SENTENZA N. 160
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 4 e 6, e 13 della legge della Regione Siciliana 6 maggio 2019, n. 5 (Individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-19 luglio 2019, depositato in cancelleria il 22 luglio 2019, iscritto al n. 81 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Udita nell’udienza pubblica del 22 giugno 2021 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
udito l’avvocato dello Stato Salvatore Faraci per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2021.
1.– Con ricorso notificato il 17-19 luglio 2019, depositato il 22 luglio 2019 e iscritto al n. 81 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 8, commi 4 e 6, e 13 della legge della Regione Siciliana 6 maggio 2019, n. 5 (Individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché all’art. 14, lettera n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Statuto della Regione Siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
Con tale legge il legislatore regionale ha adeguato il proprio ordinamento alle disposizioni contenute nel d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata).
1.1.– L’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019 prevede, al comma 4, che «[i]l procedimento autorizzatorio semplificato si conclude con un provvedimento, adottato entro il termine tassativo di sessanta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell’Amministrazione procedente, che è immediatamente comunicato al richiedente», e, al comma 6, che «[t]rascorsi sessanta giorni senza che la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali abbia adottato il provvedimento richiesto si forma il silenzio assenso».
Secondo il ricorrente, tali disposizioni eccedono dalle competenze legislative primarie in materia di «tutela del paesaggio» attribuite alla Regione Siciliana dall’art. 14, lettera n), dello statuto speciale, in quanto si porrebbero in contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale rappresentate dalla disciplina contenuta nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e nel citato d.P.R. n. 31 del 2017. Questa disciplina, adottata dallo Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., fungerebbe da limite anche alla potestà legislativa primaria delle regioni a statuto speciale, richiedendo «una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un’attività pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale», salva la facoltà delle stesse regioni di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di competenze che concorrano con quella dell’ambiente.
I commi 4 e 6 dell’art. 8 contrasterebbero, in particolare, con l’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, che, richiamando espressamente gli artt. 146 e 149 del d.lgs. n. 42 del 2004 (d’ora in avanti: cod. beni culturali), non prevede alcuna ipotesi di silenzio assenso in luogo dell’autorizzazione paesaggistica, ma, al comma 9, prevede il silenzio assenso solo per il parere del soprintendente, e mantiene ferma la necessità che l’amministrazione procedente – che, ad avviso del ricorrente, «nella Regione Siciliana [...] è la Soprintendenza» – provveda formalmente al rilascio dell’autorizzazione.
Non essendo consentito al legislatore regionale adottare una disciplina difforme da quella contenuta nella «normativa nazionale di riferimento», le norme impugnate violerebbero, pertanto, gli evocati parametri costituzionali. Esse comporterebbero, infatti, una diminuzione del livello di tutela dei beni culturali e paesaggistici garantito a livello nazionale e una «significativa alterazione del principio di prevalenza gerarchica degli strumenti di tutela dei beni culturali e paesaggistici e della titolarità delle Amministrazioni di tutela a ciò preposte».
1.2.– L’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019 prevede che «l’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana può apportare con proprio decreto specificazioni e rettificazioni agli elenchi di cui agli Allegati A e B fondate su esigenze tecniche ed applicative, nonché variazioni alla documentazione richiesta ai fini dell’autorizzazione semplificata ed al correlato modello di cui all’Allegato D».
La disposizione violerebbe gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. per ragioni analoghe a quelle sopra esposte con riferimento all’impugnazione dell’art. 8, commi 4 e 6. Eccedendo, a sua volta, dalle competenze statutarie in materia di «tutela del paesaggio», anch’essa contrasterebbe con le norme di grande riforma economico-sociale contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio nonché, in particolare, nell’art. 18 del d.P.R. n. 31 del 2017, disposizione, quest’ultima, che attribuisce solo al Ministro dei beni e delle attività culturali, secondo una procedura aggravata che prevede un’intesa con la conferenza unificata, la prerogativa di apportare con decreto «specificazioni e rettificazioni» agli Allegati «A» e «B» allo stesso d.P.R. n. 31 del 2017.
La norma regionale impugnata si porrebbe, dunque, in «netto ed insanabile contrasto con lo spirito e il dettato del Codice dei Beni Culturali e con i principi costituzionali in materia di tutela del paesaggio e dell’ambiente, allentando, sino a vanificarla, per alcune tipologie di opere, la tutela dei beni culturali e paesaggistic[i] costituzionalmente garantita dall’art. 9 della Costituzione».
Sussisterebbe, altresì, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., verificandosi anche in questa ipotesi una «significativa alterazione del principio di prevalenza gerarchica degli strumenti di tutela dei beni culturali e paesaggistici e della titolarità delle Amministrazioni di tutela a ciò preposte, sanciti dal codice dei beni culturali», e un «abbassamento degli standard di tutela ambientale».
2.– La Regione Siciliana non si è costituita in giudizio.
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 8, commi 4 e 6, e 13 della legge della Regione Siciliana 6 maggio 2019, n. 5 (Individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), con la quale il legislatore regionale ha adeguato il proprio ordinamento alle disposizioni contenute nel d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata).
Le questioni sono state promosse in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché all’art. 14, lettera n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Statuto della Regione Siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
2.– L’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019 prevede, al comma 4, che «[i]l procedimento autorizzatorio semplificato si conclude con un provvedimento, adottato entro il termine tassativo di sessanta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell’Amministrazione procedente, che è immediatamente comunicato al richiedente», e, al comma 6, che, «[t]rascorsi sessanta giorni senza che la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali abbia adottato il provvedimento richiesto si forma il silenzio assenso».
Introducendo il silenzio assenso sulla domanda di autorizzazione paesaggistica, queste disposizioni contrasterebbero con la disciplina dettata dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e dal d.P.R. n. 31 del 2017, il cui art. 11, nel regolare il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per interventi e opere di lieve entità, prevede, al comma 9, che il silenzio assenso si formi solo sul parere del soprintendente, ferma restando la necessità che l’amministrazione procedente rilasci l’autorizzazione con provvedimento espresso. Trattandosi di disciplina che esprime norme qualificabili come grandi riforme economico-sociali, dettate dallo Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il legislatore regionale avrebbe ecceduto dalla competenza primaria in materia di «tutela del paesaggio», attribuita alla Regione Siciliana dal citato art. 14, lettera n), dello statuto speciale.
2.1.– Prima di esaminare il merito, va delimitato il thema decidendum.
Come visto, il ricorrente ha impugnato i commi 4 e 6 dell’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019. Il comma 4 – che fissa in sessanta giorni dal ricevimento della domanda il «termine tassativo» entro il quale deve essere adottato il provvedimento conclusivo del procedimento – è tuttavia estraneo alle censure proposte nel ricorso, che si concentrano esclusivamente sul silenzio assenso previsto dal comma 6 dello stesso articolo per il caso di inerzia del soprintendente allo spirare del predetto termine. Né tra le due norme sussiste un collegamento tale per cui l’eventuale caducazione del comma 6 dovrebbe necessariamente investire il comma 4.
Di conseguenza, l’oggetto delle questioni relative all’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019 va limitato al suo comma 6.
2.2.– Nel merito, la questione promossa in riferimento all’art. 14, lettera n), dello statuto speciale siciliano è fondata.
2.2.1.– A norma dell’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 204 del 2004 (d’ora in avanti: cod. beni culturali), un regolamento di delegificazione («da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del Ministro d’intesa con la Conferenza unificata») doveva stabilire «procedure semplificate per il rilascio dell’autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni». La previsione è stata attuata dapprima con l’adozione del d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni).
Successivamente, l’art. 12, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), convertito, con modificazioni, nella legge n. 29 luglio 2014, n. 106, ha previsto che, con un nuovo regolamento di delegificazione, venissero «dettate disposizioni modificative e integrative al regolamento di cui all’articolo 146, comma 9, quarto periodo, del Codice dei beni culturali e del paesaggio [...], al fine di ampliare e precisare le ipotesi di interventi di lieve entità, nonché allo scopo di operare ulteriori semplificazioni procedimentali, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1, e 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni». Su questa base è stato adottato il citato d.P.R. n. 31 del 2017, il cui art. 19 ha abrogato il d.P.R. n. 139 del 2010.
Il profilo del procedimento autorizzatorio semplificato che viene qui in rilievo riguarda le conseguenze della mancata espressione da parte del soprintendente del parere vincolante nei termini fissati al comma 5 dell’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017 (venti giorni dal ricevimento della proposta di accoglimento trasmessa dall’amministrazione procedente, che si identifica nella regione o nell’ente da essa delegato, ai senti dell’art. 1, comma 1, lettera c, del medesimo regolamento). Per questo caso, il comma 9 dello stesso art. 11 prevede che trovi applicazione l’istituto del silenzio assenso di cui all’art. 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), inserito dall’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».
In questo modo, l’assenso del soprintendente sulla proposta di accoglimento ricevuta dall’amministrazione procedente si forma per silentium, ma ciò non esonera quest’ultima dalla necessità di concludere il procedimento con una decisione espressa, come si desume, del resto, dall’ultima parte del citato comma 9 dell’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, secondo cui l’amministrazione procedente, una volta formatosi il silenzio assenso sul parere del soprintendente, «provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica». Ciò, in linea con il divieto stabilito all’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che esclude radicalmente l’applicazione del silenzio assenso nei rapporti verticali tra privati e pubbliche amministrazioni preposte alla tutela dei cosiddetti “interessi sensibili”, tra cui, per quanto qui rileva, quelli relativi agli atti e ai procedimenti riguardanti «il patrimonio culturale e paesaggistico».
2.2.2.– L’art. 13, comma 2, del d.P.R. n. 31 del 2017 prevede che, «[i]n ragione dell’attinenza delle disposizioni del presente decreto alla tutela del paesaggio, ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nonché della natura di grande riforma economico sociale del Codice e delle norme di semplificazione procedimentale previste in esso e nel decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 [...], le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione. Sino al predetto adeguamento trovano applicazione le disposizioni regionali vigenti».
In dichiarata attuazione di questa disposizione è stata adottata la legge reg. Siciliana n. 5 del 2019, che disciplina «gli interventi e le opere esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica» (art. 1, comma 1), e che, in effetti, all’art. 8, rubricato «Semplificazioni procedimentali», lo definisce nel dettaglio. Sennonché, il modello procedimentale in essa disegnato, per quanto all’apparenza non si discosti da quello dell’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, finisce per atteggiarsi in modo profondamente diverso da esso, una volta calato nello specifico sistema siciliano di gestione del vincolo paesaggistico.
Occorre ricordare che la Regione Siciliana gode di potestà legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio» e che, nel suo esercizio, essa ha stabilito che tutte le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato nella materia – attribuzioni trasferite alla Regione dall’art. 1 del d.P.R. 30 agosto 1975, n. 637 (Norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti) – sono esercitate dall’Assessorato regionale dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione (art. 3 della legge della Regione Siciliana 1° agosto 1977, n. 80, recante «Norme per la tutela, la valorizzazione e l’uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione siciliana»), ora denominato Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, di cui sono organi periferici le «Soprintendenze per i beni culturali ed ambientali» istituite su base provinciale (a loro volta passate alle dipendenze della Regione in base a quanto previsto dall’art. 3 del citato d.P.R. n. 637 del 1975). La stessa legislazione siciliana affida poi alle soprintendenze il rilascio o il diniego dell’autorizzazione paesaggistica (art. 46, comma 1, della legge della Regione Siciliana 28 dicembre 2004, n. 17, recante «Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2005»).
In linea con questo assetto organizzativo, la legge reg. Siciliana n. 5 del 2019 ha assegnato alla «Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali» competente per territorio (art. 8, comma 1) la definizione del procedimento semplificato, con provvedimento da adottare «entro il termine tassativo di sessanta giorni dal ricevimento della domanda» (art. 8, comma 4).
L’attribuzione del potere decisorio alla soprintendenza è evidentemente incompatibile con la previa acquisizione del suo parere, il quale resta assorbito nella decisione finale. Ne consegue che il silenzio assenso previsto dalla norma regionale impugnata assume, nel descritto sistema, una valenza del tutto diversa rispetto a quanto disciplinato all’art. 11, comma 9, del d.P.R. n. 31 del 2017: non si tratta infatti, in questo caso, di silenzio assenso endoprocedimentale, destinato a essere seguito comunque da un provvedimento conclusivo espresso dell’amministrazione procedente, ma di un silenzio assenso provvedimentale, destinato a tenere luogo dell’autorizzazione paesaggistica richiesta, secondo lo schema generale dell’art. 20 della stessa legge n. 241 del 1990.
2.2.3.– Per costante giurisprudenza di questa Corte, «la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato» (ex plurimis, sentenze n. 178 e n. 172 del 2018 e n. 103 del 2017).
Per quanto riguarda segnatamente le regioni ad autonomia speciale dotate, in base al loro statuto, di competenze a loro volta esclusive nella materia, questa Corte ha affermato in molteplici occasioni che il legislatore statale «conserva il potere, “nella materia ‘tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali’, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali (per tutte, sentenza n. 51 del 2006) […] di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, così che le norme qualificabili come ‘riforme economico-sociali’ si impongono al legislatore di queste ultime” (sentenza n. 238 del 2013)» (sentenza n. 172 del 2018, in relazione alla competenza primaria della Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio; nello stesso senso, più di recente, sentenze n. 130 del 2020, in relazione alla medesima competenza della Regione Siciliana, e n. 118 del 2019, sull’analoga competenza primaria della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste).
Per ciò che qui rileva, sono state espressamente qualificate da questa Corte come norme di grande riforma economico-sociale, idonee a vincolare anche le regioni a statuto speciale, le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la gestione dei beni soggetti a tutela, e in particolare il suo art. 146 (sentenze n. 101 del 2021, n. 172 del 2018, n. 189 del 2016 e n. 238 del 2013; nello stesso senso, in relazione alle disposizioni in materia di pianificazione di cui agli artt. 135 e 143, comma 1, lettera c, cod. beni culturali, sentenze n. 178 del 2018, n. 103 del 2017, n. 210 del 2014 e n. 308 del 2013).
Con specifico riferimento al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, questa Corte ha affermato che la legislazione regionale non può prevedere una procedura diversa da quella dettata dalla legge statale, perché alle regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, fra i quali rientra l’autorizzazione paesaggistica (sentenze n. 74 del 2021, n. 189 del 2016, n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101 del 2010 e n. 232 del 2008).
Su questo presupposto è stata dichiarata costituzionalmente illegittima una disposizione della Regione Sardegna che sottraeva all’autorizzazione paesaggistica interventi su aree vincolate «non rilevanti a fini urbanistici ed edilizi», per contrasto, tra l’altro, con il richiamato art. 146 «e con l’Allegato 1 del d.P.R. n. 139 del 2010», recante l’«elenco tassativo degli interventi di “lieve entità” assoggettati a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 189 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 101 del 2021, in relazione al contrasto con l’art. 146 cod. beni culturali di una disposizione della Regione Sardegna che ammetteva per l’intero anno solare il posizionamento sugli arenili «delle strutture di facile rimozione a scopo turistico-ricreativo» in mancanza della positiva valutazione di compatibilità paesaggistica).
Allo stesso modo sono state ritenute costituzionalmente illegittime in quanto contrastanti con la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica dettata dall’art. 146 cod. beni culturali – comprensiva delle prescrizioni sul parere del soprintendente – alcune disposizioni legislative della stessa Regione Siciliana, impugnate in riferimento a parametri costituzionali e statutari identici a quelli evocati in questa sede (sentenza n. 172 del 2018).
2.2.4.– Il ricorrente lamenta il contrasto fra la disposizione regionale impugnata e l’art. 11, comma 9, del d.P.R. n. 31 del 2017, il quale, richiamando espressamente gli artt. 146 e 149 cod. beni culturali, riferisce la formazione tramite silenzio assenso al solo parere vincolante del soprintendente, tenendo ferma la necessità di un provvedimento espresso dell’amministrazione a conclusione del procedimento.
Per quanto la citata norma regolamentare non costituisca, per la sua posizione nella gerarchia delle fonti, strumento normativo idoneo a veicolare le grandi riforme economico-sociali (sentenza n. 207 del 2012, in relazione al precedente regolamento di cui al d.P.R. n. 139 del 2010), essa costituisce senza dubbio espressione dei principi enunciati dalla legge, in particolare dagli artt. 146 e 149 cod. beni culturali, che, come visto, costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale idonee a vincolare anche la potestà legislativa regionale primaria. Ciò che viene in rilievo è, in particolare, l’esclusione del silenzio assenso per i provvedimenti in materia di tutela del paesaggio ad opera dell’art. 146 cod. beni culturali, che prevede invece, al comma 10, appositi rimedi sostitutivi nel caso di inerzia dell’amministrazione procedente. Tale esclusione si pone in linea con il principio generale stabilito all’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che vieta la formazione per silentium del provvedimento conclusivo nei procedimenti implicanti la tutela di “interessi sensibili”, come è testualmente confermato, d’altro canto, dal comma 9 dello stesso art. 146, là dove, nel prevedere che con norme regolamentari siano stabilite procedure autorizzatorie semplificate per gli interventi di lieve entità, tiene «ferme [...] le esclusioni di cui [all’articolo] 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni».
Introducendo una regola contrastante con una norma fondamentale di riforma economico-sociale della legislazione statale, la Regione Siciliana ha superato i limiti della propria competenza primaria in materia di tutela del paesaggio ai sensi dell’art. 14, lettera n), dello statuto speciale. Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019.
Le altre questioni restano assorbite.
3.– La seconda disposizione impugnata è l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019, rubricato «Specificazioni e rettificazioni». Con esso è attribuito all’«Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana» il potere di «apportare con proprio decreto specificazioni e rettificazioni agli elenchi di cui agli Allegati A e B, fondate su esigenze tecniche ed applicative, nonché variazioni alla documentazione richiesta ai fini dell’autorizzazione semplificata ed al correlato modello di cui all’Allegato D».
Gli allegati a cui si riferisce la norma (che costituiscono parte integrante della stessa legge regionale, come previsto dal suo art. 1, comma 2) riguardano, rispettivamente: l’elenco degli «[i]nterventi ed opere in aree vincolate esclusi dall’autorizzazione paesaggistica» (allegato «A»); l’elenco degli «interventi di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato» (allegato «B»); il modello di «[r]elazione paesaggistica semplificata», che deve accompagnare l’istanza di autorizzazione di cui all’allegato «C» (allegato «D»). Essi coincidono, nella loro articolazione e nei loro contenuti, con i corrispondenti allegati «A», «B» e «D» del d.P.R. n. 31 del 2017, che, all’art. 18, attribuisce al Ministro dei beni e delle attivita` culturali e del turismo (ora Ministro della cultura) il potere, da esercitare «previa intesa con la conferenza unificata», di specificarli e rettificarli, nonché di prevedere variazioni alla documentazione richiesta.
Secondo il ricorrente, anche l’attribuzione all’Assessore regionale del potere assegnato dalla legge statale al Ministro eccederebbe dalle competenze statutarie della Regione in materia di «tutela del paesaggio» e violerebbe gli stessi parametri evocati nel censurare l’art. 8, comma 6.
3.1.– Le questioni non sono fondate.
Con la disposizione impugnata la Regione Siciliana, nel legittimo esercizio della sua potestà legislativa in materia di «tutela del paesaggio», si è limitata a indicare l’organo chiamato a esprimere il previsto potere di specificazione e rettificazione. E ciò ha fatto in conformità con il proprio assetto organizzativo nella stessa materia, secondo cui – come già ricordato (al punto 2.2.2.) – le competenze degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di beni culturali ed ambientali sono esercitate dall’Assessore regionale dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione (art. 3 della legge reg. Siciliana n. 80 del 1977), ora Assessore regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana.
Se, invero, i caratteri dei provvedimenti autorizzativi, lo svolgimento del relativo procedimento e gli stessi contenuti e criteri del potere da esercitare sono definiti in modo vincolante, anche per la Regione Siciliana, dalla citata normativa statale, che presenta per tali aspetti natura di norma fondamentale di riforma economico-sociale, lo stesso non si può dire per quanto attiene all’individuazione dell’organo competente a esercitare l’indicato potere, la quale rientra, in assenza di limiti specifici, nelle scelte proprie della potestà esclusiva regionale. Così come non è mai stato in discussione che competente al rilascio dei provvedimenti autorizzativi è il soprintendente, quale organo periferico regionale, si deve ritenere che, alla stessa maniera e nell’esercizio delle stesse attribuzioni normative, legittimamente la Regione abbia affidato all’Assessore regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana l’attività, riservata dalla legislazione statale al Ministro della cultura, consistente nell’apportare specificazioni e rettificazioni agli allegati della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019, sulla base di «esigenze tecniche ed applicative» – la cui esistenza potrà essere comunque vagliata nella competente sede giurisdizionale – che l’Assessore stesso è chiamato a riscontrare nel puntuale rispetto dei vincoli sostanziali della stessa normativa statale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 6, della legge della Regione Siciliana 6 maggio 2019, n. 5 (Individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata);
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché all’art. 14, lettera n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Statuto della Regione Siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2021.