Sentenza n. 135 del 2022

SENTENZA N. 135

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 2021, n. 2 (Intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 16 aprile 2021, depositato in cancelleria il 20 aprile 2021, iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udita nell’udienza pubblica del 26 aprile 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giuseppa Mistretta per la Regione Siciliana;

deliberato nella camera di consiglio del 26 aprile 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 16 aprile 2021, depositato in cancelleria il 20 aprile 2021 e iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 12 della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 2021, n. 2 (Intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio), nella parte in cui sostituisce come segue i commi 4, 5 e 6 dell’art. 37 della legge della Regione Siciliana 13 agosto 2020, n. 19 (Norme per il governo del territorio): «[n]ella Regione si applica il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni» (comma 4); «[l]’articolo 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 è abrogato» (comma 5); «[a]lla lettera e) del comma 1 dell’articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, le parole da “dal limite” fino a “forestali e” sono soppresse» (comma 6).

Così facendo, il legislatore regionale avrebbe esorbitato dalla sua competenza legislativa primaria in materia «urbanistica» e in materia di «tutela del paesaggio» attribuita alla Regione Siciliana dall’art. 14, lettere f) e n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), ponendosi le citate disposizioni in contrasto con le seguenti norme statali di grande riforma economico-sociale: artt. 135, 140, comma 2, 143, 167 e 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137); art. 3, commi 3 e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali); artt. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), e 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326; art. 1-ter del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (d’ora in avanti: legge Galasso).

Le stesse disposizioni violerebbero inoltre, sotto vari profili, gli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettere l), m), e s), della Costituzione.

1.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri premette di avere in precedenza impugnato, con il ricorso iscritto al n. 97 del registro ricorsi 2020, l’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, limitatamente ai commi 3, 4, 5, 6, lettere c) e d), 7, 8 e 9, e che successivamente la Regione è intervenuta con l’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, sostituendo le disposizioni impugnate con i nuovi commi 1, 2 e 3 del riformulato art. 37. Ad essi ha tuttavia aggiunto i nuovi commi 4, 5 e 6, in materia di boschi e foreste, sui quali si incentrano le questioni proposte in questa sede.

Il ricorrente descrive poi l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, prendendo le mosse dal vincolo paesaggistico ex lege di boschi e foreste introdotto nel 1985 dalla legge Galasso (art. 1, primo comma, lettera g). Tale vincolo, riprodotto nell’art. 146, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), è attualmente previsto, con analoga portata precettiva, dall’art. 142, comma 1, lettera g), cod. beni culturali.

Riferisce ancora il ricorrente che la Regione Siciliana si era dotata di una disciplina di tutela dei boschi e delle foreste in epoca precedente, con la legge della Regione Siciliana 12 giugno 1976, n. 78 (Provvedimenti per lo sviluppo del turismo in Sicilia), il cui art. 15, primo comma, lettera e) – nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal nuovo comma 6 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021 – prevedeva che «[a]i fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: [...] e) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 200 dal limite dei boschi, delle fasce forestali e dai confini dei parchi archeologici».

Ulteriori disposizioni regionali a tutela di boschi e foreste venivano poi adottate, dopo l’entrata in vigore della legge Galasso, con la legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione), il cui art. 10 – integralmente abrogato dal nuovo comma 5 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021 – prevedeva: il divieto di nuove costruzioni «all’interno dei boschi e delle fasce forestali», nonché «entro una zona di rispetto [...] dal limite esterno dei medesimi» (comma 1), zona di estensione variabile da 50 a 200 metri in base alle superfici dei boschi (commi 1, 2 e 3), fatte salve alcune deroghe al vincolo d’inedificabilità e alcune precisazioni circa il suo ambito di applicazione (commi da 3-bis a 10 e 12); «in ogni caso», l’assoggettamento «di diritto» delle «zone di rispetto di cui ai commi da 1 a 3 [...] al vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497» (comma 11).

La Regione Siciliana avrebbe dunque esercitato la propria potestà legislativa in materia di tutela del paesaggio estendendo alle zone di rispetto il vincolo paesaggistico imposto su boschi e foreste dalla legge Galasso (art. 10, comma 11, della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996), vietando l’edificabilità di boschi, fasce forestali e zone di rispetto (art. 10, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996), e prescrivendo l’inserimento negli strumenti urbanistici del vincolo di arretramento delle costruzioni di almeno 200 metri dal limite dei boschi e delle fasce forestali (art. 15, primo comma, lettera e, della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976).

Abolendo ora sia il vincolo paesaggistico ope legis sulle zone di rispetto esistente sin dal 1996, sia la tutela «sostanziale» di boschi, fasce forestali e zone di rispetto, il legislatore regionale avrebbe determinato un generale abbassamento del livello di protezione dei boschi e delle foreste, oltretutto in assenza del piano paesaggistico esteso a tutto il territorio siciliano, ciò che lascerebbe le zone di rispetto prive di disciplina d’uso.

1.2.– Sarebbero così violati, innanzitutto, l’art. 9 Cost. e l’art. 14, lettera n), dello statuto speciale.

Secondo il ricorrente, la sottoposizione ex lege delle zone di rispetto a vincolo paesaggistico precisava la portata del vincolo stabilito dalla legge Galasso per i boschi e le foreste, sicché quello istituito dal legislatore regionale non costituiva un nuovo vincolo, ma un’estensione del vincolo minimo statale, secondo la logica «incrementale» propria della tutela paesaggistica, in base all’art. 9 Cost. La stessa Regione avrebbe inspiegabilmente revocato un vincolo operante da oltre venticinque anni, riducendo la tutela dei boschi e delle foreste, costituenti un bene giuridico di valore «primario» e «assoluto».

L’abrogazione del comma 11 dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996 contrasterebbe con la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 140, comma 2, cod. beni culturali, espressione della potestà legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Vietando modifiche della dichiarazione di notevole interesse pubblico nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano paesaggistico, detta norma esprimerebbe un principio generale di irrevocabilità dei vincoli paesaggistici, derivante dalla loro natura meramente ricognitiva. Il valore paesaggistico dei beni sarebbe infatti conseguenza di loro qualità essenziali e intrinseche, che li rendono una categoria «originariamente» di interesse pubblico, sicché, al di fuori dei limitatissimi casi in cui tali caratteristiche vengano meno, ad essi non sarebbe applicabile la regola del contrarius actus.

1.2.1.– Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 3 e 97 Cost.

Il ricorrente osserva che, ai sensi del nuovo comma 4 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, nel territorio regionale si applica il d.lgs. n. 34 del 2018, recante il testo unico delle foreste e delle filiere forestali, che offre (al comma 3 dell’art. 3) una definizione «unitaria» e «indefettibile» di bosco. Ad essa, dunque, occorre fare riferimento per individuare il bene sottoposto a tutela paesaggistica ope legis, salva la facoltà delle regioni di integrare tale definizione, purché non sia diminuito il livello di tutela (art. 3, comma 4). Di conseguenza, l’individuazione di nuove aree boscate o ad esse assimilate ne comporta l’automatica e irrevocabile sottoposizione a tutela paesaggistica, mentre non avrebbe effetti l’individuazione da parte delle regioni di aree escluse dalla definizione di bosco, ove ciò riducesse il livello di tutela apprestato dalla disciplina statale.

La scelta della Regione Siciliana di sottrarre le zone di rispetto al vincolo paesaggistico già imposto per legge sarebbe irragionevole e contraddittoria, in quanto contrasterebbe, sia con la precedente normativa siciliana diretta a incrementare la tutela paesaggistica in materia di boschi e foreste, sia con l’impostazione di principio del testo unico delle foreste, che la stessa Regione ha reso applicabile al proprio territorio.

1.2.2.– Gli artt. 3, 9 e 97 Cost. sarebbero violati anche perché, ammettendo per ipotesi che un vincolo possa essere revocato, il conseguente abbassamento del livello di tutela del paesaggio non troverebbe comunque giustificazione nella cura di altri valori costituzionali, meritevoli di prevalere su quello paesaggistico. La revoca comporterebbe, inoltre, ulteriori irragionevoli conseguenze, quali l’archiviazione dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica pendenti e la sopravvenuta mancanza di causa dei provvedimenti autorizzatori già rilasciati e delle sanzioni già irrogate per gli illeciti paesaggistici.

1.3.– L’eliminazione del vincolo paesaggistico amplierebbe, inoltre, l’area di applicazione del condono edilizio, consentendolo anche per opere altrimenti non condonabili.

Sarebbero così violati gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., quest’ultimo per invasione della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento penale», e l’art. 14, lettere f) e n), dello statuto speciale, per contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e all’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, espressive delle potestà legislative statali di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e di tutela del paesaggio.

Le stesse previsioni costituzionali e statutarie sarebbero violate anche perché l’eliminazione del vincolo paesaggistico farebbe venir meno in radice «abusi paesaggistici che non sarebbero neppure sanabili» e il relativo trattamento sanzionatorio.

1.4.– Il ricorrente impugna l’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021 anche nella parte in cui ha soppresso la disciplina «sostanziale» di tutela dei boschi, delle fasce forestali e delle relative zone di rispetto. Essa, come visto, prevedeva il divieto di nuove costruzioni all’interno di tali aree (art. 10, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, con le precisazioni e le deroghe di cui ai commi successivi) e l’obbligo per gli strumenti urbanistici di arretrare le costruzioni di almeno 200 metri dal loro limite, con esclusione delle zone omogenee A e B (art. 15, primo comma, lettera e, della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976).

Tale disciplina avrebbe anticipato i contenuti della futura pianificazione paesaggistica, resa obbligatoria per tutto il territorio nazionale dagli artt. 135 e 143 cod. beni culturali, svolgendo anche una funzione di salvaguardia del patrimonio boschivo, in attesa della pianificazione. Sotto questo profilo, la normativa regionale si sarebbe posta nel solco dell’art. 1-ter della legge Galasso, alla cui stregua le regioni, in attesa dell’elaborazione dei piani paesaggistici, possono imporre specifiche norme di salvaguardia, dirette, secondo il ricorrente, a vietare «qualsiasi trasformazione del territorio negli ambiti sottoposti a tutela paesaggistica».

Considerato che i piani paesaggistici nel frattempo approvati nel territorio regionale (peraltro, solo da sette province siciliane su nove) stabiliscono autonome discipline d’uso per i boschi e le fasce forestali, ma non per le zone di rispetto, limitandosi a disporre al riguardo meri rinvii mobili all’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, il venir meno della normativa regionale di riferimento priverebbe le norme di attuazione dei piani provinciali del presupposto giuridico di operatività, creando un vuoto di tutela. Inoltre, i piani paesaggistici mancanti (relativi alle Province di Palermo e di Enna) potrebbero garantire, una volta approvati, solo la tutela dei boschi in senso stretto.

Pur avendo la facoltà di modificare la disciplina d’uso del paesaggio tutelato, la Regione non potrebbe tuttavia eliminarla in assenza di una compiuta pianificazione paesaggistica o in presenza di piani territoriali che rinviano al regime modificato o lo assumono a presupposto giuridico e operativo. Diversamente si determinerebbero: un abbassamento del livello di tutela del paesaggio irragionevole e arbitrario, con violazione degli artt. 3 e 9 Cost; l’inosservanza dell’obbligo della Regione di disciplinare il paesaggio, con violazione dell’art. 14, lettere f) e n), dello statuto speciale, per contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale di cui ai citati artt. 135 e 143 cod. beni culturali, adottate dallo Stato nell’esercizio della potestà legislativa di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost; l’eliminazione della funzione di salvaguardia assicurata dalla disciplina d’uso, con violazione delle stesse competenze statutarie per contrasto con la norma di grande riforma economico-sociale di cui al citato art. 1-ter della legge Galasso.

2.– Con atto depositato l’11 maggio 2021 si è costituita in giudizio la Regione Siciliana, che ha concluso per l’inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni.

2.1.– Innanzitutto, la Regione osserva che, nonostante il ricorso colpisca letteralmente anche il nuovo comma 4 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, che «recepisce il testo unico in materi[a] di foreste e filiere forestali», le censure investirebbero solo i nuovi commi 5 e 6 del citato art. 37, ai quali si dovrebbe dunque limitare l’esame di questa Corte.

2.2.– Nel merito, osserva che, mentre il vincolo paesaggistico sui boschi deriva dalla disciplina statale (art. 142, comma 1, lettera g, cod. beni culturali) e sussiste per la sola presenza di un bosco secondo la definizione fornita dal d.lgs. n. 34 del 2018, il vincolo sulle fasce forestali e sulle zone di rispetto «è, invece, proprio della legislazione regionale siciliana», non trovando tali aree «un compiuto inquadramento nell’ambito del testo unico sulla tutela dei boschi e delle foreste». Tali aree non rientrerebbero, dunque, fra quelle dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi degli artt. 136 e 140 cod. beni culturali, né fra quelle tutelate per legge, ai sensi dell’art. 142 del medesimo codice.

Di conseguenza, l’abrogazione dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996 non produrrebbe alcuna diminuzione del livello di protezione dei boschi, come definiti dalle norme statali integralmente recepite nell’ordinamento regionale. Con essa la Regione mirerebbe invece ad «armonizzare la legislazione regionale ai principi statali, nell’esercizio della competenza statutaria esclusiva, [...] nel rispetto dei precetti costituzionali quali il principio di uguaglianza e il diritto di proprietà». Le disposizioni impugnate si conformerebbero «a un sistema di tutela in evoluzione, eliminando vincoli paesaggistici non contemplati e non in linea con la disciplina organica del settore».

In conclusione, non sarebbe ravvisabile alcuna violazione della competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle evocate norme del codice dei beni culturali e del paesaggio.

2.3.– Quanto «al secondo profilo di illegittimità costituzionale», le censure sarebbero «lacunose e fuorvianti».

Il «procedimento di gestione del vincolo paesaggistico» avrebbe natura autonoma rispetto a quello di rilascio del condono edilizio, ancorché il suo atto conclusivo sia un presupposto del «titolo edilizio». Di conseguenza, le disposizioni impugnate dovrebbero essere valutate in relazione al tipo di beni sottoposti al vincolo, non rientranti fra quelli tutelati dal codice dei beni culturali e del paesaggio. Il vincolo, dunque, in quanto non riconducibile all’ambito di applicazione dell’art. 140 cod. beni culturali, sarebbe revocabile.

Sulla scorta della giurisprudenza amministrativa, inoltre, l’esistenza del vincolo dovrebbe essere valutata al momento in cui si provvede sulla domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione o della sua abrogazione, in applicazione del principio tempus regit actum.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato il 22 marzo 2022 una memoria illustrativa in cui contesta la tesi della Regione dell’inerenza alla sua potestà legislativa in materia di paesaggio del potere di revocare il vincolo già apposto.

Secondo una logica «incrementale [...] delle tutele» conforme al carattere primario del bene ambientale (art. 9 Cost.), la competenza regionale potrebbe essere «spesa», infatti, solo per arricchire il catalogo dei beni paesaggistici, in virtù della conoscenza che ne ha l’autorità più vicina al territorio, e non per ridurlo.

La scelta del legislatore siciliano del 1996 di proteggere le zone contermini ai boschi, al fine di salvaguardarne la continuità, avrebbe attratto tali zone nella categoria dei boschi e delle foreste, ora protetta dall’art. 142, comma 1, lettera g), cod. beni culturali. Una volta riconosciuto l’interesse paesaggistico del bene, il vincolo non sarebbe revocabile nemmeno dal legislatore, per la sua natura meramente ricognitiva delle qualità intrinseche del bene tutelato, che non possono venire meno se non per la perdita degli elementi materiali che ne connotano il valore paesaggistico.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 2021, n. 2 (Intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio), nella parte in cui sostituisce come segue i commi 4, 5 e 6 dell’art. 37 della legge della Regione Siciliana 13 agosto 2020, n. 19 (Norme per il governo del territorio): «[n]ella Regione si applica il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni» (comma 4); «[l]’articolo 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 è abrogato» (comma 5); «[a]lla lettera e) del comma 1 dell’articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, le parole da “dal limite” fino a “forestali e” sono soppresse» (comma 6).

Secondo il ricorrente, il legislatore regionale avrebbe esorbitato dalla sua competenza primaria in materia «urbanistica» e nella materia «tutela del paesaggio», attribuita alla Regione Siciliana dall’art. 14, lettere f) e n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), in quanto le citate disposizioni contrasterebbero con varie norme statali di grande riforma economico-sociale.

Le stesse disposizioni violerebbero inoltre, sotto vari profili, gli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettere l), m), e s), della Costituzione.

2.– In via preliminare occorre ripercorrere, anche sulla scorta del contenuto del ricorso, l’evoluzione del quadro normativo, statale e regionale siciliano, in tema di tutela paesaggistica di boschi e foreste.

Come noto, i «territori coperti da foreste e da boschi, ancorche´ percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento» sono stati sottoposti a vincolo paesaggistico con l’art. 1, primo comma, lettera g), del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (d’ora in avanti: legge Galasso). Il vincolo stesso – poi trasfuso nell’art. 146, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), che ha abrogato e sostituito la legge Galasso – è ora contenuto all’art. 142, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), alla cui stregua «[s]ono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: [...] i territori coperti da foreste e da boschi, ancorche´ percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227», recante «Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57».

La definizione di bosco originariamente contenuta nel citato art. 2 del d.lgs. n. 227 del 2001 è confluita ora nell’art. 3 del decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali), il quale equipara i termini «bosco, foresta e selva» (comma 1) e distingue a seconda che la definizione stessa riguardi materie di competenza esclusiva dello Stato (comma 3) o delle regioni (comma 4). In relazione alle prime, sono definite bosco «le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento» (comma 3). Mentre per le seconde è facoltà delle regioni adottare, «per quanto di loro competenza e in relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche, […] una definizione integrativa di bosco rispetto a quella dettata al comma 3, nonché definizioni integrative di aree assimilate a bosco e di aree escluse dalla definizione di bosco di cui, rispettivamente, agli articoli 4 e 5, purché non venga diminuito il livello di tutela e conservazione così assicurato alle foreste come presidio fondamentale della qualità della vita» (comma 4).

Per quanto riguarda la Regione Siciliana, essa si era dotata già in epoca precedente alla legge Galasso di una propria disciplina di tutela dei boschi e delle foreste con la legge della Regione Siciliana 12 giugno 1976, n. 78 (Provvedimenti per lo sviluppo del turismo in Sicilia), il cui art. 15, primo comma, lettera e) – nel testo originario – prevedeva che «[a]i fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: [...] e) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 200 dal limite dei boschi, delle fasce forestali e dai confini dei parchi archeologici».

Ulteriori disposizioni regionali a tutela di boschi e foreste venivano poi adottate, dopo l’entrata in vigore della legge Galasso, con la legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione). In particolare, il suo art. 10 – integralmente abrogato dal nuovo comma 5 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020 – prevedeva il divieto di nuove costruzioni «all’interno dei boschi e delle fasce forestali» (queste ultime, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996 sono assimilate ai boschi, se aventi «larghezza media non inferiore a 25 metri»), nonché «entro una zona di rispetto [...] dal limite esterno dei medesimi» (comma 1), zona di estensione variabile da 50 a 200 metri in base alle superfici dei boschi (commi 1, 2 e 3), fatte salve alcune deroghe al vincolo d’inedificabilità e alcune precisazioni circa il suo ambito di applicazione (commi da 3-bis a 10 e 12), fermo restando, in ogni caso, l’assoggettamento «di diritto» al vincolo paesaggistico delle «zone di rispetto di cui ai commi da 1 a 3 (comma 11)».

3.– In questo più generale contesto normativo, le norme regionali impugnate – costituite dai nuovi commi 4, 5 e 6 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021 – dispongono rispettivamente: l’applicabilità nella Regione della disciplina organica statale dei boschi e delle foreste contenuta nel testo unico in materia di foreste e di filiere forestali approvato con il d.lgs. n. 34 del 2018 (comma 4), l’abrogazione integrale dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996 (comma 5) e l’eliminazione di alcune parole dell’art. 15, primo comma, lettera e), della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976 (comma 6).

Di queste due ultime previsioni abrogatrici, in particolare, la prima, sopprimendo il citato art. 10, elimina sia il vincolo paesaggistico sulle «zone di rispetto» dal limite esterno di boschi e fasce forestali (comma 11 dell’art. 10), sia il divieto di «nuove costruzioni» all’interno dei boschi, delle fasce forestali e delle zone di rispetto (commi 1, 2 e 3 dell’art. 10); la seconda, sopprimendo le parole «dal limite dei boschi, delle fasce forestali e», nell’art. 15, primo comma, lettera e), della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976, fa sì che gli strumenti urbanistici generali non debbano più prevedere l’arretramento delle costruzioni di 200 metri dai confini dei boschi e delle fasce forestali, arretramento che resta ora previsto solo dai confini dei parchi archeologici.

Il ricorso del Governo investe i commi 5 e 6 con le medesime censure, che possono pertanto essere esaminate congiuntamente.

4.– Per quanto riguarda il comma 4 – che dispone l’applicabilità nella Regione della disciplina statale dei boschi e delle foreste – la Regione Siciliana ha eccepito l’inammissibilità della relativa impugnazione in quanto le censure svolte nel ricorso riguarderebbero esclusivamente i nuovi commi 5 e 6 dello stesso articolo.

L’eccezione è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare «che, nella impugnazione in via principale, il ricorrente non solo deve, a pena di inammissibilità, individuare l’oggetto della questione proposta (con riferimento alla normativa che censura ed ai parametri che denuncia violati), ma ha anche l’onere (da considerare addirittura più pregnante rispetto a quello sussistente nei giudizi incidentali: ex plurimis, sentenza n. 115 del 2021) di esplicitare una motivazione chiara ed adeguata in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione dei parametri che assume incisi» (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 71 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021).

Il ricorso è del tutto privo di argomenti a sostegno del gravame proposto contro il citato comma 4, vertendo le ragioni di censura sulle norme abrogatrici contenute nei successivi commi 5 e 6. Né, del resto, da tali ragioni è possibile desumere alcunché circa l’esistenza di un nesso che dovrebbe giustificare, nel caso di accoglimento, la caducazione anche del comma 4.

Le questioni relative al comma 4 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2019, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, sono pertanto inammissibili per difetto di motivazione.

5.– Il merito investe dunque i commi 5 e 6 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2019, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, che il Governo impugna con l’obiettivo di evitare l’eliminazione della disciplina regionale di maggior rigore a tutela dei boschi disposta delle norme abrogatrici impugnate. Si deve osservare al riguardo che, in effetti, stante la natura meramente abrogatrice di queste ultime, l’eventuale accoglimento delle questioni proposte comporterebbe la reviviscenza delle norme regionali abrogate, come affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 220 del 2021 e n. 7 del 2020).

Seguendo l’ordine del ricorso, vanno esaminate innanzitutto le questioni riguardanti l’eliminazione del vincolo paesaggistico sulle zone di rispetto, che si appuntano sul comma 5, nella parte in cui abroga il comma 11 dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996. Di seguito, saranno esaminate le censure riguardanti la soppressione della disciplina sull’inedificabilità all’interno dei boschi, delle fasce forestali e delle zone di rispetto, operata dal comma 5, nella parte in cui abroga i restanti commi del citato art. 10, nonché dal comma 6, parzialmente abrogativo dell’art. 15, primo comma, lettera e), della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976.

5.1.– Le censure riguardanti l’eliminazione del vincolo paesaggistico sulle zone di rispetto si incentrano, in un loro primo gruppo, sull’asserita violazione dell’art. 9 Cost. e dell’art. 14, lettera n), dello statuto speciale per contrasto della scelta regionale con la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 140, comma 2, cod. beni culturali. Una disciplina che rimodula il vincolo paesaggistico imposto ex lege da quasi venticinque anni, limitandolo ai soli boschi, con esclusione delle relative zone di rispetto, violerebbe, secondo il ricorrente, il «principio di irrevocabilità dei vincoli paesaggistici» e determinerebbe un non consentito abbassamento del livello di tutela dei boschi e delle foreste.

Allo stesso gruppo di censure può essere ricondotta la lamentata violazione degli artt. 3 e 97 Cost. per irragionevolezza e contraddittorietà della disposizione impugnata, in quanto si porrebbe in contrasto sia con la precedente normativa regionale diretta a incrementare la tutela paesaggistica in materia di boschi e foreste, sia con l’impostazione di principio del testo unico contenuto nel d.lgs. n. 34 del 2018 (art. 3, commi 3 e 4), ritenuto applicabile dalla stessa Regione al proprio territorio.

Sempre nel medesimo contesto, il ricorrente ravvisa un’ulteriore violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., derivante dal fatto che l’abbassamento del livello di tutela non sarebbe giustificato dalla cura di altri valori costituzionali meritevoli di prevalere su quello paesaggistico, comporterebbe l’archiviazione dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica pendenti e renderebbe irragionevolmente privi di causa sia i provvedimenti autorizzatori già rilasciati che le sanzioni già irrogate per gli illeciti paesaggistici.

Nessuna di tali censure è fondata.

5.1.1.– Non lo è innanzitutto quella concernente la violazione della competenza statutaria in materia di tutela del paesaggio (art. 14, lettera n, dello statuto speciale), che si basa sull’assunto del contrasto della disposizione che elimina il vincolo sulle zone di rispetto dei boschi con un presunto principio generale di “irrevocabilità” dei vincoli di tutela paesaggistica, ricondotto dal ricorrente alla norma di grande riforma economico-sociale contenuta all’art. 140, comma 2, cod. beni culturali.

Tale disposizione, là dove, al secondo periodo del comma 2, stabilisce che la specifica disciplina dettata con il provvedimento di apposizione del vincolo «costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo», esprimerebbe, a giudizio del ricorrente, l’anzidetto principio generale, operante non solo per i piani ma per lo stesso legislatore regionale, per cui i vincoli paesaggistici, una volta apposti, non potrebbero più essere revocati.

Un siffatto principio, tuttavia, non esiste nell’ordinamento, né può essere desunto, come limite alle scelte di dichiarazione ex lege di interesse paesaggistico di determinati beni, dalla disposizione invocata (art. 140, comma 2, cod. beni culturali), la quale, nella logica di un sistema di tutela integrato fra singoli provvedimenti di vincolo e piano paesaggistico, prescrive la necessaria trasfusione nel secondo della disciplina contenuta nei primi. Solo per questa ipotesi, e in ragione di tale integrazione fra momenti diversi di una medesima vicenda di tutela, per cui il piano che sopraggiunge non può che prendere atto dei previgenti provvedimenti di vincolo, si giustifica l’irrevocabilità della disciplina contenuta in questi ultimi.

Tutt’affatto diversa è l’ipotesi della dichiarazione di vincolo ex lege, frutto non di una valutazione singolare e operata in concreto, ma di un apprezzamento di natura lato sensu politico-discrezionale e operato in via generale e astratta, dei caratteri di rilevante interesse paesaggistico di determinate categorie di beni: per una determinazione di questo tipo un divieto di revocabilità non solo non può essere desunto dalla disposizione che regola una fattispecie profondamente diversa, per portata e natura dell’apprezzamento che ne sta alla base, ma finirebbe per comportare un’ingiustificata e potenzialmente irragionevole restrizione degli spazi di scelta del legislatore in materia. Anzi, l’estensione alla legge di una tale regola di irrevocabilità potrebbe addirittura produrre, in una sorta di eterogenesi dei fini, l’effetto di scoraggiare scelte regionali di potenziamento della tutela – secondo la logica «incrementale delle tutele» menzionata nel ricorso come espressione del carattere primario del bene ambientale ai sensi dell’art. 9 Cost. – e di indurre il legislatore regionale a non compierle nel timore di non poter più ritornare sui suoi passi, nemmeno ove una rinnovata ponderazione degli interessi lo esigesse.

5.1.2.– Non sono fondate nemmeno le altre questioni – che, per il loro carattere sostanzialmente unitario, possono essere trattate congiuntamente – con cui il ricorrente lamenta la violazione dei principi di ragionevolezza e di tutela del paesaggio (artt. 3 e 9 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).

Le indicate censure muovono tutte, nella sostanza, dal medesimo erroneo presupposto dell’esistenza di un divieto, per il legislatore regionale, di rivedere le proprie scelte di tutela paesaggistica, sia quando tale revisione si risolva in una diminuzione di protezione rispetto allo standard minimo fissato dalla Stato, sia quando, essendo rispettato tale standard, la legge regionale ritorni su scelte di più elevata tutela operate in via autonoma dallo stesso legislatore regionale.

Quanto a questa seconda ipotesi, ad escludere la fondatezza della censura valgono le stesse ragioni esposte sopra trattando della pretesa irrevocabilità dei vincoli già imposti (punto 5.1.1.), alle quali si rinvia.

Quanto invece al necessario rispetto del livello minimo di tutela e di conservazione dei boschi e delle foreste assicurato dalla normativa statale, si deve escludere che la legge regionale siciliana lo riduca. Le zone di rispetto dei boschi non possono, infatti, essere ricondotte all’ambito di applicazione della normativa statale per la semplice ragione che non rientrano nell’oggetto della protezione riservata dalla legge dello Stato, essendo esse, per definizione, esterne al confine delle aree occupate da boschi e foreste – come individuati sulla base della definizione fornita dal d.lgs. n. 34 del 2018 – per i quali solo opera il vincolo paesaggistico contenuto all’art. 142, comma 1, lettera g), cod. beni culturali.

Né, del resto, si può ritenere che tali zone di rispetto concorrano a definire il regime protezionistico costituente il livello minimo di tutela dei boschi definito dalla legge statale. L’assenza, nella normativa statale, dell’istituto stesso della zona di rispetto dal limite esterno dei boschi porta a ritenere estraneo a tale regime il meccanismo previsto dalla legge regionale e a ritenere la relativa regolazione nella piena disponibilità dello stesso legislatore regionale. Da questo punto di vista, dunque, si deve concludere che l’abrogazione dell’art. 10, comma 11, della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996 costituisce legittimo esercizio della potestà legislativa regionale primaria in materia di tutela del paesaggio, ai sensi dell’art. 14, lettera n), dello statuto speciale.

5.1.3.– Con un secondo gruppo di censure il ricorrente contesta la medesima previsione abrogatrice in quanto estenderebbe l’area di applicazione del condono edilizio, che sarebbe consentito ora anche per opere altrimenti non condonabili. Ne risulterebbero violati gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., quest’ultimo per invasione della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento penale», e ancora l’art. 14, lettere f) e n), dello statuto speciale, per contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), e all’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, espressive delle potestà legislative statali di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni» e di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».

Le stesse previsioni costituzionali e statutarie sarebbero violate anche perché l’eliminazione del vincolo paesaggistico farebbe venir meno in radice la configurabilità di abusi paesaggistici di per sé non sanabili e il relativo trattamento sanzionatorio, in contrasto con le interposte norme di grande riforma economico-sociale desumibili dagli artt. 167 e 181 cod. beni culturali.

Nemmeno tali questioni sono fondate.

La disposizione censurata è stata assunta – al pari di quella che essa abroga, che aveva vincolato le zone di rispetto di boschi e foreste – in osservanza dei limiti dei poteri di intervento del legislatore regionale in materia di condono edilizio, come definiti dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 68 del 2018, n. 73 del 2017, n. 117 del 2015, n. 290 del 2009 n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004). Essa non incide, infatti, né sulle scelte di principio relative all’an, al quando e al quantum della sanatoria amministrativa, né conseguentemente sul regime penale dei relativi abusi, limitandosi a concorrere, come è consentito alla regione nell’esercizio delle sue competenze statutarie in materia, alla più precisa definizione secundum legem dei presupposti della disciplina statale sul condono, compresa quella penale (sentenze n. 178 e n. 2 del 2019, n. 46 del 2014 e n. 63 del 2012). L’eliminazione del vincolo sulle aree in esame, dunque, non allarga di per sé l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato, né invade la sfera di competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Si può osservare ancora che, essendo la disposta abrogazione destinata ad operare, per regola generale, solo pro futuro, i suoi eventuali effetti sui procedimenti amministrativi di condono ancora pendenti non deriverebbero dalla sua supposta “retroattività”, come lamenta il ricorrente, ma, se del caso, dal principio tempus regit actum, in applicazione del quale l’amministrazione valuta l’esistenza del vincolo al momento in cui provvede sulla domanda di sanatoria (ex plurimis, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 7 giugno 1999, n. 20).

5.1.4.– In conclusione, va dichiarata la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, nella parte in cui prevede l’abrogazione del comma 11 dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996.

5.2.– L’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021 è impugnato anche nella parte in cui, con i nuovi commi 5 e 6 del sostituito art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, ha soppresso la previgente disciplina sostanziale di protezione dei boschi e delle fasce forestali, oltre che delle relative zone di rispetto, queste ultime, peraltro, a loro volta eliminate dallo stesso art. 12, come appena visto.

Tale disciplina prevedeva il divieto di nuove costruzioni all’interno delle suddette aree (art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, in particolare commi 1, 2 e 3, con le precisazioni e le deroghe di cui ai commi successivi) e l’inserimento negli strumenti urbanistici comunali dell’obbligo di arretrare le costruzioni di almeno 200 metri dal limite dei boschi e delle fasce forestali (art. 15, primo comma, lettera e, della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976).

Secondo il ricorrente, le norme regionali abrogate avevano, fra le altre, la funzione di anticipare i contenuti della pianificazione paesaggistica, obbligatoria per tutto il territorio nazionale in base agli artt. 135 e 143 cod. beni culturali, e operavano dunque come misure di salvaguardia del patrimonio boschivo in attesa della disciplina di protezione specifica disposta con la prescritta pianificazione. Sotto questo profilo, le norme stesse si sarebbero poste nel solco dell’art. 1-ter della legge Galasso, alla cui stregua le regioni, in attesa dell’elaborazione dei piani paesaggistici, possono imporre specifiche norme di salvaguardia, dirette a vietare «qualsiasi trasformazione del territorio negli ambiti sottoposti a tutela paesaggistica». Lo stesso ricorrente ricorda, al riguardo, come i piani paesaggistici nel frattempo approvati in Sicilia riguardino solo sette delle nove province siciliane, cosicché il venir meno della cennata disciplina sostanziale priverebbe di qualsiasi forma di protezione le aree stesse. Sottolinea, inoltre, che gli stessi piani approvati non contengono autonome discipline d’uso per le aree vincolate, limitandosi a rinviare all’(ora abrogato) art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, con la conseguenza che, venuta meno quest’ultima disposizione, le norme di attuazione del piano resterebbero sostanzialmente prive di contenuto.

Tutto ciò si risolverebbe: in un irragionevole e arbitrario abbassamento del livello di tutela del paesaggio, con violazione degli artt. 3 e 9 Cost., e nel contrasto della disciplina censurata, sia con l’obbligo di pianificazione paesaggistica, espresso nelle norme di grande riforma economico-sociale contenute ai citati artt. 135 e 143 cod. beni culturali, sia con quello di assicurare la salvaguardia nelle more dell’adozione del piano, oggetto della norma di grande riforma economico-sociale di cui all’art. 1-ter della legge Galasso.

5.2.1.– Le questioni sono fondate in riferimento all’art. 14, lettera n), dello statuto speciale, per contrasto con gli artt. 135 e 143 cod. beni culturali e in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost.

Scopo della normativa abrogata era, all’evidenza, di offrire protezione sostanziale ai boschi e alle fasce boschive della Regione, oltre che alle zone di rispetto, attraverso la fissazione di regole rigorose di inedificabilità dei beni boschivi, per un verso, e, per altro verso, attraverso la prescrizione del rispetto da parte degli strumenti urbanistici comunali di limiti minimi di arretramento delle costruzioni dal confine dei boschi e delle fasce forestali. L’eliminazione di tale regime di tutela sostanziale, destinato a operare anche in assenza di pianificazione paesaggistica e comunque condizionante anche quest’ultima, comporta l’illegittimità costituzionale della normativa che la dispone, per due distinti ordini di ragioni, entrambi riconducibili allo svuotamento, in sua assenza, di adeguate forme di protezione concreta dei beni paesaggistici in questione.

Innanzitutto, la soppressione dei limiti alle attività edilizie nelle aree boschive e dei vincoli, per gli strumenti urbanistici comunali, di arretramento dal confine di tali aree fa sì che, nelle more dell’approvazione dei piani paesaggistici, non sussistano più limiti generali di sorta al loro possibile utilizzo edificatorio e che la loro protezione si riduca alla mera necessità formale di un’autorizzazione (prescritta dall’art. 146 cod. beni culturali). Se è vero, infatti, che il momento autorizzativo costituisce di per sé un presidio di controllo del rispetto delle caratteristiche naturali dei beni in questione, non vi è dubbio che l’assenza di condizioni e limiti sostanziali a monte, atti a vincolare il prescritto provvedimento puntuale, comporta seri rischi di compromissione dei valori paesaggistici a causa del minor grado di resistenza a non imprevedibili pressioni sull’autorità preposta al suo rilascio e, come paventato dalla difesa erariale, sugli stessi enti locali nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici.

Da questo primo punto di vista, il riscontrato vuoto di tutela si collega al fatto che il territorio siciliano risulta, come detto, ancora oggi in parte non pianificato paesaggisticamente – nonostante il lungo tempo trascorso dall’introduzione del relativo obbligo per l’intero territorio nazionale – sicché le norme abrogate costituivano una sorta di disciplina di salvaguardia sostanziale, il cui venir meno fa sì che le aree sprovviste di piano non siano più al riparo dai rischi di un indiscriminato utilizzo edificatorio.

Ciò chiarito, l’illegittimità costituzionale di un intervento normativo che elimina il regime destinato ad operare in attesa dell’approvazione del necessario piano paesaggistico non è da ricondurre, come sostiene la difesa erariale, alla violazione dell’art. 1-ter della legge Galasso, che prevede la possibilità per le regioni di disporre con legge, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, un generale divieto di edificazione del territorio fino all’adozione dei piani, e da cui pure si desume una precisa sollecitazione alle regioni stesse a intervenire con urgenza. Essa trova invece la sua ragione direttamente nello stesso obbligo di pianificazione paesaggistica di cui agli artt. 135 e 143 cod. beni culturali, in applicazione di quanto questa Corte ha già avuto occasione di affermare, a proposito del fatto che, in attesa della sua approvazione, «è necessario salvaguardare “la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali (sentenza n. 182 del 2006)” (sentenza n. 74 del 2021)» (sentenza 219 del 2021).

Se, dunque, la necessità di adeguate prescrizioni sostanziali di salvaguardia costituisce necessario corollario dell’obbligo di pianificazione paesaggistica, l’eliminazione delle regole minime di limitazione dell’uso edificatorio delle aree a bosco contenute nella normativa siciliana abrogata contrasta con le ricordate norme fondamentali di grande riforma economico-sociale (artt. 135 e 143 cod. beni culturali) che definiscono i termini, i contenuti e le finalità dell’obbligo di pianificazione paesaggistica, delineandone la portata sostanziale.

Quanto appena osservato su tale portata dell’obbligo di pianificazione consente di mettere in evidenza un’ulteriore ragione di illegittimità costituzionale della norma censurata, riferibile, questa volta, allo stesso territorio oggetto di pianificazione paesaggistica.

A causa delle particolari modalità con cui i piani paesaggistici vigenti in Sicilia regolano nella sostanza l’uso dei beni protetti, infatti, ai medesimi rischi paventati per le aree boschive non ancora pianificate – come conseguenza dell’eliminazione dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996 e dell’art. 15, primo comma, lettera e), della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976 – non sfuggono, in realtà, nemmeno le aree già pianificate. Le norme di attuazione di tali piani, invero, non contengono regole sostanziali sull’uso edificatorio delle aree a bosco, ma si limitano a rinviare (con formule sostanzialmente analoghe, che manifestano la natura mobile del rinvio) a quanto previsto dalla legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, sicché l’abrogazione dei riferimenti normativi primari determina – con il venir meno del divieto di nuove costruzioni nelle aree protette – la sopravvenuta inoperatività della normativa d’uso definita in sede di pianificazione e, con essa, anche in questo caso, lo svuotamento del nucleo essenziale della tutela del paesaggio, e dunque, per le ragioni esposte sopra, la violazione dell’obbligo di pianificazione paesaggistica, considerato nella sua valenza sostanziale.

6.– In conclusione, l’impugnato art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021 esorbita dalla competenza legislativa primaria prevista all’art. 14, lettera n), dello statuto speciale, ponendosi in contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale contenute agli artt. 135 e 143 cod. beni culturali, e viola, al contempo, gli artt. 3 e 9 Cost.

Poiché le ragioni di illegittimità costituzionale esposte trovano il loro presupposto nel vincolo paesaggistico delle aree interessate, è necessaria infine una precisazione sul regime delle zone di rispetto dei boschi di cui al comma 11 dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996: essendo per esse il vincolo venuto meno per autonoma scelta della Regione Siciliana (vedi il precedente punto 5.1.), la rilevata illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021 non investe la parte in cui esso abroga le disposizioni che riguardano le anzidette zone di rispetto.

Pertanto, assorbite le altre censure, va dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, nella parte in cui abroga i commi da 1 a 10 e 12 dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, con riferimento ai boschi e alle fasce forestali, nonché l’illegittimità costituzionale del comma 6 dello stesso art. 37.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 37 della legge della Regione Siciliana 13 agosto 2020, n. 19 (Norme per il governo del territorio), come sostituito dall’art. 12 della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 2021, n. 2 (Intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio), nella parte in cui abroga i commi da 1 a 10 e 12 dell’art. 10 della legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione), con riferimento ai boschi e alle fasce forestali;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 6 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 14, lettere f) e n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettere l), m) e s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 37 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2021, nella parte in cui abroga il comma 11 dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, promosse, in riferimento all’art. 14, lettere f) e n), dello statuto speciale e agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettere l), m) e s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2022.