Sentenza n. 202 del 2021

 

SENTENZA N. 202

ANNO 2021

Commento alla decisione di 

Pio Giuseppe Rinaldi 

Il recupero del patrimonio edilizio dismesso tra legislazione regionale e funzione pianificatoria comunale

per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, (Legge per il governo del territorio) come introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante «Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali», promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, con tre ordinanze del 10 febbraio 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 47, 48 e 49 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di costituzione della Regione Lombardia, della MDV_Newco 40 srl, nella qualità di subentrante alla C-Quadrat Asset Management France sas, e del Comune di Milano;

udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2021 il Giudice relatore Stefano Petitti;

uditi gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Lombardia, Alfonso Celotto per la MDV_Newco 40 srl, nella qualità di subentrante alla C-Quadrat Asset Management France sas, Antonello Mandarano per il Comune di Milano;

deliberato nella camera di consiglio del 6 ottobre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con tre ordinanze del 10 febbraio 2021 di contenuto sostanzialmente identico, iscritte ai numeri 47, 48 e 49 del registro ordinanze 2021, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante «Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali», in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera p), terzo e sesto, e 118 della Costituzione.

1.1.– Il Tribunale rimettente premette di dover decidere della legittimità della deliberazione del Consiglio comunale di Milano del 14 ottobre 2019, n. 34, avente ad oggetto «controdeduzioni alle osservazioni e approvazione definitiva del nuovo Documento di Piano, della variante del Piano dei Servizi, comprensivo del Piano per le Attrezzature religiose, e della variante del Piano delle Regole, costituenti il Piano di Governo del Territorio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 della L.R. 11 marzo 2005 n. 12 e s.m.i.».

Tale atto è stato impugnato dalle società ricorrenti (C-Quadrat Asset Management France sas nei giudizi iscritti ai numeri 47 e 48 reg. ord. 2021 ed Egeo Real Estate srl nel giudizio di cui al n. 49 del medesimo registro), proprietarie di immobili ricompresi tra gli «edifici abbandonati e degradati» di cui alla tavola “R10 Carta del consumo del suolo” del piano delle regole del piano di governo del territorio (PGT), con conseguente assoggettamento alla disciplina prevista dall’art. 11 delle relative norme di attuazione (NdA).

Secondo tale previsione, tra l’altro, si considerano abbandonati «gli edifici dismessi da più di 1 anno, che determinano pericolo per la sicurezza o per la salubrità o l’incolumità pubblica o disagio per il decoro e la qualità urbana o in presenza di amianto o di altri pericoli chimici per la salute» (comma 2). Ai proprietari di tali edifici, così come individuati mediante l’inclusione nella suddetta tavola R10, «è data facoltà di presentare proposta di piano attuativo o idoneo titolo abilitativo finalizzato al recupero dell’immobile; i lavori dovranno essere avviati entro 18 mesi dalla loro prima individuazione» (comma 3). In alternativa, il manufatto è destinato alla demolizione: per tale ipotesi, la lettera a) del medesimo comma 3 prevede che, «in caso di demolizione dell’edificio esistente su iniziativa della proprietà è riconosciuta integralmente la S[uperficie] L[orda] esistente. I diritti edificatori saranno annotati nel Registro delle Cessioni dei Diritti Edificatori, con possibilità di utilizzo in loco o in altre pertinenze dirette per mezzo di perequazione, secondo la normativa vigente». Ai sensi della successiva lettera b), invece, «in caso di mancata demolizione dell’edificio esistente da parte della proprietà, fatto salvo l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del comune finalizzati alla demolizione, è riconosciuto l’Indice di edificabilità Territoriale unico pari a 0,35 mq/mq».

2.– Avverso il predetto atto, i ricorrenti nei giudizi a quibus hanno fatto valere plurimi motivi di illegittimità, attinenti al mancato coinvolgimento nel procedimento amministrativo, al difetto di istruttoria e motivazione, all’incongruità del termine di diciotto mesi per dare avvio ai lavori e alla violazione del principio di legalità.

In tutti e tre i giudizi, il Tribunale rimettente ha tuttavia ritenuto assorbente il motivo di ricorso con il quale era stato dedotto il contrasto dell’atto impugnato con l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, che ha dettato una disciplina della materia contrassegnata dall’«identico perimetro applicativo» del richiamato art. 11 delle NdA del piano delle regole.

2.1.– Ad avviso del TAR Lombardia, le due previsioni, per il fatto di disciplinare l’individuazione degli immobili degradati e abbandonati e le forme volte a incentivare il loro recupero, risultano del tutto sovrapponibili, sicché la norma legislativa regionale non potrebbe che operare quale parametro di legittimità della norma regolamentare dettata dal Comune di Milano.

Non sarebbe infatti possibile interpretare l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 in modo da salvaguardare l’operatività dell’art. 11 delle richiamate NdA, atteso che essi risultano per più aspetti inconciliabili.

In primo luogo, perché, secondo il citato art. 11, l’arco temporale per l’avvio dei lavori di recupero degli immobili «abbandonati o degradati» è di diciotto mesi dalla loro individuazione, a prescindere dal momento in cui si è ottenuto il titolo abilitativo, mentre il comma 4 dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 fissa in tre anni il termine entro cui presentare la richiesta di rilascio del titolo edilizio o gli atti equipollenti – quali la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o la certificazione di inizio lavori asseverata (CILA) – oppure l’istanza preliminare funzionale all’ottenimento dei medesimi titoli edilizi.

In secondo luogo, perché il richiamato art. 11 NdA non riconosce alcun incremento di diritti edificatori, ma al più consente l’integrale conservazione dell’immobile o della superficie lorda esistente, laddove il citato art. 40-bis, ai commi 5 e 6, attribuisce, in fase di recupero dell’immobile, un incremento pari al 20 per cento dei diritti edificatori o, se maggiore, della superficie lorda esistente, cui si può aggiungere un ulteriore incremento del 5 per cento.

In terzo luogo, la prescrizione tecnica comunale prevede, in caso di mancato tempestivo adeguamento o di demolizione d’ufficio, l’attribuzione di un indice di edificabilità pari a 0,35 mq/mq, mentre i commi 8 e 9 del citato art. 40-bis riconoscono la superficie lorda esistente «fino all’indice di edificabilità previsto dallo strumento urbanistico». Infine, a fronte del silenzio dell’art. 11 delle NdA, l’art. 40-bis, comma 5, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 prevede, di regola, l’esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale.

3.– Tanto premesso, il rimettente si sofferma sull’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, sollevata dalla difesa del Comune di Milano.

3.1.– In punto di rilevanza, il TAR osserva come, in forza della rilevata incompatibilità tra la disciplina legislativa regionale e quella comunale, dalla eventuale caducazione della prima si ricaverebbe la necessità di applicare alle fattispecie in esame l’art. 11 delle NdA.

A un medesimo esito di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, ma con effetti che «trascende[rebbero] le conseguenze dirette che l’art. 40 bis della legge regionale produce sull’art. 11 delle NdA», si giungerebbe peraltro anche nel caso in cui venisse in seguito annullato l’art. 11 delle NdA in ragione della fondatezza, anche parziale, dei restanti motivi di ricorso. In tal caso, infatti, dalla risoluzione del dubbio di legittimità costituzionale discenderebbero conseguenze decisive in ordine alla disciplina applicabile ai casi di specie. Ove, infatti, non fosse più applicabile la normativa regionale, al recupero degli immobili degradati si attaglierebbe a quel punto quanto stabilito dai «principi generali afferenti alla materia edilizia e urbanistica». Anche con riguardo alla posizione del Comune di Milano, l’eventuale caducazione della norma di legge regionale lascerebbe intatto il potere di quest’ultimo di disciplinare ex novo la materia, laddove l’annullamento dell’art. 11 delle NdA per contrasto con l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 «non lascerebbe all’Ente locale alcuno spazio per intervenire con un proprio regolamento sulla materia».

4.– Ritenuta pertanto la rilevanza delle questioni, il Tribunale rimettente, in punto di non manifesta infondatezza, osserva preliminarmente come la disposizione regionale censurata si riveli sostanzialmente completa ed esaustiva quanto alla disciplina del recupero degli immobili abbandonati o degradati, «residuando in capo ai Comuni compiti meramente attuativi ed esecutivi», con l’unica, parziale, eccezione dei Comuni aventi popolazione inferiore ai ventimila abitanti, i quali, per motivate ragioni di tutela paesaggistica, possono individuare gli ambiti del proprio territorio a cui non si applica, in caso di riqualificazione, l’incremento del 20 per cento dei diritti edificatori e in relazione ai quali non si può derogare alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento e sulle distanze.

4.1.– Da un primo punto di vista, la disposizione censurata comprimerebbe in maniera eccessiva la potestà pianificatoria comunale, perché non consentirebbe «a siffatti Enti alcun intervento correttivo o derogatorio in grado di valorizzare, oltre alla propria autonomia pianificatoria, anche le peculiarità dei singoli territori di cui i Comuni sono la più immediata e diretta espressione», con la conseguente violazione degli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera p), terzo e sesto, e 118 Cost.

L’eccessiva rigidità della disciplina regionale, in particolare, produrrebbe un impatto sull’esercizio dei poteri di pianificazione dei Comuni idoneo a «stravolgere l’assetto del territorio» rispetto a quanto stabilito nello strumento urbanistico generale.

In relazione agli immobili già individuati dal Comune come abbandonati o degradati, in particolare, il generalizzato e automatico riconoscimento di un indice edificatorio premiale di portata rilevante (oscillante tra il 20 e il 25 per cento), accompagnato dall’esenzione dall’eventuale obbligo di reperimento degli standard e dalle deroghe alle norme morfologiche e sulle distanze, introdurrebbe un regime pianificatorio che prescinde del tutto dalle scelte comunali già esercitate e che si presta ad avere conseguenze potenzialmente assai rilevanti sull’effettivo carico urbanistico.

4.2.– La disciplina regionale censurata contrasterebbe, poi, con l’art. 3 Cost., perché essa si rivelerebbe non proporzionata rispetto all’obiettivo, pur meritorio, perseguito dal legislatore regionale, consistente nel favorire il recupero degli immobili abbandonati e degradati.

Anche sotto tale profilo, l’applicazione dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 agli immobili già individuati dai Comuni determinerebbe uno stravolgimento della pianificazione territoriale, in considerazione delle ricadute degli interventi di riqualificazione così consentiti sul tessuto urbano esistente. Il beneficio dell’aumento dell’indice edificatorio determina infatti, tanto più se raffrontato al criterio di invarianza contenuto nell’art. 11 delle NdA, un considerevole impatto sull’assetto pianificatorio in relazione, prima di altro, all’aumento del peso insediativo dell’immobile recuperato, che non risulterebbe «bilanciato dal contestuale reperimento degli standard urbanistici e dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione».

4.3.– L’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 sarebbe altresì irragionevole, e pertanto lesivo dell’art. 3 Cost., nella parte in cui «non si rapporta» ai principi contenuti in altre norme della stessa legge regionale n. 12 del 2005 e della successiva legge della Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), in materia di riduzione del consumo di suolo. L’attività di riqualificazione e recupero degli immobili abbandonati e degradati, pur costituendo uno strumento volto a favorire la rigenerazione urbana, non può non armonizzarsi con l’obiettivo consistente nella limitazione del consumo di suolo libero, che altrimenti risulterebbe del tutto recessivo rispetto al recupero del patrimonio edilizio esistente dismesso e non utilizzabile (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 179 del 2019).

4.4.– Ad essere lesa sarebbe inoltre la funzione amministrativa comunale inerente alla attività pianificatoria, qualificata come funzione fondamentale dei Comuni ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. L’adozione di una disposizione come quella censurata, per il fatto di contenere una disciplina esaustiva e idonea ad essere immediatamente applicata, non soltanto impedirebbe al Comune «qualsiasi possibilità di autonoma scelta in sede di pianificazione generale, ma [sarebbe] potenzialmente idonea a stravolgerla in ampi settori, alterando i rapporti tra il carico urbanistico e le dotazioni pubbliche e private».

Ad avviso del rimettente, pertanto, l’illegittimità dell’intervento legislativo regionale sarebbe da rinvenirsi nel fatto che esso priverebbe in misura irragionevole gli enti locali del potere di esercitare funzioni fondamentali ad essi attribuite, senza che ciò sia giustificato dal perseguimento di interessi generali che richiedano una disciplina necessariamente uniforme a livello regionale (sono richiamate le sentenze n. 179 del 2019 e n. 119 del 2020 di questa Corte). Ai Comuni non sarebbe stata infatti riconosciuta alcuna «riserva di tutela» che consenta loro «di sottrarsi, per an o per quomodo, all’applicazione della normativa derogatoria oggetto di scrutinio, e neppure è stato previsto il ricorso ad una fase di cooperazione finalizzata al coordinamento degli strumenti di pianificazione incidenti sul governo del territorio». Proprio in tale direzione, del resto, si è in precedenza mosso il legislatore lombardo, allorché ha riconosciuto ai Comuni un potere di escludere o limitare la portata di disposizioni regionali derogatorie, idonee a compromettere l’esercizio del loro potere di pianificazione urbanistica, come nel caso dell’art. 5, comma 6, della legge della Regione Lombardia 16 luglio 2009, n. 13 (Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio ed urbanistico della Lombardia), per l’attuazione del «Piano casa», successivamente ribadito dall’art. 3, comma 4, della legge della Regione Lombardia 13 marzo 2012, n. 4 (Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia), ovvero dell’art. 65 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, sul recupero a fini abitativi dei sottotetti.

4.5.– L’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 si porrebbe, inoltre, in contrasto con il principio espresso dall’art. 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», secondo il quale la riqualificazione delle aree non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione può essere favorita «attraverso forme di compensazione incidenti sull’area interessata e senza aumento della superficie coperta». Anche se l’art. 103, comma 1, della stessa legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 ha dichiarato non applicabile nella Regione la previsione statale ora richiamata, sarebbe comunque fatta salva, secondo il Tribunale rimettente, l’applicazione dei principi in essa contenuti, «al cui novero certamente appartiene il divieto di consentire un aumento della superficie coperta in sede di riqualificazione di un immobile».

4.6.– La disposizione regionale censurata, infine, sarebbe lesiva dei principi di uguaglianza e imparzialità della pubblica amministrazione, discendenti dagli artt. 3 e 97 Cost., perché essa, per quanto detto, riconoscerebbe ai titolari di immobili mantenuti in cattivo stato di conservazione un vantaggio di cui sarebbero, invece, privati quei titolari diligenti che, per aver fatto fronte agli oneri e agli obblighi derivanti dal loro diritto di proprietà, si vedrebbero impossibilitati a beneficiare degli incentivi da essa riconosciuti.

5.– Con atti depositati il 6 maggio 2021, è intervenuta in tutti i giudizi indicati in epigrafe la Regione Lombardia, in persona del suo Presidente, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

5.1.– Secondo la difesa regionale, le questioni sarebbero irrilevanti perché l’atto impugnato nei giudizi a quibus, adottato il 14 ottobre 2019 dal Consiglio comunale di Milano, precede l’entrata in vigore della legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, con cui è stata introdotta la disposizione censurata. Nel rispetto del principio tempus regit actum, pertanto, non sussisterebbe alcun contrasto tra l'atto impugnato e la normativa censurata e, per l’effetto, il TAR non potrebbe in alcun modo annullare il primo per contrasto con la seconda. Peraltro, le due discipline (regionale e comunale) ben potrebbero coesistere tra loro, perché, con l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, il legislatore regionale non ha inteso vietare al Comune né l’introduzione di «specifiche regolazioni incentivanti», né gli usi ordinari del suolo, su dette aree, in conformità alla pianificazione comunale.

5.2.– Le questioni sarebbero comunque non fondate.

La disciplina censurata non determinerebbe infatti alcun irragionevole sacrificio per la potestà pianificatoria del Comune, restando quest’ultimo titolare non solo del potere di determinare quali funzioni urbanistiche siano ammesse in una porzione del proprio territorio, ma anche di individuare quali edifici abbandonati o dismessi possano essere avviati al recupero.

Le deroghe apportate dalla norma di legge regionale alle prescrizioni di piano non sarebbero in ogni caso idonee a dar luogo ad una menomazione costituzionalmente rilevante delle attribuzioni comunali. Esse, infatti, sarebbero di portata temporalmente limitata (dieci anni) e si riferirebbero solo all’incremento volumetrico, da rapportare però ad immobili già esistenti. Proprio tale circostanza renderebbe scarsamente significative, al fine di una valutazione sul rispetto delle funzioni riservate al Comune, le previsioni contenute nel comma 10 del citato art. 40-bis, che consentono una deroga alle distanze e alle tipologie morfologiche degli interventi, e quelle che introducono l’esenzione dell’obbligo del reperimento delle aree a standard, le quali varrebbero unicamente per le superfici e volumetrie aggiuntive, «posto che per quelle insediate – e da recuperare – gli standard sono già stati garantiti al momento dell’edificazione originaria».

5.2.1.– Il legislatore regionale, inoltre, sarebbe intervenuto delimitando le circostanze e i presupposti necessari per il ricorso alle predette misure incentivanti, rinvenendoli in quegli edifici dismessi da oltre cinque anni che «causano criticità per uno o più dei seguenti aspetti: salute, sicurezza idraulica, problemi strutturali che ne pregiudicano la sicurezza, inquinamento, degrado ambientale e urbanistico-edilizio». Si tratterebbe, ad avviso della difesa regionale, di fattispecie riconducibili ad ambiti di competenza legislativa concorrente e residuale della Regione, ciò che non solo attesterebbe la legittimità della disciplina in esame, ma soprattutto – come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 119 del 2020, n. 179 del 2019, n. 245 del 2018, n. 160 del 2016 e n. 378 del 2000) – renderebbe manifesti gli obiettivi in vista dei quali sono state disposte le limitate compressioni alla potestà pianificatoria comunale, riassumibili nella «esigenza di introdurre un meccanismo che incentivi i proprietari delle aree a dar vita ad iniziative di recupero degli edifici dismessi, con indubbi benefici per l’ambiente e per l’intera collettività, il tutto in piena coerenza con il contenimento del consumo di suolo».

5.2.2.– Non sussisterebbe, inoltre, alcun contrasto tra la disciplina regionale in esame e la previsione contenuta nell’art. 3-bis del d.P.R. n. 380 del 2001. In disparte la non applicabilità di essa in Lombardia, per effetto del già richiamato art. 103 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, a rilevare sarebbe in ogni caso il diverso ambito di applicazione delle due previsioni, preso atto che gli «edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione» di cui alla disposizione statale si riferirebbero a «funzioni, legittimamente insediate, che sono divenute in contrasto con la pianificazione urbanistica successivamente introdotta» e non riguarderebbero, pertanto, gli immobili abbandonati e degradati.

5.2.3.– Non avrebbero infine alcun fondamento le censure relative alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost. e alla incoerenza della disciplina regionale rispetto all’obiettivo da essa perseguito, consistente nella limitazione del consumo di suolo.

La difesa regionale osserva come il problema degli immobili abbandonati e degradati sia imputabile a condizioni oggettive, non adeguatamente rimosse dagli strumenti pianificatori sinora intervenuti, che giustificano l’introduzione di misure quali quelle oggetto della disposizione censurata. Inoltre, tali misure non avrebbero alcuna incidenza sul consumo di suolo, per esso intendendosi non quello posto nelle immediate adiacenze di un immobile, ma il suolo “vergine”, che sarebbe anzi indirettamente preservato dagli incentivi volti al recupero degli immobili dismessi, poiché dal riutilizzo di essi discende una minore pressione al consumo di spazi per nuove costruzioni.

6.– Con atti depositati il 10 maggio 2021, si è costituita, nei giudizi iscritti ai numeri 47 e 48 del registro ordinanze 2021, MDV_Newco 40 srl, nella qualità di attuale proprietaria (giusta atti di vendita stipulati in data 11 marzo 2021) degli immobili oggetto dei procedimenti di cui ai giudizi a quibus, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

6.1.– Le questioni sarebbero da ritenersi innanzi tutto inammissibili, perché il Tribunale rimettente, prospettando la possibile illegittimità dell’art. 11 delle NdA, non avrebbe dimostrato l’inequivocabile necessità di dare applicazione all’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, il che renderebbe meramente esplorative e, quindi, non rilevanti le questioni di legittimità costituzionale sollevate.

Al medesimo esito si perverrebbe, da un ulteriore punto di vista, ove si consideri che il rimettente, nel momento in cui ha motivato sulle conseguenze derivanti dall’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale alla luce del quadro normativo esistente, avrebbe nella sostanza chiesto a questa Corte un «avallo interpretativo», come del resto sarebbe testimoniato dal mancato assolvimento all’obbligo di interpretazione conforme e, conseguentemente, dalla prospettazione di una questione perplessa.

Da ultimo, le questioni sollevate non meriterebbero ingresso nel giudizio di costituzionalità anche perché il TAR Lombardia avrebbe dovuto necessariamente, prima di sollevarle, pronunciarsi sul vizio di incompetenza lamentato nel ricorso introduttivo, logicamente preliminare, «consistente nell’auto-attribuzione, da parte del Consiglio comunale, dell’esercizio di un potere di natura provvedimentale-sanzionatoria che tuttavia non gli è stato conferito da nessuna norma di legge».

6.2.– Le questioni sarebbero comunque non fondate.

L’asserito esautoramento della potestà pianificatoria comunale non sussisterebbe ove si consideri che al Comune spetta il potere di individuare quali immobili siano da ritenersi abbandonati e degradati, mirando la disposizione censurata unicamente a tracciare la disciplina per il loro recupero, coerentemente col fine perseguito dalla legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, consistente nella limitazione del consumo di suolo.

Le ordinanze di rimessione non avrebbero dimostrato alcuna illegittima compressione della potestà pianificatoria comunale, atteso che tale potestà è posta anche in capo alla Regione, come del resto è dimostrato dalle normative regionali sul «Piano casa», che, pur derogando in maniera più significativa, rispetto alla disciplina censurata dal rimettente, agli strumenti pianificatori comunali, hanno trovato ampia e, soprattutto, non contestata applicazione.

Non avrebbe inoltre rilievo l’asserita violazione dell’art. 3-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, sia perché esso non è applicabile in Lombardia, sia perché regola fattispecie diverse da quelle del recupero degli immobili abbandonati e degradati.

Non sarebbero fondate, da ultimo, le censure consistenti nella violazione degli artt. 3 e 97 Cost., perché nulla induce a ritenere che gli immobili vengano abbandonati unicamente a causa dell’incuria dei proprietari, che si troverebbero così avvantaggiati rispetto a quelli diligenti, dipendendo tale condizione di abbandono da ragioni oggettive, cui il legislatore ha inteso porre rimedio proprio con la disposizione censurata nel presente giudizio.

7.– Con atti depositati il 10 maggio 2021, si è costituito in tutti i giudizi indicati in epigrafe il Comune di Milano, resistente nei giudizi a quibus, chiedendo che questa Corte dichiari ammissibili e fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lombardia.

7.1.– Aderendo alla prospettazione contenuta nelle ordinanze di rimessione, la difesa del Comune di Milano ritiene innanzi tutto ammissibili le questioni sollevate, perché la radicale incompatibilità tra l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 e l’art. 11 delle NdA rende necessaria la previa risoluzione del dubbio sulla legittimità della disposizione regionale, in considerazione del fatto che una sua eventuale caducazione lascerebbe intatto il potere del Comune di disciplinare modalità e termini per il recupero degli immobili in questione, fermo restando il potere del Tribunale di apprezzare le modalità di esercizio del potere nel caso di specie.

7.2.– Le questioni sarebbero inoltre fondate, in riferimento agli artt. 5, 114, comma secondo, 117, commi primo, secondo, lettera p), e terzo, e 118, primo e secondo comma, Cost. perché il carattere analitico e autoapplicativo della disposizione regionale censurata riduce il Comune al «rango di mero esecutore materiale di scelte pianificatorie effettuate a livello regionale», con la conseguente compressione degli spazi per l’esercizio della funzione fondamentale della pianificazione urbanistica, attribuita ai Comuni dagli artt. 4, 7 e 8 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e dall’art. 14, comma 27, lettera d), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo il quale «sono funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: […] d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale».

La disciplina censurata sarebbe altresì non necessitata e non proporzionale, perché lo scopo del recupero del patrimonio edilizio si sarebbe potuto perseguire senza esautorare la potestà del Comune in materia di pianificazione e perché i premi volumetrici e le deroghe riconosciute in via generale e a priori, «senza alcuna valutazione del contesto in cui è posto in essere l’intervento», contrastano con le finalità di rigenerazione urbana perseguite dalla legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, che richiedono una valutazione della qualità dell’abitato e dell’incidenza degli interventi posti in essere sul paesaggio.

Secondo la difesa comunale, sarebbero lesi, inoltre, gli artt. 24, 32 e 42 Cost., perché la scelta di attribuire ai proprietari diritti edificatori extra ordinem mediante legge provvedimento determina una violazione del diritto degli altri cittadini di partecipare al relativo procedimento – ciò che invece sarebbe garantito nel caso in cui tali conseguenze fossero l’effetto di un provvedimento di pianificazione urbanistica – e di impugnare i relativi provvedimenti ampliativi di fronte all’autorità giurisdizionale.

La disciplina censurata contrasterebbe anche con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché sottrarrebbe le trasformazioni urbanistiche da essa consentite alla disciplina della Valutazione ambientale strategica (VAS), richiesta dall’art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché con l’art. 117, terzo comma, Cost. per le deroghe che essa introduce alle previsioni sul rapporto tra carico urbanistico e corrispondenti dotazioni pubbliche contenute nel decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765).

Il medesimo art. 40-bis, e in particolare i suoi commi 1, 5, 6 e 10, lederebbe altresì gli artt. 117, secondo comma, lettera p), Cost., unitamente agli artt. 5, 114, 117, terzo comma, e 118 Cost., per violazione della norma interposta contenuta nel già richiamato art. 3-bis del d.P.R. n. 380 del 2001.

Un contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. andrebbe poi ravvisato, secondo il Comune, per il fatto che la disposizione censurata avrebbe l’effetto di premiare condotte di abbandono del patrimonio privato, mentre gli artt. 3 e 9 Cost. sarebbero violati in ragione della previsione, priva di adeguata giustificazione, che consente unicamente ai Comuni con popolazione al di sotto dei ventimila abitanti di individuare ambiti del proprio territorio in cui, per ragioni di tutela paesaggistica, non si applicano i commi 5 e 10 dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, relativi, rispettivamente, ai premi volumetrici e alle deroghe alle norme ordinarie contenute negli strumenti urbanistici.

Sussisterebbe, infine, la violazione degli artt. 5, 114, 117, secondo comma, lettera p), e 118 Cost., perché la disposizione oggetto di censura, applicandosi anche agli immobili già qualificati come abbandonati e degradati nei precedenti atti comunali di pianificazione, finirebbe per sovrapporre indebitamente una previsione urbanistica di dettaglio, quale quella avente ad oggetto la concessione di un aumento volumetrico, «ad un’individuazione fatta dai Comuni ai fini di una disciplina urbanistica differente, con effetti distorsivi e, nella specie del Comune di Milano, del tutto conflig[g]enti con quelli dello strumento urbanistico generale, con lesione della potestà pianificatoria comunale».

8.– L’11 maggio 2021 Legambiente Onlus ha depositato, nel giudizio iscritto al n. 49 del registro ordinanze 2021, un’opinione scritta in qualità di amicus curiae.

Nel sollecitare l’accoglimento delle questioni sollevate dal giudice a quo, Legambiente sottolinea lo stretto legame intercorrente tra le politiche di rigenerazione urbana e la limitazione del consumo di suolo, idoneo, al di là delle sole azioni di recupero del patrimonio edilizio e urbanistico, a ricomprendere «azioni complesse quali il risanamento urbanistico, ambientale e sociale di aree urbane degradate». A fronte di ciò, il legislatore lombardo, adottando la disposizione oggetto di censure, avrebbe invece introdotto una previsione che, per il fatto di concedere consistenti deroghe agli standard urbanistici e rilevanti premialità, contravverrebbe allo scopo indicato dall’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, consistente nella riduzione del consumo di suolo, nel miglioramento della qualità funzionale, ambientale e paesaggistica dei territori e degli insediamenti, nonché delle condizioni socio-economiche della popolazione.

L’opinione è stata ammessa con decreto presidenziale del 21 luglio 2021.

9.– Il Comune di Milano ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica del 5 ottobre 2021, con cui ribadisce le ragioni a supporto della ammissibilità e della fondatezza delle questioni sollevate dal rimettente, confutando le deduzioni della difesa regionale e della parte privata.

Il Comune osserva, peraltro, come non potrebbe incidere sulla perdurante rilevanza delle questioni sollevate la modifica della disposizione censurata ad opera dell’art. 1 della legge della Regione Lombardia 24 giugno 2021, n. 11, recante «Disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità. Modifiche all’articolo 40-bis della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)», sia perché la legittimità dell’art. 11 delle NdA dovrà essere valutata alla luce del principio tempus regit actum, e quindi in base all’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 vigente al momento della introduzione dei giudizi, sia perché il comma 11-quinquies del medesimo art. 40-bis, introdotto dall’ultima novella, ha stabilito che continui a trovare applicazione il precedente testo dell’art. 40-bis «rispetto ai titoli edilizi e alle richieste di titoli edilizi già presentate rispetto ad immobili già individuati dai Comuni come abbandonati [e] degradati». Circostanza, quest’ultima, che si sarebbe verificata rispetto all’immobile della società Egeo Real Estate srl, per il quale è stata presentata una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in data 11 gennaio 2021, volta al rilascio del titolo edilizio finalizzato ad applicare gli incrementi volumetrici e le deroghe alle norme morfologiche di cui alla disciplina censurata.

In considerazione di ciò, la difesa comunale ritiene che l’accoglimento delle questioni sollevate dal TAR dovrebbe comportare l’illegittimità costituzionale in via derivata, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), del comma 11-quinquies dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 attualmente vigente.

10.– Anche MDV_Newco srl e la Regione Lombardia hanno depositato memoria, insistendo per l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni e contestando gli assunti della difesa comunale.

La difesa della Regione, in particolare, contesta anche le argomentazioni spese da Legambiente Onlus in qualità di amicus curiae, ribadendo come i progetti di recupero consentiti dalla disposizione censurata non determinerebbero in alcun modo consumo di suolo, non potendosi intendere per tale il terreno immediatamente prospiciente agli immobili in questione, ma solamente quello agricolo o comunque non urbanizzato.

Quanto, poi, all’incidenza dello ius superveniens, viene osservato come il nuovo testo del citato art. 40-bis «ponga nel nulla tutte le possibili ipotesi di illegittimità costituzionale della disciplina introdotta mediante l’art. 40 bis della l.r. 12/2005» e sarebbe applicabile ai giudizi a quibus, a nulla rilevando il tenore del richiamato comma 11-quinquies, posto che di fronte al rimettente è stata impugnata la delibera comunale di approvazione del PGT e non un provvedimento di diniego di richiesta di titolo abilitativo già presentata.

Considerato in diritto

1.– Con tre ordinanze del 10 febbraio 2021 di contenuto sostanzialmente identico, iscritte ai numeri 47, 48 e 49 del registro ordinanze 2021, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante «Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali», in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera p), terzo e sesto, e 118 della Costituzione.

1.1.– Il Tribunale rimettente è stato adito da alcune società, che hanno impugnato la deliberazione del Consiglio comunale di Milano del 14 ottobre 2019, n. 34, con cui è stato approvato il piano di governo del territorio (PGT), perché alcuni immobili di loro proprietà sono stati individuati come «edifici abbandonati e degradati» dalla tavola “R10 Carta del consumo di suolo” allegata al piano delle regole del medesimo PGT e, per l’effetto, sottoposti alla disciplina contenuta nell’art. 11 delle relative norme di attuazione (NdA). Tale previsione stabilisce che ai proprietari degli immobili così individuati è data facoltà di presentare proposta di piano attuativo o idoneo titolo abilitativo finalizzato al loro recupero e che, in tal caso, i lavori dovranno essere avviati entro diciotto mesi dall’individuazione degli immobili. Ove non venga presentato alcun progetto di recupero, ovvero il termine per l’avvio dei lavori non sia rispettato, l’immobile è destinato alla demolizione, ferma restando, in tal caso, l’attribuzione al proprietario di diritti edificatori di entità variabile a seconda che la demolizione sia avvenuta su sua iniziativa o per effetto dell’intervento sostitutivo del Comune.

1.2.– A fronte dei plurimi motivi di illegittimità fatti valere dai ricorrenti, il TAR Lombardia ha ritenuto assorbente quello avente ad oggetto l’illegittimità dell’art. 11 delle norme di attuazione per contrasto con il diverso regime per il recupero degli immobili abbandonati e degradati di cui all’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005. Questo articolo, introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2019 (entrata in vigore il 14 dicembre 2019), contiene una disciplina per il recupero degli immobili abbandonati e degradati applicabile anche a quelli già così individuati dai Comuni (comma 1, secondo periodo). Osserva il rimettente come tale disciplina risulti per più aspetti incompatibile con quella comunale, sia con riguardo al termine richiesto per poter avviare il piano di recupero dell’immobile – fissato in tre anni dall’avvenuta individuazione per la richiesta di titolo abilitativo (comma 4) – sia, soprattutto, in relazione alle misure incentivanti consistenti nell’incremento dei diritti edificatori e nell’esenzione dall’obbligo di reperimento degli standard urbanistici (comma 5), nonché nella possibilità di derogare alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento e sulle distanze, «fatte salve le norme statali e quelle sui requisiti igienico-sanitari» (comma 10).

2.– Il TAR rimettente ha quindi ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, per contrasto con gli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera p), terzo e sesto, e 118 Cost.

2.1.– I dubbi sarebbero rilevanti perché l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, per il fatto di sovrapporsi alla prescrizione comunale di piano di cui all’art. 11 delle NdA, renderebbe illegittima la disciplina in esso contenuta. Ove la questione di legittimità costituzionale fosse accolta, lo scrutinio del rimettente investirebbe unicamente il citato art. 11 delle NdA, e anche l’eventuale annullamento di quest’ultimo, per altri motivi, non farebbe venir meno la rilevanza delle questioni sollevate, atteso che esso «produrrebbe effetti sensibilmente diversi rispetto a quelli che scaturirebbero dalla permanente vigenza dell’art. 40 bis della legge regionale n. 12 del 2005».

2.2.– A sostegno della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, il rimettente deduce la violazione di tutti i richiamati parametri costituzionali innanzi tutto perché la disposizione censurata, attesa la sua natura «completa ed esaustiva», comprime in modo non proporzionato, e quindi irragionevole, l’autonomia dei Comuni, non consentendo loro alcun intervento correttivo e derogatorio rispetto a misure incentivanti idonee a stravolgere l’esercizio delle loro scelte pianificatorie.

Ad analoghe conclusioni di non manifesta infondatezza il TAR perviene anche con riferimento alla lesione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., perché il citato art. 40-bis non sarebbe coerente con l’obiettivo della riduzione del consumo di suolo, perseguito da altre disposizioni contenute nella legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 e nella legge della Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato). Inoltre, il rimettente ritiene che l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 contrasti con il principio fondamentale in materia di governo del territorio di cui all’art. 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» e, infine, leda i principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) a causa degli incentivi che la disposizione riconosce ai proprietari che non hanno evitato che l’immobile venisse abbandonato o versasse comunque in condizioni di degrado.

3.– In considerazione dell’identità delle disposizioni censurate e della coincidenza delle ragioni svolte dal rimettente a sostegno delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.

4.– La difesa della Regione Lombardia eccepisce preliminarmente il difetto di rilevanza delle questioni sollevate, perché l’atto impugnato di fronte al TAR Lombardia andrebbe sindacato alla luce del principio tempus regit actum, ciò che escluderebbe l’incidenza, sulla fattispecie oggetto dei giudizi, dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, entrato in vigore in un momento successivo (14 dicembre 2019) all’adozione della delibera consiliare con cui è stato definitivamente approvato il PGT del Comune di Milano (14 ottobre 2019).

4.1.– L’eccezione non è fondata.

Fermo il principio, costantemente ribadito da questa Corte, per cui, ai fini dell’instaurazione del giudizio di costituzionalità in via incidentale, la legittimità di un atto amministrativo deve essere esaminata, in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (sentenze n. 170, n. 109 e n. 7 del 2019; ordinanza n. 76 del 2018), ad assumere valore dirimente nel caso di specie è la circostanza che la disposizione censurata non opera solo pro futuro, ma estende temporalmente l’applicabilità della disciplina in essa contenuta anche agli «immobili già individuati dai Comuni come abbandonati e degradati» (art. 40-bis, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005). Ciò, pertanto, comporta la necessità, per il giudice rimettente, di applicare ratione temporis, alle vicende demandate al suo esame, la disposizione legislativa regionale della cui legittimità costituzionale egli dubita.

5.– Anche la difesa di MDV_Newco 40 srl eccepisce, da plurime angolazioni, il difetto di rilevanza delle questioni.

Per un verso, il TAR Lombardia avrebbe omesso di prendere in esame, prima di sollevare l’incidente di legittimità costituzionale, il vizio con cui, nei ricorsi introduttivi, era stata fatta valere l’incompetenza del Comune di Milano ad adottare la disciplina di cui all’art. 11 delle NdA. Lo scrutinio di tale censura, in ragione della sua natura logicamente preliminare, avrebbe reso superfluo rivolgersi a questa Corte perché, una volta accertatane la sussistenza, il rimettente avrebbe dovuto ritenere assorbite le altre censure, tra cui quella il cui esame ha reso necessaria la sollevazione dell’odierno incidente di legittimità costituzionale.

Per altro verso, il Tribunale rimettente non avrebbe escluso che, anche in seguito all’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale del richiamato art. 40-bis, l’art. 11 delle NdA possa comunque essere annullato, in tutto o in parte, in accoglimento degli altri motivi di ricorso. La parte privata ritiene che ciò dimostrerebbe il carattere non indispensabile, e quindi non rilevante, delle questioni sollevate, perché il TAR non avrebbe adeguatamente motivato in ordine all’inequivocabile necessità di dare applicazione alla disposizione censurata.

5.1.– L’eccezione non può essere condivisa in riferimento ad alcuno dei profili in cui essa si articola.

Al fondo, la parte privata lamenta che il giudice avrebbe dovuto anteporre all’esame del vizio attinente al contrasto dell’art. 11 delle NdA con l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, e alla conseguente sollevazione dei dubbi di legittimità costituzionale di quest’ultimo, l’esame di ulteriori vizi del provvedimento dedotti dai ricorrenti nei giudizi a quibus.

Come questa Corte ha già chiarito, «non è richiesto al giudice a quo di osservare un rigido ordine nell’affrontare le diverse domande proposte in giudizio, nel senso di individuare questioni pregiudiziali e preliminari, da ritenersi prioritarie nell’ordine di trattazione rispetto alla questione di costituzionalità e quindi tali da essere necessariamente esaminate prima di proporre quest’ultima, salvo che la valutazione dell’ordine delle questioni sottoposte al suo giudizio non trasmodi in manifesta arbitrarietà, comportando la mancata trattazione di domande o motivi aventi “priorità logica”» (ordinanza n. 179 del 2014).

Nel caso di specie, non può ritenersi che assuma carattere logicamente preliminare l’esame del vizio con cui, nei ricorsi introduttivi, è stata fatta valere «l’incompetenza» del Comune di Milano ad adottare la disciplina di cui all’art. 11 delle NdA, poiché con esso è stato in realtà dedotto un vizio non di incompetenza, ma di violazione di legge (il Consiglio comunale avrebbe, secondo quanto riportato nelle ordinanze introduttive dei presenti giudizi, esercitato un potere sanzionatorio non previsto dalla legge, in violazione dell’art. 23 Cost.).

Non può quindi ritenersi manifestamente implausibile o incongrua la scelta del rimettente di modificare l’ordine di trattazione dei motivi di ricorso (sentenze n. 120 del 2019 e n. 188 del 2018), dando rilievo assorbente al contrasto con la disciplina legislativa, in quanto idoneo a determinare l’annullamento in toto delle norme regolamentari di piano e quindi «la più radicale illegittimità dedotta» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 27 aprile 2015, n. 5).

5.2.– Né a un esito diverso conduce la prospettata eventualità – in esito alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 – che l’atto amministrativo impugnato venga comunque annullato, in accoglimento totale o parziale di altri motivi di ricorso.

Oltre a non incorrere in un’alterazione dell’ordine dei motivi di ricorso idonea a ripercuotersi, secondo quanto detto, sui termini di ammissibilità dei presenti giudizi, il rimettente ha infatti motivato, anche qui in modo non implausibile, sulle ragioni che lo hanno indotto a ritenere le odierne questioni di legittimità costituzionale in ogni caso pregiudiziali alla definizione dei giudizi dinnanzi ad esso pendenti, con riguardo, in particolare, alle ricadute applicative che comunque discenderebbero dalla decisione di questa Corte in ordine alla legittimità degli atti amministrativi impugnati e ai termini di un eventuale rinnovato esercizio del potere amministrativo da parte del Comune di Milano.

Peraltro, come questa Corte ha costantemente ribadito, il requisito per ritenere ammissibile lo scrutinio di legittimità costituzionale di una disposizione legislativa è che l’applicazione della norma in essa contenuta si ponga come necessaria ai fini della definizione del giudizio, mentre deve ritenersi «totalmente ininfluente sull’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale il “senso” degli ipotetici effetti che potrebbero derivare per le parti in causa da una pronuncia sulla costituzionalità della legge» (sentenze n. 15 del 2021 e n. 98 del 2007; analogamente, sentenza n. 241 del 2008 e ordinanza n. 53 del 2010). Ne discende, pertanto, che compete al Tribunale rimettente, e non a questa Corte, valutare le conseguenze applicative che potrebbero discendere da una eventuale pronuncia di accoglimento.

6.– Con l’ultima eccezione di inammissibilità, prospettata tanto dalla Regione Lombardia che da MDV_Newco 40 srl, si lamenta il mancato tentativo di interpretazione conforme da parte del rimettente. Ad avviso della difesa regionale, infatti, la censurata disciplina dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 non vieterebbe al Comune di introdurre specifiche regolazioni incentivanti rivolte a perseguire i medesimi o simili obiettivi. Secondo la parte privata, il Tribunale rimettente non avrebbe invece sperimentato la possibilità di sottoporre il citato art. 40-bis a un’interpretazione costituzionalmente orientata, con la conseguenza che la sollevazione dell’incidente di costituzionalità, tanto più a fronte della possibile illegittimità della disciplina pianificatoria comunale di cui all’art. 11 delle NdA, non mirerebbe ad altro che a ottenere dalla Corte un avallo interpretativo «del proprio orientamento in ordine alla legittimità dell’art. 40-bis L.R. n. 12/2005».

6.1.– Neanche tale eccezione è meritevole di accoglimento.

Diversamente da quanto ritenuto dalla Regione e dalla parte privata, il giudice a quo ha esplorato, e consapevolmente escluso, la possibilità di un’interpretazione conforme alla Costituzione della disposizione censurata (punto 3. delle motivazioni in diritto).

Come chiarito ormai da tempo e in modo costante da questa Corte, la valutazione circa la condivisibilità dell’esito interpretativo raggiunto dall’autorità rimettente attiene al merito, e cioè alla successiva verifica di fondatezza della questione stessa (sentenze n. 150, n. 89 e n. 32 del 2021, n. 168 e n. 32 del 2020, n. 189 del 2019).

7.– Devono invece essere dichiarati inammissibili i profili di censura avanzati dalla difesa del Comune di Milano in relazione a parametri costituzionali non evocati dalle ordinanze di rimessione, in riferimento, segnatamente, agli artt. 9, 24, 32, 42, 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost.

L’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è infatti limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione (sentenza n. 109 del 2021), senza che possano essere presi in considerazione, oltre i limiti fissati nelle medesime ordinanze, «ulteriori questioni o profili di legittimità costituzionale dedotti dalle parti, tanto se eccepiti ma non condivisi dal giudice a quo, quanto se diretti ad ampliare o modificare successivamente (come nella specie) il contenuto del provvedimento di rimessione (sentenze n. 35 del 2021, n. 186 e n. 165 del 2020)» (sentenza n. 172 del 2021).

8.– Così delimitato il thema decidendum, debbono ora prendersi in esame gli effetti che, sul presente giudizio, dispiega lo ius superveniens rappresentato dall’art. 1 della legge della Regione Lombardia 24 giugno 2021, n. 11, recante «Disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità. Modifiche all’art. 40-bis della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)», che ha modificato l’originaria disciplina dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, sulla quale si sono appuntate le censure dell’odierno rimettente.

8.1.– Tra le modifiche apportate alla disposizione censurata, devono in particolare essere evidenziate quelle riguardanti i commi 1 e 5, siccome intimamente connesse con le questioni sollevate dal TAR Lombardia.

Con riguardo al comma 1 del testo novellato dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, assume innanzi tutto rilievo l’attribuzione a tutti i Comuni (e non più solamente a quelli con popolazione inferiore a 20.000 abitanti) della facoltà di individuare «gli ambiti del proprio territorio ai quali non si applicano le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 10 del presente articolo, in relazione a motivate ragioni di tutela paesaggistica […] che nel concreto dimostrino l’insostenibilità degli impatti generati da tali disposizioni rispetto al contesto urbanistico ed edilizio in cui si collocano gli interventi».

Per effetto delle modifiche apportate al comma 5 dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, viene ora attribuito ai Comuni il potere di stabilire l’entità degli incrementi volumetrici, riconosciuti in caso di recupero dell’immobile, in misura variabile tra il 10 e il 25 per cento. Il medesimo comma 5 novellato stabilisce anche, da ultimo, che per i medesimi interventi «i comuni possono richiedere la dotazione di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, corrispondente al dimostrato incremento di fabbisogno delle stesse, per la sola quota correlata all’incremento dei diritti edificatori».

8.2.– Se quindi, per gli aspetti da ultimo evidenziati, lo ius superveniens modifica in modo sostanziale la disciplina censurata, ciò non giustifica la restituzione degli atti al rimettente affinché si pronunci nuovamente sulla persistenza del requisito della rilevanza ovvero di quello della non manifesta infondatezza.

Ad essere di ostacolo a tale esito è il fatto che il novellato comma 1 del citato art. 40-bis prevede, al secondo periodo, che l’applicabilità del novum legislativo è subordinata all’adozione, entro il 31 dicembre 2021, di una delibera comunale che individui gli immobili dismessi con criticità da almeno un anno, anche nel caso in cui essi siano stati già individuati dai Comuni nei propri strumenti urbanistici. A differenza della originaria disciplina dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, censurata con le odierne questioni, che si applicava retroattivamente e senza condizioni agli immobili in precedenza individuati dai Comuni come abbandonati e degradati, la nuova disciplina fa quindi dipendere la sua applicabilità pro praeterito all’avverarsi di una condizione (l’inclusione degli immobili già individuati dai Comuni come abbandonati e degradati nella delibera comunale di cui al comma 1) che, tuttavia, al momento non si è ancora realizzata.

Ciò, pertanto, conduce a ritenere che la disciplina censurata – pur a fronte di modifiche che intaccano, ancorché non integralmente, «il meccanismo contestato» dal rimettente (sentenze n. 51 del 2019 e n. 194 del 2018; ordinanza n. 55 del 2020) – sia ancora applicabile nei giudizi a quibus in base al principio tempus regit actum e che questa Corte debba quindi pronunciarsi sulle questioni sollevate. La restituzione degli atti al giudice a quo, infatti, si giustificherebbe solo laddove la norma sospettata di illegittimità costituzionale, per effetto di una disposizione sopravvenuta avente portata retroattiva, non fosse più in concreto applicabile, sempre che la modifica non presenti «un’incidenza solo parziale sulla disposizione della cui costituzionalità si dubita» (sentenza n. 203 del 2016).

Il rilievo da accordare alla portata applicativa che la disposizione censurata ha avuto medio tempore, in vista dell’esclusione della restituzione degli atti al giudice a quo, è peraltro ulteriormente evidente ove si consideri che il comma 11-quinquies dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), della legge reg. Lombardia n. 11 del 2021, ha stabilito che il contenuto originario dell’art. 40-bis continui ad applicarsi alle richieste di titolo abilitativo volte al recupero di immobili dismessi presentate, prima dell’entrata in vigore della predetta legge reg. Lombardia n. 11 del 2021, dai titolari di immobili già individuati come tali negli strumenti urbanistici comunali.

In disparte, quindi, le implicazioni derivanti dall’avere una delle società ricorrenti nei giudizi a quibus presentato richiesta di titolo abilitativo nel gennaio 2021, tale clausola normativa di ultrattività della disposizione censurata testimonia il perdurare della sua efficacia, ciò che ne giustifica l’esame da parte di questa Corte.

9.– Alla luce delle ragioni ora esposte, deve quindi procedersi all’esame delle sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, nel testo vigente prima delle modifiche ad esso apportate dall’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 11 del 2021.

Con un primo ordine di questioni, il TAR Lombardia ritiene che tale previsione normativa, introdotta dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, si ponga in contrasto con plurimi parametri costituzionali (artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma, 117, commi secondo, lettera p, terzo e sesto, e 118 Cost.), perché il legislatore regionale avrebbe introdotto una disciplina per il recupero degli immobili abbandonati e degradati che comprime illegittimamente, da più angolazioni, la potestà pianificatoria comunale, essenzialmente in ragione della sua portata temporalmente indefinita, dell’assolutezza delle sue prescrizioni e dell’assenza di una procedura di interlocuzione con i Comuni.

10.– Le questioni sono fondate.

10.1.– È utile premettere che la legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, con cui è stato introdotto nella legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 il censurato art. 40-bis, individua quali obiettivi da perseguire lo «sviluppo sostenibile» e stabilisce che gli interventi finalizzati alla rigenerazione urbana e territoriale, riguardante ambiti, aree ed edifici, costituiscono «azioni prioritarie per ridurre il consumo di suolo, migliorare la qualità funzionale, ambientale e paesaggistica dei territori e degli insediamenti, nonché le condizioni socio-economiche della popolazione» (art. 1).

Il recupero e la rigenerazione degli immobili dismessi, pertanto, rappresentano uno strumento a cui il legislatore regionale ha ritenuto di ricorrere nell’ambito di una rinnovata declinazione degli strumenti di governo del territorio e, in particolare, dell’azione pianificatoria, che in Lombardia ha trovato una significativa attuazione già con la legge reg. Lombardia, n. 31 del 2014. In essa, secondo quanto si ricava dal suo art. 1, comma 1, sono infatti dettate disposizioni «affinché gli strumenti di governo del territorio, nel rispetto dei criteri di minimizzazione del consumo di suolo, orientino gli interventi edilizi prioritariamente verso le aree già urbanizzate, degradate o dismesse ai sensi dell’articolo 1 della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12».

10.2.– Così ricostruita la finalità che il legislatore lombardo ha inteso perseguire con la disposizione censurata, è di tutta evidenza come essa si presti a incidere sull’esercizio della potestà pianificatoria comunale, per il fatto di dettare una disciplina sul recupero degli immobili dismessi idonea, in ragione della sua natura autoapplicativa, a ripercuotersi su scelte attinenti all’uso del territorio.

La disciplina regionale oggetto di esame, infatti, si sovrappone ad attribuzioni assegnate ai Comuni in tale ambito e, in particolare, ai contenuti necessari del piano delle regole fissati dall’art. 10 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005. Il comma 2 di tale articolo prevede, in particolare, che, anche in vista dell’obiettivo della minimizzazione del consumo di suolo, stabilito dall’art. 8, comma 1, lettera b), della medesima legge regionale, spetti al piano delle regole definire «le caratteristiche fisico-morfologiche che connotano l’esistente, da rispettare in caso di eventuali interventi integrativi o sostitutivi, nonché le modalità di intervento, anche mediante pianificazione attuativa o permesso di costruire convenzionato, nel rispetto dell’impianto urbano esistente». Il successivo comma 3 demanda poi al medesimo piano delle regole il compito di identificare una serie di parametri da rispettare «negli interventi di nuova edificazione o sostituzione», tra i quali «caratteristiche tipologiche, allineamenti, orientamenti e percorsi» (lettera a), «consistenza volumetrica o superfici lorde di pavimento esistenti o previste» (lettera b), «rapporti di copertura esistenti e previsti» (lettera c) e «altezze massime e minime» (lettera d).

10.3.– A fronte di tale sovrapposizione alle funzioni comunali, assume rilievo la previsione con cui il legislatore statale, nell’esercizio della competenza ad esso esclusivamente attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., ha individuato, «[f]erme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione», quali funzioni fondamentali dei Comuni «la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale, nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale» (art. 14, comma 27, lettera d, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122).

Con tale previsione è stato legislativamente riconosciuto un orientamento costante della giurisprudenza costituzionale, secondo cui quella attinente alla pianificazione urbanistica rappresenta una funzione che non può essere oltre misura compressa dal legislatore regionale, perché «il potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e alla utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica siano libere di compiere» (sentenza n. 378 del 2000) e la suddetta competenza regionale «non può mai essere esercitata in modo che ne risulti vanificata l’autonomia dei comuni» (sentenza n. 83 del 1997).

Al tempo stesso, questa Corte ha sempre ribadito che l’autonomia comunale «non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già assegnate agli enti locali (sentenza n. 160 del 2016). Più specificamente, la Corte ha escluso che «il “sistema della pianificazione” assurga a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – che è fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga a tali strumenti» (sentenza n. 245 del 2018 e, analogamente, sentenza n. 46 del 2014).

10.4.– Poste in questi termini le coordinate entro le quali sono chiamate a coesistere e a dinamicamente integrarsi, nel quadro del principio di sussidiarietà verticale, l’autonomia comunale e quella regionale, questa Corte ha di recente stabilito che, laddove si assuma lesa la potestà pianificatoria comunale, lo scrutinio di legittimità costituzionale si concentrerà «dapprima, in astratto sulla legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto bilanciamento degli interessi coinvolti», così da verificare se la sottrazione di potere ai Comuni costituisca effettivamente «il minimo mezzo utile per perseguire gli scopi del legislatore regionale» (sentenza n. 179 del 2019). Tale giudizio di proporzionalità, mirante a verificare l’«esistenza di esigenze generali che possano ragionevolmente giustificare le disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali» (sentenza n. 286 del 1997), consente quindi di appurare «se, per effetto di una normativa regionale rientrante nella materia del governo del territorio, come quella sub iudice, non venga menomato il nucleo delle funzioni fondamentali attribuite ai Comuni all’interno del “sistema della pianificazione”, così da salvaguardarne la portata anche rispetto al principio autonomistico ricavabile dall’art. 5 Cost.» (sentenza n. 119 del 2020).

11.– In questi termini, l’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, si pone in violazione del combinato disposto dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., relativamente alla competenza esclusiva statale sulle funzioni fondamentali dei Comuni, e degli artt. 5 e 118, primo e secondo comma, Cost., in riferimento al principio di sussidiarietà verticale.

11.1.– Per quanto, come si è detto, la previsione di incentivi per il recupero degli immobili dismessi, anche in deroga agli strumenti urbanistici, possa essere ricondotta a un obiettivo legittimamente perseguibile dal legislatore regionale in quanto rientrante nella sua competenza legislativa in materia di governo del territorio, le modalità con cui questi incentivi sono stati previsti dalla disciplina in esame, e la loro stessa entità, determinano una compressione della funzione fondamentale dei Comuni in materia di pianificazione urbanistica che si spinge «oltre la soglia dell’adeguatezza e della necessità» (sentenza n. 119 del 2020).

L’alterazione dell’equilibrio che deve sussistere tra esercizio delle competenze regionali e salvaguardia dell’autonomia dei Comuni è innanzi tutto determinata dalla previsione, contenuta nella disposizione censurata, di ampliamenti di volumetria riconosciuti a chi intraprenda operazioni di recupero di immobili abbandonati, stabiliti in misura fissa e in percentuale significativa, oscillante tra il 20 e il 25 per cento rispetto al manufatto insediato. Se a ciò si aggiunge la generalizzata esenzione dal reperimento degli standard urbanistici e l’altrettanto indiscriminata previsione di deroghe a norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento e sulle distanze (con l’unica eccezione di quelle previste da fonte statale), si evince agevolmente come i Comuni lombardi vedano gravemente alterati i termini essenziali di esercizio del loro potere pianificatorio, per il fatto che risulta loro imposta una disciplina che genera un aumento non compensato, di portata potenzialmente anche significativa, del carico urbanistico e, più in generale, della pressione insediativa, che per certi aspetti potrebbe risultare poco coerente con le finalità perseguite dalla stessa legge regionale.

Peraltro, ai medesimi Comuni non è attribuita alcuna possibilità di influire sull’applicazione delle misure incentivanti, sia perché ad essi (ove abbiano una popolazione superiore a 20.000 abitanti) non è attribuita alcuna “riserva di tutela” rispetto ad ambiti del proprio territorio ritenuti meritevoli di una difesa rafforzata del paesaggio, sia perché – ancora prima – la scelta di intervenire con legge regionale li ha ulteriormente privati di qualsiasi compensazione procedurale (quale, in ipotesi, si sarebbe potuta avere in sede di interlocuzione nel corso della procedura di adozione del piano di governo del territorio, ovvero all’atto della pianificazione regionale), con l’effetto – costituzionalmente intollerabile – di «estromettere tali Enti dalle decisioni riguardanti il proprio territorio» (sentenza n. 478 del 2002).

Né, infine, gli esiti ravvisati possono essere attenuati dalla natura temporanea degli incentivi e delle deroghe introdotte, atteso che nessuna delle misure in discussione, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa regionale, è soggetta a un termine di efficacia: esse si prestano, quindi, a comprimere in modo stabile il potere pianificatorio comunale, con l’unica e circoscritta eccezione dell’incremento dei diritti edificatori riconosciuto dal comma 5, ultimo periodo, del citato art. 40-bis ai proprietari degli immobili in caso di demolizione, applicabile per un periodo massimo di dieci anni dalla data di individuazione dell’immobile quale dismesso.

Anche da ciò, pertanto, si ricava come la disposizione in esame non faccia residuare in capo ai Comuni alcun reale spazio di decisione, con l’effetto di farli illegittimamente scadere a meri esecutori di una scelta pianificatoria regionale, per questo lesiva dell’autonomia comunale presidiata dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., oltre che del principio di sussidiarietà verticale di cui al combinato disposto degli artt. 5 e 118, commi primo e secondo, Cost.

11.2.– Gli argomenti addotti dalla Regione Lombardia e dalla parte privata a sostegno della legittimità costituzionale del richiamato art. 40-bis non scalfiscono le conclusioni raggiunte.

11.2.1.– Non colgono nel segno, innanzi tutto, gli argomenti spesi dalla difesa di MDV_Newco 40 srl per ritenere che la funzione comunale non sarebbe compromessa in ragione del mantenimento in capo ai Comuni del potere di individuare gli immobili abbandonati e degradati. I presupposti fissati dall’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 per tale individuazione, infatti, rendono l’esercizio della funzione dei Comuni sostanzialmente vincolata sul punto, perché essa viene ristretta tanto con riguardo al periodo a partire dal quale gli immobili devono ritenersi abbandonati (da oltre cinque anni), quanto in relazione ai profili di criticità che, da soli o congiuntamente, sono idonei a rivelarne lo stato di abbandono e di degrado.

11.2.2.– La difesa regionale ha invece sostenuto che la disposizione censurata non intacca il potere dei Comuni di scegliere quali funzioni insediare sul proprio territorio, ciò che potrebbe salvaguardare la loro autonomia per il fatto di consentire un’applicazione diversificata delle misure incentivanti e delle deroghe sul territorio di riferimento.

Tale assunto è innanzi tutto smentito nel momento in cui la disposizione censurata ha visto retroattivamente estendere la sua portata anche agli immobili già individuati dai Comuni come dismessi, sottraendosi così a qualsiasi forma di raccordo con gli atti pianificatori già assunti.

Questa circostanza incide in modo significativo sulla potestà pianificatoria municipale, perché riconnette a una scelta effettuata dal Comune in un determinato momento e, quindi, nel quadro delle complessive politiche pianificatorie da questo perseguite, conseguenze che lo stesso non avrebbe potuto prevedere al momento di adozione di quelle scelte e che finiscono potenzialmente per stravolgere l’esercizio del nucleo incomprimibile delle sue funzioni.

Ciò è del resto dimostrato dalle ricadute che la norma in esame ha prodotto nel caso che ha dato origine al giudizio a quo, in cui il Comune di Milano si è dotato di una disciplina sul recupero degli immobili dismessi, quale quella contenuta nel richiamato art. 11 delle NdA, nel quadro della più generale scelta pianificatoria consistente nell’adozione del principio dell’indifferenza funzionale, vale a dire della generale libertà delle funzioni da insediare sul proprio territorio (art. 8 NdA). Che il medesimo Comune, in un secondo momento, si veda imposta la scelta di consentire il recupero degli immobili dismessi con misure incentivanti ampie e stabilite in modo fisso, senza poterne più modulare la portata sulla base delle distinte funzioni insediate sul territorio, dimostra quanto dalla scelta pianificatoria in precedenza adottata scaturiscano conseguenze che esso non poteva prevedere, di cui non può più modulare l’efficacia e la portata e che conseguentemente stravolgono l’impianto della sua pianificazione.

11.2.3.– Più in generale, l’imposizione ai Comuni, per di più al di fuori di qualsiasi procedura di raccordo collaborativo, di una disciplina quale quella in esame finisce per alterare i termini essenziali di esercizio della funzione pianificatoria, anche perché obbliga i medesimi Comuni a far dipendere le loro scelte fondamentali sulle forme di uso e sviluppo del territorio da una decisione legislativa destinata a incidere in modo assai significativo sull’aumento dell’edificato e sulla conseguente pressione insediativa. Ciò contrasta con l’assunto, che questa Corte condivide, per cui «il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse all’ordinato sviluppo edilizio del territorio […], ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti» (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 9 maggio 2018, n. 2780).

12.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2019, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della legge reg. Lombardia n. 11 del 2021 (14 dicembre 2019).

Restano assorbite le altre questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle ordinanze di rimessione.

12.1.– La declaratoria di illegittimità costituzionale di tale disposizione comporta, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale in via conseguenziale del comma 11-quinquies dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), della legge reg. Lombardia n. 11 del 2021, che ha stabilito, al ricorrere dei presupposti ivi indicati, l’ultrattività delle disposizioni originariamente contenute nell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, pur a seguito delle modifiche ad esso apportate dall’art. 1 della legge reg. Lombardia n. 11 del 2021.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 40-bis della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), introdotto dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante «Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre leggi regionali», nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della legge della Regione Lombardia 24 giugno 2021, n. 11, recante «Disposizioni relative al patrimonio edilizio dismesso con criticità. Modifiche all’art. 40-bis della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)»;

2) dichiara, in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale del comma 11-quinquies dell’art. 40-bis della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m), della legge reg. Lombardia n. 11 del 2021.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2021