SENTENZA N. 38
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 19, 56, commi 1 e 4, e 65 della legge della Regione Veneto 2 aprile 2014, n. 11 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2014), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 31 maggio-5 giugno 2014, depositato in cancelleria il 5 giugno 2014 ed iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2014.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notifica il 31 maggio 2014, ricevuto dalla resistente il 5 giugno 2014 e depositato nella cancelleria di questa Corte nella medesima data (r.r. n. 38 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, 56, commi 1 e 4, e 65 della legge della Regione Veneto 2 aprile 2014, n. 11 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2014), in riferimento all’art. 117 della Costituzione, relativamente sia al primo comma, sia al secondo comma, lettera s).
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha censurato anzitutto l’art. 65 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, che, in attesa di un’organica disciplina in materia di tutela della biodiversità, detta una serie di misure a tutela della rete ecologica regionale «Natura 2000». Il ricorrente ha riscontrato un contrasto con l’art. 5 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), come modificato dall’art. 6 del decreto del d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120 (Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). Ne conseguirebbe la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., ove prescrive che la potestà legislativa regionale deve rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema alla competenza esclusiva dello Stato. Infatti, la disposizione impugnata, conferendo alla Giunta regionale il compito di definire, con apposite linee guida, i criteri affinché l’attuazione di una serie di interventi non sia assoggettata a valutazione di incidenza ambientale (VINCA), risulterebbe violare l’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, che invece prevedrebbe l’assoggettamento a tale valutazione di ogni piano, progetto o intervento che possa incidere sullo stato di conservazione dell’equilibrio ambientale.
Il ricorrente ha impugnato altresì l’art. 56, commi 1 e 4, della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, che disciplina la combustione controllata sul luogo di produzione dei residui vegetali. Il comma 1 consente la combustione controllata sul luogo di produzione dei residui vegetali derivanti da attività agricole o da attività di manutenzione di orti o giardini privati, effettuata secondo le normali pratiche o consuetudini. Il successivo comma 4 dispone che tale attività non costituisce gestione dei rifiuti o combustione illecita. Ad avviso del ricorrente, tali previsioni confliggerebbero con l’art. 185, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), d’ora in avanti “codice dell’ambiente”, che, nel testo modificato dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), ha recepito l’art. 2, paragrafo 1, lettera f), della suddetta direttiva n. 2008/98/CE: questa disposizione, nell’interpretazione proposta dall’Avvocatura generale dello Stato, richiederebbe che tali materiali vegetali, per poter essere esclusi dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti, siano riutilizzati seguendo processi e metodi che non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana. In questa chiave, tali residui rientrerebbero nella nozione di «sottoprodotto» e potrebbero perciò essere esclusi dalla disciplina sui rifiuti solo a condizione che sussistano, in concreto, tutti i requisiti elencati nell’art. 184-bis del codice dell’ambiente, secondo una valutazione effettuata caso per caso, e non in via generale come invece consentono le disposizioni impugnate. Queste ultime, pertanto, risulterebbero contrastare con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost.
Ulteriori censure del ricorrente sono rivolte nei confronti dell’art. 19 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, che autorizza la Giunta regionale a prevedere, nel rapporto con gli appaltatori per opere di regimazione di corsi d’acqua comprendenti la rimozione di materiali litoidi, il sistema della remunerazione tramite compensazione tra l’onere della realizzazione dei lavori e il valore del materiale estratto riutilizzabile, quest’ultimo da calcolarsi sulla base dei vigenti canoni demaniali. Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, infatti, tale disposizione sarebbe illegittima per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dato che non prevede alcun controllo circa le caratteristiche del materiale litoide estratto dai corsi d’acqua e non richiama la normativa statale di settore che regola la materia – contenuta nell’art. 4 del decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo) – laddove, in applicazione dell’art. 184-bis, comma 1, del codice dell’ambiente, stabilisce quali siano i requisiti che devono sussistere, contemporaneamente e cumulativamente, perché il materiale da scavo possa considerarsi «sottoprodotto» ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera qq), del codice dell’ambiente. In assenza di questi requisiti, il materiale in questione dovrebbe qualificarsi come rifiuto e pertanto essere assoggettato alla relativa normativa. Il ricorrente, a supporto della censura, ha richiamato la giurisprudenza costituzionale in materia, e in particolare la sentenza n. 70 del 2014, la quale afferma che è riservata allo Stato la competenza a disciplinare la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali provenienti da cantieri di piccole dimensioni, incluse le terre e rocce da scavo, senza contemplare alcun ruolo, neppure a carattere cedevole, per le Regioni e le Province autonome.
2.– La Regione Veneto si è costituita in giudizio con memoria del 24 giugno 2014, depositata in cancelleria il 25 giugno 2014. La delibera di autorizzazione da parte della Giunta regionale, adottata il 24 giugno 2014, è stata depositata in cancelleria il 22 agosto 2014. In tale memoria la Regione Veneto ha ritenuto che le censure presenti nel ricorso siano del tutto destituite di fondamento e ha chiesto pertanto che la Corte respinga il ricorso.
Relativamente all’art. 65 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, la resistente ha sostenuto la conformità di tale disposizione all’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, che, del resto, viene espressamente richiamato dal comma 1 della disposizione impugnata. In particolare, la valutazione di incidenza ambientale (VINCA), ai sensi del suddetto d.P.R. n. 357 del 1997, non sarebbe obbligatoria in relazione a ogni tipologia di intervento, ma esclusivamente per quelli non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito, e che possano avere incidenze significative sul sito stesso. La disposizione impugnata conterrebbe perciò una mera specificazione normativa, in ambiti ricadenti in altre competenze regionali (agricoltura, assetto del territorio), diretta a garantire in modo rafforzato la tutela predisposta dallo Stato, in linea con quanto stabilito dalla sentenza n. 12 del 2009 della Corte costituzionale.
Riguardo all’art. 56, commi 1 e 4, della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, la difesa regionale ha sostenuto che la pratica dell’abbruciamento sarebbe distinta dalla fattispecie «sottoprodotti» di cui all’art. 184-bis del codice dell’ambiente, in quanto, da un lato, il sottoprodotto è «originato da un processo di produzione», mentre il materiale in questione potrebbe essere l’effetto di eventi vegetativi naturali; e, dall’altro, il suo utilizzo avviene attraverso un «trattamento diverso dalla normale pratica industriale», mentre la disposizione regionale in questione tratterebbe di pratiche agricole e forestali. Inoltre, ad avviso della Regione Veneto, la pratica agricola consistente nell’eliminazione mediante abbruciamento del materiale vegetale residuo rappresenterebbe una ordinaria, quanto inveterata, tecnica colturale, mentre l’assoggettamento di tale materiale alla disciplina sulla gestione dei rifiuti determinerebbe un effetto sproporzionato e particolarmente vessatorio, comportando, tra l’altro, l’applicazione delle sanzioni penali previste, per la combustione illecita dei rifiuti, dall’art. 256-bis del codice dell’ambiente, introdotto dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 febbraio 2014, n. 6. L’interpretazione più corretta sarebbe invece, sempre ad avviso della Regione Veneto, quella per cui i materiali in questione, pur essendo in astratto qualificabili come rifiuti ai sensi dell’art. 183 [recte: 184], comma 3, lettera a), del codice dell’ambiente, sarebbero però esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina sulla gestione dei rifiuti per effetto dell’art. 185, comma 1, lettera f), del medesimo codice dell’ambiente (che risulta lessicalmente identica all’art. 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva n. 2008/98/CE). Ne discenderebbe l’infondatezza del ricorso anche laddove invoca il contrasto con una direttiva europea. In definitiva, la disposizione impugnata sarebbe estranea alla disciplina sui rifiuti e afferirebbe alla disciplina dell’attività agricola, di competenza regionale, anche considerando il fatto che il codice dell’ambiente riconoscerebbe alle Regioni titolo per esercitare poteri e funzioni di propria competenza in materia di gestione dei rifiuti (art. 177, comma 4, del codice dell’ambiente).
Per quanto riguarda l’art. 19 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, esso non introdurrebbe affatto, né in modo espresso né in forma implicita, alcuna deroga alla disciplina relativa alla cessione del materiale litoide estratto dall’alveo di corsi d’acqua nell’ambito degli interventi di regimazione idraulica, che costituiscono attività di ordinaria manutenzione, di norma di modesta entità, e che non alterano lo stato dei luoghi. La disciplina statale relativa alla definizione e al trattamento del materiale da scavo dettata dal d.m. n. 161 del 2012 non verrebbe ad essere in alcun modo intaccata, visto che la disposizione regionale impugnata si proporrebbe di conseguire la valorizzazione dei materiali litoidi, incidendo sulla disciplina regionale relativa ai criteri economici per l’affidamento dei lavori, di cui alla legge della Regione Veneto 7 novembre 2003, n. 27 (Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche), e in particolare sulle modalità di contabilizzazione della remunerazione che consegue alla pubblica amministrazione dall’utilizzo dei materiali da scavo, in linea peraltro con alcune previsioni contenute nella disciplina statale: nella memoria si richiamano l’art. 4, comma 10-bis, del decreto-legge 12 novembre 1996, n. 576 (Interventi urgenti a favore delle zone colpite dagli eventi calamitosi dei mesi di giugno e ottobre 1996), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 dicembre 1996, n. 677, l’art. 53, comma 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e l’art. 111 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»).
In definitiva, la norma impugnata rappresenterebbe una norma tecnica dell’ordinamento contabile della Regione, resasi necessaria per il fatto che la compensazione non si sottrae ai vincoli del patto di stabilità interna e richiederebbe, dunque, un riconoscimento contabile, dovendosi anche in tal caso procedere ad accertamento dell’entrata, impegno di spesa, liquidazione ed emissione del mandato, ai sensi del Capo V (artt. 36-52) della legge della Regione Veneto 29 novembre 2001, n. 39 (Ordinamento del bilancio e della contabilità della Regione): da ciò deriverebbe la necessità dell’intervento con legge finanziaria regionale per istituire i relativi capitoli di bilancio, consentendo così all’amministrazione di conseguire un consistente risparmio di risorse pubbliche.
3.– Con successiva memoria del 2 febbraio 2015, depositata il medesimo giorno in cancelleria, la Regione Veneto, con riferimento all’art. 65 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, ha ribadito gli argomenti già illustrati nel senso dell’infondatezza della censura, visto che la norma invocata quale parametro interposto, ossia l’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, non prevedrebbe un obbligo assoluto di sottoposizione a valutazione di incidenza ambientale per ogni tipologia di intervento, escludendo quelli necessari al mantenimento di uno stato di soddisfacente conservazione delle specie e degli habitat e che non abbiano incidenze significative sul sito. In questa categoria rientrerebbe la previsione della norma regionale, interpretata sistematicamente, teleologicamente e in modo costituzionalmente orientato. La correttezza di questa interpretazione troverebbe poi conferma nella deliberazione della Giunta regionale n. 1456 del 5 agosto 2014 (Piano regionale delle attività di pianificazione e gestione forestale per l’anno 2014) – allegata alla memoria – nel cui allegato A si richiama l’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997, distinguendosi i casi in cui è necessaria la valutazione di incidenza ambientale da quelli in cui essa deve essere esclusa.
Relativamente alla censura relativa all’art. 56, commi 1 e 4, della legge reg. Veneto n. 11 del 2014 la resistente ha sottolineato come le ragioni già avanzate in origine nel senso della infondatezza troverebbero ulteriore sostegno nello ius superveniens. Il comma 6-bis dell’art. 182 del codice dell’ambiente, aggiunto dall’art. 14, comma 8, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116, ha infatti riconosciuto, con norma che si porrebbe in perfetta consonanza ed armonia con la disciplina regionale impugnata, che l’abbruciatura, nel luogo di produzione, di paglia, sfalci e potature, nonché di ogni altro materiale non pericoloso costituisca normale pratica agricola. La Regione Veneto ha pertanto chiesto che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, ovvero, riconosciuta la legittimità della disposizione impugnata, anche prima della legislazione statale sopravvenuta. Inoltre, la resistente ha criticato la normativa statale sopraggiunta, rilevando come la qualificazione dei materiali in questione in termini di rifiuti o di sottoprodotti, che da tale normativa così come dal ricorso si ricaverebbe, sarebbe frutto di un errore ricostruttivo in contraddizione con il diritto comunitario e con lo stesso codice dell’ambiente, posto che nelle suddette discipline tali materiali, ove impiegati in agricoltura, sarebbero esclusi dall’ambito di applicazione della normativa relativa alla gestione dei rifiuti.
Con riguardo all’art. 19 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, la resistente, oltre a ribadire le argomentazioni già illustrate nella precedente memoria, ha sostenuto l’inammissibilità della censura, per erronea indicazione dei termini della questione (come accaduto, ad esempio, nelle sentenze n. 315 e n. 254 del 2009). Essa muoverebbe, infatti, da un’errata considerazione del quadro normativo di riferimento e della stessa norma regionale, la quale non potrebbe neppure essere sussunta nella materia «tutela dell’ambiente»: si tratterebbe di una norma latamente “finanziaria”, che non avrebbe alcuna incidenza derogatoria rispetto alla disciplina ambientale statale, limitandosi a prevedere una modalità di remunerazione per le opere di ripristino dell’officiosità e di manutenzione dei corsi d’acqua comprendenti anche la rimozione dei materiali litoidi dagli alvei.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato il 31 maggio 2014 e depositato il 5 giugno 2014 (r.r. n. 38 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato tre disposizioni (artt. 19, 56, commi 1 e 4, e 65) della legge della Regione Veneto 2 aprile 2014, n. 11 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2014), per violazione dell’art. 117 della Costituzione, relativamente sia al primo comma, sia al secondo comma, lettera s).
Una prima censura ha riguardato l’art. 65 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, nella parte in cui prevede che la Giunta regionale, con apposite linee guida, escluda determinati interventi a tutela della rete ecologica regionale «Natura 2000» dalla valutazione di incidenza ambientale (VINCA). Tale disposizione violerebbe l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto contrasterebbe con la disciplina contenuta nell’art. 5 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), come modificato dall’art. 6 del d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120 (Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), ai sensi della quale sarebbe necessario l’assoggettamento a tale valutazione di incidenza ambientale di ogni piano, progetto o intervento suscettibile di incidere sullo stato di conservazione dell’equilibrio ambientale.
Una seconda censura ha riguardato l’art. 56, commi 1 e 4, della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, nella parte in cui consente la combustione controllata di materiali agricoli e vegetali sul luogo di produzione, effettuata secondo le normali pratiche e consuetudini, escludendo che essa costituisca attività di gestione dei rifiuti o di combustione illecita. Tali disposizioni violerebbero l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto contrasterebbero con la disciplina contenuta nell’art. 185, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e nella direttiva del 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Una terza ed ultima censura è stata rivolta nei confronti dell’art. 19 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, nella parte in cui autorizza la Giunta regionale a prevedere, nel rapporto con gli appaltatori, la compensazione dell’onere per la realizzazione dei lavori di manutenzione dei corsi d’acqua con il valore del materiale litoide estratto riutilizzabile, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La disposizione impugnata, infatti, contrasterebbe con la disciplina in materia di «sottoprodotti» contenuta negli artt. 183, comma 1, lettera qq), e 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 e nel decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo).
2.– L’art. 65 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, in attesa di un’organica disciplina in materia di tutela della biodiversità, detta una serie di misure a tutela della rete ecologica regionale «Natura 2000», in particolare stabilendo che la Giunta regionale debba definire specifiche linee guida di carattere tecnico-progettuale contenenti i criteri affinché l’attuazione di una serie di interventi (realizzazione e manutenzione delle opere di difesa idrogeologica con tecniche di ingegneria naturalistica; pianificazione e gestione forestale sostenibile; interventi di natura agro ambientale, produttivi e non, finanziati con la programmazione comunitaria; lavori di pronto intervento idrogeologico realizzati in regime di somma urgenza; interventi di difesa fitosanitaria e lotta attiva agli incendi boschivi) non sia assoggettata a valutazione di incidenza ambientale (VINCA). A tal fine, ai commi 3 e 4, autorizza la Giunta regionale ad avvalersi di un’attività di consulenza, quantificando un onere finanziario pari a 20.000 euro per il 2014.
La censura relativa alla violazione dell’art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera s), Cost. è fondata.
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la disciplina della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di «Natura 2000», contenuta nell’art. 5 del regolamento di cui al d.P.R. n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», rientrante nella competenza esclusiva statale, e si impone a pieno titolo, anche nei suoi decreti attuativi, nei confronti delle Regioni ordinarie. In base al principio per cui le Regioni «non possono reclamare un loro coinvolgimento nell’esercizio della potestà legislativa dello Stato in materia di tutela ambientale, trattandosi di una competenza statale esclusiva» (sentenza n. 104 del 2008), questa Corte ha affermato che nemmeno l’obiettivo di preservare rigorosamente aree di eccezionale valore ambientale sia sufficiente a legittimare l’intervento del legislatore regionale in materia di VINCA, «neppure con l’argomento dell’assicurazione per il suo tramite, in via transitoria o definitiva, di una più elevata tutela dell’ambiente» (sentenza n. 67 del 2011). Alla luce di tali orientamenti giurisprudenziali deve, a maggior ragione, escludersi che il legislatore regionale possa legittimamente adottare una disposizione come quella in esame, che esenta alcune tipologie di interventi dalla valutazione di incidenza ambientale, con conseguente affievolimento della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Infatti, l’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 21 maggio 1992, n. 92/43/CEE del Consiglio – attuata dall’art. 5, comma 3, del d.P.R. n. 357 del 1997 – stabilisce che deve formare oggetto di valutazione di incidenza ambientale «[q]ualsiasi piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti». A fronte di tale previsione, che richiede che siano assoggettati a VINCA tutti i progetti e i piani che possano avere incidenza significativa sulle aree in questione, per una valutazione in concreto, il legislatore regionale non può esonerare determinate tipologie di interventi – tanto meno se di pianificazione – in via generale e astratta, senza incorrere in un contrasto con le normative statale ed europea.
La disposizione impugnata risulta, perciò, in contrasto con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost.
3.– L’art. 56 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014 disciplina la combustione controllata sul luogo di produzione dei residui vegetali.
L’articolo oggetto di impugnazione consente, al comma 1, la combustione controllata sul luogo di produzione dei residui vegetali derivanti da attività agricole o da attività di manutenzione di orti o giardini privati, effettuata secondo le normali pratiche o consuetudini e dispone, al comma 4, che tale attività non costituisce attività di gestione dei rifiuti o di combustione illecita.
Questa Corte ha già avuto modo di esprimersi recentemente su leggi di altre Regioni recanti disposizioni simili, e approvate nel medesimo periodo di tempo, giudicando non fondate analoghe censure (sentenza n. 16 del 2015), anche a prescindere, dunque, dall’intervento del legislatore statale che – nel nuovo art. 182, comma 6-bis, introdotto nel codice dell’ambiente con l’art. 14, comma 8, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116 – ha esplicitato che «[l]e attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti». Nella sentenza n. 16 del 2015, la Corte ha ritenuto, per un verso, che, come attestato a più riprese dalla Corte di cassazione (ex plurimis, terza sezione penale, sentenze 7 marzo 2013, n. 16474, e 7 gennaio 2015, n. 76), l’art. 185, comma 1, lettera f), del codice dell’ambiente, e quindi anche le corrispondenti disposizioni della direttiva n. 2008/98/CE, consentivano – pure anteriormente alla ricordata introduzione del comma 6-bis nell’art. 182 – di annoverare tra le attività escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti l’abbruciamento in loco dei residui vegetali, in quanto considerato ordinaria pratica applicata in agricoltura e nella selvicoltura; e, per altro verso, che il legislatore regionale fosse legittimamente intervenuto sul punto, trattandosi di una disciplina che rientra nella materia «agricoltura», competenza di carattere residuale per le Regioni a statuto ordinario (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2013, n. 116 del 2006, n. 283 e n. 12 del 2004).
4.– L’art. 19 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014 autorizza, al comma 1, la Giunta regionale a prevedere, nel rapporto con gli appaltatori per opere di regimazione di corsi d’acqua comprendenti la rimozione di materiali litoidi, il sistema della remunerazione tramite compensazione tra l’onere della realizzazione dei lavori e il valore del materiale estratto riutilizzabile, quest’ultimo da calcolarsi sulla base dei vigenti canoni demaniali. Il successivo comma 2 istituisce appositi capitoli di entrata e di spesa (denominati rispettivamente: «Proventi derivanti dalla cessione di materiale litoide estratto da corsi d’acqua» e «Oneri per la realizzazione di opere di regimazione idraulica con il sistema della compensazione»), prevedendo per entrambi uno stanziamento pari a 10 milioni di euro.
La censura, sollevata dal ricorrente, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non è fondata.
L’impugnato art. 19 non incide in alcun modo sulla disciplina statale in materia di procedure per il trattamento delle terre, rocce e materiale da scavo invocata dal ricorrente – recentemente oggetto di un intervento di semplificazione da parte del legislatore statale, mediante l’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 – e quindi non interferisce affatto con la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di esclusiva competenza statale (ribadita, con riferimento allo smaltimento delle terre, rocce e materiale da scavo, dalle sentenze n. 232, n. 181 e n. 70 del 2014, n. 300 del 2013). Essa si occupa, invece, del diverso problema della remunerazione degli appalti per opere di regimazione dei corsi d’acqua tramite compensazione, precisandone alcune modalità di computo e istituendo i necessari capitoli di bilancio. L’oggetto e la ratio della disposizione in esame sono di ordine finanziario-contabile e in questo ambito la norma impugnata deve pertanto ricondursi.
Va infatti considerato che il sistema della remunerazione tramite compensazione con materiale da scavo è già previsto, sul piano della disciplina sostanziale, dall’art. 31, comma 2, della legge della Regione Veneto 7 novembre 2003, n. 27 (Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche) – cui la disposizione impugnata espressamente si richiama –, che già consente al bando di gara di prevedere «l’utilizzazione di materiale da scavo recuperato dall’attività di realizzazione delle opere pubbliche», «[a] compensazione totale o parziale delle somme di denaro costituenti il corrispettivo del contratto di appalto». L’impugnato art. 19 si limita a precisare che il meccanismo della compensazione si applica anche al caso specifico delle opere di ripristino dell’officiosità e di manutenzione dei corsi d’acqua e che in tal caso il valore del materiale estratto è da stimarsi in base ai canoni demaniali vigenti. A tal fine, il comma 2 del medesimo art. 19 istituisce due capitoli, di entrata e di spesa, in osservanza dei principi di regolarità contabile.
Nessuna incidenza dispiega, dunque, la disposizione impugnata sulla tutela dell’ambiente, che resta affidata al necessario rispetto della legislazione statale pertinente.
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 65 della legge della Regione Veneto 2 aprile 2014, n. 11 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2014);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, commi 1 e 4, della legge reg. Veneto n. 11 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore