Sentenza n. 345/97

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SENTENZA N.345

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 1996, n. 23 (Impianti pubblici o di pubblico interesse), promosso con ordinanza emessa il 12 agosto 1996 dal Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici dell’Abruzzo nella causa demaniale vertente tra il Comune di Roccaraso e l’ENEL ed altra iscritta al n. 1190 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale dell’anno 1996.

Visto l’atto di costituzione dell’E.N.E.L.;

udito nell’udienza pubblica del 3 giugno 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

udito l’avvocato Francesco Canfora per l’E.N.E.L.

Ritenuto in fatto

 

1. Nel corso di un procedimento, iniziato in seguito a un verbale di sopralluogo del funzionario dell’unità operativa usi civici e a un rapporto del Corpo forestale dello Stato, diretto a dichiarare la natura demaniale civica di alcuni terreni occupati dall’ENEL s.p.a. e dalla TELECOM Italia, quale avente causa della SIP s.p.a., per la realizzazione di impianti che comportano l’assoggettamento di detti terreni a servitù di linee aeree, eseguiti senza l’autorizzazione, ora di competenza regionale, prescritta dall’art. 12 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Sul riordinamento degli usi civici del Regno), ai fini del mutamento di destinazione, il Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici dell’Abruzzo ha sollevato d’ufficio, in relazione agli artt. 3, 9, 24, 32, 42, 117 e 118 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 1996, n. 23 (Impianti pubblici e di pubblico interesse).

Premette il rimettente che l’art. 12 della legge fondamentale in materia di usi civici, n. 1766 del 1927, stabilisce che i Comuni e le associazioni non potranno alienare o mutare la destinazione dei beni gravati da tali usi senza l’autorizzazione delle Regioni, e ciò per effetto dei d.P.R. n. 11 del 1972 e n. 616 del 1977. La Regione Abruzzo ha invero disposto, all’art. 6, comma 7, della legge 3 marzo 1988, n. 25 (Norme in materia di usi civici e gestione delle risorse civiche), che i mutamenti di destinazione possono essere autorizzati, oltre che nell’ambito delle finalità agroforestali richiamate dall’art. 41 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno), anche per finalità pubbliche o di interesse pubblico, tenendo conto delle previsioni dei piani paesistici o di assetto del territorio. La successiva legge regionale n. 23 del 1996 ha statuito, al comma 1 dell’articolo unico, che la realizzazione delle reti e dei relativi accessori di impianti pubblici, o di pubblico interesse, destinati al trasporto energetico e delle telecomunicazioni, si configurano come opere di urbanizzazione che non necessitano di conformità urbanistica, risultando soggetti a semplice autorizzazione da parte delle amministrazioni comunali. Al comma 3 ha poi previsto che, nei casi in cui opere o impianti e relativi accessori insistono su terreni di natura civica, il provvedimento autorizzatorio del sindaco determina l’immediata utilizzabilità dei suoli, venendosi così a concretare, in forma diversa, il diritto di godimento a favore della collettività utente e proprietaria dei beni.

Il Commissario osserva che l’abolizione dell’autorizzazione regionale, relativa agli impianti pubblici da realizzarsi su terreni gravati da usi civici, contrasta con il principio di ragionevolezza, poichè il sindaco non potrebbe mutare la destinazione di tali terreni, essendo il Comune soltanto l’amministratore, e non il proprietario, dei beni demaniali civici, che apparterrebbero invece alle collettività. Sì che vi sarebbe, innanzitutto, illogicità per il contrasto fra la legge regionale censurata, e gli artt. 9, 11 e 12 della menzionata legge n. 1766 del 1927, l’art. 41 del regolamento di esecuzione di essa, approvato con regio decreto n. 332 del 1928, e l’art. 6 della legge regionale n. 25 del 1988, giacchè tutte queste norme inibiscono di vendere beni civici, o di mutarne la destinazione, senza una precedente loro assegnazione a categoria e la successiva autorizzazione regionale. L’art. 41 consentirebbe, in particolare, la diversa destinazione solo quando "rappresenti un reale beneficio per la generalità degli abitanti", mentre la collocazione degli impianti produrrebbe inquinamento, con danno alla salute dei cittadini; di qui, la lesione dell’art. 32 della Costituzione.

Tali impianti deturperebbero altresì l’ambiente e il paesaggio, con violazione dell’art. 9 della Costituzione. Violati sarebbero, poi, gli artt. 117 e 118 della Costituzione per il mancato rispetto dei principi contenuti nella legge statale n. 1766 del 1927 e nell’art. 75 del regolamento di esecuzione, già citato, in base al quale la Regione avrebbe dovuto sentire le collettività interessate; violato sarebbe pure l’art. 78 del codice di procedura civile, essendosi determinato un conflitto di interessi fra il rappresentante e i rappresentati, vale a dire fra il Comune e la collettività, onde si sarebbe dovuto procedere alla nomina di un curatore speciale.

La legge contrasterebbe, infine, con l’art. 24 della Costituzione, essendo stata privata la collettività del diritto di difendere il proprio demanio civico, del quale sarebbe stata "espropriata", con conseguente lesione dell’art. 42, e - in violazione anche dell’art. 17 della legge regionale n. 83 del 1988 - senza indennizzo, com’é regola generale per la proprietà privata.

La questione sarebbe rilevante, perchè - qualora dovesse ritenersi costituzionalmente legittima la legge n. 23 del 1996 e il sindaco del Comune di Roccaraso rilasciasse l’autorizzazione ivi prevista - il procedimento in corso dovrebbe definirsi con la declaratoria di non doversi procedere, comportando la predetta autorizzazione sindacale l’automatico mutamento di destinazione dei fondi occupati dagli enti interessati.

2. L’ENEL s.p.a., costituendosi, ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per l’infondatezza (anche manifesta) della questione.

Nel procedimento difetterebbe, infatti, il requisito del "giudizio", poichè quello innanzi al Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici non avrebbe le caratteristiche della controversia affidata alle soluzioni di un giudice, ma quelle del procedimento amministrativo in vista della eventuale emanazione d’un provvedimento in grado di impedire il mutamento di destinazione di terreni civici. Nè sussisterebbe adeguata motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo, non risultando con chiarezza quali (e in che misura) siano compromessi gli usi civici dal mutamento di destinazione, atteso che gli impianti sarebbero costituiti, in gran parte, di reti aeree.

Nel merito, la questione sarebbe infondata sotto tutti i profili.

Innanzitutto, sotto quello della ragionevolezza per il contrasto addotto fra la disposizione censurata e altre elevate a norme interposte. Si tratterebbe d’una prospettiva errata, non soltanto perchè una delle disposizioni invocate (l’art. 41 del regio decreto n. 332 del 1928) ha natura regolamentare, ma perchè la legge regionale, in base al principio della successione delle leggi nel tempo, ha il potere di dettare la disciplina di settore, modificando o derogando la precedente legislazione.

In secondo luogo, sarebbe erroneo il presupposto interpretativo: l’asserito mutamento di destinazione dei terreni civici che, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 1766 del 1927 (o per effetto dei d.P.R. n. 11 del 1972 e n. 616 del 1977), spettava alle Regioni e ora, in base alla legge della Regione Abruzzo in esame, n. 23 del 1996, sarebbe di competenza del sindaco dei comuni interessati. Siffatta autorizzazione non avrebbe il significato di consentire il mutamento della destinazione d’uso, ma solo di prendere atto, con provvedimento diverso dalla concessione, che all’originaria utilità civica si sono aggiunte, a vantaggio delle collettività locali, nuove utilità (i servizi elettrici e telefonici) senza compromettere quelle originarie. In ogni caso sarebbe conforme all’art. 118 della Costituzione la delega di tale potere ai comuni; nè sarebbe necessario, per il mutamento di destinazione, la preventiva "assegnazione a categoria" disciplinata dall’art. 14 della legge n. 1766 del 1927. Le sentenze della Corte costituzionale nn. 391 del 1989 e 221 del 1992 hanno attribuito a quell’atto la natura di accertamento dichiarativo, la cui mancanza produrrebbe "soltanto un vizio formale dell’autorizzazione ad alienare". Detta assegnazione non avrebbe comunque alcuna incidenza: nella specie, non si verserebbe infatti nella ipotesi della alienazione, ma in quella, diversa, del mutamento di destinazione dell’uso.

Non vi sarebbe violazione del diritto alla salute, di cui all’art. 32, non tanto perchè esso non riguarderebbe gli usi civici quanto perchè i gestori degli impianti sono tenuti al rispetto di tutte le disposizioni vigenti in materia e, quindi, sottoposti ai controlli di legge. Non sarebbe lesa, altresì, la tutela paesistica assicurata dall’art. 9, essendo irrilevante l’ente deputato al rilascio dell’autorizzazione; nè lo sarebbe quella della proprietà privata, di cui all’art. 42, poichè la costituzione senza indennizzo delle servitù di linee aeree sui beni d’uso pubblico non si risolve in un depauperamento, ma anzi in un ulteriore conferimento di utilità.

Non sarebbero, infine, violati gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in riferimento all’ art. 75 del regolamento di esecuzione n. 332 del 1928 (per la mancata audizione delle popolazioni interessate) e all’art. 78 del codice di procedura civile (per il conflitto di interessi fra comuni e utenti), sia perchè la norma regolamentare non potrebbe limitare il legislatore regionale, sia perchè l’accresciuta utilità a beneficio della comunità locale farebbe venir meno ogni ipotesi di conflitto.

Infondata sarebbe, poi, la pretesa lesione dell’art. 24 della Costituzione.

3. In prossimità dell’udienza pubblica la parte privata ha depositato memoria, con cui si approfondiscono i profili d’inammissibilità e le ragioni dell’infondatezza.

Considerato in diritto

 

1. Il Commissario per il riordinamento degli usi civici della Regione Abruzzo solleva, in riferimento agli artt. 3, 9, 24, 32, 42, 117 e 118 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 1996, n. 23 (Impianti pubblici o di pubblico interesse), ove si stabilisce, al comma 1 dell’articolo unico, che gli impianti a rete pubblici o di pubblico interesse "si configurano come opere di urbanizzazione e pertanto non necessitano di conformità urbanistica e non sono soggette a concessione edilizia, ma a semplice autorizzazione da parte delle amministrazioni comunali", e si prevede, al comma 3, che - nei casi in cui le predette opere o impianti e relativi accessori debbano insistere su terreni di natura civica - il provvedimento autorizzatorio del sindaco "determina l’immediata utilizzabilità dei suoli, concretando ... una diversa esplicazione del diritto collettivo di godimento a favore della collettività utente e proprietaria dei beni, non ricorrendo la fattispecie di cui agli artt. 12 della legge n. 1766 del 1927; 41 del regio decreto n. 332 del 1928; 6 della legge regionale n. 25 del 1988".

Tale legge lederebbe i parametri costituzionali di seguito indicati:

- l’art. 3, sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto attribuisce al sindaco poteri che non gli spettano e si pone in contrasto con gli artt. 9, 11 e 12 della legge n. 1766 del 1927, 41 del regio decreto n. 332 del 1928, contenente il regolamento di esecuzione, e 6 della legge della Regione Abruzzo n. 25 del 1988 che con le norme statali richiamate forma sistema. E ciò perchè le suddette disposizioni richiedono, tutte, che qualsiasi alienazione o mutamento di destinazione di suoli appartenenti al demanio civico siano preceduti dall’"assegnazione a categoria" e dalla successiva "autorizzazione regionale" sempre che ricorra un "reale beneficio per la collettività", secondo quanto statuito espressamente dalla normativa statale di principio, volta ad assicurare beneficio all’intera collettività dei titolari di uso civico, e non a un solo comune;

- l’art. 32, perchè gli eventuali effetti d’inquinamento atmosferico ed elettromagnetico provocherebbero danni, anche gravi, alla salute;

- l’art. 9, perchè la presenza indiscriminata di opere, di reti e impianti destinati alle telecomunicazioni o al trasporto energetico deturperebbero l’ambiente e il paesaggio;

- l’art. 42, perchè la mancata previsione di indennizzo riserverebbe alla proprietà pubblica, qual é quella del demanio civico, un trattamento deteriore rispetto a quello della proprietà privata che può essere espropriata per motivi di interesse regionale soltanto con il pagamento d’un indennizzo, la cui congruità, nel caso di servitù di elettrodotto, andrebbe valutata tenendo conto dei diversi tipi di pregiudizio economico subiti dal proprietario (il che porrebbe la normativa censurata anche in contrasto con l’art. 17 della legge della Regione Abruzzo 20 settembre 1988, n. 83, con ulteriore lesione del principio di ragionevolezza);

- gli artt. 117 e 118, i quali dispongono che nella materia degli usi civici la Regione a statuto ordinario emana norme legislative "nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato", nella specie non rispettati; che ad essa spettano pertanto le relative funzioni amministrative, "salvo quelle di interesse esclusivamente locale", per le quali vanno sentite le popolazioni interessate; che infine - ove si verifichi un conflitto di interesse - venga nominato eventualmente un curatore speciale, secondo quanto previsto, mutatis mutandis, dall’art. 78 del codice di procedura civile, anch’esso non osservato;

- l’art. 24 della Costituzione, perchè si priverebbe la collettività interessata del diritto di difendere il proprio demanio civico, essendone "espropriata" senza la possibilità di richiedere il canone, come espressamente previsto dall’art. 17 della citata legge della Regione Abruzzo n. 83 del 1988.

2. Vanno, anzitutto, esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla parte privata: quella secondo cui il procedimento a quo non avrebbe natura giurisdizionale e quella riguardante il presunto difetto di rilevanza della questione rispetto al giudizio principale.

La prima eccezione va respinta.

Già con la sentenza n. 133 del 1993 questa Corte aveva avvertito che la giurisdizione ufficiosa in via principale (da tempo divenuta prevalente a causa del rallentamento del programma liquidatorio degli usi civici) riceve nuova autonoma giustificazione dall’interesse della collettività nazionale alla conservazione dell’ambiente, per la cui tutela le zone gravate da usi civici sono sottoposte al vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, per opera dell’art. 82, quinto comma, lettera h), del d.P.R. n. 616 del 1977, aggiunto dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del decreto-legge n. 312 del 1985. Successivamente ripreso, tale argomento é alla base della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 29, secondo comma, della legge 16 giugno 1927, n. 1766, "nella parte in cui non consente la permanenza del potere del Commissario agli usi civici di esercitare d’ufficio la propria giurisdizione, pur dopo il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative previste dal primo comma dell’articolo medesimo" (sentenza n. 46 del 1995). Fra la situazione, allora vigente, che non abilitava alcun organo dello Stato ad agire davanti ai commissari agli usi civici per la salvaguardia del menzionato interesse costituzionalmente garantito e il potere di iniziativa processuale ad essi attribuito, la Corte ha infatti scelto questa seconda strada "in attesa del riordino generale della materia", preannunciato dall’art. 5 della legge 4 dicembre 1993, n. 491, dimostrandosi consapevole che le funzioni di impulso processuale da parte del giudice si possono giustificare eccezionalmente, perchè transitoriamente, in vista di una nuova disciplina improntata al principio della terzietà del giudice.

Questa Corte non può quindi non ribadire tali argomentazioni, nell’attesa che il legislatore riordini l’intera materia, pure con riguardo ai profili ordinamentali testè menzionati.

Anche la seconda eccezione va disattesa.

E’ vero che il rimettente non ha specificato la tipologia degli usi civici relativamente alle zone interessate dalla costruzione degli impianti a rete, ma ciò non investe la rilevanza della questione sollevata che concerne, invece, la competenza al rilascio dell’autorizzazione a eseguire gli impianti, e non l’esame di merito che la legge ha risolto una volta per tutte in linea generale e astratta. Il commissario si duole, infatti, della illegittimità costituzionale dell’articolo (unico) della legge della Regione Abruzzo n. 23 del 1996 che, da un lato, ha modificato il regime formale delle competenze, assegnando al sindaco quanto spettava alla Regione, e ha statuito, dall’altro, che gli impianti a rete si configurano, sempre e comunque, come opere di urbanizzazione nelle quali si concreta una diversa esplicazione del diritto di godimento a favore della collettività utente.

La questione é stata sollevata nel corso di una controversia promossa d’ufficio dal Commissario e radicatasi nel contraddittorio con gli enti titolari delle concessioni per la costruzione degli impianti a rete, per i servizi elettrici e telefonici, i quali comportano l’assoggettamento a servitù di linee aeree di terreni che il rimettente asserisce gravati da usi civici. L’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della legge censurata potrebbe inibire la costituzione delle predette servitù ai sensi degli artt. 6 ss. della legge regionale n. 25 del 1988: di qui, la rilevanza.

3. Passando quindi al merito, la questione deve essere dichiarata fondata.

L’articolo unico della legge della Regione Abruzzo n. 23 del 1996 si pone, infatti, in irrimediabile contrasto con la legislazione nazionale.

Le norme statali, contenute nella legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Sul riordinamento degli usi civici del Regno), e nell’art. 41 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Regolamento per l’esecuzione della legge n. 1766 del 1927), richiedono che le limitazioni o la liquidazione dei diritti di uso civico siano precedute dall’assegnazione dei suoli alla categoria sub lettera a) dell’art. 11 della legge n. 1766 e - qualora inclusi in questa - alienati o mutati nella destinazione previa l’autorizzazione ministeriale (art. 12), ora regionale (art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977). Autorizzazione che, tuttavia, non assorbe le valutazioni del Ministro per i beni culturali e ambientali, ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1479 (v. art. 82, decimo comma, del d.P.R. n. 616).

D’altronde, gli artt. 6 ss. della legge regionale sugli usi civici, n. 25 del 1988, delineano un complesso procedimento per l’alienazione e i mutamenti di destinazione dei suoli civici, con la previsione di vari momenti di consultazione delle popolazioni interessate, l’invio delle istanze alle associazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore agricolo (art. 6, comma 2), l’affissione agli albi dei comuni interessati (art. 6, comma 1), l’acquisizione delle deliberazioni consiliari comunali (art. 6, comma 3). Questi articoli stabiliscono, inoltre, limiti alla alienazione e al mutamento di destinazione, che si reputano possibili soltanto "per finalità pubbliche o di interesse pubblico, tenendo anche conto delle previsioni dei piani paesistici o di assetto del territorio vigenti" (art. 6, comma 7), le cui funzioni sono state trasferite alle regioni dall’art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977.

Oltre a tali disposizioni, menzionate nell’ordinanza di rimessione, ne vanno aggiunte altre riguardanti i territori montani, fra i quali rientrano quelli dell’Abruzzo soggetti a usi civici.

La legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane) ha dettato alcuni principi fondamentali, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, per la salvaguardia e la valorizzazione di dette aree che, conformemente all’art. 44 della Costituzione, "rivestono carattere di preminente interesse regionale" (art. 1, commi 1 e 2). E ha statuito che le regioni e le province autonome concorrono alla tutela del proprio territorio montano, nel rispetto dell’art. 4, comma 6, della Carta europea dell’autonomia locale, di cui alla legge di ratifica ed esecuzione 30 dicembre 1989, n. 439 ("Le collettività locali dovranno essere consultate per quanto possibile, in tempo utile e in maniera opportuna, nel corso dei processi di programmazione e di decisione per tutte le questioni che le riguardano direttamente").

Vi é dunque una stretta connessione fra "l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici nella misura in cui essa contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio", in ragione del vincolo paesaggistico di cui alla legge n. 1497 del 1939, sancito dall’art. 82, quinto comma, lettera h), del d.P.R. n. 616 del 1977, aggiunto dalla legge n. 431 del 1985, che é garantito dal potere di iniziativa processuale dei Commissari, e il principio democratico di partecipazione alle decisioni in sede locale, corrispondente agli interessi di quelle popolazioni, di cui sono diventate esponenti le regioni ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione (cfr. la sentenza n. 133 del 1993). Di qui, il contrasto della legge censurata con la disciplina statale, che prevede l’obbligatorietà del procedimento di "assegnazione a categoria" dei terreni civici da alienare o mutare nella destinazione e postula la compatibilità del programma di trasformazione con le valutazioni paesistiche. Con ciò determinandosi altresì disarmonie nell’ambito della legislazione regionale, incentrata sul procedimento successivo di autorizzazione, che implica necessariamente la consultazione delle popolazioni interessate. La legge in esame frustra, invece, entrambi gli interessi in gioco, generali e locali, poichè esclude questi procedimenti ("non ricorrendo la fattispecie di cui agli artt. 12 della legge n. 1766 del 1927; 41 del regio decreto n. 332 del 1928; 6 della legge regionale n. 25 del 1988") e attribuisce al sindaco di ogni comune interessato il potere di rilasciare un’autorizzazione che ha l’effetto di rendere immediatamente utilizzabili i suoli civici.

Tutto ciò sul presupposto, astratto e generalizzato, che la realizzazione degli impianti a rete, destinati alle telecomunicazioni, al trasporto energetico, dell’acqua e del gas, nonchè allo smaltimento dei liquami, costituisca "una diversa esplicazione del diritto collettivo di godimento a favore della collettività utente e proprietaria dei beni" (comma 3 del citato articolo unico), mentre tali valutazioni, per gli interessi di rango costituzionale che vi sono sottesi, non possono non essere concrete: cioé, formulate e apprezzate attraverso il coinvolgimento, di volta in volta, delle popolazioni interessate.

La lesione del canone della ragionevolezza comporta la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge in esame, restando assorbite tutte le altre denunce formulate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 27 aprile 1996, n. 23 (Impianti pubblici o di pubblico interesse).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Francesco GUIZZI

Depositata in cancelleria il 21 novembre 1997.