Sentenza n. 119 del 2024

SENTENZA N. 119

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente:

Augusto Antonio BARBERA;

Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2; 5; 7; 8, commi 1, 6 e 9; 10; 11; 13, comma 6; 14, commi 3 e 5; 16; 18, comma 3; 19, comma 1; 20; 21, commi 1 e 3; 34, comma 1; 36; 40; 41; 42; 47, commi 2 e 4, e 48 della legge della Regione Piemonte 31 maggio 2022, n. 7 (Norme di semplificazione in materia urbanistica ed edilizia), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1° agosto 2022, depositato in cancelleria il 5 agosto 2022, iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti l’atto di costituzione della Regione Piemonte, nonché l’atto di intervento, fuori termine, della Fabrizio Taricco Costruzioni srl;

uditi nell’udienza pubblica del 9 aprile 2024 i Giudici relatori Franco Modugno, Stefano Petitti, Emanuela Navarretta e Marco D’Alberti;

uditi l’avvocato Daniele Granara per Fabrizio Taricco Costruzioni srl, gli avvocati dello Stato Gianna Galluzzo e Giancarlo Caselli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Piemonte;

deliberato nella camera di consiglio del 7 maggio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2022, depositato il 5 agosto 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2; 5; 7; 8, commi 1, 6 e 9; 10; 11; 13, comma 6; 14, commi 3 e 5; 16; 18, comma 3; 19, comma 1; 20; 21, commi 1 e 3; 34, comma 1; 36; 40; 41; 42; 47, commi 2 e 4, e 48 della legge della Regione Piemonte 31 maggio 2022, n. 7 (Norme di semplificazione in materia urbanistica ed edilizia).

Il ricorrente lamenta, complessivamente, la violazione degli artt. 3, 5, 9, 32, 97, 117, secondo comma, lettere m), p) ed s), e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, in relazione, quanto alla dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. agli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e all’art. 5, comma 11, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106; la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio», recati dagli artt. 2-bis, commi 1 e 1-bis, 9-bis, comma 1-bis, 10, comma 1, lettera c), 14, 16, comma 4, lettera d-ter), 23, comma 01, lettera a), 31, 32, comma 1, lettere a), b), c) e d), e 34-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», dall’art. 5, commi 10 e 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, e dall’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), come attuato mediante il decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l’interno, 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967); del medesimo parametro di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., quanto alla materia «tutela della salute», in relazione al decreto del Ministro per la sanità 5 luglio 1975 (Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione); e, infine, la violazione del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

2.– Relativamente all’art. 3, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alla materia «governo del territorio», in relazione ai principi fondamentali espressi dall’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia.

La norma impugnata, nel modificare l’art. 2 della legge della Regione Piemonte 4 ottobre 2018, n. 16 (Misure per il riuso, la riqualificazione dell’edificato e la rigenerazione urbana), ha aggiunto al comma 1 la lettera d-bis), che definisce quali edifici o parti di edifici legittimi quelli «realizzati legittimamente o per i quali è stato rilasciato titolo abilitativo in sanatoria ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale la legge non imponeva, per l’attività edilizia nella porzione di territorio interessata, l’acquisizione di titolo abilitativo edilizio, ancorché in presenza di disposizioni locali diverse, lo stato legittimo è desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti di archivio o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo dell’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi abilitanti interventi parziali».

In particolare, ad avviso del ricorrente, la definizione di «stato legittimo» dell’immobile introdotta dal legislatore regionale si discosterebbe da quella contenuta nell’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, nella parte in cui prevede che, per «gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio», lo stato legittimo debba inferirsi dalle informazioni catastali di primo impianto o da altri documenti probanti e dai titoli abilitativi ivi descritti.

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la norma statale interposta, con una disciplina difforme da quella contenuta nella normativa regionale impugnata, stabilirebbe che dai citati elementi probatori debba desumersi lo stato legittimo dell’immobile.

Inoltre, la difesa statale richiama l’art. 31, primo comma, della legge n. 1150 del 1942 e l’art. 10 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), dai quali deduce che, per le costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore della citata legge del 1967, la licenza edilizia era già richiesta se l’opera ricadeva nel centro abitato o nelle zone di espansione e, al di fuori di tali ipotesi, qualora i regolamenti edilizi comunali avessero stabilito l’obbligo di munirsi di licenza edilizia, ai fini della valutazione dello stato legittimo (il rimettente richiama, in proposito, le sentenze del Consiglio di Stato, sezione sesta, 7 agosto 2015, n. 3899; sezione quarta, 21 ottobre 2008, n. 5141; sezione quinta, 14 marzo 1980, n. 287 e la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, 9 gennaio 2017, n. 37).

Pertanto, ad avviso della difesa statale, la norma regionale impugnata, includendo nella definizione di “immobili legittimi” le costruzioni prive di titolo edilizio realizzate prima del 1967 fuori dai centri abitati e dalle zone di espansione, produrrebbe, nel ricomprendere anche i casi in cui la licenza fosse richiesta dai regolamenti edilizi comunali, una violazione dei su evocati principi statali, con una conseguente indebita estensione della nozione di immobili legittimamente realizzati.

Riconosciuta, dunque, nel menzionato art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia la natura di principio fondamentale nella materia «governo del territorio», l’Avvocatura dello Stato afferma che «spettano alla legislazione statale “le scelte di principio, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum, ossia la decisione sul se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario”, esclusivamente nel rispetto delle quali compete alla legislazione regionale l’articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale».

3.– Sempre con riguardo all’art. 3, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, il ricorrente lamenta la violazione anche dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., con riguardo alla materia della determinazione dei «livelli essenziali delle prestazioni [concernenti i diritti civili e sociali] che devono essere assicurati in modo uniforme su tutto il territorio nazionale».

In particolare, sul presupposto che spetti al legislatore statale dettare previsioni concernenti eventuali sanatorie, potendo invece «il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni», le regioni non potrebbero «eludere l’obbligo di demolizione imposto dalla legge statale» e non sarebbe in alcun modo ipotizzabile rimettere a una disciplina legislativa regionale la nozione di immobile legittimamente realizzato, «essendo evidente l’esigenza di uniforme applicazione di tale nozione, la quale – per le sue ricadute, anche in termini di liceità degli interventi di rigenerazione urbana – non può che attenere ai livelli essenziali delle prestazioni che devono essere assicurati sull’intero territorio nazionale».

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, di seguito, l’art. 5 della stessa legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che ha sostituito l’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

In esito alla novella, il citato art. 3 prevede al comma 1 che: «[l]e disposizioni del presente capo si applicano agli immobili legittimamente realizzati e alle relative aree di pertinenza esistenti alla data di approvazione della presente legge, fatte salve le limitazioni di cui all’articolo 11 e legittimi, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera d-bis), all’atto della presentazione della domanda di intervento di riuso e di riqualificazione».

Di seguito, al comma 2, stabilisce che «[a]i fini del riuso e della riqualificazione degli immobili di cui al comma 1 si rinvia a quanto previsto: a) dal PPR, dai piani territoriali e dai piani regolatori generali, nonché dai loro strumenti attuativi; b) dall’articolo 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; c) dall’articolo 14, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 380/2001 per gli interventi di ristrutturazione edilizia; d) dalle disposizioni di cui al presente capo, come previsto al comma 5».

Il ricorrente rileva che, prima della novella, gli interventi previsti dal cosiddetto secondo piano casa sarebbero stati consentiti «unicamente su edifici legittimamente realizzati o per i quali risultava essere stato rilasciato titolo abilitativo edilizio in sanatoria (il cui rilascio, come noto, richiede che l’opera eseguita risulti conforme oltreché alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda, a quella vigente al momento della realizzazione della stessa – cd. doppia conformità) alla data di presentazione della richiesta di intervento». Viceversa, in virtù del rinvio operato all’art. 2, comma 1, lettera d-bis), della legge n. 16 del 2018 (come a sua volta novellato), gli stessi interventi risulterebbero consentiti, «oltreché sui predetti edifici, anche su quelli oggetto di condono (ossia su immobili non conformi alla normativa urbanistica ed edilizia secondo il parametro della doppia conformità)».

4.1.– Ad avviso dell’Avvocatura, l’estensione anche agli immobili oggetto di condono delle premialità edilizie, previste dall’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011, come convertito – alla cui disciplina fa rinvio il citato art. 3, comma 2, lettera b), della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 – si porrebbe in evidente contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al principio statale della materia «governo del territorio», recato dallo stesso art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito. Questo, infatti, stabilisce che «[g]li interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria».

In particolare, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, questa Corte, con la sentenza n. 24 del 2022, avrebbe chiarito che, con riguardo alla su menzionata previsione statale, «[i]l titolo in sanatoria, che rileva agli effetti della concessione di premialità volumetrica, differisce dal condono valorizzato dal legislatore regionale».

5.– Il ricorrente impugna, di seguito, sempre l’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha novellato l’art. 3, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, ravvisando nell’attuale disciplina una violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali e all’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, nonché degli artt. 3 e 97 Cost.

5.1.– La norma risultante dalla riforma introdotta nel 2022 attribuirebbe «ai Comuni il potere di concedere, per gli interventi del c.d. secondo piano casa, volumetrie premiali, nonché di consentire la delocalizzazione di superfici e volumi, stabilendo autonomamente le modalità di corretto inserimento di tali interventi – di rilevante impatto – nel contesto territoriale».

In virtù dell’inciso presente nella disposizione impugnata, che fa «salvo quanto previsto dalla deliberazione del consiglio comunale», tale provvedimento potrebbe dettare misure contrastanti con il vigente piano regolatore generale (PRG), «e ciò a prescindere dalla circostanza che lo stesso PRG sia adeguato o meno al PPR».

Inoltre, ad avviso del ricorrente, il comune risulterebbe investito di veri e propri poteri di pianificazione paesaggistica, potendo stabilire autonomamente «gli interventi eventualmente necessari per conseguire l’armonizzazione architettonica e paesaggistica rispetto al contesto edificato, con facoltà di concedere, previa motivazione, premialità anche maggiori rispetto a quelle di cui alla lettera c)».

Il Presidente del Consiglio dei ministri contesta che, in tal modo, verrebbe «a configurarsi, sebbene indirettamente, una violazione del PPR adottato dalla Regione d’intesa con il Ministero della Cultura, amministrazione statale preposta alla tutela dei valori paesaggistici». E questo a dispetto della clausola generale prevista all’art. 1, comma 2, della stessa legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, secondo cui «[a]l fine di limitare il consumo di suolo e riqualificare la città esistente, aumentare la sicurezza statica dei manufatti, le prestazioni energetiche degli stessi, favorire il miglioramento della qualità ambientale, paesaggistica e architettonica del tessuto edificato, la Regione promuove interventi di riuso e di riqualificazione degli edifici esistenti, interventi di rigenerazione urbana e il recupero dei sottotetti e dei rustici, nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e del piano paesaggistico regionale (PPR)».

Il ricorrente rammenta che il Ministero per i beni e le attività culturali (oggi: Ministero della cultura) ha sottoscritto con la Regione Piemonte l’accordo sul Piano paesaggistico del 14 marzo 2017, stipulato ai sensi dell’art. 143, comma 2, cod. beni culturali, ai fini dell’approvazione del piano paesaggistico d’intesa tra le parti. Il PPR della Regione Piemonte è stato poi approvato, all’esito del processo di co-pianificazione avviato con lo Stato, con deliberazione del Consiglio regionale del 3 ottobre 2017, n. 233-35836. Con decreto del Presidente della Giunta regionale 22 marzo 2019, n. 4/R è stato di seguito adottato il regolamento regionale recante «Attuazione del Piano paesaggistico regionale del Piemonte (Ppr), ai sensi dell’articolo 8bis comma 7 della legge regionale 5 dicembre 1977 n. 56 (Tutela e uso del suolo) e dell’articolo 46, comma 10, delle norme di attuazione del Ppr», in vigore dal 12 aprile 2019, il quale disciplina, fra l’altro, l’adeguamento al PPR degli strumenti di pianificazione, in attuazione di quanto previsto dall’art. 145 cod. beni culturali. Secondo quanto riporta sempre il ricorrente, al momento sarebbero pochi i comuni che avrebbero adeguato i propri PRG al PPR, restando per gli altri applicabile la disciplina transitoria di cui al citato regolamento, in base alla quale, sino all’adeguamento, le previsioni dei PRG vigenti alla data di entrata in vigore del PPR si attuano con le modalità, dirette o indirette, previste dal PRG stesso, purché non in contrasto con le disposizioni cogenti e immediatamente prevalenti del PPR.

Il Presidente del Consiglio dei ministri richiama, pertanto, l’art. 143, comma 9, cod. beni culturali, nella parte in cui espressamente prevede che «[a] far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici». In particolare, secondo l’Avvocatura dello Stato, gli strumenti urbanistici comunali dovrebbero «essere conformati o adeguati, non solo alle prescrizioni d’uso contenute nel piano paesaggistico (immediatamente conformative degli usi del territorio), ma anche alle disposizioni di indirizzo e di direttiva contenute nello stesso piano (che spetta alla pianificazione urbanistica declinare in concreto e attuare)».

Tanto premesso, la difesa statale ritiene che, derogando alla pianificazione urbanistica, verrebbe «ad essere menomata l’attuazione delle direttive contenute nel piano paesaggistico, alle quali gli strumenti urbanistici devono essere conformati», realizzandosi così, sotto questo profilo, «una indiretta deroga alla pianificazione paesaggistica», mentre «la modifica del piano paesaggistico è da ritenere ammissibile esclusivamente mediante una nuova pianificazione, che tenga conto degli specifici contesti territoriali».

5.2.– Il ricorrente rileva, poi, che la previsione di norme regionali, che contemplerebbero, in via generale e astratta, indiscriminati interventi di rilevante impatto sul territorio, senza consentire una valutazione in concreto, si porrebbe in radicale contrasto con i principi richiamati. Subito dopo, nondimeno, afferma che «[l]a tutela paesaggistica viene […] a essere gravemente menomata, perché limitata alle singole decisioni che, caso per caso, gli organi amministrativi preposti dovranno assumere nell’ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del Codice».

Risulterebbero, pertanto, violate le norme di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, il che troverebbe ulteriore conforto nel richiamo che l’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, opera ai limiti del cosiddetto secondo piano casa, che fa salve espressamente le «disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio».

5.3.– La ritenuta deroga alla pianificazione paesaggistica violerebbe, inoltre, gli artt. 3 e 97 Cost., poiché risulterebbe in sé contradditoria, e quindi irragionevole, nonché contraria al principio del buon andamento dell’amministrazione.

A sostegno di simile assunto, il ricorrente sottolinea che «[d]a una parte […] la Regione ha approvato il piano paesaggistico e dall’altra reitera, ed anzi amplia, la portata di disposizioni eccezionali derogatorie al piano stesso, al di fuori della necessaria cornice pianificatoria inderogabile e cogente per gli strumenti urbanistici».

5.4.– Infine, l’Avvocatura generale dello Stato ha riscontrato, sempre rispetto alla modifica apportata dall’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 all’art. 3, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, una violazione del principio di leale collaborazione.

A parere del ricorrente, la norma costituirebbe il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’approvazione del PPR. Un simile metodo di normazione sarebbe, dunque, costituzionalmente illegittimo, in virtù del fatto che il principio di leale collaborazione sovrintenderebbe a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e regioni, in quanto idoneo a regolarli in modo dinamico, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti.

6.– Ulteriore disposizione impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri è l’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che ha modificato l’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

6.1.– Sotto un primo profilo, viene contestata la violazione degli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

6.1.1.– Il ricorrente, soffermandosi in particolare sulle modifiche all’art. 5, commi 2, 3 e 4, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, ritiene che esse consentano interventi attuati anche «in deroga al Piano paesaggistico regionale».

Nei citati commi 2, 3 e 4 mancherebbe, infatti, il richiamo al rispetto delle norme del PPR, e sarebbe insufficiente la previsione che «tali interventi devono essere coerenti con le eventuali prescrizioni degli strumenti urbanistici di conservazione e salvaguardia dei caratteri insediativi, architettonici di valore storico-artistico, paesaggistico o documentario».

Secondo il ricorrente, qualora il piano urbanistico comunale non si sia ancora conformato al piano paesaggistico, quest’ultimo strumento verrebbe nella sostanza a essere derogato, poiché le valutazioni inerenti alla tutela sarebbero rimesse esclusivamente all’apprezzamento dei comuni, i quali si sostituirebbero al PPR. Là dove, invece, il piano urbanistico risultasse conformato, sarebbero fatte salve solo quelle prescrizioni per le quali sia prevista dai comuni (e non dallo Stato né dalla Regione, che hanno concorso alla pianificazione paesaggistica) una diretta finalizzazione a esigenze di tutela.

6.1.2.– Sempre secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la ritenuta deroga alla pianificazione paesaggistica risulterebbe in sé contradditoria, e quindi irragionevole, nonché contraria al principio del buon andamento dell’amministrazione, poiché la Regione avrebbe, da un lato, approvato il piano paesaggistico e, da un altro lato, reiterato – ampliandone addirittura la portata – le disposizioni eccezionali derogatorie allo stesso strumento, al di fuori della necessaria cornice pianificatoria inderogabile.

6.2.– Sotto un’altra prospettiva, il Presidente dei Consiglio dei ministri impugna sempre l’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, per aver introdotto una novella dell’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, che si porrebbe in aperto contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio», recati dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, nonché dall’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.

6.2.1.– Il comma 9 del citato art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, come novellato, prevede infatti che «[g]li interventi di cui ai commi precedenti possono superare i parametri edilizi e urbanistici previsti dagli strumenti urbanistici e possono: a) comportare l’incremento o il decremento del numero di unità immobiliari sottoposte a ristrutturazione edilizia; b) superare le densità fondiarie stabilite dall’articolo 7 del [d.m. n. 1444 del 1968]; c) superare l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici fino alla quantità necessaria per sopraelevare il fabbricato di un piano».

A detta del ricorrente, tale previsione scardinerebbe il principio fondamentale statale, secondo cui gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sarebbero consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, nell’ambito della quale si esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale.

Diversamente da quanto previsto dal legislatore regionale, il regolatore statale avrebbe perciò previsto la possibilità di assentire interventi in deroga alla pianificazione urbanistica soltanto in forza di una decisione assunta, caso per caso, a livello locale, sulla base di una ponderazione di interessi che tenga conto del contesto territoriale (art. 14 t.u. edilizia). Ciò determinerebbe che alla Regione non sarebbe consentito «introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica», tanto più ove tali «deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo».

A sostegno delle denunciate censure, il ricorrente richiama anche la giurisprudenza costituzionale, che ha «sottolineato come il potere di pianificazione urbanistica “non è funzionale solo all’interesse all’ordinato sviluppo edilizio del territorio [...], ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti”» (è citata la sentenza n. 219 del 2021).

A ulteriore conforto di tale esito, il ricorrente ricorda come la stessa normativa sul piano casa «esclud [a] la possibilità di derogare al d. m. n. 1444 del 1968» (a tal proposito, il rimettente richiama ampi tralci della sentenza n. 217 del 2020). Dunque, ad avviso della difesa statale, se tanto è stato previsto con riferimento alla normativa sul piano casa, che si qualifica per il suo carattere straordinario e derogatorio, a maggior ragione dovrebbe «ritenersi valevole con riferimento a disposizioni regionali, quale quella in questione, che introducono deroghe generalizzate alla pianificazione urbanistica, in assenza di copertura di una norma statale».

6.2.2.– Ancora, per quanto concerne lo stesso art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la difesa erariale denuncia la violazione del principio di leale collaborazione, poiché la norma impugnata sarebbe frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’approvazione del PPR.

7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 8, commi 1, 6 e 9, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

Il ricorrente premette che l’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 apporta modifiche e integrazioni all’art. 6 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

Secondo il ricorrente, il comma 1 dell’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, consentendo anche «il recupero di sottotetti non ancora esistenti all’atto della presentazione della domanda di intervento, una volta decorsi tre anni dalla realizzazione degli stessi», amplierebbe irragionevolmente, in violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., il novero delle ipotesi in cui è configurabile un sottotetto suscettibile di recupero abitativo.

Quanto all’art. 8, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, a sua volta sostitutivo dell’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, il ricorrente fa presente che la disposizione ammette il recupero dei sottotetti esistenti «indipendentemente dagli indici o dai parametri urbanistici ed edilizi previsti dai PRG e dagli strumenti attuativi vigenti o adottati». La disposizione confliggerebbe con l’art. 117, terzo comma, Cost., relativamente alla materia del governo del territorio, per contrasto con l’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, secondo cui, nell’ambito degli interventi del “piano casa”, sino all’entrata in vigore della normativa regionale, il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è ammesso ai sensi dell’art. 14 t.u. edilizia. Quest’ultimo, fissando un principio fondamentale nella materia legislativa concorrente del governo del territorio, statuisce, al comma 3, che «[l]a deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché le destinazioni d’uso ammissibili, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444». Risulterebbe, altresì, «violato il principio fondamentale nella materia “governo del territorio” contenuto nell’art. 2-bis, commi 1 e 1-bis del d.P.R. n. 380 del 2001».

Inoltre, con riferimento ai sottotetti ricadenti in ambiti paesaggisticamente tutelati, la legge regionale piemontese, prevedendo che il recupero dei sottotetti possa avvenire sostanzialmente in deroga agli indici e ai parametri urbanistici ed edilizi previsti dal PRG e dagli strumenti attuativi, sottrarrebbe la disciplina degli interventi alla sede propria del piano paesaggistico.

La deroga sistematica e generalizzata agli strumenti urbanistici comporterebbe, inoltre, la violazione dei principi concernenti la generale necessità di pianificazione del territorio e il rispetto degli standard urbanistici.

Dunque, la deroga alla pianificazione urbanistica, traducendosi in una deroga indiretta alle previsioni del piano paesaggistico, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché gli artt. 3 e 9 Cost. Sarebbe violato anche il principio di leale collaborazione, poiché la Regione Piemonte avrebbe assunto «iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione già proficuamente concluso con lo Stato mediante l’approvazione del Piano paesaggistico del 2017».

È anche impugnato l’art. 8, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui, modificando l’art. 6, comma 10, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, prevede la possibilità di derogare ai requisiti prescritti dal d.m. 5 luglio 1975, in ordine alle misure minime dei sottotetti.

La disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., avuto riguardo alla competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute, poiché violerebbe il d.m. 5 luglio 1975, di diretta attuazione degli artt. 218 e 221 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie), che stabilisce gli standard igienico-sanitari degli edifici posti a presidio del diritto alla tutela della salute riconosciuto dall’art. 32 Cost. Affermando la derogabilità di tali requisiti minimi di salubrità, la disposizione sarebbe in contrasto anche con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

8.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 10 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, sostitutivo dell’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

Il ricorrente ritiene che la disposizione, nella parte in cui prevede che gli interventi di ricostruzione ivi previsti, con recupero della capacità edificatoria, avvengano «previa variante urbanistica semplificata, approvata ai sensi dell’articolo 17-bis, comma 5, della l.r. n. 56/1977 ovvero con permesso di costruire in deroga ai sensi dell’articolo 5, comma 9, lettera b), del decreto-legge 70/2011», lederebbe il principio di prevalenza del piano paesaggistico e il principio di copianificazione obbligatoria, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost, in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché gli artt. 3 e 9 Cost. Ciò in quanto la procedura di variante urbanistica semplificata, rispetto alla quale è prevista l’approvazione in conferenza di servizi con tutte le amministrazioni interessate e la successiva ratifica del consiglio comunale, non darebbe certezza circa l’effettiva conformità della variante al piano paesaggistico, tenuto conto che in sede di conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il silenzio del Ministero vale assenso e può essere superato. Tali effetti, secondo il ricorrente, non sarebbero compatibili con la particolare natura della valutazione di conformità al piano paesaggistico.

Risulterebbe altresì violato il principio di leale collaborazione, per le ragioni in precedenza esposte.

La disposizione impugnata, determinando un abbassamento del livello della tutela del paesaggio, comporterebbe anche la violazione dell’art. 9 Cost., che assegna alla tutela del paesaggio il rango di valore primario e assoluto.

9.– L’art. 11 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che inserisce l’art. 8-bis nella legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, viene impugnato nella parte in cui, prevedendo il rispetto delle norme di attuazione e delle prescrizioni d’uso dei beni individuati nel Piano paesaggistico regionale solo per le delocalizzazioni riguardanti le aree di cui all’art. 136, comma 1, lettere a) e b), cod. beni culturali, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione gli artt. 135, 143, 145 e 146 del medesimo codice, nonché gli artt. 3 e 9 Cost. e il principio di leale collaborazione. Inoltre, vi sarebbe contrasto con l’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 anche nella misura in cui la disposizione prevede che le delocalizzazioni siano subordinate all’acquisizione di un parere solo obbligatorio e non anche vincolante della competente soprintendenza.

L’art. 11 menzionato, là dove prevede che il rilascio del permesso di costruire avviene senza la corresponsione del contributo straordinario di cui all’art. 16, comma 4, lettera d-ter), t.u. edilizia, violerebbe l’art. 117, terzo comma. Cost., quanto alla materia del governo del territorio, perché sarebbe in contrasto con il parametro interposto che intende derogare, non sussistendo le condizioni che possono giustificare l’esenzione dal contributo.

10.– L’art. 13, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che aggiunge, tra gli altri, i commi 3-sexies, 3-octies e 3-novies all’art. 11 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, sarebbe lesivo del principio di prevalenza del piano paesaggistico e del principio di copianificazione obbligatoria, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost, in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali. Vi sarebbe contrasto anche con gli artt. 3 e 9 Cost., nonché con il principio di leale collaborazione. La disposizione, nella parte in cui dispone che taluni interventi di ristrutturazione senza il rispetto dei parametri edilizi preesistenti possono «avvalersi delle premialità volumetriche previste dalla legge regionale» e che le delocalizzazioni di volumetrie siano ammissibili in tutti gli ambiti soggetti a vincolo paesaggistico diversi da quelli espressamente eccettuati, stabilirebbe unilateralmente la disciplina d’uso dei beni paesaggistici, che deve invece essere dettata dal piano paesaggistico.

11.– I medesimi parametri evocati in riferimento all’art. 13, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 sono richiamati dal ricorrente anche quanto all’illegittimità costituzionale del successivo art. 14, che modifica e integra l’art. 12 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

In particolare, il comma 3 dell’art. 14, nel consentire la realizzazione di interventi edilizi con premialità volumetriche incentivanti, e il comma 5 della medesima disposizione, secondo cui gli interventi di ricostruzione ivi previsti avvengono previa variante urbanistica semplificata, non garantirebbero l’effettivo rispetto del piano paesaggistico.

12.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna di seguito l’art. 16 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 che, al comma 1, individua i casi in cui è consentito il recupero di vani e locali interrati e seminterrati.

12.1.– Secondo l’Avvocatura, là dove la disposizione fa riferimento a vani e locali «legittimamente realizzati alla data di entrata in vigore della presente legge o legittimati con il conseguimento del titolo edilizio in sanatoria al momento dell’attivazione della procedura di recupero» si esporrebbe alle medesime censure formulate in relazione all’art. 3 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

Tale norma contrasterebbe, pertanto, con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio» espressi dalle previsioni statali di cui agli artt. 9-bis, comma 1-bis, e 31 t.u. edilizia.

12.2.– La norma impugnata violerebbe, inoltre, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto derogherebbe all’uniforme applicazione del regime sanzionatorio per gli illeciti edilizi, che a sua volta sarebbe correlato ai livelli essenziali delle prestazioni da assicurare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.

12.3.– Infine, la medesima norma risentirebbe di una illegittimità «derivata» dalle censure mosse all’art. 3 della stessa legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, poiché estenderebbe indebitamente il concetto di stato legittimo dell’immobile.

13.– L’art. 18 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nel disciplinare il recupero con cambio di destinazione d’uso dei vani e locali interrati o seminterrati, dispone al comma 3 che lo stesso, se conseguito senza opere edilizie, fatte salve le disposizioni statali in materia per gli immobili posti nelle zone territoriali omogenee A di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968, è soggetto a preventiva segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) al comune e al pagamento del contributo di costruzione ai sensi dell’art. 16 t.u. edilizia, limitatamente alla quota per gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, ridotto di un terzo.

Ad avviso del ricorrente, questa disposizione si porrebbe in contrasto l’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento ai principi fondamentali della materia «governo del territorio», di cui agli artt. 10, comma 1, lettera c), e 23, comma 01, lettera a), t.u. edilizia, in quanto subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie alla SCIA, anche con riguardo agli immobili posti nelle zone territoriali omogenee A, di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968.

In proposito, il ricorrente richiama la sentenza n. 124 del 2021, nella quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione legislativa della Regione Liguria che aveva ritenuto sufficiente la SCIA ordinaria anche per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili posti nei centri storici, in contrasto con le esigenze di più incisiva tutela che presiedono a tale normativa. E ciò in quanto «la disciplina del testo unico dell’edilizia, interpretata alla luce della giurisprudenza amministrativa e di legittimità, “impone il permesso di costruire per i mutamenti di destinazione d’uso nei centri storici anche in assenza di opere” (sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.1. del Considerato in diritto)».

14.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 19, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che così dispone: «[f]atto salvo il disposto dell’articolo 16, comma 3, il recupero dei vani e locali interrati o seminterrati è sempre ammesso anche in deroga ai limiti e alle prescrizioni edilizie dei PRG e dei regolamenti edilizi».

Premesso che nella Regione Piemonte è stato approvato il Piano paesaggistico regionale e che gli strumenti urbanistici comunali devono essere conformati o adeguati alle prescrizioni d’uso contenute in quel piano, oltreché alle disposizioni di indirizzo e di direttiva in esso contenute, il ricorrente ritiene che la disposizione impugnata, consentendo una deroga alla pianificazione urbanistica, integri una indiretta deroga alla pianificazione paesaggistica, con conseguente violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché degli artt. 3 e 97 Cost. e del principio di leale collaborazione. La disposizione in esame, inoltre, comporterebbe un abbassamento del livello di tutela del paesaggio, con violazione dell’art. 9 Cost. e determinerebbe lo scardinamento del principio fondamentale in materia di governo del territorio, secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti solo nel quadro della pianificazione urbanistica, con violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuata mediante il d.m. n. 1444 del 1968, e all’art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.

15.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna inoltre l’art. 20 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché per violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost.

15.1.– Il comma 1 del citato articolo prevede che «[i] comuni, con deliberazione del consiglio comunale, motivata in relazione a specifiche esigenze di tutela paesaggistica o igienico-sanitaria, di difesa del suolo e di rischio idrogeologico, possono disporre l’esclusione di parti del territorio dall’applicazione delle disposizioni del presente capo. L’applicazione è comunque esclusa per le parti di territorio per le quali sussistono limitazioni derivanti da situazioni di contaminazione o da operazioni di bonifiche in corso o già effettuate. I comuni, sulla base di quanto definito nella componente geologica del PRG e di indicazioni dei gestori del servizio idrico integrato, individuano specifici ambiti di esclusione in presenza di fenomeni di risalita della falda che possono determinare situazioni di rischio nell’utilizzo di spazi interrati o seminterrati».

Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata ometterebbe di individuare nelle prescrizioni del PPR i parametri sulla cui base poter escludere il regime più permissivo degli interventi di cui al Capo III della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, rimettendo così alla valutazione dei comuni, anziché al PPR, l’indicazione di eventuali esigenze di tutela paesaggistica o igienico-sanitaria che si frappongano all’applicazione di detto regime.

In tal modo la norma finirebbe per degradare la tutela paesaggistica a mera esigenza urbanistica, ponendosi con ciò in contrasto con la costante giurisprudenza costituzionale (è richiamata – con ampio stralcio – la sentenza n. 74 del 2021).

15.2.– Lo stesso art. 20 prevede inoltre, al comma 2, che le «[l]e disposizioni del presente capo si applicano agli immobili esistenti o per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio alla data di approvazione della deliberazione del consiglio comunale di cui al comma 1. Agli immobili realizzati successivamente, le disposizioni cui al presente capo si applicano decorsi cinque anni dall’ultimazione dei lavori».

Secondo la difesa statale, la norma impugnata consentirebbe interventi di recupero di vani e locali interrati e seminterrati non soltanto rispetto agli immobili esistenti e a quelli per i quali sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio, alla data di approvazione della deliberazione del consiglio comunale, di cui al comma 1, bensì anche rispetto agli immobili realizzati successivamente. Sennonché, rispetto a tale ultima categoria di immobili non potrebbe configurarsi alcuna esigenza di «recupero», né tanto meno potrebbe giustificarsi il sacrificio degli interessi attinenti alla tutela del paesaggio urbano e al rispetto delle esigenze di ordinato assetto del territorio, cui sono preposti la pianificazione urbanistica e i relativi standard.

Da tali considerazioni emergerebbe l’illegittimità costituzionale dell’art. 20 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, per violazione della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

Lo stesso art. 20 violerebbe altresì gli artt. 3, 9 e 97 Cost., attesa l’evidente irragionevolezza intrinseca della previsione sulla possibilità di recupero «a regime» dei volumi edilizi relativi a immobili di futura realizzazione, «peraltro dopo soltanto cinque anni dall’edificazione». In questi casi, sarebbe palese che nessuna esigenza di efficientamento energetico e di razionalizzazione del patrimonio edilizio giustifichi il sacrificio indiscriminato delle previsioni pianificatorie, degli standard e delle esigenze di tutela paesaggistica.

16.– Oggetto di impugnazione è poi l’art. 21, commi 1 e 3, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022. Tale articolo, al comma 1, sostituisce la lettera d) del terzo comma dell’art. 13 della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo), dettando, ai fini della medesima legge, la seguente definizione di ristrutturazione edilizia: «gli interventi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi gli interventi ammessi dalla vigente normativa statale, con le specificazioni previste dalla normativa regionale». Al comma 3, sostituisce il comma 6 del medesimo art. 13, prevedendo che: «Le definizioni degli interventi di cui al terzo comma prevalgono sulle difformi previsioni delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, senza necessità di varianti o adeguamenti».

Ad avviso del ricorrente queste disposizioni, nel loro congiunto operare, si porrebbero in contrasto sia con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, e con gli artt. 3 e 9 Cost., per le ragioni esposte nella illustrazione delle censure concernenti l’art. 5, sopra riportate, sia con l’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali statali in materia di governo del territorio, stabiliti dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, e all’art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, sia, infine, con il principio di leale collaborazione, per le ragioni esposte con riferimento alle censure relative all’art. 5 della medesima legge regionale. Le disposizioni impugnate, infatti, sono destinate a prevalere, anche dal punto di vista urbanistico, sugli strumenti urbanistici comunali, estendendo il novero degli interventi consentiti quale ristrutturazione edilizia.

17.– Con un ulteriore motivo, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna le medesime disposizioni deducendo la violazione del combinato disposto degli artt. 5, 117, secondo comma, lettera p), e 118, primo e secondo comma, Cost.

Ad avviso del ricorrente, tali disposizioni realizzerebbero una indebita compressione della potestà dei comuni di pianificare il proprio territorio, incidendo così sulla competenza legislativa esclusiva statale concernente le funzioni fondamentali dei comuni, di cui alla citata lettera p), nonché una violazione del principio di sussidiarietà verticale.

Infatti, osserva il ricorrente, le disposizioni in questione consentirebbero che, in ogni caso in cui uno strumento urbanistico comunale, in qualunque tempo approvato, abbia previsto la possibilità di realizzare interventi di ristrutturazione edilizia, questi si dovrebbero intendere consentiti secondo la nuova nozione di ristrutturazione edilizia, con le connesse premialità volumetriche e senza necessità di alcuna variante; e ciò anche nel caso in cui tali interventi dovessero essere realizzati in ambiti sottoposti a tutela paesaggistica.

18.– Il ricorso impugna, poi, l’art. 34, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, per contrasto con gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, Cost., nonché col principio di leale collaborazione.

Il suddetto articolo apporta modifiche all’art. 10 della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, sostituendo, in particolare, il comma 6. Per effetto di tali variazioni, ad avviso del ricorrente, gli accordi di programma per la realizzazione di progetti aventi rilievo regionale, provinciale e metropolitano, costituirebbero, ex lege, varianti al PPR. In tal modo si produrrebbero modifiche al Piano paesaggistico adottato d’intesa con lo Stato, in diretto contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali e in contrasto indiretto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Come la giurisprudenza di questa Corte avrebbe più volte affermato, le variazioni al PPR sono ammissibili solamente mediante una nuova pianificazione, che tenga conto degli specifici interessi territoriali, e secondo procedure condivise con le competenti autorità statali.

19.– È, altresì, oggetto d’impugnazione l’art. 36 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

In forza della disposizione in parola, gli accordi di programma per la realizzazione di progetti anche di edilizia privata considerati di interesse dall’amministrazione territorialmente competente rappresenterebbero, ope legis, varianti al PRG.

L’inserimento dell’art. 17-ter nella legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, ad opera della disposizione oggetto di impugnazione, dunque, aprirebbe alla possibilità di deroghe generalizzate alla pianificazione urbanistica, «[c]on la conseguenza che viene ad essere menomata l’attuazione delle direttive contenute nel piano paesaggistico, alle quali gli strumenti urbanistici devono essere conformati». Per questa ragione, la novella normativa in esame violerebbe gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, invadendo, così, la competenza legislativa esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e contrasterebbe con gli artt. 3, 9 e 97 Cost, nonché col principio di leale collaborazione.

20.– Il ricorrente deduce anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 40 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 146 e 167 cod. beni culturali, nonché degli artt. 3 e 9 Cost.

La disposizione prevede che «[i]l divieto di sanatoria stabilito dall’articolo 146, comma 4, del decreto legislativo 42/2004, si applica agli interventi realizzati in area paesaggisticamente vincolata in epoca successiva al 12 maggio 2006, data di entrata in vigore del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in relazione al paesaggio)».

Secondo l’Avvocatura generale, questa disciplina sull’applicabilità del divieto di sanatoria ex post invaderebbe in maniera «lampante» la potestà normativa dello Stato in materia di tutela del paesaggio, che deve assicurare regole uniformi su tutto il territorio nazionale.

21.– Oggetto di impugnazione, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo all’art. 32, comma 1, lettere a), b), c) e d), del d.P.R. n. 380 del 2001, è anche l’art. 41 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

La disposizione sostituisce l’art. 6 (rubricato «Variazioni essenziali al progetto approvato») della legge della Regione Piemonte 8 luglio 1999, n. 19, recante «Norme in materia edilizia e modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo)».

Le censure sono rivolte, in particolare, al comma 1, lettera a), del sostituito art. 6 ove si stabilisce: «1. Ai sensi dell’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) si ha variazione essenziale al progetto approvato quando si verificano una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implica incremento degli standard previsti dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444».

La disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale enunciato nell’art. 32, comma 1, lettera a), t.u. edilizia, secondo cui «Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968 […]».

La norma regionale in esame esclude, invece, la qualificazione di «variazione essenziale al progetto approvato» in relazione ai mutamenti di destinazione d’uso che comportino un decremento degli standard di cui al d.m. n. 1444 del 1968, così contrastando con il parametro interposto di cui alla citata norma statale e violando l’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alla materia «governo del territorio».

Parimenti lesive del medesimo parametro costituzionale, per contrasto con le disposizioni statali di principio interposte di volta in volta, risulterebbero, ad avviso del ricorrente:

– la lettera b) del comma 1 del nuovo art. 6 della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, la quale, anziché prevedere, come sancito dall’art. 32, comma 1, lettera b), t.u. edilizia, che costituisce variazione essenziale al progetto approvato l’«aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato», stabilisce, in via automatica, che siffatta variazione si verifica quando sussiste un «aumento in misura superiore al 30 per cento della cubatura o della superficie di solaio»;

– la lettera c) del medesimo comma 1 del nuovo art. 6, la quale dispone il ricorrere dell’essenzialità della variazione solo nel caso di «modifiche superiori al 20 per cento dei parametri urbanistico-edilizi relativi all’altezza e alla superficie coperta del progetto approvato». Ciò, diversamente dall’art. 32, comma 1, lettera c), t.u. edilizia, il quale prevede, tra le condizioni al verificarsi delle quali si ha variazione essenziale, le «modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato»;

– l’omesso richiamo alla previsione di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art. 32 da ultimo citato che include tra le variazioni essenziali il «mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito».

22.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 42 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, il quale reca modifiche all’art. 6-bis della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, sostituendone il comma 6 e stabilendo: «Ferma l’immediata efficacia delle tolleranze esecutive formalizzate al comma 3, con deliberazione della Giunta regionale, acquisito il parere della commissione consiliare competente, possono essere individuate ulteriori tolleranze esecutive […]».

Ad avviso del ricorrente, questa disposizione sarebbe censurabile per la parte in cui, nel prevedere la possibilità che la Giunta regionale individui altre tolleranze esecutive rispetto a quelle formalizzate ai sensi del comma 3 dell’art. 6-bis (le quali sono consentite nei limiti previsti dal comma 1 dello stesso articolo, identici a quelli stabiliti nell’art. 34-bis t.u. edilizia), non richiama proprio il disposto di tale articolo, inserito dall’art. 10, comma 1, lettera p), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120. In tal modo, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali della materia del governo del territorio, espressi proprio dal citato art. 34-bis.

23.– Oggetto d’impugnativa è pure l’art. 47, commi 2 e 4, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

Esso reca disposizioni sugli spazi di uso collettivo e accessori alla residenza, nonché su incentivi per i nuovi format edilizi, prevedendo, al comma 2, che gli interventi per la realizzazione di aule ricreative, stanze per il tele-lavoro e gli altri ivi indicati, possano essere realizzati «anche se non previst[i] dai vigenti strumenti urbanistici generali ed esecutivi», e stabilendo, al comma 4, il possibile recupero, anche a fini abitativi, del piano pilotis esistente, «in deroga alla densità fondiaria di cui all’articolo 7 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e alle norme del PRG, ammettendosi finanche la possibilità di effettuare, nel medesimo edificio, gli interventi di cui agli articoli 5 e 6 della legge regionale n. 16 del 2018».

Le suddette previsioni, «sebbene indirettamente», consentirebbero di derogare al PPR adottato d’intesa con lo Stato, violando così l’obbligo di conformazione degli strumenti urbanistici al PPR. Ciò si porrebbe in collisione con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto al quale costituirebbero norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché con gli artt. 3 e 9 Cost. Sarebbe, inoltre, violato l’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali nella materia «governo del territorio» stabiliti dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, nonché con l’art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, anche per le ragioni che l’Avvocatura generale ha già illustrato nelle censure relative all’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022. Incidendo sul Piano condiviso con lo Stato, le disposizioni impugnate violerebbero, altresì, il principio di leale collaborazione; tutto genererebbe, infine, un pregiudizio della tutela del paesaggio e, dunque, del contenuto dell’art. 9 Cost.

24.– L’art. 48 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, d’altro canto, s’esporrebbe «ad analoghe censure di illegittimità».

Esso introduce disposizioni per l’installazione in edifici privati di vasche riabilitative per idroterapia, prevedendo, al comma 1, che al fine di «tutelare i diritti delle persone con disabilità è consentita la realizzazione di una vasca riabilitativa, in edifici privati esistenti o di nuova costruzione, per svolgere esercizi riabilitativi, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti». Stabilisce, poi, al comma 4, che agli «eventuali incrementi fuori sagoma si applicano le distanze minime di cui all’articolo 9 del decreto ministeriale 1444/1968 e le normative vigenti in materia antisismica, di sicurezza, antincendio, energetica, acustica, igienico sanitaria, nonché le disposizioni contenute nel decreto legislativo 42/2004, quanto previsto dal PPR, quanto definito dalle norme del PAI [piano stralcio per l'assetto idrogeologico del bacino idrografico del fiume Po] e dalle norme degli strumenti urbanistici adeguati al PAI». Anche in questo caso, in forza della prevista deroga agli strumenti urbanistici vigenti, si configurerebbe, «sebbene indirettamente», una violazione del PPR, il cui rispetto sarebbe fatto salvo soltanto in riferimento agli interventi “fuori sagoma”.

Perciò, l’art. 48 qui impugnato si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché con gli artt. 3 e 9 Cost., «anche alla luce delle considerazioni e dei principi richiamati nel IV motivo di ricorso». Risulterebbe, altresì, violato l’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali statali nella materia «governo del territorio» fissati dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, nonché con l’art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, «per le ragioni illustrate nel VII motivo di ricorso». Il principio di leale collaborazione sarebbe, inoltre, pregiudicato dall’intervento unilaterale del legislatore regionale e l’art. 9 Cost. finirebbe per essere violato nella parte in cui «assegna alla tutela del paesaggio il rango di valore primario e assoluto».

25.– Con atto depositato il 17 agosto 2022 si è costituita in giudizio la Regione Piemonte.

Preliminarmente la difesa regionale ha rilevato come, con riguardo a diverse delle censure contenute nel ricorso, la Regione, in controdeduzione alle osservazioni dei Ministeri della transizione ecologica, della salute, della giustizia, delle infrastrutture e della mobilità sostenibile e della cultura, avrebbe offerto «disponibilità a modificare molte delle norme impugnate», ma il termine per proporre l’impugnativa avrebbe impedito di avviare il confronto in tempi utili.

Pertanto, la difesa della Regione Piemonte richiama, rispetto alle singole censure, le proposte di «modifiche/integrazioni/abrogazioni che, nell’ottica di un leale confronto ai fini di una risoluzione delle (o per lo meno, di alcune delle) questioni controverse, il Consigliere regionale primo firmatario» avrebbe «proposto nel/nei documenti di controdeduzioni» o, «comunque, intende proporre al fine di uniformare (cercare di uniformare) la legge impugnata ai rilievi ministeriali».

25.1.– Con riferimento alla questione promossa con riguardo all’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha modificato l’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., relativamente al principio statale della materia «governo del territorio» recato dall’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, la difesa regionale riporta ampi stralci delle proposte di modifica e rileva come esse, «comportando l’automatico allineamento, quanto alla nozione di stato legittimo, della disposizione regionale a quella statale di cui all’art. 9-bis, comma 1-bis del DPR n. 380/2001, super[erebbero] quindi i rilievi di incostituzionalità sollevati dal Governo».

25.2.– Quanto alle questioni promosse sull’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha novellato l’art. 3, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e all’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, la difesa della Regione evidenzia il ruolo della clausola generale prevista all’art. 1, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018. Questa nel prevedere il «rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e del piano paesaggistico regionale (PPR)» assicurerebbe il «ruolo preminente del PPR e la sua prevalenza rispetto alla pianificazione comunale».

Le censurate deroghe alla normativa urbanistica non «comport[erebbero, pertanto,] una deroga anche alla normativa paesaggistica», stante che «molti degli articoli censurati prevedono un rinvio, “fanno salve”, le previsioni del PPR nonché dei piani territoriali e dei piani regolatori generali».

La difesa regionale fa, inoltre, cenno alla possibilità di inserire, in sede di iniziative di collaborazione e dialogo, menzioni espresse al richiamo di tutte le disposizioni paesaggistiche vigenti.

Relativamente poi alla ritenuta violazione anche del principio di leale collaborazione, la difesa regionale insiste sull’incontestato processo pianificatorio regionale e sulla massima collaborazione cui esso si è ispirato, richiamando l’art. 2, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 (non oggetto di impugnativa), nella parte in cui «inserisce all’art. 17 della legge regionale n. 56/1977, il comma 4 bis secondo il quale “4 bis. Sono varianti di adeguamento al PPR quelle finalizzate all’esclusivo recepimento del PPR, relativamente agli elaborati di cui all’articolo 8 bis, comma 7, da formarsi e approvarsi con la procedura di cui all’articolo 15. Tale adeguamento può altresì avvenire nell’ambito delle varianti di cui al comma 3. 4 ter. Al procedimento relativo alle varianti di adeguamento al PPR resta ferma la partecipazione degli organi ministeriali secondo quanto disposto dal decreto legislativo 42/2004”». La difesa della resistente fa altresì riferimento al comma 1 dello stesso art. 2 che inserisce, «tra le varianti strutturali di cui al comma 4 dell’art. 17 della legge regionale n. 56/1977, le citate “varianti di adeguamento al PPR”». Ad avviso della resistente, scopo di tali modifiche sarebbe quello di agevolare (e incentivare) la procedura di adeguamento dello strumento urbanistico comunale alle previsioni del PPR, così favorendo una più rapida conclusione del citato processo di conformazione, e tale intento sarebbe perciò pienamente in linea con il principio di leale collaborazione.

25.3.– Avendo poi riguardo alla lamentata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, che sarebbe stata realizzata con la modifica apportata dall’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 all’art. 5, commi 2, 3, 4 e 9, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, la difesa della Regione resistente rileva che «al comma 11 dell’articolo in questione vengono chiaramente “fatte salve le diverse previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti” con ciò evidentemente intendendosi che non possono essere autorizzati interventi in contrasto con il PPR».

In ogni caso, «in quell’ottica collaborativa» menzionata in premessa dell’atto di costituzione, la difesa regionale riporta lo stralcio di proposte di modifica che comporterebbero «l’automatica decadenza della dedotta censura di incostituzionalità».

25.4.– Quanto alle questioni sollevate sull’art. 8, commi 1 e 6 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la Regione illustra le modifiche proposte e sostiene che sono «tali da superare i rilievi di incostituzionalità sollevati dall’Avvocatura».

Sarebbero, poi, non fondate le questioni promosse sull’art. 8, comma 9, della medesima legge regionale, in quanto la disposizione che prevede la deroga al d.m. 5 luglio 1975 riguarderebbe la realizzazione di opere edilizie volte a conseguire l’agibilità di un sottotetto esistente, che verrebbe migliorato sotto il profilo igienico-sanitario.

Avuto riguardo all’art. 10 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 la Regione, pur ribadendo la non fondatezza delle censure dedotte dalla difesa dello Stato, illustra l’integrazione proposta al testo, che sarebbe in grado di superare le criticità riscontrate.

25.5.– Quanto alle questioni promosse sull’art. 16, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la difesa regionale rinvia alle proposte di modifica già menzionate concernenti il riferimento allo «stato legittimo degli immobili», proposte che sarebbero tali «da superare la eccepita censura di incostituzionalità».

25.6.– Infine, con riguardo alle impugnazioni sull’art. 20, commi 1 e 2, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la difesa della Regione Piemonte fa ancora riferimento alle modifiche che, nell’ottica collaborativa più volte evocata, sarebbero in via di definizione, e che determinerebbero «la decadenza anche delle anzidette censure».

25.7.– Con riferimento alle impugnazioni concernenti l’art. 41 della legge n. 7 del 2022, la Regione Piemonte sostiene che con la legge reg. Piemonte n. 19 del 1999 era già stata individuata una serie di tipologie di variante essenziale, ora aggiornate con la disposizione impugnata sulla base dei nuovi criteri costruttivi e dei nuovi parametri urbanistici previsti nei piani regolatori comunali.

La difesa regionale sostiene che, poiché l’art. 32 t.u. edilizia si limita a stabilire solo dei criteri generali («aumento consistente della cubatura […] modifiche sostanziali di parametri urbanistici […]»), ben poteva la Regione, nell’esercizio della sua competenza legislativa nella materia «governo del territorio», modificare o, meglio, specificare diversamente rispetto a quanto fatto in precedenza con la legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, i generici criteri statali, elencando le condizioni tassative che sole consentono di considerare di integrare la fattispecie di variazione edilizia essenziale.

26.– Nell’atto di costituzione in giudizio, la Regione ha anche fatto presente che, al fine di una risoluzione delle questioni controverse, erano in corso delle valutazioni sulle possibili abrogazioni o modifiche alle disposizioni impugnate.

Su istanza congiunta delle parti, è stato dunque disposto un rinvio dell’udienza di trattazione del ricorso, al fine di consentire il completamento delle modifiche legislative in parola.

A seguito dell’entrata in vigore della legge della Regione Piemonte 19 settembre 2023, n. 20, recante «Modifiche alla legge regionale 31 maggio 2022, n. 7 (Norme di semplificazione in materia urbanistica ed edilizia)», il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato il 23 febbraio 2024, ha presentato rinuncia parziale, relativa – tra le altre – alle censure sugli artt. 3, comma 2; 11; 13, comma 6; 14, commi 3 e 5; 16; 18, comma 3; 19, comma 1; 20; 21, commi 1 e 3; 34, comma 1; 36; 40 e 42 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

La rinuncia è stata accettata dalla Regione con atto depositato il 5 marzo 2024.

27.– La Regione ha quindi depositato una memoria in prossimità dell’udienza pubblica, con cui ha precisato le proprie posizioni.

27.1.– In particolare, in merito alla prima censura sull’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, ritiene che la modifica apportata dalla legge reg. Piemonte n. 20 del 2023 all’art. 2, comma 1, lettera d-bis), della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 (cui l’art. 5 fa rinvio) abbia reso prive di fondamento le ragioni di doglianza e chiede pertanto la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

A parere della difesa regionale, sussisterebbero entrambe le condizioni che questa Corte richiede a tal fine.

Da un lato, l’intervento sarebbe satisfattivo e, da un altro lato, la rinuncia alla questione sull’art. 3, comma 2, «rende[rebbe] ragione di una sorta di “certificazione” da parte del Governo circa la mancata applicazione medio tempore della norma regionale su cui si sarebbe fondata l’asserita illegittimità costituzionale del profilo di censura dell’art. 5».

27.2.– Con riguardo alla seconda questione posta sull’art. 5 della citata legge regionale, la difesa resistente sostiene la non fondatezza «per la palese erroneità del presupposto interpretativo che […] sorregge» la stessa, ossia il convincimento che il nuovo comma 3 dell’art. 3 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 renderebbe possibile e autorizzerebbe, anche se indirettamente, una violazione del PPR, per la sola possibilità di derogare al PRG.

Simile assunto sarebbe privo di consistenza, poiché i richiami che la legge regionale opera al PPR e alla disciplina statale sulla tutela del paesaggio renderebbero evidente la «impossibilità di ricavare dalla disposizione oggetto delle censure […] una qualunque norma che abiliti o anche solo renda possibile una ipotetica deroga alle previsioni del vigente PPR nella sua integralità».

Al medesimo esito si potrebbe comunque giungere, a parere della difesa regionale, anche considerando che nella Regione Piemonte troverebbe immediata applicazione la disposizione transitoria nazionale sul secondo piano casa, che contempla espressamente la derogabilità al PRG e agli strumenti di pianificazione urbanistica, stabilendo al contempo «tutti i presìdi necessari a garantire la conformità dei suddetti interventi alle previsioni e alle misure della pianificazione paesaggistica».

Di conseguenza, il legislatore regionale non avrebbe ampliato la portata di disposizioni eccezionali derogatorie al piano paesaggistico, ma si sarebbe limitato a rendere esplicito, ai fini del riuso e della riqualificazione di determinati immobili, «il perfetto allineamento alla disciplina statale di cui all’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011».

27.3.– Quanto alla prima censura relativa all’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la Regione ne sostiene la non fondatezza ritenendo che l’asserita derogabilità del PPR sarebbe manifestamente priva di fondamento, potendosi interpretare la norma nel senso che, «pur nell’ambito di una disciplina che consente limitate e puntuali deroghe agli strumenti urbanistici vigenti, ne sancisce comunque e in ogni caso la espressa inderogabilità con riferimento ad alcuni specifici contenuti prescrittivi, tra i quali sono esplicitamente menzionati quelli finalizzati alla conservazione e salvaguardia dei caratteri insediativi e architettonici “di valore (…) paesaggistico”».

27.4.– Anche relativamente alla seconda censura appuntata sull’art. 7 della citata legge regionale n. 7 del 2022, la Regione deduce argomenti per la non fondatezza.

Nella prospettazione della difesa regionale, la norma impugnata non comporterebbe in realtà una derogabilità ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard urbanistici di cui al d.m. n. 1444 del 1968, perché la normativa regionale, e in particolar l’art. 3, comma 2, lettera c), della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, contemplerebbero anche per gli interventi di cui alla norma impugnata, un rinvio «a quanto previsto […] dall’articolo 14, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 380/2001»: in virtù di tale rinvio, sarebbe in tale norma statale che gli interventi regionali troverebbero «esplicita copertura», nella misura in cui quella «autorizza stabilmente e senza limiti temporali, alle condizioni e con i vincoli procedimentali ivi previsti, il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti e agli standard urbanistici».

La difesa regionale riconosce, semmai, che si possa riscontrare un «possibile elemento di (invero minimo) disallineamento» rispetto alla menzionata disciplina statale, soltanto là dove la norma regionale impugnata contempla anche la possibilità di «superare le densità fondiarie stabilite dall’art. 7 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444», ponendosi così apparentemente in contrasto anche con quanto stabilito dallo stesso art. 14, comma 3, t.u. edilizia. In tal caso, il legislatore statale ha infatti stabilito «in termini assoluti la inderogabilità “delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444”». Soltanto per questa parte, perciò, la questione potrebbe essere dichiarata fondata.

27.5.– Sempre con la memoria presentata in vista dell’udienza pubblica, la Regione Piemonte ha eccepito l’inammissibilità, per genericità, delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promosse in riferimento agli artt. 9 e 97 Cost., rilevando altresì che quest’ultimo parametro non sarebbe «neppure menzionato nella Relazione di accompagnamento alla Delibera del Consiglio dei ministri di autorizzazione all’impugnativa».

La questione riferita all’art. 3 Cost. non sarebbe fondata, in quanto la disposizione impugnata, nel consentire la possibilità di recuperare i sottotetti anche di futura realizzazione, non sarebbe irragionevole, alla luce delle apprezzabili finalità perseguite dal legislatore regionale, volte a «incentivare il recupero dei sottotetti e dei solai ritenendoli una risorsa estremamente strategica per perseguire l’obiettivo di una drastica riduzione del consumo di suolo e di una razionale rigenerazione urbana».

Avuto riguardo all’art. 8, comma 6, della legge regionale impugnata, la Regione sostiene che la disposizione non conterrebbe una «deroga sistematica e generalizzata agli strumenti urbanistici», ma avrebbe soltanto esplicitato che per i sottotetti, che sono «organismi edilizi non funzionalmente e strutturalmente autonomi rispetto all’edificio principale e situati all’interno del medesimo involucro edilizio», la conformità agli indici e ai parametri edilizi non dovrebbe «essere nuovamente e autonomamente verificata, essendo sufficiente quella già accertata al momento del rilascio del permesso di costruire per la realizzazione dell’edificio principale e che riguarda necessariamente l’intero involucro edilizio, ivi compresa la porzione relativa ai sottotetti».

Inoltre, occorrerebbe tenere conto della circostanza che nella Regione Piemonte è vigente un piano paesaggistico approvato congiuntamente nel 2017 con il Ministro competente e che la disciplina impugnata non contemplerebbe alcuna deroga espressa ai vincoli e alle previsioni del piano paesaggistico.

Del resto, aggiunge la Regione, l’art. 1, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 contiene un espresso richiamo alla necessità di rispettare le disposizioni del codice dei beni culturali e del piano paesaggistico.

Quanto all’art. 8, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la Regione richiama, ai fini della non fondatezza della questione, la sentenza di questa Corte n. 54 del 2021 e ritiene, in base alle considerazioni ivi svolte, che la peculiare morfologia dei vani sottotetto – i quali «si pongono, rispetto all’edificio principale, in un rapporto di stretta dipendenza sia sotto il profilo strutturale che funzionale, al punto che essi non possono essere classificati come autonomi organismi edilizi – non consente di estendere a essi la disciplina prevista dal legislatore statale con il d.m. 5 luglio 1975 in materia di altezza minima e requisiti igienico-sanitari degli edifici».

27.6.– Infine, in relazione alle censure formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso l’art. 10 della legge regionale impugnata, la Regione osserva che l’art. 1 del regolamento regionale attuativo del piano paesaggistico regionale prevede, in conformità con l’art. 145, comma 5, cod. beni culturali, la partecipazione alla procedura di approvazione della variante semplificata degli organi ministeriali interessati.

Richiama, quindi, l’art. 11, comma 5, del citato regolamento, secondo cui «[p]er le varianti semplificate di cui all’articolo 17bis della l.r. 56/1977, ivi comprese quelle di cui al comma 15bis del medesimo articolo, il rispetto del Ppr è verificato nell’ambito della conferenza di servizi».

27.7.– Quanto alle censure concernenti l’art. 41 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la Regione Piemonte ribadisce le ragioni di non fondatezza delle questioni già esposte nell’atto di costituzione, avendo il legislatore regionale unicamente specificato e delimitato le condizioni per la individuazione delle variazioni essenziali dettate dall’art. 32, comma 1, lettere a), b), c) e d), t.u. edilizia.

27.8.– Riguardo l’impugnativa dell’art. 47 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la difesa regionale afferma che la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. sarebbe manifestamente infondata per erroneità del presupposto interpretativo: come questa Corte avrebbe già affermato, non sarebbe corretto inferire, dalla previsione di interventi in deroga agli strumenti urbanistici, un’automatica deroga al Piano paesaggistico vigente.

Gli artt. 24, comma 1, e 49, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, nonché l’art. 7 della legge della Regione Piemonte 1° dicembre 2008, n. 32, recante «Provvedimenti urgenti di adeguamento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137)» imporrebbero, peraltro, ai fini del rilascio del titolo edilizio, la valutazione di conformità con le previsioni del Piano paesaggistico: l’ordinamento regionale, dunque, garantirebbe indubitabilmente il rispetto del PPR.

La questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., pure, sarebbe non fondata.

Le disposizioni regionali, infatti, dovrebbero interpretarsi alla luce di quanto previsto nell’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia: sarebbe del tutto legittimo prevedere nuovi interventi edilizi, in deroga ai piani urbanistici, ove si consideri che la norma statale già lo consente, se sussistono finalità di pubblico interesse (esistenti nel caso qui esaminato: rigenerazione urbana o recupero sociale dell’insediamento) e a condizione che si rispetti uno specifico iter procedimentale (delibera del Consiglio comunale).

Potrebbe allora rilevarsi un «(invero minimo) disallineamento rispetto alla disciplina del TUE» solamente nella parte in cui l’art. 47, comma 4, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, prevede la possibilità di derogare agli standard sulle densità fondiarie di cui al d.m. n. 1444 del 1968, i quali potrebbero, in effetti, rappresentare principi fondamentali della materia «governo del territorio»: ciò potrebbe giustificare una decisione di accoglimento, ma solamente parziale e limitato all’inciso «in deroga alla densità fondiaria di cui all’art. 7 del decreto ministeriale 1444/1968».

27.9.– Per quanto concerne l’impugnativa dell’art. 48 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, la Regione sostiene che la questione concernente la (indiretta) violazione del Piano paesaggistico, determinata dalla possibilità di costruire le vasche per la idroterapia in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, sarebbe manifestamente infondata per le stesse ragioni già esposte con riferimento alla stessa censura rivolta all’art. 47 della citata legge regionale.

La questione che riguarda, invece, la violazione dei principi fondamentali nella materia «governo del territorio» sarebbe non fondata perché le disposizioni impugnate avrebbero l’espressa finalità di tutelare i diritti delle persone con disabilità e, ove confrontate con la legge quadro statale in materia, la legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), risulterebbero a essa pienamente conformi.

Se si considera, infatti, che l’art. 10 della legge n. 104 del 1992 prevede che l’approvazione di progetti edilizi per costruire immobili da destinare a comunità alloggio e a centri riabilitativi costituisce variante al Piano regolatore, non si potrebbe ritenere illegittima l’installazione di vasche in fabbricati privati per la terapia dei soggetti con disabilità, pure se in deroga al Piano.

L’art. 10 ora menzionato esprimerebbe, insomma, una norma di principio, che andrebbe applicata al caso della costruzione di tali vasche riabilitative, se presente la certificazione della disabilità ai sensi della legge n. 104 del 1992.

28.– Il 19 marzo 2024 è intervenuta fuori termine la Società Fabrizio Taricco Costruzioni srl.

29.– Nella pubblica udienza del 9 aprile 2024, l’Avvocatura generale dello Stato e gli avvocati della Regione hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

Nella stessa udienza è stato dichiarato inammissibile l’intervento della Società Fabrizio Taricco Costruzioni srl.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso iscritto al n. 54 reg. ric. 2022, depositato il 5 agosto 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2; 5; 7; 8, commi 1, 6 e 9; 10; 11; 13, comma 6; 14, commi 3 e 5; 16; 18, comma 3; 19, comma 1; 20; 21, commi 1 e 3; 34, comma 1; 36; 40; 41; 42; 47, commi 2 e 4, e 48 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, deducendo la violazione di molteplici parametri costituzionali: degli artt. 3, 5, 9, 32, 97, 117, secondo comma, lettere m), p) ed s), e 118, commi primo e secondo, Cost., in relazione, quanto alla dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali e all’art. 5, comma 11, d.l. n. 70 del 2011, come convertito; dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio», recati dagli artt. 2-bis, commi 1 e 1-bis, 9-bis, comma 1-bis, 10, comma 1, lettera c), 14, 16, comma 4, lettera d-ter), 23, comma 01, lettera a), 31, 32, comma 1, lettere a), b), c) e d), e 34-bis t.u. edilizia, dall’art. 5, commi 10 e 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, e dall’art. 41-quinquies legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968; del medesimo parametro di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., quanto alla materia «tutela della salute», in relazione al d.m. 5 luglio 1975; e, infine, del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

2.– In via preliminare, deve essere ribadita l’inammissibilità dell’intervento spiegato dalla Società Fabrizio Taricco Costruzioni, già dichiarata con l’ordinanza dibattimentale, allegata a questa sentenza.

Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata, ai sensi dell’art. 25 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione, per intervenuto atto di rinuncia depositato il 23 febbraio 2023 dal Presidente del Consiglio dei ministri, accettato il successivo 5 marzo dalla Regione Piemonte, delle questioni concernenti gli artt. 3, comma 2; 11; 13, comma 6; 14, commi 3 e 5; 16; 18, comma 3; 19, comma 1; 20; 21, commi 1 e 3; 34, comma 1; 36; 40 e 42 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

3.– La prima tra le questioni non oggetto di rinuncia verte sull’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui, novellando i commi 1 e 2 dell’art. 3 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, avrebbe consentito la realizzazione degli interventi previsti dal cosiddetto secondo piano casa anche su immobili oggetto di condono e, pertanto, «non conformi alla normativa urbanistica ed edilizia secondo il parametro della doppia conformità».

Ne conseguirebbe la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con il principio fondamentale nella materia «governo del territorio», stabilito dall’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, il quale prevede che «[g]li interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria».

3.1.– Nelle memorie, la difesa regionale dà conto della modifica apportata con la legge reg. Piemonte n. 20 del 2023 all’art. 2, comma 1, lettera d-bis), della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, cui la norma impugnata fa rinvio, al fine di individuare la nozione di edifici e di parti di edifici legittimi.

A seguito di tale novella, gli edifici legittimi, cui risulterebbero applicabili gli interventi menzionati dal secondo piano casa, sarebbero solo quelli «realizzati legittimamente o per i quali è stato rilasciato titolo abilitativo in sanatoria ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)».

La Regione, pertanto, chiede la cessazione della materia del contendere, poiché la riforma introdotta avrebbe reso prive di fondamento le doglianze dello Stato.

A tal fine, sostiene che l’intervento risulterebbe satisfattivo e che la rinuncia alle questioni relative all’art. 3, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 «rende[rebbe] ragione di una sorta di “certificazione” da parte del Governo circa la mancata applicazione medio tempore della norma regionale su cui si sarebbe fondata l’asserita illegittimità costituzionale del profilo di censura dell’art. 5».

3.2.– Secondo questa Corte – diversamente da quanto sostiene la difesa regionale –dalla rinuncia alle questioni concernenti l’art. 3, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 non è dato inferire né che la norma abrogata non abbia trovato applicazione medio tempore, né una carenza di interesse rispetto alla censura relativa all’art. 5 della medesima legge regionale.

Pertanto, non può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

4.– Nel merito la questione è fondata.

4.1.– L’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 ha novellato l’art. 3, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, operando, al fine della individuazione degli edifici o delle parti di edificio legittimi, un rinvio all’art. 2, comma 1, lettera d-bis), della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, che li identifica in quelli «realizzati legittimamente o per i quali è stato rilasciato titolo abilitativo in sanatoria ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326».

In tal modo, vengono considerati “legittimi” anche quegli edifici per i quali era stato rilasciato titolo abilitativo in base all’art. 31 della legge n. 47 del 1985, all’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e all’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito. Le richiamate previsioni normative hanno, in particolare, regolato presupposti e condizioni per tre diversi condoni edilizi, vale a dire per tre eccezionali ipotesi in cui il legislatore, in via straordinaria e con regole ad hoc, ha consentito di sanare situazioni di abuso, perpetrate sino a una certa data, di natura sostanziale (sul punto si vedano le sentenze n. 42 del 2023, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 50 del 2017).

Al contempo, l’art. 3, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, come novellato sempre dall’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, ha rinviato, ai fini del riuso e della riqualificazione degli immobili di cui al comma 1, a quanto previsto, tra l’altro, «dall’articolo 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106» (per l’appunto il cosiddetto secondo piano casa).

Ne deriva, quale conseguenza, che il legislatore regionale ha consentito gli interventi previsti dal secondo piano casa anche rispetto a immobili abusivi condonati.

4.2.– Tale conclusione si pone in aperto contrasto con quanto disposto dall’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.

Come già precisato da questa Corte (sentenza n. 24 del 2022, e in senso conforme sentenza n. 90 del 2023), la citata previsione, in base alla quale «[g]li interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria», si deve «interpretare in senso restrittivo, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa in esame». Mentre, infatti, «il condono ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia (sentenza n. 50 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto), il titolo in sanatoria presuppone la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’immobile sia al momento della presentazione della domanda (sentenza n. 107 del 2017, punto 7.2. del Considerato in diritto). A favore dell’interpretazione restrittiva milita il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative» (sentenza n. 24 del 2022).

4.3.– Per le ragioni esposte, l’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha novellato l’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 vìola l’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, che non soltanto è «norma fondamentale di riforma economico-sociale» (sentenze n. 90 del 2023 e n. 24 del 2022), ma si ascrive altresì ai principi fondamentali della materia «governo del territorio»; pertanto, la norma impugnata si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.

4.4.– Deve, tuttavia, precisarsi che, poiché l’art. 1, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 20 del 2023 ha modificato la norma a cui fa rinvio l’indicato art. 3, comma 1, vale a dire l’art. 2, comma 1, lettera d-bis), della legge regionale n. 16 del 2018, il cui testo novellato stabilisce che siano edifici o parti di edifici legittimi solo quelli «realizzati legittimamente o per i quali è stato rilasciato titolo abilitativo in sanatoria ai sensi degli articoli 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)», la dichiarazione di illegittimità costituzionale va limitata alla portata del rinvio antecedente a tale ultima riforma.

Pertanto, è costituzionalmente illegittimo l’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui, novellando i commi 1 e 2, lettera b), dell’art. 3 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, ha reso applicabile – in virtù del rinvio all’art. 2, comma 1, lettera d-bis), della citata legge reg. n. 16 del 2018, nel testo antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 20 del 2023 – la disciplina di cui all’art. 5, comma 9 e seguenti del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, anche agli edifici per i quali «[era] stato rilasciato titolo abilitativo in sanatoria ai sensi […] della legge 28 febbraio 1985, n. 47 […], della legge 23 dicembre 1994, n. 724 […], del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269».

5.– Di seguito, l’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 è stato impugnato anche nella parte in cui modifica l’art. 3, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

La norma stabilisce che, «[l]imitatamente ai casi di cui al comma 2, lettera b)» – il quale, nel rinviare all’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, richiama gli interventi previsti dal secondo piano casa – il rilascio del permesso di costruire è subordinato a una deliberazione comunale. Quest’ultima, in particolare, deve dichiarare: «a) l’interesse pubblico dell’iniziativa in progetto. L’effettiva riqualificazione integra l’interesse pubblico ove rimuova, relativamente a edifici degradati o con funzioni incongrue o dismessi, anche mediante il mutamento di destinazioni d’uso, condizioni di degrado sociale, edilizio, economico, anche singolarmente intese; b) il corretto inserimento dell’intervento nel contesto urbano; c) l’eventuale attribuzione di volume o superficie premiale, espressa applicando i parametri di cui alla normativa locale; d) l’eventuale delocalizzazione di superficie o volume, in tutto o in parte, in area o aree diverse, purché non caratterizzate da inedificabilità assoluta. La dotazione delocalizzata può aggiungersi a quella esistente o prevista dalla disciplina urbanistica vigente; e) gli interventi eventualmente necessari per conseguire l’armonizzazione architettonica e paesaggistica rispetto al contesto edificato, con facoltà di concedere, previa motivazione, premialità anche maggiori rispetto a quelle di cui alla lettera c). Fatto salvo quanto previsto dalla deliberazione del consiglio comunale, trova applicazione la disciplina prevista dal PRG vigente nel comune».

5.1.– Il ricorrente ritiene che la norma impugnata consentirebbe interventi di rilevante impatto sul territorio, in deroga agli strumenti urbanistici, e da questo inferisce il rischio di deroga anche alla disciplina paesaggista e al PPR. Verrebbe, in tal modo, violato il «principio di gerarchia dei piani […] che pone il piano paesaggistico al vertice della pianificazione» e in posizione «prevale[nte] […] sulle disposizioni regionali urbanistiche», e sarebbe altresì minata l’attuazione unitaria del piano paesaggistico mediante pianificazione urbanistica. Si contesta, poi, che il comune, nel verificare la conformità alle esigenze ambientali, sarebbe investito di poteri di pianificazione paesaggistica, dovendo stabilire autonomamente gli interventi eventualmente necessari per conseguire l’armonizzazione architettonica e paesaggistica rispetto al contesto edificato.

Inoltre, il ricorso lamenta che la norma stabilirebbe interventi generali e astratti che consentirebbero «indiscriminatamente interventi di rilevante impatto sul territorio, senza una valutazione in concreto». In tal modo, la tutela paesaggistica verrebbe gravemente menomata, «perché limitata alle singole decisioni che, caso per caso, gli organi amministrativi preposti dovranno assumere nell’ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del Codice».

La norma regionale, pertanto, violerebbe gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali e all’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.

5.2.– In correlazione a tale profilo di censura, il ricorrente ravvisa un contrasto anche con il principio di leale collaborazione, poiché l’impugnato art. 5 sarebbe il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’approvazione del piano paesaggistico regionale.

5.3.– Infine, alle richiamate censure vengono aggiunti ancillari rilievi di irragionevolezza riferiti alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., con i quali si contesta che la ritenuta deroga alla pianificazione paesaggistica risulterebbe contraddittoria e irragionevole rispetto all’approvazione del piano paesaggistico, nonché contraria al principio del buon andamento della pubblica amministrazione.

6.– Nel loro complesso, le questioni promosse con riguardo all’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui modifica l’art. 3, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, non sono fondate.

6.1.– La Regione Piemonte – come lo stesso ricorrente riconosce – ha approvato, con deliberazione del Consiglio regionale n. 233-35836 del 3 ottobre 2017, il PPR, all’esito dell’accordo sul Piano paesaggistico del 14 marzo 2017, stipulato con il Ministero per i beni e le attività culturali (oggi: Ministero della cultura), ai sensi dell’art. 143, comma 2, cod. beni culturali, così portando a compimento il processo di co-pianificazione con lo Stato.

Con decreto del Presidente della Giunta regionale 22 marzo 2019, n. 4/R, la Regione Piemonte ha inoltre adottato il regolamento regionale attuativo del Piano paesaggistico regionale, in vigore dal 12 aprile 2019.

Come questa Corte ha più volte evidenziato (ex plurimis, sentenze n. 17 del 2023, n. 240, n. 187 e n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021), in virtù del principio di prevalenza della tutela paesaggistica, la normativa dettata da una Regione dotata di PPR va interpretata, in assenza di deroghe espresse alla disciplina paesaggistica, in termini di conformità alla stessa e alle prescrizioni del PPR.

Oltretutto, nel caso della legge regionale in esame, qualsivoglia dubbio in merito a supposte deroghe alla citata disciplina e al PPR si dissolve a fronte del chiaro portato normativo dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, in base al quale è solo «nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e del piano paesaggistico regionale (PPR)» che la Regione può promuovere «interventi di riuso e di riqualificazione degli edifici esistenti, interventi di rigenerazione urbana e il recupero dei sottotetti e dei rustici», finalizzati a «limitare il consumo di suolo e riqualificare la città esistente, aumentare la sicurezza statica dei manufatti, le prestazioni energetiche degli stessi, favorire il miglioramento della qualità ambientale, paesaggistica e architettonica del tessuto edificato».

6.2.– Di conseguenza, una norma regionale come quella impugnata, che consente deroghe agli strumenti di pianificazione urbanistica, non integra di per sé anche una deroga alle prescrizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e al PPR (così già le sentenze n. 17 del 2023 e n. 124 del 2021).

Pertanto, là dove la norma prevede, quale condizione per il rilascio del permesso di costruire relativamente agli interventi di cui all’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, la deliberazione comunale che dichiara l’interesse pubblico dell’iniziativa e «gli interventi eventualmente necessari per conseguire l’armonizzazione architettonica e paesaggistica rispetto al contesto edificato», essa può essere pianamente interpretata in un senso non derogatorio delle prescrizioni del PPR e di tutta la normativa ambientale, a partire dalla necessaria autorizzazione paesaggistica.

Il doveroso rispetto della disciplina prevista dal PPR rende, di conseguenza, automaticamente inderogabili le disposizioni del PRG, che siano attuative del PPR, nel caso in cui i comuni abbiano adeguato i PRG al PPR. Parimenti, nel caso dei comuni che non si siano ancora adeguati, risultano inderogabili le prescrizioni del PRG la cui violazione determini un diretto contrasto con le previsioni del PPR immediatamente cogenti.

La norma regionale impugnata, pertanto, non comporta alcuna frammentazione incontrollata dell’attività di pianificazione, tale da «compromettere l’imprescindibile visione di sintesi, necessaria a ricondurre ad un assetto coerente i molteplici interessi che afferiscono al governo del territorio ed intersecano allo stesso tempo l’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.)» (sentenza n. 19 del 2023 che richiama in proposito la sentenza n. 229 del 2022).

6.3.– Infine, tanto più non è dato inferire dalla deroga al PRG l’automatica (anche se indiretta) deroga al PPR, in quanto la disciplina regionale si plasma sulla falsariga dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia. Questo, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, ammette la richiesta di permesso di costruire in deroga, «previa deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento», sì da configurare – secondo questa Corte – un possibile modello che può dispensare dal rispetto del PRG, in virtù di un permesso in deroga che presuppone un accertamento caso per caso sulla sussistenza di un interesse pubblico (sentenze n. 163 e n. 17 del 2023).

In particolare, tanto nella disciplina statale appena richiamata, quanto in quella regionale impugnata che su di essa si forgia, l’interesse pubblico è strettamente correlato a esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio. Nel caso della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 la finalità perseguita – come si evince dall’art. 1, comma 2, e dallo stesso art. 3, comma 3, impugnato – è, infatti, quella di limitare il consumo di suolo e di riqualificare la città esistente, di aumentare la sicurezza statica dei manufatti e le prestazioni energetiche degli stessi, nonché di favorire il miglioramento della qualità ambientale, paesaggistica e architettonica del tessuto edificato.

A ciò si aggiunga che, poiché la normativa regionale impugnata affida alla deliberazione del Consiglio comunale il compito di operare un accertamento caso per caso in merito alla sussistenza dell’interesse pubblico, il suo stesso tenore testuale smentisce la prospettazione dell’Avvocatura generale, secondo la quale la previsione avrebbe disposto interventi generali e astratti «di rilevante impatto sul territorio, senza una valutazione in concreto».

6.4.– Esclusa – in virtù della ricostruzione sopra riportata – la possibilità di ravvisare nella norma impugnata una deroga alla disciplina paesaggistica statale e al PPR, vengono a cadere anche le censure che lamentano un contrasto con il principio di leale collaborazione, nonché con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto sorrette dal presupposto interpretativo appena confutato.

6.5.– Per le ragioni esposte, le questioni promosse con riguardo all’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui modifica l’art. 3, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali e all’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, nonché al principio di leale collaborazione non sono fondate.

7.– La successiva norma impugnata è l’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che ha sostituito l’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

7.1.– In particolare, con un primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che i commi 2, 3 e 4 dell’art. 5, come novellati, vìolino gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, in quanto consentirebbero «gli interventi […] in deroga al Piano paesaggistico regionale», mancando un espresso richiamo al rispetto di quest’ultimo, e dovendosi ritenere insufficiente la previsione secondo cui debbano essere coerenti «con le eventuali prescrizioni degli strumenti urbanistici di conservazione e salvaguardia dei caratteri insediativi, architettonici di valore storico-artistico, paesaggistico o documentario».

7.2.– In raccordo con tale motivo di impugnazione, viene contestata anche la lesione del principio di leale collaborazione, poiché la norma impugnata sarebbe frutto di una scelta unilateralmente assunta dalla Regione, al di fuori del percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’approvazione del PPR.

7.3.– Sempre sul presupposto della ritenuta deroga alla pianificazione paesaggistica, viene, infine, lamentato un contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., posto che detta deroga si porrebbe in contraddizione con l’avvenuta pianificazione e risulterebbe contraria al principio del buon andamento.

8.– Le questioni non sono fondate.

8.1.– La previsione di cui all’art. 5, commi 2, 3 e 4, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, secondo cui gli interventi devono essere «coerenti con le eventuali prescrizioni degli strumenti urbanistici di conservazione e salvaguardia dei caratteri insediativi, architettonici di valore storico-artistico, paesaggistico o documentario», lungi dall’essere insufficiente a escludere una deroga al PPR – come assume il ricorrente –, è viceversa del tutto adeguata a tal fine, ove coordinata con quanto dispone l’art. 1, comma 2, della medesima legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, il quale esplicita – come già visto – che gli interventi promossi dalla Regione operano «nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e del piano paesaggistico regionale (PPR)».

Oltretutto, è dirimente constatare che, finanche quando manchi una espressa indicazione in merito alla necessità di rispettare il piano paesaggistico o il codice dei beni culturali e del paesaggio, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che ciò non determini, di per sé, l’illegittimità costituzionale della norma, se nella stessa Regione – come in Piemonte (punto 6.1.) – sia operante un piano paesaggistico approvato secondo quanto previsto dagli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (sentenze n. 163 e n. 59 del 2023, n. 251, n. 187 e n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021).

8.2.– Escluso che la norma impugnata consenta una deroga alla disciplina paesaggistica e al PPR, viene a cadere anche il presupposto interpretativo che sostiene le censure mosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. e al principio di leale collaborazione.

8.3.– Per le ragioni esposte, le questioni di legittimità costituzionale promosse con riguardo all’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha sostituito l’art. 5, commi 2, 3 e 4 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, per violazione degli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché del principio di leale collaborazione non sono fondate.

9.– Infine, il ricorrente censura sempre l’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha novellato l’art. 5, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 18 del 2016, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio», recati dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, nonché dall’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.

La disposizione impugnata stabilisce che gli interventi di aumento delle volumetrie previsti nei commi precedenti «possono superare i parametri edilizi e urbanistici previsti dagli strumenti urbanistici e possono: a) comportare l’incremento o il decremento del numero di unità immobiliari sottoposte a ristrutturazione edilizia; b) superare le densità fondiarie stabilite dall’articolo 7 del [d.m. n. 1444 del 1968]; c) superare l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici fino alla quantità necessaria per sopraelevare il fabbricato di un piano».

Secondo il ricorrente, tale previsione avrebbe scardinato il principio fondamentale nella materia «governo del territorio», in base al quale «gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale».

Il Presidente del Consiglio dei ministri aggiunge, inoltre, che non sarebbe, in ogni caso, consentito alle regioni introdurre deroghe generalizzate ex lege agli standard urbanistici di cui al d.m. n. 1444 del 1968, come confermerebbe la stessa normativa sul piano casa che, a seguito dell’introduzione dell’art. 1, comma 271, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», va interpretata nel senso di escludere «la possibilità di derogare al d.m. n. 1444 del 1968». Secondo il citato articolo «[l]e previsioni e le agevolazioni previste dall’articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all’articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 70 del 2011», che detta una disciplina transitoria, mantenendo «fermo il rispetto degli standard urbanistici».

Ad avviso della difesa statale, se tanto è stato previsto con riguardo alla normativa statale relativa al piano casa, a maggior ragione dovrebbe valere «con riferimento a disposizioni regionali, quale quella in questione, che introducono deroghe generalizzate alla pianificazione urbanistica, in assenza di copertura di una norma statale».

10.– Le questioni sono fondate.

L’art. 5, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, come novellato dalla disposizione impugnata, da un lato, consente di superare i parametri edilizi e urbanistici previsti dagli strumenti urbanistici attraverso interventi predeterminati in generale e in astratto e, da un altro lato, permette di superare la densità fondiaria stabilita dal d.m. n. 1444 del 1968.

10.1.– Una tale disciplina non rispetta i criteri indicati da questa Corte per poter ritenere che una normativa regionale derogatoria degli strumenti di pianificazione, introdotta nell’esercizio della competenza legislativa concorrente nella materia «governo del territorio», sia rispettosa dei principi fondamentali fissati dallo Stato.

10.1.1.– L’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, anzitutto, afferma un principio di inderogabilità, rispetto alla stessa attività di pianificazione, dei limiti «di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi», che – in attuazione di tale previsione – sono stati fissati con il d.m. n. 1444 del 1968.

10.1.2.– Inoltre, la medesima disposizione identifica il senso del principio di pianificazione nella esigenza di «una visione integrata di una determinata porzione di territorio, sufficientemente ampia da poter allocare su di esso tutte le funzioni che per loro natura richiedono di trovarvi posto» (sentenza n. 17 del 2023), esigenza «funzionale all’ordinato sviluppo del territorio» (sentenza n. 19 del 2023).

Vero è che tale principio non implica «che le previsioni dei piani urbanistici siano assolutamente inderogabili» (sentenza n. 17 del 2023 e, in senso conforme, sentenze n. 202 del 2021, n. 179 del 2019, n. 245 del 2018 e n. 46 del 2014). Questa Corte ha, infatti, espressamente «escluso che “il ‘sistema della pianificazione’ assurga a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – che è fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga a tali strumenti” (sentenza n. 245 del 2018 e, analogamente, sentenza n. 46 del 2014)» (sentenza n. 179 del 2019 e, negli stessi termini, sentenza n. 202 del 2021).

Tuttavia, sempre questa Corte ha chiarito a quali condizioni sia consentito al legislatore regionale introdurre deroghe, senza inficiare l’essenza del principio statale di pianificazione territoriale.

Anzitutto, ha ritenuto che il rispetto del principio implichi un giudizio di proporzionalità che «deve […] svolgersi, dapprima, in astratto sulla legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti» (sentenza n. 179 del 2019), verificando l’«esistenza di esigenze generali che possano ragionevolmente giustificare le disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali» (sentenza n. 202 del 2021 che richiama la sentenza n. 286 del 1997) e appurando «se, per effetto di una normativa regionale rientrante nella materia del governo del territorio […] non venga menomato il nucleo delle funzioni fondamentali attribuite ai Comuni all’interno del “sistema della pianificazione”» (sempre sentenza n. 202 del 2021).

Inoltre, ha segnalato come lo stesso legislatore statale abbia indicato ipotesi idonee a concretizzare deroghe alla pianificazione che non svuotano di significato detto principio (sentenza n. 17 del 2023).

Una prima indicazione si trae dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia, che consente il rilascio di un «permesso di costruire in deroga, per particolari e specifici interventi, la cui realizzazione è diretta a soddisfare un interesse pubblico che si ritiene prevalente, a determinate condizioni, rispetto all’assetto generale definito dal piano» (sentenza n. 17 del 2023), «fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444» (art. 14, comma 3, t.u. edilizia).

Una seconda ipotesi è quella che consente deroghe generali, relative a determinate tipologie di interventi edilizi, purché connotate dalla «eccezionalità e […] temporaneità» e dal perseguimento di «obiettivi specifici, coerenti con i detti caratteri» (sempre sentenza n. 17 del 2023).

10.2.– Ebbene, l’art. 5, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, come novellato dalla disposizione impugnata, non risponde ad alcuna delle citate indicazioni.

10.2.1.– Anzitutto, la norma impugnata non si colloca nel solco dei due modelli di disciplina che questa Corte ha già indicato come idonei a consentire una deroga alla pianificazione territoriale capace di non svuotare di significato il principio.

L’automatica derogabilità degli strumenti urbanistici prevista dal comma 9 dell’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, per un verso, è prevista in termini generali e astratti, e dunque senza alcun previo accertamento in concreto circa la necessità dell’intervento al fine di perseguire interessi generali, e, per un altro verso, non è temperata dalla eccezionalità e temporaneità della previsione, che, viceversa, opera stabilmente.

Né giova – come propone la difesa regionale – ipotizzare un raccordo sistematico tra l’art. 5, comma 9, nel suo dettare «[u]lteriori specificazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia» – secondo quanto recita la stessa rubrica dell’art. 5 – e l’art. 3, comma 2, lettera c), della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, come novellato, che, nel disciplinare gli interventi di ristrutturazione edilizia, rinvia a quanto previsto «dall’articolo 14, comma 1 bis, del decreto del Presidente della Repubblica 380/2001».

Simile raccordo sistematico, lungi dal preservare la legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 9, come novellato, dimostra, viceversa, il contrario.

La norma impugnata, infatti, confligge apertamente con la disposizione statale di cui all’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia. L’art. 5, comma 9, nel rinviare ai commi precedenti che contemplano astratte previsioni di aumento volumetrico e nel disporre in generale che essi possano «superare i parametri edilizi e urbanistici previsti dagli strumenti urbanistici», si pone, infatti, in evidente contrasto con la disposizione statale, secondo cui il permesso a costruire in deroga potrebbe essere, viceversa, rilasciato solo previa verifica in concreto affidata alla «deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento» (così il citato art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia). Al contempo, nell’autorizzare la deroga all’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968, confligge frontalmente sempre con l’art. 14 t.u. edilizia, il cui comma 3 impone «il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444».

Se ne inferisce che le prescrizioni dettate dall’art. 5, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 in materia di ristrutturazione sono finalizzate a dettare una disciplina che opera al di fuori del raggio applicativo dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia, in quanto con esso incompatibile.

10.2.2.– Al contempo, l’art. 5, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, come novellato dalla norma impugnata, detta una disciplina che non solo non si conforma alle ipotesi che giustificano possibili deroghe alla pianificazione (supra, punto 10.2.1.), ma che neppure rispetta il canone della proporzionalità nel comprimere il principio di pianificazione, poiché intacca «il nucleo delle funzioni fondamentali attribuite ai Comuni all’interno del “sistema della pianificazione”» (sentenza n. 179 del 2019 e, negli stessi termini, sentenza n. 202 del 2021).

La norma impugnata, infatti, si riferisce a deroghe di tale rilievo che, se autorizzate in via di automatismo, inficiano l’essenza e la funzione del principio di pianificazione. Oltretutto – come già anticipato – la medesima norma consente di non rispettare quei limiti di densità fondiaria, stabiliti dal d.m. n. 1444 del 1968, che lo stesso legislatore statale, viceversa, preserva, ove ammette deroghe alla pianificazione (art. 14, comma 3, t.u. edilizia e art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito).

10.3.– Da quanto sopra illustrato consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha introdotto il comma 9 dell’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018.

Esclusa la derogabilità del d.m. n. 1444 del 1968, nonché ogni automatismo in merito alla generale derogabilità degli strumenti di pianificazione, deve, dunque, ritenersi che gli aumenti volumetrici previsti dall’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018 siano consentiti solo se conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici o autorizzati attraverso il permesso di costruire in deroga, ai sensi dell’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia.

11.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 8, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui, sostituendo l’art. 6, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, dispone che, per gli edifici realizzati dopo l’entrata in vigore della medesima legge regionale, «il sottotetto è recuperabile decorsi tre anni dalla realizzazione o ad avvenuto perfezionamento delle pratiche di legittimazione».

Secondo il ricorrente la norma impugnata, consentendo il recupero di sottotetti non ancora esistenti all’atto della presentazione della domanda di intervento, una volta decorsi tre anni dalla realizzazione degli stessi, amplierebbe irragionevolmente, in violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., il novero delle ipotesi in cui è configurabile un sottotetto suscettibile di recupero abitativo.

12.– La questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost. è fondata, in quanto la disposizione, nella parte impugnata, consentendo un indiscriminato recupero dei sottotetti, compresi quelli futuri, si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza.

Questa Corte ha affermato che la disciplina legislativa sul recupero dei sottotetti risponde a specifiche finalità quali «la riduzione del consumo di suolo e l’efficientamento energetico» (sentenza n. 54 del 2021) e che tale recupero persegue l’obiettivo «di consentire l’utilizzo, a fini abitativi, di uno spazio, il sottotetto, già esistente, la cui destinazione abitativa determina la “riconversione” del medesimo in una unità immobiliare» per «contenere il consumo di nuovo territorio attraverso un più efficace riutilizzo dei volumi esistenti» (sentenza n. 208 del 2019).

Poiché la finalità della disciplina del recupero dei sottotetti è quella di evitare il consumo di nuovo suolo e, quindi, la realizzazione di nuove edificazioni, attraverso un uso ottimale di quelle già esistenti, non risulta ragionevole consentirne una applicazione agli edifici futuri.

La disposizione in esame, infatti, aumentando in maniera esponenziale il numero degli interventi assentibili e coinvolgendo edifici di nuova costruzione, determina uno sviamento dalle specifiche finalità di contenimento del consumo di suolo e di impulso alla realizzazione di interventi tecnologici per la riduzione dei consumi energetici perseguite attraverso il recupero dei sottotetti.

13.– Pertanto, va dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che ha sostituito l’art. 6, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, nella parte in cui prevede che «[p]er gli edifici realizzati dopo tale data, il sottotetto è recuperabile decorsi tre anni dalla realizzazione o ad avvenuto perfezionamento delle pratiche di legittimazione».

Le ulteriori questioni promosse in riferimento agli artt. 9 e 97 Cost. possono essere assorbite.

14.– È impugnato anche l’art. 8, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che ammette il recupero dei sottotetti esistenti «indipendentemente dagli indici o dai parametri urbanistici ed edilizi previsti dai PRG e dagli strumenti attuativi vigenti o adottati».

Secondo il ricorrente, la disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., relativamente alla materia «governo del territorio», per violazione delle norme interposte di cui all’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, che, richiamando l’art. 14 t.u. edilizia, individua le condizioni entro le quali è consentito il rilascio del permesso di costruire in deroga; sarebbe violato anche l’art. 2-bis, commi 1 e 1-bis, t.u. edilizia. La deroga sistematica e generalizzata agli strumenti urbanistici comporterebbe, inoltre, la violazione dei principi concernenti la generale necessità di pianificazione del territorio e il rispetto degli standard urbanistici.

Sarebbe violato anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché gli artt. 3 e 9 Cost., perché la deroga alla pianificazione urbanistica si tradurrebbe in una deroga indiretta alle previsioni del piano paesaggistico.

Vi sarebbe anche contrasto con il principio di leale collaborazione, poiché la Regione Piemonte avrebbe assunto «iniziative unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso di collaborazione già proficuamente concluso con lo Stato mediante l’approvazione del Piano paesaggistico del 2017».

15.– La questione è fondata.

Non è, in primo luogo, condivisibile quanto sostenuto nelle difese della Regione Piemonte secondo cui la disposizione impugnata avrebbe soltanto esplicitato l’assunto che la conformità agli indici e ai parametri edilizi non dovrebbe «essere nuovamente e autonomamente verificata» al momento del recupero dei sottotetti, in quanto già accertata al momento del rilascio del permesso di costruire per la realizzazione dell’edificio ove è presente il sottotetto. La prospettazione della Regione non tiene conto della circostanza che l’attività di recupero del sottotetto consiste proprio nella trasformazione dell’originario volume edilizio esistente, che può comportare, ad esempio, l’eventuale variazione dell’altezza originaria o la creazione di nuove unità immobiliari.

Deve, poi, essere richiamata la sentenza n. 17 del 2023, riguardante la normativa della Regione Puglia sul recupero dei sottotetti, secondo la quale il principio del necessario rispetto della previa pianificazione urbanistica risulta «irrimediabilmente compromesso dalla generalizzata possibilità […] di recuperare i sottotetti e di riutilizzare porticati e locali seminterrati anche in deroga agli strumenti urbanistici».

La decisione ha, in particolare, rilevato che dall’art. 14 t.u. edilizia, avente a oggetto il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, si desume il carattere eccezionale di tale permesso, che può essere rilasciato solo all’esito di un procedimento peculiare e sulla base di una valutazione concreta caso per caso degli interessi rilevanti nello specifico contesto.

Ne consegue che sussiste un «principio fondamentale di pianificazione urbanistica del territorio», il cui necessario rispetto costituisce una «condizione del rilascio di atti permissivi della sua trasformazione». Ciò non esclude che le regioni possano introdurre per legge, nell’esercizio della loro competenza concorrente nella materia «governo del territorio», «deroghe generali, relative a determinate tipologie di interventi edilizi» che, tuttavia, «sono ammissibili soltanto nel rispetto del citato principio fondamentale della materia e dunque solo in quanto essi presentino i caratteri dell’eccezionalità e della temporaneità e siano diretti a perseguire obiettivi specifici, coerenti con i detti caratteri, diretti ad escludere in particolare che essi assurgano a disciplina stabile, vanificando il principio del necessario rispetto della pianificazione urbanistica» (sentenza n. 17 del 2023).

In linea con le considerazioni svolte dalla richiamata pronuncia, deve rilevarsi che anche la disposizione impugnata viola il principio di pianificazione del territorio e del rispetto degli standard urbanistici desumibile dall’art. 14 t.u. edilizia, in quanto prevede una deroga generalizzata agli strumenti urbanistici al fine di consentire il recupero dei sottotetti esistenti, così ledendo la competenza legislativa concorrente dello Stato nella materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

Dunque, la questione avente a oggetto l’art. 8, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. e in relazione all’art. 14 t.u. edilizia è fondata, con assorbimento delle ulteriori censure prospettate.

16.– L’art. 8, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 è impugnato nella parte in cui prevede la possibilità di derogare ai requisiti prescritti dal d.m. 5 luglio 1975, in ordine alle misure minime dei sottotetti.

La disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., avuto riguardo alla competenza legislativa concorrente nella materia «tutela della salute». Ciò in quanto il richiamato d.m. 5 luglio 1975 sarebbe di diretta attuazione degli artt. 218 e 221 del r.d. n. 1265 del 1934, che stabiliscono gli standard igienico-sanitari degli edifici posti a presidio del diritto alla tutela della salute. Affermando la derogabilità di tali requisiti minimi di salubrità, la disposizione violerebbe anche il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., oltre che l’art. 32 Cost.

17.– È opportuno, in argomento, rammentare che questa Corte ha osservato che le prescrizioni del predetto d.m. 5 luglio 1975 sono vincolanti per la normativa di dettaglio adottata dalle regioni. Esse, infatti, «presentano una evidente natura tecnica. […] Legate da un nesso evidente alla normativa primaria e chiamate a specificarne sul versante tecnico i precetti generali, le previsioni contenute nella fonte regolamentare sono idonee a esprimere princìpi fondamentali» (sentenza n. 124 del 2021).

Questa Corte ha tuttavia rilevato, nello scrutinare la disciplina della Regione Veneto diretta a introdurre «specifici requisiti di altezza e aeroilluminazione per la sola porzione dell’unità abitativa costituita dal recupero edilizio dei sottotetti», che una simile disciplina «non comporta deroga agli standard uniformi fissati dal d.m. 5 luglio 1975 in attuazione del r.d. n. 1265 del 1934», per due ordini di motivi. Innanzitutto, perché i sottotetti «costituiscono solo una parte dell’unità abitativa, che deve preesistere e possedere già i prescritti requisiti di abitabilità». In secondo luogo, perché «tali locali sono caratterizzati normalmente da una peculiare morfologia, tanto che la disciplina impugnata fa riferimento all’altezza media, da calcolarsi escludendo le parti del sottotetto inferiori a una certa soglia». Ne consegue che, «in considerazione del carattere di lex specialis della disciplina relativa ai requisiti di abitabilità dei sottotetti concernenti altezza e aeroilluminazione, non regolati a livello di legislazione statale», le leggi regionali dettano «requisiti di altezza e aeroilluminazione a tutela delle medesime esigenze di salubrità e igiene di cui si fa carico la disciplina statale, tenendo conto delle peculiarità strutturali dei locali oggetto di recupero e del loro carattere non autonomo rispetto a unità abitative già esistenti (sentenze n. 208 del 2019, n. 282 e n. 11 del 2016)» (sentenza n. 54 del 2021).

18.– Alla luce delle considerazioni già svolte nella pronuncia da ultimo richiamata, la questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., avuto riguardo alla competenza legislativa concorrente dello Stato nella materia «tutela della salute», non è fondata.

Il ricorrente, infatti, ha erroneamente evocato quale parametro interposto il d.m. 5 luglio 1975, le cui prescrizioni sono state ritenute da questa Corte derogabili nel caso del recupero di sottotetti (si veda la citata sentenza n. 54 del 2021). Conseguentemente, non sono fondate neppure le questioni promosse in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., che parimenti presuppongono la inderogabilità dei requisiti stabiliti dal citato decreto ministeriale.

19.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 10 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che sostituisce l’art. 8 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, nella parte in cui dispone che gli interventi di demolizione e ricostruzione ivi previsti, con recupero della capacità edificatoria, avvengano «previa variante urbanistica semplificata, approvata ai sensi dell’articolo 17 bis, comma 5, della l.r. n. 56/1977 ovvero con permesso di costruire in deroga ai sensi dell’articolo 5, comma 9, lettera b), del decreto-legge 70/2011».

La previsione lederebbe il principio di prevalenza del piano paesaggistico e il principio di copianificazione obbligatoria, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle norme interposte di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché con violazione degli artt. 3 e 9 Cost.

Ciò in quanto la procedura di variante urbanistica semplificata, rispetto alla quale è prevista l’approvazione in conferenza di servizi con tutte le amministrazioni interessate e la successiva ratifica del consiglio comunale, non darebbe certezza circa l’effettiva conformità della variante al piano paesaggistico, tenuto conto che in sede di conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990, il silenzio del Ministero della cultura vale assenso e può essere superato. Tali effetti, secondo il ricorrente, non sarebbero compatibili con la particolare natura della valutazione di conformità al piano paesaggistico. Risulterebbe altresì violato il principio di leale collaborazione.

La disposizione impugnata, inoltre, determinando un abbassamento del livello della tutela del paesaggio, comporterebbe anche la violazione dell’art. 9 Cost., che ad essa assegna il rango di valore primario.

20.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non è fondata.

Il ricorrente prospetta una violazione meramente ipotetica ed eventuale delle prescrizioni del piano paesaggistico, che non origina dall’art. 10 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, ma può derivare da vizi propri della delibera di approvazione della variante urbanistica semplificata. Ciò che il ricorrente paventa, infatti, è che il mancato esplicito dissenso delle amministrazioni chiamate a valutare, nella sede della conferenza di servizi prevista dall’art. 17-bis della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, la conformità della variante urbanistica semplificata al piano paesaggistico possa determinare un vulnus alla tutela dei valori ambientali.

La norma impugnata, tuttavia, non può mai essere interpretata nel senso di avallare o comunque facilitare l’assunzione di decisioni in contrasto con il piano paesaggistico. Anzi, è lo stesso art. 17-bis della legge reg. Piemonte n. 56 del 1977, il cui comma 5 è richiamato dalla disposizione impugnata quanto all’iter di approvazione della variante urbanistica semplificata, a prevedere al comma 1 che «[s]ono varianti semplificate al PRG quelle necessarie per l’attuazione degli strumenti di programmazione negoziata, come definiti dalla normativa vigente, nonché quelle formate ai sensi di normative settoriali, volte alla semplificazione e accelerazione amministrativa. Tali varianti, con riferimento agli ambiti oggetto di modifica, sono conformi agli strumenti di pianificazione territoriale e paesaggistica regionali, provinciali e della città metropolitana, nonché ai piani settoriali e ne attuano le previsioni».

Dunque, la circostanza che la legge n. 241 del 1990 contempli forme di semplificazione dell’attività procedimentale, ivi compreso il silenzio-assenso nei rapporti tra le amministrazioni, non preclude alle regioni il potere di adottare disposizioni di legge, quale quella in esame, che prevedono la possibilità di derogare agli indici di edificabilità previsti da strumenti urbanistici mediante varianti urbanistiche semplificate, il cui contenuto deve essere espressamente conforme al piano paesaggistico.

21.– Per le medesime ragioni, non sono fondate le ulteriori questioni promosse in riferimento al principio di leale collaborazione e agli artt. 3 e 9 Cost., in quanto la disposizione impugnata non reca un vulnus al rispetto del piano paesaggistico della Regione Piemonte né alla tutela dei beni paesaggistici.

22.– Devono ora essere prese in esame le questioni concernenti l’art. 41 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, che sostituisce l’art. 6 della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, rubricato «Variazioni essenziali al progetto approvato».

Nel testo sostituito, il citato art. 6 dispone che, ai sensi dell’art. 32 t.u. edilizia, «si ha variazione essenziale al progetto approvato quando si verificano una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implica incremento degli standard previsti dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 […]; b) aumento in misura superiore al 30 per cento della cubatura o della superficie di solaio; c) modifiche superiori al 20 per cento dei parametri urbanistico-edilizi relativi all’altezza e alla superficie coperta del progetto approvato; d) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attiene a fatti procedurali; e) modifica della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza, quando la sovrapposizione della sagoma a terra dell’edificio in progetto e di quello realizzato, per effetto di rotazione o traslazione di questo, sia inferiore al 50 per cento e la riduzione della distanza da altri fabbricati, dai confini di proprietà e dalle strade rispetti i limiti normativamente disposti».

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in ordine ai principi fondamentali della materia «governo del territorio» contenuti nell’art. 32 t.u. edilizia.

Ai sensi della disposizione ora citata, infatti, «1. Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 […]; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali».

Il ricorrente censura la diversa formulazione, da parte del legislatore regionale, delle condizioni che integrano violazioni essenziali al progetto approvato, quanto alle lettere a), b) e c) dell’art. 6, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, nonché la omessa menzione, nel medesimo art. 6, della variazione essenziale di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art. 32 t.u. edilizia (mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito).

In particolare:

– l’art. 6, comma 1, lettera a), sarebbe costituzionalmente illegittimo perché esclude la qualificazione di variazione essenziale al progetto approvato in relazione ai mutamenti di destinazione d’uso che comportino un decremento degli standard di cui al d.m. n. 1444 del 1968;

– l’art. 6, comma 1, lettera b), sarebbe costituzionalmente illegittimo in quanto, anziché prevedere, come sancito dall’art. 32, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, che costituisce variazione essenziale al progetto approvato l’«aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato», stabilisce, in via automatica, che siffatta variazione si verifica quando sussiste un «aumento in misura superiore al 30 per cento della cubatura o della superficie di solaio»;

– l’art. 6, comma 1, lettera c), sarebbe costituzionalmente illegittimo in quanto dispone che ricorre l’essenzialità della variazione solo nel caso di «modifiche superiori al 20 per cento dei parametri urbanistico-edilizi relativi all’altezza e alla superficie coperta del progetto approvato», là dove l’art. 32, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede, tra le condizioni al verificarsi delle quali si ha variazione essenziale, le «modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato»;

– l’art. 6, infine, sarebbe costituzionalmente illegittimo perché omette di includere tra gli interventi che integrano variazione essenziale, l’ipotesi prevista dalla lettera d) dell’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito).

23.– Le questioni sono fondate per quanto riguarda le disposizioni di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 6, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, come sostituite dall’impugnato art. 41 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

23.1.– Giova premettere che la sentenza n. 217 del 2022 di questa Corte ha ripercorso l’evoluzione normativa che la nozione di “variazioni essenziali” ha avuto nella legislazione statale urbanistica, già prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli). Si deve a quest’ultima, peraltro, la graduazione del regime sanzionatorio secondo uno schema generale tuttora vigente: «le opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità dalla stessa dovevano essere demolite a spese del proprietario o del costruttore (art. 15, terzo e ottavo comma); le opere invece realizzate in parziale difformità dovevano essere demolite a spese del concessionario, ma, ove non potessero essere rimosse senza pregiudizio per le parti conformi, il concessionario restava assoggettato a una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 15, undicesimo comma)».

Da tale graduazione sanzionatoria ha avuto origine la successiva differenziazione tra variazioni essenziali e non essenziali, introdotta dagli artt. 7 e 8 della legge n. 47 del 1985, di seguito trasfusi negli artt. 31 e 32 t.u. edilizia. Così, le variazioni essenziali vengono assoggettate al più severo regime proprio della totale difformità, mentre quelle non essenziali restano attratte dal vizio della parziale difformità, correlato alle sanzioni stabilite, all’epoca, dall’art. 12 della legge n. 47 del 1985 e, di seguito, dall’art. 34 t.u. edilizia.

23.1.1.– Secondo l’elaborazione della giurisprudenza amministrativa, ai sensi degli artt. 31 e 32 t.u. edilizia, si è in presenza di difformità totali del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 8 agosto 2023, n. 7644, e 7 aprile 2023, n. 3596).

Stando alla definizione enunciata dal citato art. 32, dà, dunque, luogo a una variante essenziale ogni modifica incompatibile con il disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, tale da comportare il mutamento della destinazione d’uso implicante alterazione degli standard, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica; la nozione in esame non ricomprende, invece, le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.

L’attribuzione a un intervento edilizio della natura di variazione essenziale comporta rilevanti conseguenze. Invero, mentre le varianti in senso stretto al permesso di costruire, ai sensi dell’art. 22, comma 2, t.u. edilizia, e cioè le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare e accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire; le variazioni “essenziali”, giacché caratterizzate da incompatibilità con il progetto edificatorio originario in base ai parametri ricavabili, in via esemplificativa, dall’art. 32 t.u. edilizia, sono soggette al rilascio di un permesso a costruire del tutto nuovo e autonomo rispetto a quello originario (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 3 giugno 2021, n. 4279 e 6 febbraio 2019, n. 891).

23.1.2.– Tanto chiarito, si rivela innanzitutto fondata la premessa da cui muove il ricorrente, e cioè che il citato art. 32 detti, con riguardo alle variazioni essenziali, principi fondamentali nella materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

Questa Corte ha già riconosciuto il carattere di principi fondamentali della materia a norme disciplinanti profili connessi a quello dell’art. 32 t.u. edilizia, quali: le categorie di interventi edilizi e le tipologie dei diversi titoli abilitativi (sentenze n. 124 e n. 2 del 2021, n. 68 del 2018, n. 282 del 2016 e n. 259 del 2014), la durata degli stessi (sentenza n. 245 del 2021), il cosiddetto condono edilizio (sentenze n. 93 del 2023, n. 24 del 2022, n. 77 e n. 2 del 2021, n. 290 del 2019, n. 232 e n. 73 del 2017, n. 233 del 2015 e n. 101 del 2013), il perimetro degli interventi in zona sismica (sentenze n. 164 del 2023, n. 2 del 2021, n. 264 del 2019, n. 68 del 2018, n. 60 del 2017, n. 282 e n. 272 del 2016 e n. 167 del 2014), la documentazione necessaria ai fini della denuncia di esecuzione di nuove opere (sentenza n. 2 del 2021), i criteri di determinazione dello stato legittimo dell’immobile (sentenza n. 217 del 2022).

L’art. 32, comma 1, t.u. edilizia, inserito nel Capo II del Titolo IV della Parte I, dedicato all’ambito della «Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni», nel rimettere alle regioni di stabilire, fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’art. 31, «quali siano» le variazioni essenziali al progetto approvato, con il limite espresso che la medesima essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle condizioni elencate nelle lettere da a) ad e), affida alle medesime regioni la normativa di dettaglio. Questa, proprio per la sua natura, non può contraddire la scelta fondamentale espressa dal legislatore statale di sanzionare con la demolizione, in ragione dell’entità del pregiudizio arrecato all’interesse pubblico, ogni modifica incompatibile con l’originario progetto edificatorio, tale da comportare il mutamento della destinazione d’uso implicante alterazione degli standard, aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, modifica delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito e violazione delle norme vigenti in materia antisismica.

23.2.– Venendo, quindi, alla prima delle censure proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri, deve rilevarsi che nella giurisprudenza amministrativa si afferma che il mutamento di destinazione d’uso non autorizzato e attuato senza opere comporta una variazione essenziale sanzionabile se e in quanto implicante una alterazione degli standard previsti dal d.m. n. 1444 del 1968, ossia dei carichi urbanistici relativi a ciascuna delle categorie individuate nella fonte normativa statale in cui si ripartisce la cosiddetta zonizzazione del territorio; in caso contrario, non essendo stata realizzata alcuna opera edilizia né alcuna trasformazione rilevante, il mutamento d’uso costituisce espressione della facoltà di godimento, quale concreta proiezione del diritto di proprietà (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 giugno 2020, n. 3803 e sezione quinta, sentenza 3 maggio 2016, n. 1684).

Con riferimento alla disciplina degli standard urbanistici, questa Corte ha avuto modo, di recente (sentenza n. 85 del 2023), di affermare che alle regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano è consentito, nei limiti di cui all’art. 2-bis, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al d.m. n. 1444 del 1968, ma ha tuttavia sottolineato che la disciplina degli standard urbanistici dettata dal citato decreto ministeriale «ha optato per l’individuazione delle percentuali di dotazioni infrastrutturali strettamente collegate alle destinazioni funzionali delle diverse zone in cui doveva essere ripartito dal piano regolatore generale il territorio comunale».

In particolare, gli articoli da 3 a 5 del d.m. n. 1444 del 1968 – si è rilevato nella medesima pronuncia – «definiscono riassuntivamente le percentuali e le quantità di aree da destinare a “spazi pubblici[,] attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”, differenziate in ragione del fabbisogno attribuito a ciascuna zona territoriale omogenea. Tale sistema, strettamente correlato all’esigenza di regolare l’ordinato sviluppo delle infrastrutture soprattutto nel tessuto urbano, è rimasto sostanzialmente invariato pur nel momento in cui le regioni si sono dotate di una legislazione urbanistica improntata a diversi modelli pianificatori».

Il meccanismo dettato dal d.m. n. 1444 del 1968, basandosi sulla stretta connessione tra percentuali di dotazione a standard e zonizzazione, configura, pertanto, come obbligatorie le destinazioni funzionali della pianificazione urbanistica, prevedendo una divisione per aree tendenzialmente monofunzionali, pur essendosi progressivamente avvertita l’esigenza di attribuire maggiore spazio all’intervento regionale per derogare alle rigidità delle indicate disposizioni statali sugli standard urbanistici.

In sostanza, con la legge n. 765 del 1967 e con il d.m. n. 1444 del 1968 la destinazione d’uso degli immobili è stata ancorata a un rapporto certo e predefinito, regolato dagli standard urbanistici e definito per zone omogenee. Ne consegue che l’“essenzialità” della variazione al progetto approvato, ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettera a), t.u. edilizia, deve intendersi riscontrata in presenza di qualsiasi mutamento di destinazione che determini una variazione della categoria funzionale edilizia e una correlata variazione in senso peggiorativo della dotazione degli standard urbanistici previsti dal d.m. n. 1444 del 1968.

Non incide in modo determinante sulla questione in esame la sopravvenuta vigenza dei commi 1-bis, 1-ter e 1-quater dell’art. 23-ter t.u. edilizia, introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica), non ancora convertito in legge, essendo tali norme variamente volte ad ampliare condizioni e fattispecie per il mutamento della destinazione d’uso, senza modificare direttamente i presupposti della nozione – che qui, invece, viene in discussione – di «variazione essenziale». Tali previsioni, infatti, sono rispettivamente rivolte a consentire: il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare senza opere all’interno della stessa categoria funzionale, il mutamento di destinazione d’uso senza opere tra determinate categorie funzionali di una singola unità immobiliare ubicata in edifici ricompresi in specifiche zone di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968, il mutamento di destinazione d’uso per singole unità immobiliari finalizzato a determinate forme di utilizzo.

Pure in questo riformato quadro normativo, resta, invero, operante la correlazione, già evidenziata, tra l’“essenzialità” della variazione al progetto approvato, ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettera a), t.u. edilizia, e il mutamento di destinazione che determini una variazione della categoria edilizia ad un tempo altresì peggiorativa della dotazione degli standard urbanistici previsti dal d.m. n. 1444 del 1968.

23.2.1.– L’art. 6, comma 1, lettera a), della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, come sostituito dall’art. 41 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nell’individuare quale condizione alternativa della variazione essenziale al progetto approvato il mutamento della destinazione d’uso che implica «incremento» degli standard previsti dal d.m. n. 1444 del 1968, si pone in contrasto con il principio fondamentale di cui all’art. 32, comma 1, lettera a), t.u. edilizia, il quale eleva, invece, a condizione di essenzialità il mutamento della destinazione d’uso che implichi «variazione» degli standard previsti dal medesimo decreto ministeriale.

In base alle ragioni prima esposte, la variazione degli standard considerata dal legislatore statale è quella che comunque comporti un’alterazione peggiorativa, qualitativa e quantitativa, dei carichi urbanistici incidenti sul tessuto urbano, riscontrandosi l’“essenzialità” della variazione al progetto approvato, ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettera a), t.u. edilizia, in presenza di qualsiasi mutamento di destinazione che determini una variazione della categoria funzionale edilizia e un correlato cambiamento del rapporto predefinito tra uso e dotazione degli standard urbanistici previsti dal d.m. n. 1444 del 1968.

La disposizione impugnata, invece, per il fatto di individuare la variazione essenziale al progetto approvato con riferimento soltanto al mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie che cagioni un “incremento” degli standard urbanistici, la vincola alla sola variazione quantitativa in aumento del carico urbanistico indotta dalla diversa utilizzazione dell’immobile, senza considerare alterazioni funzionali derivanti da altre tipologie di intervento non consentite, con ciò violando il principio fondamentale dettato dall’art. 32, comma 1, lettera a), t.u. edilizia.

23.3.– L’art. 6, comma 1, lettera b), della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, come sostituito dall’art. 41 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nell’individuare quale condizione della variazione essenziale l’«aumento in misura superiore al 30 per cento della cubatura o della superficie di solaio», si pone, a sua volta, in contrasto con il principio fondamentale di cui all’art. 32, comma 1, lettera b), t.u. edilizia, il quale contempla, quale parametro dell’essenzialità, l’«aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato». Ciò sia perché in base alla norma statale l’aggettivo «consistente» si traduce in una percentuale solitamente parametrata sull’incremento superiore a quello delle tolleranze costruttive (stimate in percentuale rispetto alle misure previste nel titolo abilitativo); sia perché la norma regionale assume a base di calcolo del margine di aumento la cubatura o la superficie del solaio senza far riferimento alle misure del progetto approvato riguardanti le specifiche opere eseguite in difformità.

In tal modo, la disposizione regionale trascende il vincolo a definire la disciplina di dettaglio affidatole dall’art. 32, comma 1, t.u. edilizia e contraddice la scelta del legislatore statale di sanzionare con la demolizione le divergenze esecutive in aumento, consistenti rispetto alle misure progettuali assentite, consentendo un aumento di cubatura o di superficie tale da far emergere un’opera diversa da quella oggetto del permesso di costruire. Invero, la formulazione del principio fondamentale di cui all’art. 32, comma 1, lettera b), lungi dal consentire alla normativa regionale di quantificare lo scostamento dalle previsioni del progetto approvato in termini percentuali, esprime invece la necessità che la valutazione sia eseguita in concreto, rapportando di volta in volta la variazione effettuata nella realizzazione dell’opera, quanto a cubatura e a superficie del solaio, a quella delineata nel progetto approvato.

Si pone, dunque, in contrasto con il principio fondamentale espresso dall’art. 32, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, una norma di dettaglio che conduca a escludere in via generale la consistenza di variazione essenziale a modificazioni che si mantengano al di sotto di una determinata soglia percentuale, atteso che, in tal modo, si finisce per consentire a priori l’esclusione della essenzialità della variazione, a prescindere da qualsiasi apprezzamento concreto circa la effettiva incidenza della eccedenza di cubatura o di superficie di solaio.

D’altra parte, questa Corte ha già affermato che la disciplina sulle tolleranze costruttive delineata dall’art. 34-bis t.u. edilizia (disposizione anch’essa da ultimo significativamente novellata dal d.l. n. 69 del 2024) definisce il profilo delle difformità rilevanti, in una prospettiva che non può non essere omogenea sull’intero territorio nazionale, anche con riguardo ai limiti individuati dal testo unico dell’edilizia come punto di equilibrio (sentenza n. 24 del 2022).

23.4.– Le considerazioni ora svolte conducono pianamente all’accoglimento anche della questione concernente l’art. 6, comma 1, lettera c), della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, come sostituito dall’art. 41 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022.

La disposizione impugnata, ravvisando l’essenzialità della variazione solo nel caso di «modifiche superiori al 20 per cento dei parametri urbanistico-edilizi relativi all’altezza e alla superficie coperta del progetto approvato», contrasta con l’art. 32, comma 1, lettera c), t.u. edilizia, ove si indica, tra le condizioni al verificarsi delle quali si ha variazione essenziale, il parametro delle «modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato».

Per le ragioni prima indicate, infatti, deve escludersi che l’aggettivo «sostanziali» contenuto nella disciplina statale possa essere compatibile con una normativa regionale di dettaglio che individui un margine di tolleranza così elevato come quello del 20 per cento. Anche, invero, modifiche inferiori al 20 per cento dei parametri urbanistico-edilizi relativi all’altezza e alla superficie coperta del progetto approvato possono comportare modalità realizzative dell’intervento costruttivo che portano a un’opera sostanzialmente diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione o ubicazione.

23.5.– Non è, invece, fondata la questione relativa all’omesso richiamo alla previsione di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, ove è incluso tra le variazioni essenziali il «mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito».

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio in via d’azione vanno tenute presenti anche le possibili distorsioni applicative di determinate disposizioni legislative, a maggior ragione quando l’ambiguità semantica riguardi una disposizione regionale foriera di sostanziali dubbi ermeneutici che rendono concreto il rischio di un’elusione del principio contenuto nella legge statale (ex plurimis, sentenze n. 50 del 2023 e n. 231 del 2019).

Il rispetto del limite della essenzialità, che appartiene a ogni intervento che comporti una diversa qualificazione dello stesso, può infatti ritenersi implicito e quindi vincolante nel territorio della Regione Piemonte, così da colmare in via interpretativa il mero silenzio sul punto della disposizione impugnata.

24.– Passando all’esame delle questioni concernenti l’art. 47 della legge regionale impugnata, si deve ricordare che esso, rubricato «Norme sugli spazi di uso collettivo ed accessori alla residenza e incentivi per i nuovi format edilizi», al fine di favorire l’utilizzo delle “zone comuni” negli edifici a destinazione residenziale, prevede la possibilità di realizzare sale per il fitness, aule ricreative, spazi per il tele-lavoro, nonché la possibilità di sfruttare locali seminterrati per il ricovero di cicli, motocicli o mezzi di trasporto per disabili; consente, altresì, il recupero a scopo abitativo dei cosiddetti piani pilotis: soluzioni architettoniche con pilastri a vista, che sorreggono l’edificio e creano uno spazio coperto, libero da pareti. Tutto ciò, sia per scopi di rigenerazione di fabbricati già esistenti, sia per incentivare la realizzazione di tali spazi in edifici di nuova costruzione.

Le doglianze avverso l’art. 47 si appuntano sui commi 2 e 4 e riguardano:

– la disposizione secondo cui gli interventi edilizi indicati sono consentiti «anche se non previsto dai vigenti strumenti urbanistici generali ed esecutivi» (comma 2);

– la disposizione secondo cui il recupero, anche a fini abitativi, dei piani pilotis è consentito pure «in deroga alla densità fondiaria di cui all’articolo 7 del decreto ministeriale 1444/1968 e alle norme del PRG» (comma 4).

25.– La prima censura formulata nel ricorso riguarda la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali: la legge regionale, consentendo di effettuare interventi in deroga agli strumenti di pianificazione urbanistica, permetterebbe di derogare, «sebbene indirettamente», al PPR, adottato d’intesa con lo Stato, al quale i predetti strumenti di pianificazione devono conformarsi. Risulterebbe, di conseguenza, leso anche il principio di leale collaborazione.

26.– La questione non è fondata, per ragioni già esposte in relazione a censure analoghe.

Non è, infatti, corretto assumere che la possibilità di effettuare interventi in deroga ai piani urbanistici comporti automaticamente la possibilità di derogare anche alle previsioni del Piano paesaggistico. In base alla oramai consistente giurisprudenza costituzionale, ove la legge regionale non preveda «deroghe espresse a obblighi o prescrizioni di tutela paesaggistica, le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio si applicano direttamente e integrano il tessuto normativo regionale» (così, ex plurimis, sentenza n. 248 del 2022). Se nella regione è vigente un Piano paesaggistico, dunque, il principio di prevalenza della tutela paesaggistica fa sì che le disposizioni del Piano debbano sempre trovare attuazione, salvo, come detto, il caso di deroghe espresse.

27.– Le stesse disposizioni dell’art. 47 sono impugnate per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali nella materia «governo del territorio» stabiliti dall’art. 41-quinquies della legge urbanistica, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, nonché all’art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, «anche per ragioni già illustrate nel settimo motivo del ricorso statale». Ad avviso dell’Avvocatura generale, la disciplina statale di principio avrebbe fissato, nel d.m. n. 1444 del 1968, gli standards di densità edilizia, che le norme impugnate intenderebbero apertamente superare, e avrebbe stabilito il principio della pianificazione, che le stesse norme, pure, pregiudicherebbero, consentendo interventi in deroga senza limiti.

28.– Le questioni, poste in questi termini, sono fondate.

La possibilità di effettuare gli interventi indicati nelle disposizioni impugnate in deroga ai piani regolatori non è rispettosa dei criteri indicati da questa Corte per ritenere la normativa regionale derogatoria degli strumenti di pianificazione conforme ai principi fondamentali nella materia «governo del territorio»; criteri su cui la presente pronuncia si è già diffusamente soffermata nel motivare l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha novellato l’art. 5, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 18 del 2016 (punto 10.1. del Considerato in diritto). La disciplina impugnata, infatti, non supera il vaglio di proporzionalità, da svolgersi sia in astratto, sulla legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale, sia in concreto, con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti (sentenza n. 179 del 2019).

Va, sul punto, rilevato che gli interventi edilizi consentiti dall’art. 47 della legge impugnata non soggiacciono alle condizioni previste dall’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia, né presentano il carattere dell’eccezionalità e della temporaneità (sentenza n. 17 del 2023); sono, al contrario, assentibili in via generale, seppur in deroga agli strumenti urbanistici. Proprio per queste ragioni, le disposizioni regionali, oggetto di sindacato, violano il principio fondamentale della pianificazione degli interventi edilizi e di trasformazione urbana, causando un concreto rischio di frustrazione della sua funzione di garanzia dell’ordinato sviluppo del territorio.

La possibilità di derogare agli standard urbanistici definiti dalla disciplina nazionale, prevista con riferimento al recupero a fini abitativi dei piani pilotis (art. 47, comma 4, della legge impugnata), inoltre, collide con quanto questa Corte ha più volte affermato: «i limiti fissati dal d.m. n. 1444 del 1968, che trova il proprio fondamento nell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale [...], costituendo […] principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del “primario interesse generale all’ordinato sviluppo urbano”» (sentenza n. 217 del 2020, richiamata dalla sentenza n. 240 del 2022; nello stesso senso, sentenza n. 50 del 2017 e precedenti ivi indicati).

La reductio ad legitimitatem delle disposizioni impugnate s’ottiene attraverso l’espunzione, dal testo dell’art. 47, delle norme che consentono l’illegittima deroga ai piani urbanistici territoriali, ai regolamenti edilizi comunali e agli standard fissati dal d.m. n. 1444 del 1968.

Va, perciò, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha introdotto gli incisi: «anche se non previsto dai vigenti strumenti urbanistici generali ed esecutivi» (comma 2); «senza che ciò comporti incidenza sui valori di SL e sulla conseguente necessità di standard urbanistici, nel solo rispetto dei parametri riferiti ai limiti delle superfici coperte» (comma 2, lettera a); «senza che ciò comporti incidenza sui valori di SL e sulla conseguente necessità di standard urbanistici» (comma 2, lettere b e c); «in deroga alla densità fondiaria di cui all’articolo 7 del decreto ministeriale 1444/1968 e alle norme del PRG» (comma 4).

29.– Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura formulati nel ricorso.

30.– In conclusione, va esaminata l’impugnativa dell’art. 48 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, rubricato «Norme per l’installazione in edifici privati di vasca riabilitativa per idroterapia». Questa disciplina consente la realizzazione, in edifici privati esistenti o di nuova costruzione, di vasche per la riabilitazione con idroterapia di persone con disabilità certificata ai sensi dell’art. 4 della legge n. 104 del 1992, determinandone dimensioni e altezze massime, stabilendo che possono realizzarsi «in deroga agli strumenti urbanistici vigenti». Su quest’ultimo inciso si appuntano le doglianze del ricorrente.

La disposizione s’esporrebbe a censure d’illegittimità costituzionale analoghe a quelle dedotte in riferimento all’art. 47. Anche in questo caso, in forza della prevista deroga agli strumenti urbanistici vigenti, si configurerebbe, «sebbene indirettamente», una violazione del PPR adottato dalla Regione d’intesa con lo Stato. Il rispetto del PPR, infatti, sarebbe fatto salvo soltanto in riferimento agli interventi «fuori sagoma»: al comma 4, l’art. 48 stabilisce, infatti, che agli «eventuali incrementi fuori sagoma si applicano le distanze minime di cui all’articolo 9 del decreto ministeriale 1444/1968 e le normative vigenti in materia antisismica, di sicurezza, antincendio, energetica, acustica, igienico sanitaria, nonché le disposizioni contenute nel decreto legislativo 42/2004, quanto previsto dal PPR, quanto definito dalle norme del PAI e dalle norme degli strumenti urbanistici adeguati al PAI».

Perciò, vi sarebbe un contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto al quale costituirebbero norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché con gli artt. 3 e 9 Cost. Risulterebbe, altresì, violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio» stabiliti dall’art. 41-quinquies della legge urbanistica, come attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, nonché all’art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, anche per ragioni già illustrate al settimo motivo del ricorso. Il principio di leale collaborazione sarebbe, inoltre, pregiudicato dall’intervento unilaterale del legislatore regionale e l’art. 9 Cost. finirebbe per essere violato, nella parte in cui «assegna alla tutela del paesaggio il rango di valore primario e assoluto».

31.– Preliminarmente, va rilevato che le questioni riferite agli artt. 3 e 9 Cost. sono inammissibili, per la carente illustrazione delle motivazioni che devono sorreggere le censure. Per quanto riguarda, in specie, i giudizi in via principale, questa Corte ha costantemente affermato che è necessaria «un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale». Il ricorrente ha, infatti, «l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto sviluppando un’argomentazione non meramente assertiva, sufficientemente chiara e completa» (da ultimo, sentenza n. 89 del 2024, che richiama la sentenza n. 112 del 2023).

Onere che non è stato, sul punto, assolto: per tale ragione, va dichiarata l’inammissibilità delle questioni.

32.– Pure la questione riferita all’art. 117, terzo comma, Cost. è inammissibile, per altra ragione, che risiede nella mancata ricostruzione, da parte del ricorrente, del quadro normativo in cui la disposizione impugnata deve essere contestualizzata.

La censura è formulata in modo identico a quella riguardante l’antecedente art. 47 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022. Il ricorso afferma, infatti, che la possibilità di derogare agli strumenti urbanistici vigenti violerebbe una serie di parametri interposti espressivi di principi fondamentali della materia «governo del territorio»: l’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 e il d.m. n. 1444 del 1968, che definiscono gli standard urbanistici; l’art. 14 t.u. edilizia – ricavabile dal rinvio interno effettuato in proposito al testo del settimo motivo del ricorso statale –, che esprime il principio della pianificazione.

Di là dal rilievo per cui le censure sono illustrate in modo assai sintetico e contratto, ciò che determina l’inammissibilità della questione è il mancato confronto con il quadro normativo statale in materia di diritti delle persone con disabilità. Il ricorrente, in altre parole, non considera la specificità dell’intervento edilizio consentito dall’art. 48 della legge regionale e non valuta in alcun modo come esso s’inserisce all’interno del contesto normativo di riferimento, rappresentato dalla legge-quadro n. 104 del 1992.

Le disposizioni ora all’esame – a differenza di tutte le altre impugnate con il medesimo ricorso – sono dirette a soddisfare esigenze di cura di una specifica categoria di persone, quelle riconosciute come portatrici di disabilità, secondo i criteri stabiliti dalla legge statale. L’intento del legislatore regionale è quello di raggiungere un punto di equilibrio nel bilanciamento tra interessi di diversa natura, fra cui è ricompreso quello di agevolare la costruzione di vasche per l’idroterapia, interne agli edifici, indipendentemente da quanto previsto dagli strumenti di pianificazione già vigenti. Il ricorso non tiene conto di tale circostanza, argomentando le doglianze – come s’anticipava – alla stregua delle precedenti impugnative.

La legge n. 104 del 1992 – che «detta i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata» (art. 2) – afferma la doverosità di interventi che prevengano e rimuovano «le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività», declinabili in azioni diverse, ma convergenti, allo scopo di migliorare le condizioni di vita dei soggetti vulnerabili (artt. 1 e 8).

Per quanto qui più interessa, e come sottolineato anche nella memoria della Regione resistente, l’art. 10 della legge-quadro prevede che l’approvazione di progetti edilizi presentati da soggetti pubblici o privati inerenti a immobili da destinare alle comunità alloggio o a centri socio-riabilitativi costituisce variante al piano regolatore. Pone, inoltre, un vincolo di destinazione almeno ventennale all’uso effettivo dell’immobile per gli scopi di cui alla legge n. 104 del 1992, ove gli immobili adibiti a comunità alloggio o centri riabilitativi vengano localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione. Tali disposizioni, dunque, esprimono un chiaro favor per la realizzazione di centri per la riabilitazione e per l’integrazione sociale delle persone con disabilità, prevedendo che possano essere costruiti, anche se non già contemplati nei piani regolatori.

L’impugnativa dell’art. 48 della legge regionale n. 7 del 2022, non confrontandosi con questa disciplina, non espone le ragioni per le quali, in ogni modo, a suo avviso, l’installazione di vasche interne a edifici privati per l’idroterapia, necessaria alla riabilitazione di soggetti con disabilità, non potrebbe avvenire se non conformemente ai piani già esistenti.

A causa di tali significative carenze di motivazione, va, dunque, dichiarata l’inammissibilità della questione promossa sull’art. 48 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022 in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

33.– Infine, la questione relativa alla violazione, da parte del citato art. 48, dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, non è fondata.

La censura si basa sull’assunto che permettere la costruzione delle vasche per idroterapia in deroga ai piani urbanistici possa rendere inoperanti le previsioni del Piano paesaggistico. Tale assunto, tuttavia, si appalesa erroneo, poiché, come già si è rammentato, in base alla giurisprudenza costituzionale, ove la Regione sia dotata di PPR e la legge regionale non stabilisca espressamente in senso contrario, le deroghe alla pianificazione urbanistica non si devono ritenere capaci di incidere sulla necessaria applicazione della disciplina di tutela paesaggistica. La disposizione regionale, nella parte non interessata dall’impugnativa statale, effettua, peraltro, un richiamo espresso alla salvaguardia delle previsioni del PPR: si tratta dei casi in cui l’installazione delle vasche, interne agli edifici, determini interventi «fuori sagoma»; dei casi, cioè, in cui si pone, in concreto, il più alto rischio di alterazioni dell’assetto territoriale della zona e del paesaggio. Sulla scorta di queste considerazioni, va esclusa la violazione del principio di leale collaborazione, pure denunciata dal ricorrente.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione Piemonte 31 maggio 2022, n. 7 (Norme di semplificazione in materia urbanistica ed edilizia), nella parte in cui, novellando i commi 1 e 2, lettera b), dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 4 ottobre 2018, n. 16 (Misure per il riuso, la riqualificazione dell’edificato e la rigenerazione urbana), ha reso applicabile – in virtù del rinvio all’art. 2, comma 1, lettera d-bis), della legge regionale Piemonte n. 16 del 2018, nel testo antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 2, della legge della Regione Piemonte 19 settembre 2023, n. 20, recante «Modifiche alla legge regionale 31 maggio 2022, n. 7 (Norme di semplificazione in materia urbanistica ed edilizia)» – la disciplina di cui all’art. 5, comma 9 e seguenti, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, anche agli edifici per i quali «è stato rilasciato titolo abilitativo in sanatoria ai sensi» «della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha novellato l’art. 5, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, sostitutivo dell’art. 6, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, limitatamente alle parole «[p]er gli edifici realizzati dopo tale data, il sottotetto è recuperabile decorsi tre anni dalla realizzazione o ad avvenuto perfezionamento delle pratiche di legittimazione»;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022;

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha sostituito l’art. 6, comma 1, lettere a), b) e c), della legge della Regione Piemonte 8 luglio 1999, n. 19, recante «Norme in materia edilizia e modifiche alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo)»;

6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui prevede gli incisi: «anche se non previsto dai vigenti strumenti urbanistici generali ed esecutivi» (comma 2); «senza che ciò comporti incidenza sui valori di SL e sulla conseguente necessità di standard urbanistici, nel solo rispetto dei parametri riferiti ai limiti delle superfici coperte» (comma 2, lettera a); «senza che ciò comporti incidenza sui valori di SL e sulla conseguente necessità di standard urbanistici» (comma 2, lettere b e c); «in deroga alla densità fondiaria di cui all’articolo 7 del decreto ministeriale 1444/1968 e alle norme del PRG» (comma 4);

7) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 48 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), come attuato mediante il decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l’interno, 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), nonché all’art. 5, comma 11, secondo periodo, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha sostituito l’art. 3, comma 3, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e all’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha sostituito l’art. 5, commi 2, 3 e 4, della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 9, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32 e 117, terzo comma, Cost., in relazione al decreto del Ministro per la sanità 5 luglio 1975 (Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

11) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

12) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, nella parte in cui ha sostituito l’art. 6 della legge reg. Piemonte n. 19 del 1999, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 32, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

13) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

14) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 48 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, nonché al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

15) dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2; 11; 13, comma 6; 14, commi 3 e 5; 16; 18, comma 3; 19, comma 1; 20; 21, commi 1 e 3; 34, comma 1; 36; 40 e 42 della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Franco MODUGNO,

Stefano PETITTI,

Emanuela NAVARRETTA,

Marco D'ALBERTI, Redattori

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2024

Allegata ordinanza del 9 aprile 2024