Sentenza n. 315 del 2009

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SENTENZA N. 315

ANNO 2009

[ELG:COLLEGIO]

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-     Francesco                AMIRANTE                         Presidente

-     Ugo                        DE SIERVO                           Giudice

-     Paolo                      MADDALENA                        "

-     Alfio                      FINOCCHIARO                      "

-     Alfonso                  QUARANTA                           "

-     Luigi                      MAZZELLA                            "

-     Gaetano                  SILVESTRI                             "

-     Sabino                    CASSESE                                "

-     Maria Rita               SAULLE                                 "

-     Giuseppe                 TESAURO                               "

-     Paolo Maria             NAPOLITANO                        "

-     Giuseppe                 FRIGO                                    "

-     Alessandro              CRISCUOLO                           "

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 5, 15, commi 3, 4 e 6, 16, commi 1, 4, 6 e 7 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-19 agosto 2008, depositato in cancelleria il 20 agosto 2008 ed iscritto al n. 47 del registro ricorsi 2008.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano;

udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2009 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano.

[ELG:FATTO]

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 12-19 agosto 2008, depositato il successivo 20 agosto 2008, ha proposto questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 14, commi 1, 2 e 5, dell’art. 15, commi 3, 4 e 6, e dell’art. 16, commi 1, 4, 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), per contrasto con l’art. 117, commi primo, secondo, lettera s), e terzo della Costituzione e con gli articoli 8, 9 e 99 dello statuto speciale di autonomia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

2. – Il ricorrente premette, in linea generale, che, sebbene la Provincia autonoma di Bolzano, ai sensi dell’art. 8, comma 1, punti nn. 5 e 6, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, sia titolare di una potestà legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio» e di «urbanistica» e, ai sensi dell’art. 9, punto n. 10, del medesimo statuto, di una competenza legislativa concorrente in materia di «igiene e sanità», spetta in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, secondo la giurisprudenza costituzionale. Compete, pertanto, allo Stato – ad avviso della difesa erariale – dettare le norme di tutela che hanno ad oggetto nel suo complesso l’ambiente, bene che inerisce ad un interesse di rango costituzionale primario, per il quale deve essere garantito, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, inderogabile da parte delle altre normative di settore. Il ricorrente aggiunge che tale disciplina unitaria del bene complessivo “ambiente” viene a configurarsi come limite all’intervento legislativo delle Regioni e delle Province autonome nelle materie di loro competenza, essendo queste ultime vincolate al rispetto dei livelli minimi ed uniformi di tutela posti in essere dalla legislazione statale, ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, oltre che al rispetto della normativa comunitaria di riferimento, secondo quanto disposto dall’art. 8, comma 1, dello statuto e dall’art. 117, primo comma, della Costituzione.

3. –  Sulla  base  di  queste  premesse, il ricorrente impugna, in  primo luogo, l’art. 4, comma 2, della citata legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui, modificando la legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8 (Disposizioni sulle acque), provvede a definire le acque reflue urbane come «il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato», in difformità con la definizione che delle acque reflue urbane detta l’art. 74, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), secondo cui devono essere definite acque reflue urbane le «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato».

A giudizio del ricorrente, così disponendo, la citata norma lederebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e gli artt. 8 e 9 dello statuto, di cui al d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto, ponendosi in contrasto con la definizione che delle acque reflue urbane detta l’art. 74, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 152 del 2006, violerebbe i livelli uniformi di tutela ambientale dettati dal legislatore statale.

3.1. – Viene, poi, censurato l’art. 15, commi 3 e 4, della legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui sostituisce l’art. 5 della legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, in materia di autorizzazione ed esercizio degli impianti che producono emissioni in atmosfera, consentendo che il gestore metta in esercizio impianti che producono emissioni, prima che l’Agenzia provinciale per l’ambiente esegua il collaudo e rilasci l’autorizzazione. Tale disposizione determinerebbe una lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e degli artt. 8 e 9 dello statuto, ponendosi in contrasto sia con l’art. 269 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale dispone che per tutti gli impianti che producono emissioni debba essere richiesta un’autorizzazione ai sensi della parte quinta dello stesso decreto, sia con l’art. 279 del medesimo decreto, che individua una specifica sanzione per chi inizi ad installare o metta in esercizio un impianto o eserciti un’attività in assenza della prescritta autorizzazione.

3.2. – Analoghe censure sono, inoltre, rivolte nei confronti dell’art. 15, comma 6, della medesima legge provinciale n. 4 del 2008, il quale modifica l’art. 7 della legge provinciale n. 8 del 2000, stabilendo che un impianto termico possa definirsi civile quando la produzione di calore è “prevalentemente” destinata al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari, in contrasto con l’art. 283, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale definisce come impianto termico civile «l’impianto termico la cui produzione di calore è destinata, anche in edifici ad uso non residenziale» – esclusivamente – «al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari». A giudizio del ricorrente, la mancata riproduzione di tale esclusività contemplata dalla norma statale non solo comprometterebbe l’esigenza di uniformità di disciplina perseguita dal legislatore nazionale, ma determinerebbe “discrasie” nella regolamentazione della materia, contrarie agli scopi della legge statale in punto di sicurezza degli impianti e di controllo delle emissioni. Ciò, in quanto sarebbe sottratto dal campo di applicazione del titolo I della parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, un numero elevato di impianti che, ove fossero qualificati come “termici civili”, sarebbero assoggettati alla disciplina meno rigorosa del titolo II della parte quinta del predetto decreto, non essendo tali impianti, ad esempio, assoggettabili alla preventiva autorizzazione di cui all’art. 269 del medesimo decreto, ma ad una mera denuncia di installazione o modifica.

3.3. – Il ricorrente impugna, ancora, l’art. 16, comma 1, della legge citata, il quale, sostituendo la lettera c) del comma 1 dell’art. 3 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, provvede a riformulare la definizione di «sottoprodotto», prescrivendo, in particolare, al punto n. 5, che «la Giunta provinciale stabilisce i criteri secondo i quali le terre e rocce da scavo sono considerati come sottoprodotti».

Tale disposizione sarebbe incostituzionale per le medesime ragioni poste a base della sentenza n. 62 del 2008 della Corte costituzionale, ponendosi in contrasto con la direttiva 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti), «atta ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’ordinamento comunitario, in base all’art. 117, primo comma, della Costituzione».

3.4. – Analoghe censure sono proposte, inoltre, dal ricorrente in ordine all’art. 16, comma 4, che sostituisce la lettera b) del comma 3 dell’art. 19 della citata legge provinciale n. 4 del 2006. La disposizione impugnata prevede l’esonero dall’obbligo di tenuta del formulario di trasporto dei rifiuti per «i trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi o 30 litri al giorno, effettuati dal produttore di rifiuti stessi non a titolo professionale. In questo caso il gestore dell’impianto di trattamento deve lasciare una conferma scritta, secondo le modalità fissate dalla Giunta provinciale». Secondo il ricorrente tale norma contrasterebbe sia con l’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006 che esonera dall’obbligo di tenuta del formulario soltanto «i trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri», sia con l’art. 5, comma 3, della direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE (Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi), il quale dispone che «i rifiuti pericolosi, qualora vengano trasferiti, devono essere accompagnati da un formulario di identificazione». Anche in questo caso, la disposizione sarebbe incostituzionale per le medesime ragioni poste a base della sentenza n. 62 del 2008.

3.5. – Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 16, comma 6, della medesima legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui, aggiungendo il comma 3 all’art. 20 della legge provinciale n. 4 del 2006, in materia di Albo nazionale dei gestori ambientali, ha previsto che «Con riguardo all’obbligo ed alle modalità di iscrizione all’albo nazionale, la Giunta provinciale può emanare disposizioni per regolamentare le procedure e l’obbligo di iscrizione». Anche tale disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima per le identiche ragioni contenute nella sentenza n. 62 del 2008, ponendosi in contrasto con l’art. 212 del d.lgs. n. 152 del 2006, che disciplina in maniera inderogabile i termini e le procedure di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali, in attuazione di direttive comunitarie (art. 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/12/CE del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti, e, prima, art. 12 della direttiva del Consiglio 75/442/CEE del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti).

Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il settore delle professioni turistiche ricadrebbe nella materia delle «professioni» nella quale Stato e Regioni hanno competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con la conseguenza che la Regione è tenuta a legiferare nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore nazionale, cui spetta di individuare le figure professionali, con i relativi ordinamenti didattici e l’istituzione degli albi.

3.6. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, inoltre, l’art. 16, comma 7, della legge provinciale n. 4 del 2008, il quale, sostituendo l’art. 24 della più volte citata legge provinciale n. 4 del 2006, in materia di collaudo ed autorizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento di rifiuti, ha introdotto, con il comma 6 del testo sostituito, la previsione che: «Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio provinciale 1’interessato, munito di autorizzazione, rilasciata anche da altre regioni, almeno quindici giorni prima dell’installazione dell’impianto deve comunicare all’Agenzia provinciale le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l’autorizzazione stessa e l’iscrizione all’Albo nazionale di cui all’art. 212 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché l’ulteriore documentazione richiesta al fine di documentare il rispetto delle norme ambientali. Decorso questo termine ovvero in presenza del nulla osta dell’Agenzia provinciale l’attività può essere iniziata».

Anche in questo caso la norma, secondo la difesa erariale, detta una disciplina difforme dal d.lgs. n. 152 del 2006, che all’art. 208 prevede un termine di sessanta giorni per la comunicazione all’Agenzia provinciale dell’installazione dell’impianto.

La disposizione provinciale sarebbe, dunque, illegittima perché in aperta violazione delle finalità perseguite dal legislatore nazionale, costituite dalla necessità che l’amministrazione possa svolgere un’efficace istruttoria ed un adeguato controllo a garanzia della tutela ambientale, concedendo ad essa un congruo lasso di tempo, oltremodo compresso dalla norma censurata.

La legge provinciale, quindi, dettando disposizioni confliggenti con la normativa nazionale vigente, espressione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonchè con disposizioni comunitarie, in violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, eccederebbe dalle competenze provinciali di cui agli articoli 8 e 9 dello statuto speciale di autonomia di cui al d.P.R. n. 670 del 1972.

3.7. – Infine, la difesa erariale impugna l’art. 14, commi 1 e 5, della citata legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui, sostituendo il testo in lingua tedesca delle lettere j) e aa) del comma 1 dell’art. 2 della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8, e non riportando la formulazione delle stesse in lingua italiana, violerebbe l’articolo 99 dello statuto speciale di autonomia (d.P.R. n. 670 del 1972) secondo cui la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato e fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali è prevista la redazione bilingue.

4. – Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Bolzano, che ha chiesto di dichiarare inammissibile e comunque infondato il ricorso proposto dalla difesa erariale.

In particolare, la resistente sostiene l’infondatezza delle censure sollevate nei confronti dell’art. 14, comma 2, della legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui definisce le acque reflue urbane come «il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato», senza contemplare quale autonoma categoria le “acque reflue domestiche”, in quanto dalla stessa lettera della norma impugnata si desumerebbe che le varie categorie elencate sono considerate “anche separatamente”, con la conseguenza che anche le acque domestiche sarebbero ivi ex se contemplate. Non solo, ma, come specificato nella memoria depositata successivamente, avendo la norma impugnata (alla lettera j) distintamente previsto le acque domestiche, la censura non coglierebbe nel segno, anche in considerazione della sua genericità, poiché non specificherebbe a sufficienza come il regime riservato dalla legge provinciale alle acque domestiche sarebbe deteriore rispetto ai livelli uniformi di tutela fissati nel d.lgs. n. 152 del 2006.

Quanto all’art. 15, commi 3 e 4, poi, in materia di autorizzazione ed esercizio degli impianti che producono emissioni in atmosfera, la Provincia ritiene che la disposizione impugnata non introdurrebbe alcuna forma di autorizzazione preventiva, essendo specificamente previsto che l’Agenzia competente intervenga nel procedimento con gli opportuni controlli ai fini del collaudo e del rilascio della necessaria autorizzazione. La possibilità di procedere all’attivazione dell’impianto sarebbe, poi, comunque subordinata alla presentazione all’Agenzia competente di una dichiarazione del gestore, sottoscritta da un tecnico qualificato iscritto al relativo albo professionale, che attesta la conformità dell’impianto al progetto già approvato, previo parere vincolante della medesima Autorità, ai sensi dell’art. 4 della legge provinciale n. 8 del 2002. La previsione di un intervallo di tempo di quindici giorni tra la presentazione della domanda e l’attivazione dell’impianto consentirebbe, inoltre, all’Autorità competente di verificare la veridicità della dichiarazione, in quanto attinente ad un intervento dalla medesima già valutato e conosciuto in sede di espressione del parere di cui all’art. 4 della citata legge provinciale n. 8 del 2000.

Quanto, poi, alla questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell’art. 15, comma 4, della legge provinciale n. 4 del 2008, la resistente ne rileva, in primo luogo, l’inammissibilità, posto che non viene articolata nessuna censura nei confronti di questa specifica disposizione in relazione ai parametri richiamati. Nel merito, la difesa ritiene che, comunque, la predetta disposizione non violi il «nucleo minimo di tutela» garantito dalle previsioni statali, nella parte in cui stabilisce espressamente che l’Agenzia provinciale per l’ambiente rilasci il proprio nulla-osta all’attivazione dell’impianto, previa acquisizione della documentazione necessaria alla verifica dei requisiti tecnici richiesti dalla legge.

Anche in relazione all’art. 15, comma 6, la Provincia esclude che sia stato violato il nucleo minimo di tutela previsto dal legislatore statale. Infatti, l’estensione dell’ambito degli impianti riconducibili alla categoria degli «impianti termici civili» anche a quelli la cui produzione di calore è destinata “prevalentemente” al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici non determinerebbe la conseguenza dell’assoggettamento dei medesimi impianti termici civili ad un sistema di controlli e restrizioni meno pregnante. In forza dell’inserimento nell’allegato B anche degli impianti termici civili sarebbe garantito un adeguato iter di controllo in sede autorizzativa, posto che, ai sensi dell’art. 5 della legge provinciale n. 8 del 2000 (nel testo modificato dall’art. 15, comma 3, della legge provinciale n. 4 del 2008), gli impianti di cui agli allegati A e B sono soggetti al rilascio di autorizzazione da parte dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente.

A giudizio della resistente, sarebbero, altresì prive di fondamento le censure sollevate nei confronti dell’art. 16, comma 1, della legge provinciale n. 4 del 2008: quest’ultima disposizione, infatti, nel demandare alla Giunta provinciale il compito di individuare i criteri per la qualificazione delle terre e rocce da scavo quali sottoprodotti, avrebbe scongiurato la “presunzione” di proficua riutilizzabilità del materiale in questione ritenuta illegittima e stigmatizzata dalla sentenza n. 62 del 2008, subordinando viceversa alla ricorrenza di precisi presupposti, da valutarsi caso per caso, l’operatività del regime derogatorio alla disciplina in materia di rifiuti.

Anche le censure mosse nei confronti dell’art. 16, comma 4, sarebbero infondate in quanto basate su una non corretta lettura della disciplina provinciale applicabile, trascurandosi di considerare che l’allegato A alla legge provinciale n. 4 del 2006 stabilisce espressamente che «i rifiuti contrassegnati nell’elenco con un asterisco * sono rifiuti pericolosi ai sensi della direttiva 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi e ad essi si applicano le disposizioni della medesima direttiva, a condizione che non trovi applicazione l’articolo 1, paragrafo 5» della stessa, riferito ai rifiuti domestici.

Analogamente, la Provincia sostiene che le censure sollevate in relazione all’art. 16, comma 6, in materia di Albo nazionale dei gestori ambientali sarebbero fondate su un erroneo presupposto interpretativo. Tale norma – diversamente dall’art. 20, comma 2, della legge provinciale n. 4 del 2006 nella previgente formulazione, dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 62 del 2008 – non assegnerebbe, infatti, alla Giunta alcuna facoltà di regolamentare le procedure e l’obbligo di iscrizione all’albo in deroga alla disciplina statale e comunitaria di riferimento. Le censure, oltre che infondate, sarebbero anche inammissibili, posto che solo ove la Giunta, adottando le disposizioni regolamentari in esame, violasse i criteri ed i limiti che il legislatore statale ha posto ed il legislatore provinciale non ha derogato, sorgerebbe l’interesse ad attivare gli strumenti previsti dall’ordinamento al fine di censurare la relativa condotta. Del pari infondata sarebbe, poi, secondo la Provincia, la doglianza relativa al preteso travalicamento delle competenze materiali in materia di professioni, posto che l’intervento del legislatore provinciale sarebbe avvenuto nel pieno rispetto dei limiti posti dal d.lgs. n. 152 del 2006, non essendo prevista l’introduzione di alcuna disposizione in deroga a quanto dettato dal citato testo unico in punto di presupposti e procedure per l’iscrizione all’albo di cui in discorso.

Quanto, ancora, all’art. 16, comma 7, la Provincia osserva che la riduzione del termine prescritto per la formazione del silenzio-assenso all’attivazione della campagna di recupero e smaltimento rifiuti non impedirebbe che sia apprestata un’idonea tutela al bene ambiente, in quanto siffatte attività sono svolte da soggetti già autorizzati ed iscritti all’albo nazionale dei gestori ambientali. Il controllo dell’Agenzia, pertanto, andrebbe solo ad aggiungersi a quello già svolto, in sede di rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e di ammissione all’albo da altre amministrazioni competenti, con conseguente esclusione dei profili di illegittimità costituzionale prefigurati.

Palesemente prive di fondamento sarebbero, infine, secondo la Provincia, le censure sollevate nei confronti delle norme contenute nell’art. 14, commi 1 e 5, recanti modifiche della sola traduzione, rispettivamente, in tedesco e in italiano, prima erroneamente riportata.

[ELG:DIRITTO]

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 5, dell’art. 15, commi 3, 4 e 6 e dell’art. 16, commi 1, 4, 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), in riferimento agli articoli 8, 9 e 99 dello statuto speciale di autonomia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) ed all’art. 117, commi primo, secondo, lettera s), e terzo della Costituzione.

Tali norme – che intervengono a modificare precedenti leggi provinciali inerenti, essenzialmente, alle materie della «tutela del paesaggio» e dell’«urbanistica», di competenza provinciale primaria ai sensi dell’art. 8, comma 1, punti nn. 5 e 6, dello statuto speciale, nonché alla materia della «igiene e sanità», che l’art. 9, punto n. 10, del medesimo statuto attribuisce alla competenza legislativa provinciale concorrente –sarebbero costituzionalmente illegittime, in quanto in contrasto con i livelli minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente fissati dal legislatore statale, oltre che, in alcuni casi, con la normativa comunitaria di riferimento.

2. – In particolare, il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 14, comma 2, della citata legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui, modificando la legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8 (Disposizioni sulle acque), provvede a definire le acque reflue urbane come «il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato». Così disponendo la norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 8 e 9 dello statuto e con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dettando una definizione di acque reflue urbane difforme da quella posta dall’art. 74, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (Norme in materia ambientale), come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), secondo la quale sono acque reflue urbane le «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato».

A giudizio del ricorrente, il fatto che la citata disposizione non consideri autonomamente la categoria delle «acque reflue domestiche», come invece imporrebbe la normativa statale, muterebbe la specifica disciplina cui sono assoggettate le stesse, sottraendo queste ultime ai vincoli ed al regime riservato alle acque reflue urbane, in specie con riguardo al controllo dei valori ed al meccanismo autorizzatorio, di cui agli artt. 101, commi 1 e 2, e 124 del d.lgs. n. 152 del 2006.

2.1. – La questione è inammissibile.

2.2. – La censura in esame appare proposta in termini assolutamente generici, non essendo precisato sotto quali aspetti la disciplina provinciale delle acque reflue domestiche appresterebbe un livello di tutela dell’ambiente inferiore rispetto ai livelli uniformi stabiliti dalla normativa statale. Non risultano, infatti, conclusivi al riguardo i riferimenti agli artt. 101, commi 1 e 2, e 124 del d.lgs. n. 152 del 2006, poiché, quanto al regime autorizzatorio, viene previsto, espressamente, al comma 4 dell’art. 124, che «in deroga al comma 1, gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’Autorità d’ambito», in contrasto con quanto asserito dal ricorrente. Quanto ai valori limite, poi, l’art. 101 dispone che: «le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto […]», e la disciplina provinciale (segnatamente, ad esempio, all’art. 33) si fa carico di assicurare il rispetto di questi limiti.

3. – Prima di esaminare le altre questioni nel merito, è opportuno ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 225 del 2009) la materia “tutela dell’ambiente” ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene, “l’ambiente” (sentenze n. 367 e n. 378 del 2007; n. 12 del 2009), e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso (vedi sentenze n. 104 del 2008; n. 10, n. 30 e n. 220 del 2009).

In ragione di ciò, sullo stesso bene “ambiente” concorrono diverse competenze, che restano distinte fra loro perseguendo, autonomamente, le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline. Infatti, da una parte sono affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell’ambiente, mediante la fissazione di livelli «adeguati e non riducibili di tutela» (sentenza n. 61 del 2009); dall’altra compete alle Regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale (sentenze n. 62 e n. 214 del 2008), di esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell’ambiente, evitando compromissioni o alterazioni dell’ambiente stesso. In questo senso è stato affermato che la competenza statale, allorché sia espressione della tutela dell’ambiente, costituisce “limite” all’esercizio delle competenze regionali (sentenze n. 180 e n. 437 del 2008, nonché n. 164 del 2009).

È stato altresì precisato che le Regioni non devono violare i livelli di tutela dell’ambiente posti dallo Stato; tuttavia, nell’esercizio delle loro competenze, possono fissare livelli di tutela più elevati (sentenze n. 225 del 2009, n. 104 del 2008, n. 12, n. 30 e n. 61 del 2009), così incidendo, in modo indiretto, sulla tutela dell’ambiente.

4. – Sulla base di tali premesse, può passarsi all’esame nel merito delle ulteriori censure.

4.1. – È stato impugnato l’art. 15, commi 3 e 4, nella parte in cui, dettando norme in materia di autorizzazione ed esercizio degli impianti che producono emissioni in atmosfera, stabilisce: che il gestore dell’impianto presenti all’Agenzia provinciale per l’ambiente, almeno quindici giorni prima della messa in esercizio, la domanda di autorizzazione alle emissioni, indicando la data di entrata in esercizio dell’impianto; che la domanda debba essere corredata da una dichiarazione del gestore che attesti la conformità dell’impianto realizzato con il progetto precedentemente approvato ai sensi dell’art. 4 della citata legge provinciale n. 8 del 2000; che la presentazione di tale documentazione consente l’entrata in esercizio degli impianti; che successivamente, l’Agenzia provinciale per l’ambiente, entro novanta giorni dall’entrata in esercizio degli impianti, esegua il collaudo e rilasci l’autorizzazione alle emissioni.

Il ricorrente ritiene che siffatte disposizioni violino gli art. 8 e 9 dello statuto e l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto si pongono in contrasto sia con l’art. 269 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale dispone che per tutti gli impianti che producono emissioni deve essere richiesta un’autorizzazione, ai sensi della parte quinta dello stesso decreto, sia con l’art. 279 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, che individua una specifica sanzione per chi inizi ad installare o metta in esercizio un impianto o eserciti un’attività in assenza della prescritta autorizzazione.

4.2. – In via preliminare, deve essere dichiarata infondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Provincia in ordine alle censure sollevate nei confronti, in particolare, del comma 4 del citato art. 15 per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.

Dal tenore del ricorso emerge, infatti, chiaramente che il richiamo dei commi 3 e 4 del predetto art. 15 in realtà è frutto di un errore materiale poiché le censure sono riferite ai commi 3 e 4 dell’art. 5 della legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, come modificato dal comma 3 dell’art. 15.

4.2.1. – Nel merito, la questione proposta nei confronti del comma 3 dell’art. 15 è fondata.

Questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006, ha affermato che la disciplina statale concernente il rilascio dell’autorizzazione in esame risponde all’esigenza di «articolare unitariamente tale attività secondo principi che assicurino l’osservanza dei criteri stabiliti dalla normativa nazionale» (sentenza n. 250 del 2009) e quindi vincola il legislatore regionale. Pertanto, posto che la citata norma statale impone che l’autorizzazione preceda la messa in esercizio dell’impianto e che tale previsione costituisce un livello uniforme di tutela dell’ambiente, dettato dunque in materia di competenza esclusiva dello Stato, è costituzionalmente illegittima la norma provinciale in esame che deroga ad essa, consentendo al gestore di mettere in esercizio impianti che producono emissioni, prima che l’Agenzia provinciale per l’ambiente esegua il collaudo e rilasci l’autorizzazione alle emissioni. Né può ritenersi che, alla luce di quanto stabilito dal legislatore statale, la prescritta autorizzazione possa essere sostituita dalla mera dichiarazione del gestore, sottoscritta da un tecnico qualificato iscritto al relativo albo professionale, di conformità dell’impianto al progetto già approvato, non assicurando la predetta dichiarazione un equivalente livello di tutela dell’ambiente.

5. – Il ricorrente censura, poi, sulla base di analoghi argomenti, l’art. 15, comma 6, il quale modifica l’art. 7 della legge provinciale n. 8 del 2000, stabilendo che un impianto termico possa definirsi civile quando la produzione di calore è “prevalentemente” destinata al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari. La norma statale di riferimento, costituita dall’art. 283, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006 definisce, invece, come impianto termico civile «l’impianto termico la cui produzione di calore è destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari».

La richiamata disposizione statale non contemplerebbe, dunque, per i suddetti impianti, alcun utilizzo del calore prodotto per fini diversi dal riscaldamento e dalla climatizzazione di ambienti o dal riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari. A giudizio del ricorrente, la mancata riproduzione da parte della norma provinciale di tale esclusività contemplata dalla norma statale, non solo comprometterebbe l’esigenza di uniformità di disciplina perseguita dal legislatore nazionale, ma determinerebbe “discrasie” nella regolamentazione della materia, contrarie agli scopi della legge nazionale in punto di sicurezza degli impianti e di controllo delle emissioni. Ciò, in quanto sarebbe sottratto dal campo di applicazione del titolo I della parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, un numero elevato di impianti che, ove fossero qualificati come impianti “termici civili”, sarebbero soggetti alla disciplina meno rigorosa del titolo II della parte quinta, non essendo tali impianti, ad esempio, assoggettabili alla preventiva autorizzazione di cui all’art. 269, ma ad una mera denuncia di installazione o modifica.

5.1.– La questione è fondata.

La disciplina contenuta nella norma provinciale impugnata, nella parte in cui qualifica come impianti termici civili anche quelli la cui produzione di calore è “prevalentemente” destinata al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari, si pone chiaramente in contrasto con quella statale, in quanto in tal modo esclude dal regime autorizzatorio di cui all’art. 284 del Codice dell’ambiente non solo quegli impianti destinati ai soli usi indicati dall’art. 283 del medesimo Codice, ma anche quelli che, sia pure in misura non prevalente, siano destinati ad usi diversi. Si delinea, in altri termini, in ambito provinciale, per un numero elevato di impianti, ricondotti alla categoria degli impianti termici civili, un regime diverso da quello definito dalla legislazione statale, costituito dalla mera denuncia di installazione o modifica, evidentemente lesivo di quel livello uniforme di tutela assicurato dal legislatore statale mediante la prescrizione della preventiva autorizzazione.

6. – È, altresì, impugnato l’art. 16, comma 1, della legge provinciale n. 4 del 2008, il quale, sostituendo la lettera c) del comma 1 dell’art. 3 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, provvede a riformulare la definizione di «sottoprodotto», disponendo, in particolare, al punto n. 5, che «la Giunta provinciale stabilisce i criteri secondo i quali le terre e rocce da scavo sono considerati come sottoprodotti».

Tale disposizione sarebbe illegittima per le medesime ragioni poste a base della sentenza n. 62 del 2008, ponendosi in contrasto con la direttiva 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti), e, per ciò stesso, con l’art. 117, primo comma, della Costituzione.

6.1. – La questione è fondata.

La citata norma provinciale, nella parte in cui attribuisce alla Giunta provinciale il compito di provvedere alla definizione dei cosiddetti sottoprodotti, senza individuare precisi criteri o vincoli, si pone in contrasto con la direttiva del 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE, in quanto sottrae alla nozione di rifiuto taluni residui che invece corrispondono alla definizione sancita dall’art. 1, lettera a), della medesima, in violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione (sentenza n. 62 del 2008).

7. – Analoghe censure sono proposte, inoltre, dal ricorrente in ordine all’art. 16, comma 4, che sostituisce la lettera b) del comma 3 dell’art. 19 della citata legge provinciale n. 4 del 2006. La disposizione impugnata prevede l’esonero dall’obbligo di tenuta del formulario di trasporto dei rifiuti per «i trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi o 30 litri al giorno, effettuati dal produttore di rifiuti stessi non a titolo professionale. In questo caso il gestore dell’impianto di trattamento deve lasciare una conferma scritta, secondo le modalità fissate dalla Giunta provinciale».

Secondo il ricorrente tale norma contrasterebbe sia con l’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006, che esonera dall’obbligo di tenuta del formulario soltanto «i trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri», sia con l’art. 5, comma 3, della direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE (Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi), il quale dispone che «i rifiuti pericolosi, qualora vengano trasferiti, devono essere accompagnati da un formulario di identificazione».

Anche in questo caso, si imporrebbe una pronuncia di illegittimità costituzionale sulla base dei medesimi argomenti impiegati nella sentenza n. 62 del 2008, nella quale questa Corte ha affermato che il legislatore statale ha istituito un regime più rigoroso di controlli sul trasporto dei rifiuti pericolosi, in ragione della loro specificità e in attuazione degli obblighi assunti in ambito comunitario, ed ha precisato che il formulario d’identificazione, strumento indicato dall’art. 5, comma 3, della citata direttiva 91/689/CEE – in mancanza del quale la legge statale, ove i rifiuti siano pericolosi, commina sanzioni penali – consente di controllare costantemente il trasporto dei rifiuti, onde evitare che questi siano avviati per destinazioni ignote.

7.1. – Preliminarmente, occorre dare atto che la norma provinciale censurata è stata, successivamente alla proposizione del ricorso, modificata dall’art. 31 della legge provinciale 9 aprile 2009, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2009 e per il triennio 2009-2011 - Legge finanziaria 2009) in senso satisfattivo: il testo attualmente vigente dell’art. 19, comma 3, della legge provinciale n. 4 del 2006, infatti, esonera dall’obbligo di tenuta del formulario i «trasporti di rifiuti speciali non pericolosi che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi o di 30 litri, effettuati dal produttore dei rifiuti stesso. In questo caso il gestore dell’impianto di trattamento deve rilasciare una conferma scritta, secondo le modalità fissate dalla Giunta provinciale».

Tuttavia, la mancata dimostrazione della non avvenuta applicazione della norma censurata nel periodo precedente alla entrata in vigore della citata modifica impedisce di dichiarare la cessazione della materia del contendere.

7.2. – Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, è fondata.

L’art. 19, comma 3, lettera b), della legge provinciale n. 4 del 2006, come modificato dall’art. 16, comma 4, della legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui stabilisce che l’obbligo di tenuta del formulario non è prescritto «ai trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi o di 30 litri al giorno, effettuati dal produttore dei rifiuti stesso non a titolo professionale […]», si pone in aperto contrasto sia con il predetto art. 193 del Codice dell’ambiente, il quale esonera dall’obbligo di tenuta del formulario soltanto «i trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri», sia con l’art. 5, comma 3, della direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE, il quale dispone che «i rifiuti pericolosi, qualora vengano trasferiti, devono essere accompagnati da un formulario di identificazione». Detta norma è, pertanto, lesiva degli artt. 8 e 9 dello statuto, nonché dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

8. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 16, comma 6, nella parte in cui, aggiungendo il comma 3, all’art. 20, della legge provinciale n. 4 del 2006, in materia di Albo nazionale dei gestori ambientali, ha previsto che «Con riguardo all’obbligo ed alle modalità di iscrizione all’albo nazionale, la Giunta provinciale può emanare disposizioni per regolamentare le procedure e l’obbligo di iscrizione».

Anche tale disposizione sarebbe, secondo il ricorrente, costituzionalmente illegittima per le identiche ragioni indicate nella sentenza n. 62 del 2008, ponendosi essa in contrasto con l’art. 212 del d.lgs. n. 152 del 2006, che disciplina in maniera inderogabile le procedure e i termini di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali, in attuazione di direttive comunitarie (art. 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE, relativa ai rifiuti; art. 12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, n. 75/442/CEE relativa ai rifiuti).

Peraltro, tale norma provinciale sarebbe lesiva anche dell’art. 117, comma terzo, della Costituzione, incidendo in tema di professioni, materia nella quale Stato e Regioni hanno competenza legislativa concorrente, con la conseguenza che la Regione è tenuta a legiferare nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore nazionale, cui spetta di individuare le figure professionali, con i relativi ordinamenti didattici e l’istituzione degli albi.

8.1. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge provinciale n. 4 del 2008 è fondata, in riferimento agli artt. 8 e 9 dello statuto, nonché all’art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La norma provinciale impugnata, attribuendo alla Giunta la determinazione delle condizioni per l’iscrizione all’Albo, in ogni caso finisce per sostituire alla normativa nazionale l’atto della Giunta, in violazione della competenza statale esclusiva esercitata con l’art. 212 del d.lgs. n. 152 del 2006, che ha disciplinato in maniera inderogabile procedure e termini di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali, peraltro in adempimento degli obblighi comunitari contenuti nella citata direttiva 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE.

  Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge provinciale n. 4 del 2008, per violazione degli artt. 8 e 9 dello statuto e dell’art. 117, commi primo e secondo, lettera s), e terzo della Costituzione.

Resta assorbita l’ulteriore censura proposta in relazione all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

9. – È, poi, impugnato l’art. 16, comma 7, della legge provinciale n. 4 del 2008, il quale, dettato in sostituzione dell’art. 24 della più volte citata legge provinciale n. 4 del 2006, in materia di collaudo ed autorizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento di rifiuti, ha previsto al comma 6 che: «Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio provinciale 1’interessato, munito di autorizzazione, rilasciata anche da altre regioni, almeno quindici giorni prima dell’installazione dell’impianto deve comunicare all’Agenzia provinciale le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l’autorizzazione stessa e l’iscrizione all’Albo nazionale di cui all’art. 212 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché l’ulteriore documentazione richiesta al fine di documentare il rispetto delle norme ambientali. Decorso questo termine ovvero in presenza del nulla osta dell’Agenzia provinciale l’attività può essere iniziata».

Anche in questo caso la norma, secondo la difesa erariale, sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto, recando una disciplina difforme rispetto a quella contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006, che all’art. 208 prevede un termine di sessanta giorni per la comunicazione all’Agenzia provinciale dell’installazione dell’impianto, si porrebbe in contrasto con la normativa nazionale vigente, espressione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché con disposizioni comunitarie, in violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, eccedendo dalle competenze provinciali di cui agli articoli 8 e 9 dello statuto.

La disposizione provinciale sarebbe, dunque, illegittima perché in aperta violazione delle finalità perseguite dal legislatore nazionale, costituite dalla necessità che l’amministrazione possa svolgere un’efficace istruttoria ed un adeguato controllo a garanzia della tutela ambientale, concedendo ad essa un congruo lasso di tempo, oltremodo compresso dalla norma censurata.

9.1. – La questione è fondata.

La norma provinciale impugnata stabilisce, infatti, un termine per la formazione del silenzio-assenso per l’inizio della campagna di recupero e smaltimento rifiuti assai più breve di quello fissato dal legislatore statale, in evidente violazione di un livello di tutela dell’ambiente uniforme, indicato anche in adempimento di vincoli comunitari.

Tale abbreviazione del termine, peraltro, altera il rapporto fra i due interessi che il termine stesso è destinato a soddisfare e cioè quello dell’amministrazione all’esercizio del controllo preventivo e quello dell’interessato ad ottenere l’autorizzazione in tempi ragionevoli, in un modo che risulta lesivo dell’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente, in violazione dei predetti parametri.

10. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, infine, le norme contenute nell’art. 14, commi 1 e 5, della legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui, sostituendo il testo in lingua tedesca delle lettere j) e aa) del comma 1 dell’art. 2 della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8, e non riportando la formulazione delle stesse in lingua italiana, violerebbero l’articolo 99 dello statuto speciale di autonomia (d.P.R. n. 670 del 1972) secondo cui la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato e fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali è prevista la redazione bilingue.

10.1. – La questione non è fondata.

È di tutta evidenza che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la norma impugnata, come tutta la legge provinciale n. 4 del 2008, risulta pubblicata in entrambe le lingue, ivi comprese le modifiche ai testi in tedesco di cui ai commi 1 e 5 dell’art. 14 impugnato, così come, al comma 4, in entrambe le lingue è redatto il testo della modifica. Trattandosi, in ambedue i casi, di modifiche della sola traduzione, rispettivamente, in tedesco e in italiano, la redazione nella diversa lingua riporta il nuovo testo nella lingua su cui va ad incidere.

[ELG:DISPOSITIVO]

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 15, commi 3 e 6, e dell’articolo 16, commi 1, 4, 6 e 7 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni);

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 2, della citata legge provinciale n. 4 del 2008, promosse, in relazione agli articoli 8 e 9 dello statuto speciale ed all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 1 e 5, della citata legge provinciale n. 4 del 2008, promossa, in relazione all’articolo 99 dello statuto speciale di autonomia, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2009.

[ELG:FIRME]

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2009.