SENTENZA N. 119
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2021, n. 14 (Misure urgenti a sostegno del sistema economico ed altri interventi per la modifica dell’ordinamento regionale. Modifiche alle leggi regionali n. 2 del 1998, n. 40 del 2002, n. 2 del 2019, n. 9 del 2021 e n. 11 del 2021), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19 dicembre 2021, depositato in cancelleria il 20 dicembre 2021, iscritto al n. 68 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
udito nell’udienza pubblica del 6 aprile 2022 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
uditi l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna;
deliberato nella camera di consiglio del 6 aprile 2022.
Ritenuto in fatto
1.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso indicato in epigrafe ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2021, n. 14 (Misure urgenti a sostegno del sistema economico ed altri interventi per la modifica dell’ordinamento regionale. Modifiche alle leggi regionali n. 2 del 1998, n. 40 del 2002, n. 2 del 2019, n. 9 del 2021 e n. 11 del 2021), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione, in relazione all’art. 149-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
1.1.‒ A parere del ricorrente, l’articolo impugnato «con gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale nell’esercizio delle competenze esclusiv[e]» di cui alle disposizioni costituzionali evocate a parametro.
La normativa regionale impugnata prevede, al comma 1, che, «[a]l fine di consentire il rispetto delle tempistiche per la realizzazione degli interventi del servizio idrico integrato previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), gli affidamenti del servizio in essere, conformi alla vigente legislazione, la cui scadenza sia antecedente alla data del 31 dicembre 2027, sono allineati a detta data». Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale previsione – «pur al fine, condivisibile, di garantire il rispetto della tempistica di realizzazione degli interventi previsti nel PNRR» – introdurrebbe un «sostanziale meccanismo di proroga degli affidamenti del Servizio Idrico Integrato in essere», così violando l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, il cui comma 1, primo periodo, dispone che «[l]’ente di governo dell’ambito, nel rispetto del piano d’ambito di cui all’articolo 149 e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, delibera la forma di gestione fra quelle previste dall’ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all’affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica».
La disposizione regionale, pertanto, determinerebbe una invasione di competenze esclusive statali, che conferiscono all’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale «il compito di effettuare la pianificazione d’ambito e di affidare il servizio sulla base delle regole del diritto dell’Unione europea».
1.2.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri, offrendo «una lettura costituzionalmente orientata del contesto normativo dianzi rassegnato», rileva, altresì, che la normativa statale sarebbe ascrivibile alla «tutela della concorrenza»: ciò, in ragione di un indirizzo costante della giurisprudenza costituzionale, che ricondurrebbe alla competenza esclusiva statale tanto la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato, quanto le forme di gestione e le modalità di affidamento al soggetto gestore, riconoscendo pertanto che spetta allo Stato «la disciplina del regime dei servizi pubblici locali, vuoi per i profili che incidono in maniera diretta sul mercato, vuoi per quelli connessi alla gestione unitaria del servizio» (è richiamata la sentenza n. 173 del 2017).
In particolare, questa Corte avrebbe già chiarito che la disciplina diretta al superamento della frammentazione verticale della gestione delle risorse idriche, con l’assegnazione a un’unica Autorità preposta all’ambito delle funzioni di organizzazione, affidamento e controllo della gestione del servizio idrico integrato, afferisce alla «tutela della concorrenza», poiché «diretta ad assicurare la concorrenzialità nel conferimento della gestione e nella disciplina dei requisiti soggettivi del gestore, allo scopo di assicurare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del servizio» (è citata la sentenza n. 93 del 2017, le cui conclusioni sarebbero state ribadite dalla sentenza n. 16 del 2020). Nel settore idrico, pertanto, le Regioni potrebbero soltanto «dettare norme che tutelino più intensamente la concorrenza rispetto a quelle poste dallo Stato».
2.‒ Con atto depositato il 27 gennaio 2022, la Regione Emilia-Romagna si è costituita in giudizio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque non fondato.
2.1.‒ La difesa della resistente premette che nella Regione Emilia-Romagna, alla luce del quadro normativo statale e regionale, le Agenzie d’ambito ivi operanti hanno determinato la durata delle concessioni del servizio idrico integrato in ventiquattro anni. L’individuazione di questo termine, di molto inferiore, quanto alla durata, ad altre analoghe concessioni nel contesto nazionale, farebbe sì che la Regione «si trovi ad affrontare nei prossimi immediati anni un grande numero di scadenze, proprio nella fase in cui lo sforzo massimo dovrà essere impegnato negli interventi specificamente previsti per il servizio idrico integrato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per la sicurezza e l’efficientamento delle reti idriche (dalla Misura M2C4 per un importo su scala nazionale, di 4,38 miliardi di euro)». È per dare certezza e operatività alle gestioni, pertanto, che il legislatore regionale sarebbe intervenuto unificando la scadenza degli affidamenti in essere al 2027, salvo non fossero già in corso procedure di gara per il nuovo affidamento del servizio, queste ultime «potendosi concludere in tempi non incompatibili con gli investimenti finanziati dal PNRR». Conseguentemente, il prolungamento della gestione al 2027 riguarderebbe le sole concessioni che hanno scadenze che maturano nel periodo di durata del PNRR, «a fronte di concessioni del servizio la cui durata massima è, in base alle norme statali, trentennale».
La Regione Emilia-Romagna rileva, inoltre, da un lato, che lo stesso ricorrente, nell’atto introduttivo, ha riconosciuto essere condivisibile lo scopo della norma impugnata e, dall’altro, che l’art. 16-bis del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose», convertito, con modificazioni, nella legge 29 dicembre 2021, n. 233, ha provveduto alla proroga dell’affidamento del servizio idrico nella Regione Puglia per consentire l’utilizzo dei fondi messi a disposizione dal PNRR.
2.2.‒ Tutto ciò premesso, la difesa della resistente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per la sua genericità e insufficiente motivazione.
2.3.‒ Nel merito, il ricorso sarebbe ad ogni modo non fondato.
La normativa censurata, funzionale a rendere possibili gli interventi di efficientamento della rete idrica previsti dal PNRR, sarebbe infatti correlata alla finalità di tutela ambientale, visto che «agevola la conservazione delle risorse idriche e il loro uso efficiente e non dispersivo».
Essa, inoltre, non sarebbe neppure lesiva della concorrenza, in quanto non determinerebbe alcuna significativa esclusione di nuovi operatori dal settore, trattandosi di un intervento giustificato dal perseguimento di un interesse generale e, comunque sia, rispondente ai principi di adeguatezza e proporzionalità, tanto più se si considera che l’art. 1, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108, ha previsto che «assume preminente valore l’interesse nazionale alla sollecita e puntuale realizzazione degli interventi» inclusi nel PNRR.
In Emilia-Romagna, del resto, gli affidamenti in corso del servizio idrico integrato avrebbero una durata media di ventiquattro anni, inferiore al termine massimo trentennale posto dalla legislazione statale, e la proroga disposta dalla normativa impugnata determinerebbe un limitato allungamento degli affidamenti, i quali tutti non oltrepasserebbero la durata massima prevista dalla legge statale: nemmeno sotto questo profilo, pertanto, si potrebbe sostenere che la disciplina regionale contrasti con i limiti posti dal legislatore statale a tutela della concorrenza.
La difesa della resistente, infine, rileva che le concessioni attive in Emilia-Romagna scadranno tutte, tranne una, nel 2025, mentre nel resto del territorio nazionale scadranno a partire dal 2025: il che porrebbe la Regione «in particolare difficoltà con gli interventi previsti dal PNRR, perché essa si troverebbe a bandire e dovere gestire le procedure di gara relative […] a ben dodici concessioni proprio nello stesso periodo in cui sono previsti gli interventi finanziati dal Piano, là dove, nella massima parte delle altre realtà regionali, questo problema non si pone, in quanto le concessioni vanno a scadenza successivamente al PNRR».
3.‒ In data 25 gennaio 2022, l’Associazione acqua bene comune ONLUS ha depositato, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, una opinione scritta in qualità di amicus curiae, ammessa con decreto del Presidente di questa Corte del 1° marzo 2022, nella quale si sostiene l’illegittimità costituzionale della disciplina regionale impugnata.
4.‒ In prossimità dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, reputando manifestamente infondata l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla Regione Emilia-Romagna.
4.1.‒ Nel merito, il ricorrente ha osservato che la normativa impugnata, disponendo la proroga automatica ex lege di alcuni affidamenti del servizio idrico integrato in essere nel territorio regionale, contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. perché: a) interviene in una materia di competenza esclusiva statale; b) individua direttamente, per mezzo della proroga, il soggetto gestore del servizio idrico integrato, esercitando una funzione amministrativa che la norma interposta riserva all’ente di governo dell’ambito; c) produce «un effetto restrittivo sull’assetto competitivo del mercato di riferimento».
In particolare, la normativa statale richiamata a integrazione del parametro costituzionale attribuirebbe all’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale «tutte le determinazioni inerenti [al]la gestione degli affidamenti, ivi comprese, dunque, le eventuali proroghe», in tal modo ponendo in essere una vera e propria riserva di amministrazione, violata dal legislatore regionale.
4.2.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, ribadisce che l’art. 16 della legge regionale impugnata violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’aspetto gestionale del servizio sarebbe riconducibile anche alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», poiché l’allocazione in capo all’Autorità d’ambito delle competenze sulla gestione sarebbe volta a razionalizzare le risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della biosfera.
5.‒ Anche la Regione Emilia-Romagna, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato una memoria, insistendo per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per la sua non fondatezza.
5.1.‒ La difesa della resistente ha osservato, innanzitutto, che il PNRR dedica ampio spazio (e misure economiche) alla necessità di promuovere «la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo e il miglioramento della qualità ambientale delle acque interne e marittime». In questo contesto, tutti i gestori del servizio idrico integrato a livello regionale starebbero già operando per dare seguito agli investimenti previsti dal PNRR, sicché sarebbe evidente che «non è il momento migliore per un cambio di gestione in itinere».
Con la normativa impugnata, ad ogni modo, il legislatore regionale non avrebbe individuato l’affidatario né la forma di gestione, ma avrebbe soltanto preso «atto di una circostanza eccezionale quale l’attuazione del PNRR nei tempi vincolati e ristretti previsti, che verrebbero sicuramente compromessi dagli adempimenti necessari alle procedure di gara e il connesso cambio di gestione».
Sarebbe apodittica, inoltre, l’affermazione del ricorrente secondo cui la normativa censurata determinerebbe un effetto restrittivo sulla concorrenza, poiché si sarebbe soltanto determinato un «mantenimento temporaneo di un assetto legittimamente acquisito, all’interno di una durata che rimane – circostanza non contestata – all’interno della durata normale di quel tipo di concessioni, per una ragione cogente di pubblica necessità, che lo Stato non solo non contesta ma nella sostanza condivide».
5.2.‒ La difesa regionale rileva, poi, che, con gli argomenti sulla presunta riserva di amministrazione prevista dall’art. 149-bis cod. ambiente, il ricorrente avrebbe svolto una censura del tutto nuova, in quanto tale inammissibile. Essa, comunque sia, sarebbe parimenti infondata, perché le funzioni dell’ente di governo «non sarebbero menomate da una norma che determini ex ante la durata delle concessioni del SII o che la rimoduli in corso di concessione».
Tardive e irrituali sarebbero anche le censure, del pari svolte nella memoria, in relazione all’invasione della materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema». Esse, peraltro, sarebbero ad ogni modo infondate, poiché la proroga disposta dal legislatore regionale risponderebbe «alla necessità di intercettare i finanziamenti del PNRR per l’efficientamento della rete idrica e dunque tutel[erebbe] esattamente quelle stesse esigenze di gestione ottimale, efficiente, efficace e compatibile con l’uso razionale della risorsa idrica» prospettate, in relazione all’obiettivo di tutelare l’ambiente, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 16 della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2021, n. 14 (Misure urgenti a sostegno del sistema economico ed altri interventi per la modifica dell’ordinamento regionale. Modifiche alle leggi regionali n. 2 del 1998, n. 40 del 2002, n. 2 del 2019, n. 9 del 2021 e n. 11 del 2021), deducendo la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione, in relazione all’art. 149-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Secondo il ricorrente, la disciplina regionale impugnata introdurrebbe un «sostanziale meccanismo di proroga degli affidamenti del Servizio Idrico Integrato in essere», così invadendo le competenze esclusive statali in materia di «tutela dell’ambiente» e «tutela della concorrenza», perché in violazione di quanto disposto dalla richiamata norma statale.
2.‒ La Regione Emilia-Romagna, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per plurime ragioni.
2.1.‒ La difesa regionale, innanzitutto, rileva che – se è vero che, secondo la giurisprudenza costituzionale, è riservata al legislatore statale, in quanto espressione di competenze esclusive in materia di «tutela della concorrenza» e di «tutela dell’ambiente», la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato e delle modalità di affidamento – l’articolo impugnato «non disciplina né questioni tariffarie né le modalità di affidamento del servizio», sicché il richiamo all’art. 149-bis cod. ambiente, relativo invece alla competenza dell’ente gestore, sarebbe del tutto inconferente rispetto alla fattispecie in esame, senza, peraltro, che nel ricorso si spieghi quale collegamento vi sia tra norma oggetto e norma parametro.
L’atto introduttivo del giudizio si esaurirebbe, pertanto, «nell’enunciazione di astratti criteri di riparto, peraltro relativi ad ambiti diversi da quelli nei quali la disposizione impugnata interviene, senza alcun tentativo di istituire una connessione specifica tra tali ambiti e il disposto della norma regionale».
2.2.‒ La Regione Emilia-Romagna ritiene, poi, «priva di ogni motivazione, al punto da risultare non comprensibile» la censura relativa all’invasione della competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Il ricorrente, infatti, si sarebbe limitato a richiamare l’art. 149-bis cod. ambiente, che attribuisce all’ente di governo la competenza in materia di tariffa per il servizio idrico integrato e di scelta delle modalità di affidamento, mentre la norma impugnata incide «sulla durata degli affidamenti, peraltro senza che il suo intervento superi i limiti di durata massima determinati dalla legge statale (con altra disposizione del codice dell’ambiente, nemmeno menzionata dal ricorrente) in trent’anni».
2.3.‒ Inadeguatamente motivata, infine, sarebbe anche la censura in riferimento all’invasione della competenza statale nella materia «tutela della concorrenza».
Non sarebbe sufficiente a costituire svolgimento della censura il richiamo dell’art. 149-bis cod. ambiente, «in quanto la norma interposta nulla dice sulla durata degli affidamenti, che è regolata in una diversa disposizione del codice, peraltro ignorata dal ricorso (l’art. 151, comma 2, lett. b)».
Il ricorrente, inoltre, non avrebbe indicato le ragioni per le quali una contenuta proroga degli affidamenti in atto, che sarebbe oggettivamente giustificata dalla necessità di garantire gli interventi del PNRR, leda la concorrenza. Ciò, peraltro, sarebbe stato tanto più necessario in considerazione del fatto che le direttive dell’Unione europea in materia di appalti e concessioni avrebbero escluso espressamente le concessioni nel settore idrico dal proprio campo di applicazione (è richiamata la direttiva 2014/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione) e nella stessa direzione si sarebbe mosso il legislatore nazionale con l’art. 12 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).
3.‒ L’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa regionale sotto vari profili, è fondata.
3.1.‒ Questa Corte ha da tempo affermato che «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini ancora più rigorosi nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (tra le tante, sentenza n. 219 del 2021). Il ricorrente, pertanto, «ha non solo l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione, ma anche quello di allegare, a sostegno delle questioni proposte, una motivazione non meramente assertiva. Il ricorso deve cioè contenere l’indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati e una, sia pur sintetica, argomentazione a supporto delle censure» (così, di recente, sentenza n. 95 del 2021).
3.2.‒ Con l’atto introduttivo del presente giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri non ha assolto all’onere argomentativo di chiarire il meccanismo attraverso il quale la disciplina dettata dal legislatore regionale si pone in contrasto con le norme evocate a parametro e, in particolare, con l’art. 149-bis cod. ambiente (in termini, di recente, sentenze n. 161 del 2020 e n. 232 del 2019).
Il ricorso in via principale, infatti, non può, come nel caso di specie, «limitarsi a indicare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma deve contenere […] anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità» (sentenza n. 286 del 2019), poiché altrimenti la censura si presenta meramente assertiva, «in quanto non espone alcun argomento di merito che specifichi il contrasto ravvisabile con la disposizione regionale impugnata» (sentenza n. 144 del 2020).
Né l’onere di motivare adeguatamente le questioni di legittimità costituzionale può considerarsi soddisfatto dalla mera evocazione, ad opera del ricorrente, della giurisprudenza costituzionale che ha ascritto l’art. 149-bis cod. ambiente alla «tutela della concorrenza». Questa Corte, infatti, è giunta a detta conclusione sulla base della circostanza che a tale titolo di competenza devono essere ricondotte la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato, le forme di gestione e le modalità di affidamento al soggetto gestore. Il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe, quindi, dovuto esporre le ragioni per le quali la normativa regionale impugnata – che incide sulla durata di alcuni degli affidamenti in essere del servizio idrico integrato – sarebbe ascrivibile a quei medesimi ambiti materiali di potestà legislativa esclusiva statale, regolati in tutto o in parte dal richiamato art. 149-bis cod. ambiente. Ciò, d’altra parte, sarebbe stato tanto più necessario in considerazione della circostanza, espressamente rilevata dalla difesa regionale, per cui della durata degli affidamenti del servizio idrico integrato si occupa altra disposizione dettata dal legislatore statale – l’art. 151, comma 2, lettera b), cod. ambiente – che, però, non è stata richiamata dal ricorrente.
Priva di motivazione, inoltre, è la questione di legittimità costituzionale promossa per violazione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in quanto il ricorrente si è limitato a dare conto del contenuto normativo della disciplina regionale e di quella statale, senza però illustrare le relative ragioni di contrasto e, sotto questo profilo, senza neppure evocare giurisprudenza costituzionale sul punto.
3.3.‒ Le segnalate lacune dell’atto introduttivo del giudizio non possono considerarsi sanate dagli argomenti spesi dal Presidente del Consiglio dei ministri nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, oltre che nel corso della discussione orale. Questa Corte, infatti, ha reiteratamente affermato che, con la detta memoria, è possibile «soltanto prospettare argomenti a sostegno delle questioni così come sollevate nel ricorso, non anche svolgere deduzioni dirette, come nella specie, ad ampliare il thema decidendum fissato con tale ultimo atto» (sentenza n. 261 del 2017).
Nel caso di specie, il Presidente del Consiglio dei ministri – lamentando che la normativa regionale si porrebbe in contrasto con il più volte richiamato art. 149-bis cod. ambiente, perché le eventuali proroghe dovrebbero essere concesse dall’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale, sussistendo in proposito una vera e propria riserva di amministrazione – propone, invero, una nuova e diversa questione di legittimità costituzionale, inammissibile sia perché tardiva, in quanto prospettata dopo l’esaurimento del termine perentorio per impugnare, sia perché si traduce in una sostanziale mutatio della censura originariamente proposta (sentenza n. 154 del 2017).
Parimenti tardive, e quindi inammissibili, sono le deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri relative alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con le quali si afferma che l’allocazione in capo all’autorità d’ambito delle competenze sulla gestione, disposta dall’art. 149-bis cod. ambiente, sarebbe volta a razionalizzare le risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della biosfera. In tal modo, infatti, il ricorrente, per la prima volta, espone le ragioni della riconducibilità dell’art. 149-bis anche alla materia «tutela dell’ambiente», oltre che della sua presunta violazione ad opera della normativa regionale impugnata: illustrazione che, come si è detto, è del tutto assente nell’atto introduttivo del giudizio.
3.4.‒ Le promosse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge reg. Emilia-Romagna n. 14 del 2021 vanno dunque dichiarate inammissibili.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2021, n. 14 (Misure urgenti a sostegno del sistema economico ed altri interventi per la modifica dell’ordinamento regionale. Modifiche alle leggi regionali n. 2 del 1998, n. 40 del 2002, n. 2 del 2019, n. 9 del 2021 e n. 11 del 2021), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione, in relazione all’art. 149-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2022.