi richiesti alle strutture
sanitarie a garanzia della sicurezza dei cittadini, violerebbe l’art. 117, comma terzo,
della Costituzione in relazione agli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs.
n. 502 del 1992, i quali fissano i livelli essenziali di sicurezza e qualità
che debbono essere soddisfatti da tutte le strutture che vogliono effettuare
prestazioni sanitarie, indipendentemente dal fatto che intendano, o meno,
chiedere anche l’accreditamento.
1.2.– L’art. 26 sancisce
l’applicabilità della disciplina sull’autorizzazione sanitaria di cui alla
legge reg. Basilicata n. 28 del 2000 a tutte le strutture sociosanitarie a
ciclo residenziale e semiresidenziale già attive e operanti, convenzionate col
Servizio sanitario regionale, per le quali non si è tuttavia ancora conclusa la
verifica preventiva sui requisiti minimi.
In particolare, il comma 3 di detto articolo,
nel consentire a tali strutture di continuare a svolgere l’attività previa
presentazione della domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 15 della legge
reg. Basilicata n. 28 del 2000, si porrebbe in contrasto con quanto previsto
dall’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo cui il rilascio
dell’autorizzazione e la verifica del possesso dei requisiti minimi precede
l’esercizio dell’attività sanitaria.
Inoltre la norma impugnata, nel prevedere, al
comma 2, l’applicazione di un regime di accreditamento provvisorio, nelle more
del perfezionamento di quello istituzionale, in favore delle strutture
sociosanitarie che abbiano già in corso convenzioni o contratti con Aziende
sanitarie locali, stipulati previa selezione con procedure di evidenza
pubblica, dando inoltre loro titolo a stipulare nuovi accordi con le ASL per la
durata massima di 18 mesi (comma 4), configurerebbe un’ipotesi di
accreditamento ope legis
nei confronti di strutture di cui verrebbe presunta la regolarità,
indipendentemente dal possesso effettivo dei requisiti minimi.
Per l’accreditamento, evidenzia il ricorrente,
occorrono requisiti ulteriori rispetto a quelli necessari per l’autorizzazione,
oltre all’accettazione del sistema di pagamento a prestazione, ai sensi
dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992. Detti «requisiti ulteriori»
hanno natura di principi fondamentali che le Regioni devono rispettare, come
più volte affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 361 del
2008); pertanto, vi sarebbe una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per lesione dei principi fondamentali in materia di
tutela della salute, stabiliti dal citato art. 8-quater.
La norma regionale impugnata, inoltre, nel
riconoscere l’accreditamento provvisorio in favore delle strutture
sociosanitarie di cui alla legge della Regione Basilicata 14 febbraio 2007, n.
4 (Rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale), violerebbe
ulteriormente l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma
796, lettera t), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2007)», come da ultimo modificato dal comma 1-bis dell’art. 7 del decreto-legge
30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative), come convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2014, n.
15, secondo cui il regime provvisorio, per le strutture sociosanitarie diverse
da quelle ospedaliere e ambulatoriali, deve cessare entro il 31 ottobre 2014.
Il ricorrente aggiunge che detto termine, come ritenuto dalla Corte
costituzionale, costituisce anch’esso principio fondamentale della materia
«tutela della salute», vincolante per le Regioni.
1.3.– L’art. 30, comma 2, parimenti impugnato –
nel consentire che le strutture sanitarie private accreditate con il Servizio
sanitario nazionale possono avvalersi dell’opera di medici in rapporto
esclusivo con il SSN o dell’opera di medici in rapporto con altre strutture
private accreditate – disattenderebbe il principio generale di unicità del
rapporto di lavoro del personale medico con il SSN, di cui all’art. 4, comma 7,
della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza
pubblica).
La portata del suddetto principio è stata più
volte esaminata dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato,
sezione quarta, sentenze 8 maggio 2003, n. 2430 e 22 giugno 2004, n. 4463), la
quale ha chiarito come il principio in questione debba essere inteso
estensivamente, avendo un carattere oggettivo e assoluto. Ne deriverebbe,
quindi, un’incompatibilità assoluta – riferita anche alle strutture sanitarie
private accreditate, come disposto dall’art. 1, comma 5, della legge 23
dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) –
operante nei confronti di qualsiasi altra attività e che risponde alla finalità
della norma, diretta a «garantire la massima efficienza e funzionalità
operativa al servizio sanitario pubblico» (sentenza n. 457 del
1993).
Secondo il ricorrente, la ratio giustificativa
del divieto si rinviene altresì nel primo comma dell’art. 98 Cost.,
laddove «il principio dell’esclusivo servizio della Nazione» appare
caratterizzare la natura stessa del rapporto di lavoro di cui trattasi. La
funzione di valorizzazione del perseguimento dei fini di pubblico interesse,
cui è istituzionalmente preposta l’Amministrazione, svolta dal divieto di cui
all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, potrebbe infatti essere
compromessa dalla compresenza, nella stessa persona del dipendente, di altri
rapporti potenzialmente in conflitto tendenti ad interessi «diversi» da quello
collettivo.
Il ricorrente ritiene pertanto che l’art. 30,
comma 2, laddove sembra consentire una duplicità di rapporti che invece l’art.
4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 mira chiaramente a scongiurare, violi
il principio di unicità del rapporto del personale medico del SSN, che si pone,
nella materia di competenza concorrente della tutela della salute, quale
principio fondamentale.
Il Governo ravvisa inoltre profili di
incostituzionalità anche nel caso in cui la disposizione censurata venga
inquadrata nel diverso ambito della «determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di esclusiva
spettanza statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Il
contemporaneo esercizio dell’attività da parte del medico presso più strutture
private accreditate potrebbe infatti pregiudicare la qualità dell’attività
assistenziale prestata ed impedire, al contempo, l’effettivo espletamento della
funzione ausiliaria rispetto alle strutture pubbliche che i soggetti
accreditati sono chiamati a svolgere (viene citata la sentenza n. 457 del
1993).
1.4.– L’art. 33, relativo
alla mobilità interregionale attiva in materia sanitaria, si porrebbe in
contrasto con la legislazione statale, laddove esclude dal computo dei tetti di
spesa alcune tipologie di prestazioni.
In particolare, l’esclusione delle prestazioni
di alta complessità sarebbe disposta senza aver previsto modalità di
compensazione atte a garantire il rispetto degli obiettivi finanziari di cui al
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, e prima della sottoscrizione di
qualsiasi accordo di confine.
Ai sensi dell’art. 1, comma 574, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», le Regioni possono
infatti programmare l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta
specialità, nonché di prestazioni erogate dagli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico (IRCCS) a favore di cittadini residenti in altre Regioni
ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilità interregionale, in
deroga ai limiti previsti, purché le stesse, al fine di garantire l’invarianza
dell’effetto finanziario, provvedano ad adottare misure alternative, volte a
ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessità erogate in regime
ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario e in riabilitazione e
lungodegenza, acquistate dagli erogatori privati accreditati, in misura tale da
assicurare il rispetto degli obiettivi di riduzione di cui al d.l. n. 95 del 2012. Il predetto obiettivo finanziario può
essere assicurato anche attraverso misure alternative a valere su altre aree
della spesa sanitaria.
Ad avviso del Governo, la deroga alla produzione
di prestazioni rese in mobilità, contenuta nella norma regionale impugnata,
sarebbe stata inoltre disposta prima di qualsiasi accordo di confine
sottoscritto. Al riguardo il ricorrente rileva che, ai sensi del decreto del
Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli
standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi
all’assistenza ospedaliera), i posti letto riservati alla mobilità attiva sono
già ricompresi nella programmazione regionale che deve essere approvata dal
Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica
dell’erogazione dei LEA, come previsto dall’art. 1, comma 541, lettera e) (recte: lettera c), della legge n. 208 del 2015. Qualsiasi
modifica dovrebbe avvenire quindi solo a seguito di accordi di confine già
stipulati, al fine di garantire la compatibilità nazionale.
Infine, con riferimento all’esclusione delle
altre tipologie di prestazioni dal tetto di spesa, la norma regionale si
porrebbe in contrasto con la legislazione vigente, che non prevede tali
esclusioni, passibili di determinare oneri aggiuntivi e non coperti.
La disposizione regionale, quindi, violerebbe il
principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria quale principio di
coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., e l’art. 81, terzo comma, Cost., sotto il profilo
della mancata copertura finanziaria.
1.5.– Da ultimo, l’art.
45, parimenti censurato, interviene sull’art. 6, comma 2, della legge della
Regione Basilicata 27 ottobre 2014, n. 30, recante «Misure per il contrasto
della diffusione del gioco d’azzardo patologico (G.A.P.)», in materia di
autorizzazione all’esercizio delle sale da gioco e installazione di apparecchi
da gioco entro la distanza di 500 metri dai luoghi sensibili, mediante la soppressione
dell’avverbio «non», dopo le parole «nel caso di ubicazioni in un raggio».
La disposizione regionale, secondo il
ricorrente, contrasterebbe con quanto stabilito dall’art. 1, comma 936, della
legge n. 208 del 2015, secondo cui le caratteristiche dei punti vendita ove si
raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e
concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di
sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica
fede dei giocatori, e al fine di prevenire il rischio di accesso dei minori di
età, sono determinati in sede di Conferenza unificata, le cui intese sono poi
recepite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le
Commissioni parlamentari competenti.
La norma quindi violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettera h), Cost., in materia di ordine
pubblico e sicurezza.
2.– La Regione
Basilicata non si è costituita in giudizio.
3.– Con memoria
depositata il 13 novembre 2018, il ricorrente ha rilevato l’avvenuta modifica
di alcune delle disposizioni impugnate, ad opera di leggi adottate dalla
Regione Basilicata dopo la notifica del ricorso.
In particolare, l’art. 26, relativo alle
strutture sociosanitarie, è stato modificato dall’art. 73 della legge della
Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità
regionale 2018), mediante l’abrogazione del comma 2 e la sostituzione del comma
4.
L’art. 33, parimenti impugnato, è stato invece
abrogato dall’art. 45, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018.
A tal riguardo, il ricorrente ha comunque
evidenziato l’impossibilità di dichiarare la cessazione della materia del
contendere, in quanto non emergerebbe con certezza che le norme soppresse non
abbiano trovato concreta applicazione nel periodo di vigenza; conseguentemente,
ha affermato la permanenza dell’interesse ad una pronuncia di accoglimento.
4.– Da ultimo, con atto
di rinuncia parziale depositato il 26 novembre 2018, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare alla questione di cui
all’art. 26, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, in ragione
dell’intervenuta abrogazione della norma e dell’attestazione, fornita dalla
Regione Basilicata, della sua mancata applicazione medio tempore.
Considerato
in diritto
1.– Con il ricorso in
epigrafe indicato, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione
Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale
2017).
Riservata a separate pronunce la decisione delle
questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri su altre
disposizioni della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, lo scrutinio deve
essere qui limitato a quelle aventi ad oggetto gli artt. 23, 26, 30, 33 e 45
della legge regionale censurata.
2.– L’impugnato art. 23
ha modificato l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Basilicata 14
ottobre 2008, n. 25 (Disposizioni in materia di autorizzazione delle strutture
sanitarie pubbliche e private), mediante la sostituzione dell’espressione
«entro due anni» con quella «entro cinque anni».
Così disponendo, secondo il ricorrente, si
sarebbero illegittimamente prorogati i termini concessi alle strutture
sanitarie per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure di
autorizzazione, di cui alla legge della Regione Basilicata 5 aprile 2000, n. 28
(Norme in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e
private), in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in
relazione agli artt. 8, comma 4, e 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), i quali fissano i livelli
essenziali di sicurezza e qualità che debbono essere soddisfatti da tutte le
strutture che vogliono effettuare prestazioni sanitarie, indipendentemente dal
fatto che intendano, o meno, chiedere anche l’accreditamento.
L’art. 1 della legge reg. Basilicata n. 25 del
2008, nel testo modificato dalla legge impugnata, prevede infatti: «1. Allo
scopo di consentire il completamento dei processi di adeguamento connessi alle
procedure di autorizzazione di cui alla L.R. 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. le strutture sanitarie dotate di posti letto, che
erogano prestazioni sanitarie in regime di ricovero e quelle dotate di posti
residenziali per assistenza riabilitativa ai disabili psichici e psiconeuromotori, e per quelle strutture riabilitative che
erogano ai disabili psichici e psiconeuromotori
prestazioni in regime ambulatoriale, fatto salvo il possesso dei requisiti
minimi generali di cui al D.P.R. 14 gennaio 1997, devono eseguire gli
adeguamenti di cui all’art. 15 comma 6 lett. a) della
L.R. 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i., entro cinque anni
dalla data di comunicazione da parte della Commissione Tecnica Aziendale della
adeguatezza del progetto esecutivo con relativo cronoprogramma vincolante per
l’ultimazione dei lavori di adeguamento ai requisiti previsti dalla normativa
vigente».
Dopo la proposizione del ricorso, il legislatore
regionale è intervenuto nuovamente in materia di autorizzazione delle strutture
sanitarie, modificando ancora, con la legge della Regione Basilicata 30
dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di termini
legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata), il
termine concesso per l’adeguamento delle strutture.
L’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del
2017 ha infatti previsto che: «1. Le strutture sanitarie di cui all’art. 1,
comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2008, n. 25 e smi,
per le quali la competente Commissione Tecnica Aziendale esprime parere di
adeguatezza del piano di adeguamento ai requisiti previsti dalla normativa
vigente, devono ultimare i relativi lavori entro il termine di anni tre dalla
espressione del suddetto parere».
Successivamente, con la legge della Regione
Basilicata 29 gennaio 2018, n. 1 (Modifica ed integrazione all’articolo 23
della legge regionale 30 dicembre 2017, n. 39), è stato aggiunto anche un comma
2 all’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017 che così dispone: «Le
strutture sanitarie di cui al comma 1 per le quali la competente Commissione
Tecnica Aziendale alla data del 31 dicembre 2017 ha già espresso parere di
adeguatezza del piano di adeguamento ai requisiti previsti dalla normativa
vigente, devono ultimare i relativi lavori entro il termine di anni tre
decorrenti dall’entrata in vigore della presente legge».
2.1.– Questa Corte ritiene che occorra procedere
all’estensione della questione prospettata dal ricorso in riferimento all’art.
23 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, anche nei confronti del
sopravvenuto art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017, in
considerazione del fatto che la disposizione sopravvenuta «presenta una portata
precettiva paragonabile alla prima sotto il profilo della potenziale lesività
dei principi costituzionali invocati dal ricorrente» (sentenza n. 39 del
2016). Sicché il vizio lamentato con riguardo alla prima deve essere
valutato anche in riferimento alla seconda legge regionale.
2.2.– La questione, come
sopra ricostruita, è fondata.
Secondo il costante orientamento di questa Corte
(ex multis, sentenza
n. 161 del 2016), la competenza regionale in materia di autorizzazione e
vigilanza sulle istituzioni sanitarie private si inquadra nella potestà
legislativa concorrente in materia di tutela della salute, che preclude alle Regioni
di derogare ai principi fondamentali fissati dalle norme statali, quali sono
tra l’altro le norme di principio contenute negli artt. 8, comma 4, e 8-ter del
d.lgs. n. 502 del 1992 (ex multis, sentenza n. 59 del
2015). Questi ultimi stabiliscono i livelli qualitativi e i requisiti
minimi strutturali e organizzativi per ottenere l’autorizzazione all’esercizio,
il cui possesso va verificato prima dello svolgimento di qualsiasi attività.
Con la legge regionale 5 aprile 2000, n. 28
(Norme in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e
private), la Regione Basilicata, «in attuazione dell’art. 8, comma 4, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed
integrazioni, degli articoli 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica
14 gennaio 1997 e dell’art. 8-ter del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229», ha
definito i «requisiti minimi strutturali, funzionali ed organizzativi delle
strutture sanitarie pubbliche e private, il controllo e la vigilanza sulle
medesime nonché le procedure per il rilascio delle autorizzazioni alla
realizzazione, all’apertura ed all’esercizio dell’attività sanitaria» (art. 1,
comma 1), stabilendo, all’art. 15, che, per continuare a svolgere l’attività,
le strutture private già autorizzate e quelle attive che sono soggette ad
autorizzazione ai sensi della legge regionale n. 28 del 2000, debbano
presentare domanda di rinnovo dell’autorizzazione ovvero domanda introduttiva
del procedimento di autorizzazione entro dodici mesi dall’entrata in vigore
della legge.
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e
7 della legge reg. Basilicata n. 28 del 2000, la domanda di autorizzazione
all’apertura e all’esercizio di attività sanitaria deve essere indirizzata al
Presidente della Giunta regionale, che provvede ad inoltrarla alla Azienda
Sanitaria U.S.L. territorialmente competente, per l’istruttoria e il rilascio
del parere obbligatorio da parte di un’apposita commissione tecnica.
Il termine per l’adeguamento di cui al sopra
citato art. 15 è stato più volte rivisto dal legislatore regionale, fino alla
modifica apportata dalla norma impugnata e successivamente dall’art. 23 della
legge reg. Basilicata n. 39 del 2017.
Il Governo, nell’impugnare la proroga disposta
dalla legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, mira quindi a censurare la
situazione per cui le strutture sanitarie già attive e in esercizio possano
(continuare ad) erogare prestazioni sanitarie prima ancora che la verifica
circa il possesso dei requisiti minimi sia stata completata.
La censura coglie nel segno. In effetti, la
normativa regionale in esame, nel prorogare i termini per l’adeguamento,
consente a dette strutture di operare a prescindere dalla conclusione della
verifica circa l’adeguatezza della struttura stessa; pertanto, essa risulta in
contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in
relazione agli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, da
qualificarsi come principi fondamentali della materia «tutela della salute» (sentenza n. 59 del
2015), vincolanti per le Regioni, in particolare quanto alla necessità che
l’esercizio dell’attività sanitaria avvenga previa verifica del possesso dei
requisiti minimi.
2.3.– Va pertanto
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 23 della legge reg.
Basilicata n. 19 del 2017 e dell’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del
2017, quest’ultimo come modificato dall’art. 1 della legge regionale n. 1 del
2018.
3.– L’art. 26 della
legge regionale impugnata ha ad oggetto le strutture sociosanitarie di cui alla
legge della Regione Basilicata 14 febbraio 2007, n. 4 (Rete regionale integrata
dei servizi di cittadinanza sociale).
Esso prescrive: «1. A decorrere dalla data di
approvazione del provvedimento definitivo di Giunta regionale previsto
dall’art. 21, comma 1 della legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4, a tutte le
strutture sociosanitarie a ciclo residenziale e semiresidenziale si applicano
le disposizioni normative contenute nella legge regionale 5 aprile 2000, n. 28
e s.m.i. 2. Le strutture sociosanitarie di cui alla
legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4 e s.m.i. che
per effetto del comma 1 rientrano nel campo di applicazione della legge
regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. e che hanno
in corso, da almeno tre anni, convenzioni o contratti con Aziende sanitarie
locali, stipulati previa selezione con procedure di evidenza pubblica si
intendono provvisoriamente accreditate per i servizi resi in regime non
residenziale, residenziale, semiresidenziale, nelle more della regolamentazione
dell’accreditamento istituzionale. 3. Le strutture sociosanitarie di cui alla
legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4 e s.m.i. che
per effetto del comma 1 rientrano nel campo di applicazione della legge
regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. attive alla
data di entrata in vigore della presente legge, per continuare a svolgere
l’attività, devono presentare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della
presente legge, domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 15 della legge
regionale 5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. e delle
disposizioni attuative regionali corredata del piano di adeguamento. 4. Le
Aziende sanitarie locali sono autorizzate a stipulare, con le strutture di cui
al comma 2, convenzioni o contratti, anche in prosecuzione di quelli in corso,
di durata non superiore a 18 mesi. Fino alla scadenza dei predetti 18 mesi le
tariffe stabilite dai contratti in essere restano confermate. Nelle more della
regolamentazione dell’accreditamento istituzionale, sono sospese le eventuali
procedure in corso per l'affidamento dei servizi di cui al comma 2. 5. La Regione
entro 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge emana i provvedimenti
attuativi per la regolamentazione dell’accreditamento istituzionale dei servizi
e delle strutture di cui al presente articolo».
3.1.– Preliminarmente
occorre osservare che, nonostante l’art. 26 appaia integralmente impugnato
tanto nel ricorso quanto nella delibera autorizzativa del Consiglio dei
ministri del 23 settembre 2017, le censure si appuntano esclusivamente sui
commi 2, 3 e 4, primo periodo, di detto articolo. Pertanto, il ricorso deve
intendersi limitato a tali norme, sulle quali si svolgerà lo scrutinio di
costituzionalità.
3.2.– Successivamente
alla proposizione del ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei
ministri, la Regione Basilicata ha modificato le disposizioni in esame.
Infatti, l’art. 73 della legge della Regione
Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilità regionale
2018), ha abrogato il comma 2 e sostituito il primo e il secondo periodo del
comma 4 dell’art. 26 nei termini seguenti: «I contratti in essere con le
strutture sociosanitarie di cui al comma 1 stipulati con le Aziende sanitarie
locali proseguono la loro validità nelle more della regolamentazione
dell’accreditamento istituzionale».
A seguito della novella legislativa, il
Presidente del Consiglio dei ministri – dopo aver inizialmente confermato il
proprio interesse alla declaratoria di illegittimità costituzionale in ragione
dell’assenza di prove circa la mancata attuazione della norma impugnata nel
periodo di vigenza – ha da ultimo dichiarato di volere rinunciare
esclusivamente all’impugnazione dell’art. 26, comma 2, relativo
all’accreditamento ope legis
delle strutture sociosanitarie.
3.3.– Pertanto, a seguito della rinunzia
parziale al ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e tenuta
presente la mancata costituzione della parte resistente, dev’essere dichiarata,
ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, l’estinzione del processo limitatamente alla questione di
legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 26, comma 2, della legge
reg. Basilicata n. 19 del 2017 (per un caso analogo, sentenza n. 183 del
2016).
3.4.– Al contrario, non
sono state oggetto di rinuncia le questioni vertenti sul comma 3 e sul comma 4,
primo periodo, del medesimo art. 26.
3.5.– Il comma 3
prescrive che le strutture sociosanitarie già attive ed operanti devono
presentare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge censurata, domanda
di autorizzazione ai sensi dell’art. 15 della legge reg. Basilicata n. 28 del
2000 e s.m.i., per poter continuare a svolgere
l’attività sanitaria.
Ad avviso del ricorrente, detta previsione si
pone in contrasto con quanto previsto in materia di autorizzazione dall’art.
8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, a norma del quale il rilascio
dell’autorizzazione e la verifica del possesso dei requisiti minimi precede
l’esercizio delle attività sanitarie e sociosanitarie.
La questione è fondata per le medesime considerazioni
svolte in merito alle strutture sanitarie di cui al precedente art. 23 della
legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, alle quali si rinvia.
Di conseguenza, il comma 3 dell’art. 26 deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost., in riferimento all’art. 8-ter del
d.lgs. n. 502 del 1992.
3.6.– Con riguardo al
comma 4, nella parte in cui (primo periodo) autorizza le ASL a stipulare
contratti o convenzioni di durata non superiore a diciotto mesi con le
strutture sociosanitarie provvisoriamente accreditate, l’Avvocatura dello Stato
ha chiesto l’accoglimento della questione per il periodo in cui la norma ha
avuto vigenza, fino all’intervento del legislatore regionale, non risultando e
non essendo stata dedotta la sua mancata applicazione nel suddetto arco
temporale.
Come sopra rilevato, la disposizione è stata
modificata dall’art. 73, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018.
Deve, quindi, essere preliminarmente valutata l’incidenza dello ius superveniens sulla questione
in esame.
Le modifiche normative sopravvenute non possono
ritenersi idonee a determinare la cessazione della materia del contendere.
Secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimità
costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina
la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente le
seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le
norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e
occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto
applicazione medio tempore (ex plurimis, sentenza n. 171 del
2018). L’assenza di qualsiasi indicazione (non essendosi costituita la
Regione resistente) circa la mancata applicazione della norma censurata induce
a ritenere non provato tale ultimo requisito, anche in considerazione del tempo
di vigenza della norma abrogata, che è stata modificata circa un anno dopo la
sua entrata in vigore.
Pertanto, la questione deve essere esaminata nel
merito e, per ragioni analoghe a quelle già espresse al precedente punto 2.1. in riferimento all’art. 23, deve essere estesa alla nuova
disposizione, come modificata dalla legge reg. Basilicata n. 11 del 2018.
Invero, se da un lato l’intervenuta novella
legislativa ha di fatto eliminato il riferimento operato al comma 2 (abrogato)
– riferimento che consentiva alle aziende sanitarie di stipulare convenzioni o
contratti, anche in prosecuzione di quelli in corso, di durata non superiore a
18 mesi con le strutture provvisoriamente accreditate – la nuova disposizione,
nel riconoscere la perdurante «validità» (recte:
efficacia) dei contratti già stipulati con strutture sociosanitarie per le
quali non si sia concluso l’accreditamento, continua a mantenere un contenuto asseritamente lesivo, paragonabile a quello della
disposizione impugnata. La questione deve quindi, come sopra rilevato, essere
estesa al nuovo comma 4, primo periodo, dell’impugnato art. 26.
Nel merito la questione è fondata.
La norma regionale consente, nella prima
versione, la stipula di contratti con strutture provvisoriamente accreditate ope legis – per le quali si
presume, senza che sia accertato, il possesso effettivo dei requisiti per
l’accreditamento – e, nella seconda, il mantenimento della «validità» dei
contratti già stipulati con le strutture sociosanitarie «nelle more della
regolamentazione dell’accreditamento istituzionale». In entrambi i casi, le
aziende sanitare risultano abilitate a intrattenere rapporti contrattuali con
soggetti nei cui confronti non è stata portata a termine, con esito positivo,
la verifica dei requisiti previsti dalla legge nell’ambito delle procedure di
accreditamento. Così disponendo, le norme in giudizio contrastano con l’art.
8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992 – che questa Corte ha già ripetutamente
qualificato come principio fondamentale della materia della tutela della salute
(sentenza n. 132
del 2013) – il quale richiede per l’accreditamento «requisiti ulteriori»
rispetto a quelli previsti per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività
sanitaria, fissando altresì la necessaria interdipendenza tra accreditamento e
accordi contrattuali (sentenza n. 124 del
2015). Ne consegue la violazione dei limiti di competenza in materia di
tutela della salute ex art. 117, terzo comma, Cost.
3.7.– Va pertanto
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, primo periodo,
della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 nel suo testo originario e in quello
sostituito dall’art. 73, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2018.
4.– L’art. 30 della
legge reg. Basilicata n. 19 del 2017 ha ad oggetto misure di coordinamento e
razionalizzazione, finalizzate ad ottimizzare la gestione delle liste d’attesa.
4.1.– In via preliminare,
la questione va circoscritta al solo comma 2 dell’art. 30, nonostante che tale
articolo appaia integralmente impugnato nel ricorso. Il ricorso infatti, atteso
sia il contenuto della delibera governativa, sia il tenore delle censure, deve
ritenersi limitato al suddetto comma.
Il richiamato comma 2 dispone che: «Al fine di
migliorare l’integrazione tra le strutture accreditate del Servizio sanitario
regionale, ferme restanti le disposizioni di cui all’art. 4, comma 7 della
legge 30 dicembre 1991, n. 412 in materia di incompatibilità, le strutture
sanitarie private accreditate con il Servizio sanitario nazionale possono
altresì avvalersi: a) dell’opera di medici in rapporto esclusivo con il
Servizio sanitario nazionale, sempre che questa rientri nell’ambito di accordi
e/o protocolli di intesa stipulati con le Aziende del Servizio sanitario
regionale di dipendenza; b) dell’opera di medici in rapporto con altre
strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale. Dalla data
di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le norme in contrasto
con quanto disposto al presente comma».
La disposizione regionale consente quindi alle
strutture sanitarie private accreditate con il Servizio sanitario nazionale
(SSN) di avvalersi dell’opera di medici in rapporto esclusivo con il SSN.
Ad avviso del Governo, tale previsione
disattende il principio di unicità del rapporto di lavoro del personale medico
con il SSN, sancito dall’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412
(Disposizioni in materia di finanza pubblica), il quale prescrive che: «Con il
Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale
rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico
o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio
sanitario nazionale. […] L’esercizio dell’attività libero-professionale dei
medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto
unico d’impiego, purché espletato fuori dall’orario di lavoro all’interno delle
strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture
private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.»
4.2.– La questione è
fondata.
Questa Corte ha già ritenuto che, col suddetto
principio, il legislatore statale ha «inteso garantire la massima efficienza e
funzionalità operativa al servizio sanitario pubblico»; allo stesso tempo, il
legislatore ha ritenuto che «potesse spiegare effetti negativi il contemporaneo
esercizio da parte del medico dipendente di attività professionale presso
strutture convenzionate» (sentenza n. 457 del
1993).
La portata di detto principio è stata
riconosciuta anche dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, TAR Veneto,
sezione terza, sentenza 24 luglio 2017, n. 743; TAR Campania, sezione quinta,
sentenza 31 gennaio 2013, n. 685; Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze
22 giugno 2004, n. 4463, e 8 maggio 2003, n. 2430) che ne ha più volte
sottolineato il carattere oggettivo e assoluto, da cui deriva il divieto, per
il medico dipendente, di svolgere contemporaneamente l’attività professionale
presso strutture convenzionate, oggi accreditate.
La particolare natura delle istituzioni
sanitarie private convenzionate, le quali svolgono una funzione integrativa e
sussidiaria della stessa rete sanitaria pubblica, impone che il medico che già
presta la sua attività in rapporto esclusivo con il SSN non possa,
contemporaneamente, operare anche presso una struttura privata convenzionata.
Per lo stesso motivo anche l’esercizio dell’attività libero-professionale intra
moenia è consentito dal legislatore purché ciò
avvenga oltre l’orario di lavoro, all’interno o al di fuori della struttura
sanitaria, ma con l’espressa esclusione delle strutture private convenzionate
(cui l’art. 1, comma 5, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante «Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica», ha affiancato, quanto ad
incompatibilità, le strutture private accreditate).
La norma regionale impugnata, laddove prevede
che una struttura sanitaria privata accreditata possa avvalersi di medici in
rapporto esclusivo con il SSN, disattende dunque il principio di unicità del
rapporto di lavoro, in tal modo violando l’art. 117, terzo comma, Cost.
Restano assorbiti gli altri profili di censura.
5.– L’art. 33 della
legge regionale impugnata, avente ad oggetto la mobilità interregionale in
materia sanitaria, prevede che: «1. In riferimento alle prestazioni erogate in
mobilità attiva interregionale dalle strutture sanitarie accreditate e
contrattualizzate con il Servizio sanitario regionale, coerentemente con quanto
definito in sede di Conferenza delle Regioni, anche ai fini della
sottoscrizione degli accordi interregionali per la compensazione della mobilità
sanitaria, non sono computabili per il raggiungimento dei tetti di spesa le
seguenti prestazioni: a) relativamente alle attività di ricovero, i DRG di alta
complessità; b) relativamente alle attività di specialistica ambulatoriale (ex
art. 25 della legge 833/1978), le prestazioni trasferite da regime ospedaliero
a regime ambulatoriale e quelle considerabili salva-vita definite critiche dal
Piano nazionale di governo delle liste di attesa per il triennio 2010-2012
(punto 3.1 del Piano, intesa Stato-Regioni del 28 ottobre 2010)».
La disposizione in esame, nell’escludere dai
tetti di spesa alcune tipologie di prestazioni, contrasterebbe, secondo la
prospettazione del ricorrente, con i limiti della competenza legislativa
regionale disposti dall’art. 117, terzo comma, Cost., perché inosservante del
principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria disposto dall’art. 1,
comma 574, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2016)», nonché con l’art. 81, terzo comma, Cost., sotto il profilo della
mancata copertura finanziaria.
5.1.– In primo luogo,
occorre osservare che la norma è stata interamente abrogata dall’art. 45, comma
3, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018. Tuttavia, in ragione
dell’interesse manifestato dall’Avvocatura dello Stato all’accoglimento della
questione ed in assenza di una prova circa la mancata applicazione della norma
nel periodo di vigenza, non può ritenersi cessata la materia del contendere e
la questione deve essere esaminata nel merito (per un caso analogo, sentenza n. 185 del
2018).
5.2.– Ai sensi dell’art. 1, comma 574, della
legge n. 208 del 2015, le Regioni possono programmare l’acquisto di prestazioni
di assistenza ospedaliera di alta specialità, nonché di prestazioni erogate da
parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a
favore di cittadini residenti in regioni diverse da quelle di appartenenza
ricomprese negli accordi per la compensazione della mobilità interregionale, in
deroga al tetto di spesa sanitaria complessiva annua fissato dal legislatore
nazionale, purché prevedano misure alternative, volte in particolare a ridurre
le prestazioni inappropriate di bassa complessità acquistate dagli erogatori
privati accreditati o incidenti su altre aree della spesa sanitaria, così da
assicurare il rispetto degli obiettivi finanziari di riduzione della spesa, di
cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché
misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario),
convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135.
Questa Corte ha già osservato che «[l]’art. 15,
comma 14, del d.l. n. 95 del 2012 fissa un generale
obiettivo di riduzione della spesa relativa all’"acquisto
di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza
specialistica ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera” […]. Tale
disposizione, dunque, può considerarsi espressione di un principio fondamentale
in materia di "coordinamento della finanza pubblica”, poiché riguarda "non già
una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte corrente”
(ex plurimis, sentenze n. 218 e n. 153 del
2015, n. 289 del
2013, n. 69
del 2011) e lascia "ciascuna Regione […] libera di darvi attuazione […] in
modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a
quello indicato nella legge statale”» (sentenza n. 183 del
2016).
Nel caso in esame, la Regione Basilicata,
nell’escludere i DRG di alta complessità dal computo per il raggiungimento dei
tetti di spesa, non ha in effetti previsto alcuna misura alternativa di
compensazione, andando a incidere negativamente sul risultato finanziario
complessivo indicato nella legge statale.
Parimenti, la non computabilità nei tetti di
spesa delle altre prestazioni, relative all’attività di specialistica
ambulatoriale (di cui alla lettera b dell’impugnato art. 33), è passibile di
determinare oneri aggiuntivi e non coperti, sicché non è consentita dalla
legislazione nazionale.
Di conseguenza, l’art. 33 della legge reg.
Basilicata n. 19 del 2017 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo
per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per
aver previsto la non computabilità di alcune prestazioni ai fini del
raggiungimento dei tetti di spesa, senza garantire il rispetto degli obiettivi
di riduzione della spesa sanitaria, nonché dell’art. 81, terzo comma, Cost.,
per mancata copertura finanziaria.
6.– La questione
vertente sull’art. 45 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promossa in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., è manifestamente
infondata.
Con la disposizione impugnata, il legislatore
regionale ha infatti inteso esclusivamente correggere l’errore materiale
costituito dall’indebita inserzione dell’avverbio «non», dopo le parole «nel
caso di ubicazioni in un raggio», contenuto nell’art. 6 della legge della Regione
Basilicata 27 ottobre 2014, n. 30, recante «Misure per il contrasto della
diffusione del gioco d’azzardo patologico (G.A.P.)».
Prima dell’intervento censurato, la disposizione
disponeva: «l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di
ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la
distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi
di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri
istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o
semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre,
strutture ricettive per categorie protette» (corsivi aggiunti). La presenza del
secondo «non» appare priva di qualunque significato coerente con la ratio legis.
È chiaro quindi che quanto disposto
dall’impugnato art. 45 si è reso necessario al fine di assicurare l’osservanza
di una distanza minima di sicurezza dai luoghi ritenuti sensibili.
L’accoglimento della questione nei termini richiesti dal ricorrente avrebbe
invece l’effetto aberrante di vanificare la tutela che la previsione di una
zona minima di distanza intende assicurare.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce
la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse
con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale degli artt. 23, 26, commi 3 e 4, primo periodo,
nel testo originario e in quello sostituito dall’art. 73, comma 2, della legge
della Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di
stabilità regionale 2018), 30, comma 2, e 33 della legge della Regione
Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di Stabilità regionale
2017);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 23 della legge della Regione
Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39 (Disposizioni in materia di scadenza di
termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata),
come modificato dall’art. 1 della legge della Regione Basilicata 29 gennaio
2018, n. 1 (Modifica ed integrazione all’articolo 23 della legge regionale 30
dicembre 2017, n. 39);
3) dichiara
la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 45 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, promossa, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe;
4)
dichiara estinto il processo limitatamente alla questione di legittimità
costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 19 del
2017, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.,
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2018.