Sentenza n. 74 del 2021

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SENTENZA N. 74

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 26 e 36 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 29 gennaio-7 febbraio 2020, depositato in cancelleria il 6 febbraio 2020, iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Udito nella udienza pubblica del 9 febbraio 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;

udito l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 29 gennaio-7 febbraio 2020 e depositato il 6 febbraio 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 26 e 36 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021).

1.1.– L’art. 26 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 è impugnato per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), nonché alla «[d]irettiva 92/43/Cee del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche».

La disposizione impugnata, volta a disciplinare la ricostituzione dell’attività agricola nelle aree colpite da Xylella fastidiosa, «[i]n conformità con le procedure e i limiti previsti dall’articolo 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e al fine di garantire la biodiversità agricola e la resistenza dell’ecosistema alle mutazioni o ricombinazioni del batterio della xylella», consente, al comma 1, «nelle aree dichiarate infette l’attività di impianto di qualsiasi essenza arborea in deroga ai vincoli paesaggistico colturali, comunque denominati, apposti in forza di leggi regionali o di provvedimenti amministrativi di pianificazione sovraordinata o comunale».

1.2.– In primo luogo, il Presidente del Consiglio di ministri ritiene che l’art. 26 legge reg. Puglia n. 52 del 2019 sarebbe invasivo della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto non rientrerebbe nelle competenze regionali l’individuazione unilaterale delle attività che possono essere ricondotte alle ordinarie attività agro-silvo-pastorali, che, ai sensi dell’art. 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) (d’ora in poi, anche: cod. beni culturali), non consentono l’esonero dell’autorizzazione paesaggistica.

1.3.– In secondo luogo, il ricorrente ritiene che l’impugnata disposizione regionale sarebbe costituzionalmente illegittima anche per il contrasto con la direttiva 92/43/CEE del consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche e l’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997 (regolamento, questo, con il quale si è data attuazione alla citata direttiva). Sostiene l’Avvocatura generale, infatti, che la norma impugnata introdurrebbe un regime derogatorio in contrasto con la citata norma statale, che, in tema di valutazione di incidenza ambientale (VINCA), non consentirebbe deroghe.

Secondo la difesa statale, non potrebbe essere invocato, al fine di legittimare l’intervento normativo regionale, quanto previsto dall’art. 12 del d.P.R. n. 357 del 1997 – così come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 5 luglio 2019, n. 102 (Regolamento recante ulteriori modifiche dell’articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) – che, nel vietare l’immissione in natura di specie e di popolazioni non autoctone, introduce un limitato regime di deroga. Il citato articolo stabilisce al comma 4 che, su istanza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti di gestione delle aree protette nazionali, l’immissione in natura di specie e di popolazioni non autoctone può essere autorizzata per motivate ragioni di rilevante interesse pubblico, connesse a esigenze ambientali, economiche, sociali e culturali, e, comunque sia, in modo da non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale né alla fauna e alla flora selvatiche locali.

Ciò chiarito, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’impugnato art. 26 contrasterebbe, sotto tale profilo, con gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché tendente a comprimere il livello di tutela stabilito dalla legislazione nazionale e dalle direttive europee in tale ambito, così illegittimamente invadendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia.

La difesa statale pone in evidenza, infatti, che, in base alla giurisprudenza di questa Corte, la disciplina della VINCA dovrebbe ritenersi ricompresa nella tutela ambientale e dell’ecosistema e che, sulla scorta di ciò, neppure l’obiettivo di preservare aree di eccezionale valore ambientale potrebbe ritenersi sufficiente a legittimare l’intervento del legislatore regionale in detta materia (si richiamano le sentenze n. 195 del 2017, n. 38 del 2015 e n. 104 del 2008).

1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019.

L’indicata disposizione regionale prevede che «[a] integrazione delle norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici comunali sono consentite le attività previste dalla legge regionale 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale), senza necessità di approvazione regionale, e dall’articolo 45, commi 3 e 4 delle norme tecniche d’attuazione del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), salvo che il comune interessato non esprima la volontà di non avvalersene con delibera del consiglio comunale».

Come rileva la difesa statale, l’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 detterebbe disposizioni attuative della legge della Regione Puglia 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale) e dell’art. 45 del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), specificando che le attività previste dalle richiamate norme sarebbero consentite senza necessità di approvazione regionale o salvo che il Comune decida, mediante delibera consiliare, di non avvalersene.

L’Avvocatura dello Stato ricorda che è stata già deliberata l’impugnativa costituzionale di alcune delle modifiche apportate alla legge reg. Puglia n. 20 del 1998 dalla legge Regione Puglia 9 agosto 2019, n. 43, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale) e interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 12 dicembre 2016, n. 38 (Norme in materia di contrasto agli incendi boschivi e di interfaccia)».

Per quanto riguarda l’odierna questione di costituzionalità, emergerebbe «il contrasto del comma 5 dell’art. 1 della L.R. n. 20 del 1998 con l’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto non è assicurata la partecipazione del competente Ministero dei Beni culturali nel procedimento di adeguamento della variante del PUG (che si verrebbe a determinare a seguito dell’approvazione degli interventi previsti dalla stessa L.R. n. 20 del 1998) al PPTR».

Per quanto attiene, invece, alla disciplina normativa in relazione all’art. 45 del PPTR, si deduce che i commi 3 e 4 di tale disposizione si riferiscono alle disposizioni dei territori costieri, le quali, ai sensi dell’art. 143, comma 9, cod. beni culturali, sarebbero immediatamente prevalenti sulle disposizioni dello strumento urbanistico comunale. Il citato art. 143, comma 9, prevede infatti che, a far data dall’adozione del piano paesaggistico, per un verso, non sono consentiti interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano; per l’altro, le previsioni e le prescrizioni del piano sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici.

L’impugnata norma regionale contrasterebbe, pertanto, con il citato art. 143, comma 9, «laddove fa salva la facoltà del comune di esprimere la volontà di non consentire tale immediata cogenza e prevalenza», così invadendo la competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.– La Regione Puglia non si è costituita in giudizio.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 26 e 36 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

1.1.– Le ulteriori questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, relative agli artt. 10, 35, 44, 45, 47 e 49 della medesima legge reg. Puglia n. 52 del 2019, impugnati in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., sono state decise con la sentenza n. 36 del 2021.

2.– L’art. 26 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, al comma 1, così dispone: «[i]n conformità con le procedure e i limiti previsti dall’articolo 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e al fine di garantire la biodiversità agricola e la resistenza dell’ecosistema alle mutazioni o ricombinazioni del batterio della xylella, è consentita nelle aree dichiarate infette l’attività di impianto di qualsiasi essenza arborea in deroga ai vincoli paesaggistico colturali, comunque denominati, apposti in forza di leggi regionali o di provvedimenti amministrativi di pianificazione sovraordinata o comunale».

2.1.– Per un verso, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene il richiamato art. 26 invasivo della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto non rientrerebbe nelle competenze regionali l’individuazione unilaterale delle attività che possono essere ricondotte alle ordinarie attività agro-silvo-pastorali, le quali, ai sensi dell’art. 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2202, n. 137) (d’ora in avanti, anche: cod. beni culturali), consentono l’esonero dell’autorizzazione paesaggistica.

Per un altro verso, il ricorrente ritiene che l’impugnata disposizione regionale sia costituzionalmente illegittima anche per contrasto con la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992 e l’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). Sostiene l’Avvocatura generale, infatti, che la norma impugnata introdurrebbe un regime derogatorio in contrasto con la citata norma statale, la quale, in tema di valutazione di incidenza ambientale (VINCA), non consentirebbe deroghe.

2.2.– Al fine di inquadrare le questioni, è preliminarmente opportuno tratteggiare il panorama normativo di interesse, volto al contenimento e al superamento dei danni prodotti dal batterio della Xylella fastidiosa, che ha colpito gli oliveti pugliesi.

2.2.1.– La vicenda della diffusione del batterio della Xylella – rispetto alla quale è stata anche svolta un’indagine conoscitiva dalla XIII Commissione Agricoltura della Camera, conclusasi il 21 febbraio 2019 – si è dimostrata drammatica da un punto di vista ambientale e produttivo per gli oliveti presenti nella Regione Puglia, dando luogo, in ragione di ciò, a una serie di interventi di diversa natura e a vari livelli.

A seguito della ricordata indagine parlamentare, è intervenuto il decreto-legge 29 marzo 2019, n. 27 (Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi e del settore ittico nonché di sostegno alle imprese agroalimentari colpite da eventi atmosferici avversi di carattere eccezionale e per l’emergenza nello stabilimento Stoppani, sito nel Comune di Cogoleto), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2019, n. 44.

2.2.2.– Per ciò che maggiormente rileva in questa sede, all’art. 8-ter, comma 1, del d.l. n. 27 del 2019, come convertito, si è statuito che «per un periodo di sette anni il proprietario, il conduttore o il detentore a qualsiasi titolo di terreni può procedere, previa comunicazione alla regione, all’estirpazione di olivi situati in una zona infetta dalla Xylella fastidiosa, con esclusione di quelli situati nella zona di contenimento di cui alla decisione di esecuzione (UE) 2015/789 della Commissione, del 18 maggio 2015, e successive modificazioni, in deroga a quanto disposto dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475, e ad ogni disposizione vigente anche in materia vincolistica nonché in esenzione dai procedimenti di valutazione di impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dal procedimento di valutazione di incidenza ambientale».

In tal modo si è espressamente introdotta una disciplina derogatoria della normativa vincolistica, al fine di apprestare una risposta quanto più veloce ed efficace contro la diffusione del batterio. Deroga – è bene porre in evidenza tale aspetto – che dal citato decreto-legge non è prevista anche per le attività di impianto nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico. Alla luce del citato decreto-legge, infatti, l’impianto di nuove specie, allorché ricadente in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, deve (recte: avrebbe dovuto) rispettare i vincoli previsti dal d.lgs. n. 42 del 2004: ossia essere sottoposto ad autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.

2.2.3.– Proprio in forza della disciplina derogatoria sul taglio delle piante infette, da un lato, e della normativa del codice di settore sulla necessità dell’autorizzazione paesaggistica per l’impianto, dall’altro, e al fine di «agire tempestivamente» per «salvaguardare il paesaggio identitario e impedire la desertificazione dei luoghi», la Regione Puglia, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e il Ministero delle politiche agricole hanno stipulato un protocollo di intesa riguardante «la “[r]icostituzione del paesaggio olivicolo pugliese nelle aree soggette a vincolo paesaggistico, ai sensi della parte III del codice dei beni culturali e del paesaggio, ricadenti nella zona infetta da Xylella fastidiosa”, approvato con deliberazione della Giunta regionale 11 novembre 2019, n. 2052».

È l’art. 2 di detto protocollo a dettare la disciplina per il reimpianto in deroga all’autorizzazione paesaggistica. Con tale disposizione si è previsto, infatti, che «[l]e operazioni di reimpianto nelle aree vincolate ricadenti in zone infette (con esclusione della zona di contenimento) […] possono essere ricondotte a pratiche agricole non soggette ad autorizzazione paesaggistica» se rispettano le due condizioni espressamente individuate dalla norma: in primo luogo, se sono reimpiantate solo coltivazioni di olivo resistenti quali il «Leccino o la Fs-17, o altre varietà di ulivi che dovessero rivelarsi resistenti o tolleranti all’organismo specificato, sulla base di apposita certificazione del Comitato Fitosanitario Nazionale»; in secondo luogo, se «nelle operazioni di reimpianto sono salvaguardati tutti i beni diffusi caratterizzanti il paesaggio rurale (muretti a secco, lamie, specchie, trulli, cisterne pozzi, canalizzazioni delle acque piovane ecc.) in conformità con gli artt. 76, 77, 78 e 83 delle NTA del PPTR [Piano paesaggistico territoriale regionale]».

Fuori dalle condizioni espressamente previste dal comma 1, pertanto, gli interventi di reimpianto devono essere sottoposti – così ancora l’art. 2, comma 2, del citato protocollo – a «procedura ordinaria di cui all’art. 146 del D.Lgs. 42/2004».

2.2.4.– È proprio nel contesto normativo tracciato dall’analizzato art. 2 del protocollo che si inserisce l’art. 26 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, il quale, come si è già ricordato, consente nelle zone dichiarate infette l’impianto di qualsiasi essenza arborea in deroga ai vincoli paesaggistico-colturali, comunque sia denominati, apposti in forza di leggi regionali o di provvedimenti amministrativi di pianificazione sovraordinata o comunale.

2.3.– Tracciato nelle sue linee essenziali il quadro normativo di riferimento, è possibile passare all’esame delle singole questioni sull’art. 26 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019.

2.4.– Come si è già ricordato, il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché il legislatore regionale avrebbe previsto un caso di esonero dall’autorizzazione diverso da quelli contemplati dall’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, così, del pari, violando la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del medesimo decreto legislativo.

La questione è fondata.

2.4.1– Come già ha avuto modo di chiarire questa Corte, «[s]petta alla legislazione statale determinare presupposti e caratteristiche dell’autorizzazione paesaggistica, delle eventuali esenzioni e delle semplificazioni della procedura, in ragione della diversa incidenza delle opere sul valore intangibile dell’ambiente» (sentenza n. 246 del 2017). Si è, inoltre, affermato che «la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle Regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 189 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101 del 2010 e n. 232 del 2008).

La competenza esclusiva statale risponde, infatti, ad «ineludibili esigenze di tutela e sarebbe vanificata dall’intervento di una normativa regionale che sancisse in via indiscriminata […] l’irrilevanza paesaggistica di determinate opere, così sostituendosi all’apprezzamento che compete alla legislazione statale» (sentenza n. 246 del 2017).

2.4.2.– Il legislatore regionale pugliese, consentendo, con la norma impugnata, l’impianto di qualsiasi essenza arborea in deroga ai vincoli paesaggistici, ha introdotto un’ipotesi di esonero dall’autorizzazione paesaggistica.

L’art. 26 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, così statuendo, si pone, pertanto, in contrasto con gli artt. 146 e 149 cod. beni culturali – recanti, il primo, la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica e, il secondo, l’individuazione tassativa delle tipologie di interventi in aree vincolate realizzabili anche in assenza di detta autorizzazione – e risulta, quindi, invasivo della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.4.3. Deve, allora, concludersi per l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 26 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, non sottraendosi alla censura nemmeno il suo comma 2, a norma del quale, «[n]el termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale può motivatamente deliberare l’esclusione, in tutto o in parte, delle aree in cui non è applicabile la deroga di cui al comma 1».

Resta assorbita l’ulteriore questione sulla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento alla direttiva 92/43/CEE e all’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Il citato art. 36 così dispone: «[a] integrazione delle norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici comunali sono consentite le attività previste dalla legge regionale 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale), senza necessità di approvazione regionale, e dall’articolo 45, commi 3 e 4 delle norme tecniche d’attuazione del Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), salvo che il comune interessato non esprima la volontà di non avvalersene con delibera del consiglio comunale».

L’art. 36 è composto da due distinte norme, entrambe impugnate.

3.1.– La prima norma prevede che, a integrazione delle norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici comunali, sono consentite le attività previste dalla legge della Regione Puglia 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale), senza necessità di approvazione regionale.

Lo Stato denuncia l’invasione della competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché la previsione regionale contrasterebbe con l’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, «in quanto non è assicurata la partecipazione del competente Ministero dei Beni culturali nel procedimento di adeguamento della variante del PUG (che si verrebbe a determinare a seguito dell’approvazione degli interventi previsti dalla stessa L.R. n. 20 del 1998) al PPTR [Piano paesaggistico territoriale regionale]».

La questione non è fondata.

In diverse occasioni questa Corte ha affermato la necessità che la tutela paesaggistica sia caratterizzata dalla «concertazione rigorosamente necessaria» (così sentenza n. 64 del 2015) tra Regione e organi ministeriali, la quale impone la partecipazione di questi ultimi al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica (sentenza n. 64 del 2015; in senso analogo, sentenze n. 240 del 2020, n. 197 del 2014 e n. 211 del 2013).

Dall’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 non è ricavabile una deroga all’art. 145, comma 5, cod. beni culturali e al richiamato principio di concertazione necessaria; contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, pertanto, la norma impugnata, nel superare la necessità dell’approvazione regionale ai soli fini urbanistici, di cui all’art. 1, comma 5, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, non ha fatto venir meno la necessaria partecipazione dei competenti organi ministeriali al procedimento di adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica. Partecipazione, questa, che, anche a seguito delle modifiche normative introdotte dalla norma impugnata, continua, in definitiva, ad essere assicurata; onde la non fondatezza della questione.

3.2.– La seconda norma di cui si compone l’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, anch’essa impugnata, dispone che, a integrazione delle norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici comunali, sono consentite le attività previste dall’art. 45, commi 3 e 4, delle norme tecniche d’attuazione del Piano paesaggistico territoriale regionale (d’ora in avanti, anche: NTA del PPTR), salvo che il Comune interessato non esprima la volontà di non avvalersene con delibera del consiglio comunale.

La disposizione regionale è impugnata solo laddove fa salva la facoltà del Comune di esprimere la volontà di non avvalersi delle norme di cui al citato art. 45, commi 3 e 4, mediante apposita delibera comunale, poiché solo sul punto contrasterebbe con il principio di immediata cogenza e prevalenza delle disposizioni del piano paesaggistico sulle disposizioni dello strumento urbanistico comunale, di cui al citato art. 143, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004, risultando, pertanto, invasiva della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Il Presidente del Consiglio dei ministri fonda, infatti, le proprie censure sul presupposto che l’art. 45, commi 3 e 4, delle citate NTA del PPTR, riferendosi alle disposizioni dei territori costieri, detterebbe una disciplina che, ai sensi dell’art. 143, comma 9, del d.lgs. n. 42 del 2004, sarebbe immediatamente cogente e prevalente sulle disposizioni dello strumento urbanistico comunale.

3.2.1.– È necessario, pertanto, prendere in considerazione, seppur rapidamente, il contenuto normativo del citato art. 45, commi 3 e 4.

Tale articolo, recante la rubrica «Prescrizioni per i “Territori costieri” e i “Territori contermini ai laghi”», prevede al comma 3 che, «[f]atte salve la procedura di autorizzazione paesaggistica e le norme in materia di condono edilizio, nel rispetto degli obiettivi di qualità e delle normative d’uso di cui all’art. 37, nonché degli atti di governo del territorio vigenti ove più restrittivi», sono ammissibili varie attività – specificamente elencate – che hanno lo scopo di valorizzare e riqualificare i beni paesaggistici contemplati dalla disposizione normativa, se e nella misura in cui non compromettano i caratteri naturali e siano coerenti con i caratteri paesaggistici in cui si inseriscono.

In altri termini, il comma 3, precisando la necessità di rispettare le procedure di autorizzazione paesaggistica e le previsioni in materia di condono edilizio, contiene una serie di norme permissive, escludendo peraltro espressamente gli interventi ivi contemplati in presenza di atti di governo del territorio più restrittivi; il comma 4, invece, contiene semplici raccomandazioni, di per sé sprovviste di efficacia cogente e alle quali gli enti locali possano non dare attuazione semplicemente rimanendo inerti.

Diversamente da quanto presuppone il Presidente del Consiglio dei ministri, la citata normativa paesaggistica, esprimendo, per un verso, norme permissive che possono non trovare applicazione in presenza di atti di governo del territorio più restrittivi, e, per l’altro, norme programmatiche, non presenta, quindi, una portata immediatamente cogente e incondizionatamente precettiva.

Non ostante ciò la questione di legittimità costituzionale, promossa dal ricorrente, è fondata, poiché la norma impugnata si pone, comunque sia, in contrasto con il principio di prevalenza della tutela paesaggistica, che trova riconoscimento ed espressione nell’art. 143, comma 9, cod. beni culturali.

3.2.2.– Il principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito non solo adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto, ma, altresì, introdurre limiti o condizioni, in qualsiasi forma, senza che ciò sia giustificato da più stringenti ragioni di tutela, le quali possono se del caso trovare riconoscimento anche negli strumenti urbanistici regionali o comunali, tanto più, poi, se dette limitazioni trovino giustificazione in mere esigenze urbanistiche.

Affinché sia preservato il valore unitario e prevalente della tutela paesaggistica (sul quale, fra le molte, sentenze n. 11 del 2016, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014), deve, infatti, essere salvaguardata la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali (sentenza n. 182 del 2006).

L’impugnato art. 36, in parte qua, nel condizionare l’applicabilità delle previsioni paesaggistiche di cui al citato art. 45, commi 3 e 4, non alla presenza di più stringenti norme di tutela già previste negli strumenti urbanistici, ma a mere scelte urbanistiche dei Comuni, i quali possono limitarsi a manifestare la semplice volontà di non avvalersi delle richiamate disposizioni paesaggistiche, si pone in contrasto con il principio di prevalenza della tutela paesaggistica nei termini sopra precisati e quindi viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 143, comma 9, cod. beni culturali.

3.2.3.– L’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 va dichiarato, quindi, costituzionalmente illegittimo, limitatamente alle parole: «, salvo che il comune interessato non esprima la volontà di non avvalersene con delibera del consiglio comunale».

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, limitatamente alle parole: «, salvo che il comune interessato non esprima la volontà di non avvalersene con delibera del consiglio comunale»;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 145, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2021.