SENTENZA N.
49
ANNO 2021
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo
CORAGGIO
Giudici
: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA,
Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, lettere a) e b), della legge
27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020),
modificativo dell’art. 1, comma 636, della legge
27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2014), promossi dal Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con due ordinanze del
26 marzo 2019, rispettivamente iscritte ai numeri 99 e 100
del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di
costituzione di Play Game srl, di Play Line srl, di B. E. srl e Coral srl, di M. S. e Bingo srl, dell’Associazione concessionari bingo (ASCOB), nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 23 febbraio 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati
Alessandro Dagnino per B. E. srl e altra, Luca
Porfiri e Alvise Vergerio di Cesana per Play Line srl
e altra, Matilde Tariciotti per M. S. e altri e
l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il Presidente del Consiglio dei
ministri;
deliberato nella camera
di consiglio del 23 febbraio 2021.
1.– Con due ordinanze
di analogo tenore, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione
seconda, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41, nonché 11 e 117, primo comma, della
Costituzione – questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007 – questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per
il triennio 2018-2020).
Nel modificare l’art.
1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2014)», la disposizione censurata, alla lettera a), differisce al 30
settembre 2018 il termine entro il quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli
(d’ora in avanti: ADM) procede alla gara per la riattribuzione delle
concessioni del gioco del bingo e, al contempo, alla lettera b), eleva gli
importi dovuti dai concessionari, operanti in regime di proroga tecnica, a euro
7.500 per ogni mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, e a euro
3.500 per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni.
1.1.– Ad avviso del TAR
Lazio, questa disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., per il
carattere irragionevole e sproporzionato dell’aumento di quanto dovuto dai
concessionari in regime di proroga tecnica, disposto in mancanza di alcuna
indagine in ordine all’effettiva sostenibilità di tale onere e senza una
correlazione con la cifra da porre a base d’asta per le nuove gare.
La disposizione
censurata si porrebbe in contrasto, altresì, con l’art. 41 Cost., poiché
l’ulteriore protrarsi della proroga tecnica, in corso dal 2013, di fatto senza
una precisa delimitazione temporale, priverebbe gli operatori della possibilità
di valutare la convenienza economica della scelta, data l’incertezza circa
l’avvio della nuova gara.
Infine, sarebbero
violati gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione sia ai principi di
uguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione, di cui agli artt. 20 e
21 CDFUE, sia al riconoscimento della libertà di impresa, di cui all’art. 16
della stessa CDFUE.
2.– Il TAR Lazio
riferisce che, nei giudizi a quibus, le parti
ricorrenti svolgono l’attività di gestori di sale dedicate al gioco del bingo, in
forza di concessioni scadute. Ai sensi dell’art. l, comma 636, della legge n.
147 del 2013, le ricorrenti operano in regime di proroga tecnica, in attesa
dello svolgimento delle procedure selettive per l’attribuzione di nuove
concessioni. In entrambi i giudizi dinanzi al TAR Lazio è impugnata la nota
dell’ADM dell’8 gennaio 2018, con cui è stata data applicazione alla
disposizione censurata. I ricorsi si fondano sulla ritenuta illegittimità
costituzionale e sull’incompatibilità con il diritto europeo dell’art. 1, comma
1047, della legge n. 205 del 2017.
Il rimettente evidenzia
che inizialmente le concessioni per la gestione del gioco del bingo erano
attribuite, all’esito di una procedura selettiva, a titolo gratuito e per la
durata di sei anni, rinnovabile una sola volta. Per le concessioni in scadenza
nel 2013 e nel 2014, la legge n. 147 del 2013, all’art. 1, comma 636, ha
introdotto il regime di proroga tecnica, disponendo che l’ADM procedesse nel
2014 all’attribuzione di nuove concessioni a titolo oneroso. La stessa legge ha
posto a carico dei titolari di concessioni in scadenza, che intendano
partecipare alla gara, il pagamento, a titolo di canone, della somma di euro
2.800 per ogni mese, o frazione di mese superiore a quindici giorni, di proroga
del rapporto, oppure di euro 1.400 per ogni frazione di mese inferiore ai
quindici giorni e comunque fino alla sottoscrizione della nuova concessione.
Questa disciplina è
stata ripetutamente modificata. Dapprima, l’art. 1, comma 934, lettera a),
numeri da 1) a 4), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità
2016) ha esteso il regime di proroga alle concessioni in scadenza fino al 2016,
prevedendo, inoltre, che fosse indetta una gara nel 2016 per l’attribuzione di
210 nuove concessioni. La medesima legge ha elevato a 350.000 euro la soglia
minima del corrispettivo per l’attribuzione di ciascuna concessione; ha
stabilito in nove anni la durata delle nuove concessioni; ha aumentato a 5.000
euro per ogni mese o frazione di mese superiore a quindici giorni, e a 2.500
euro per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni, l’importo dovuto
dal concessionario in proroga tecnica; ha inoltre previsto il divieto di
trasferimento dei locali per tutto il periodo della proroga.
In attesa della nuova
gara, la proroga tecnica avrebbe conferito un’utilità economica ai
concessionari uscenti, i quali beneficiavano della possibilità di proseguire la
propria attività, sulla base della propria scelta di convenienza. La
ragionevolezza di questa disciplina e la sua neutralità rispetto alla libertà
di iniziativa economica privata si fondavano, pertanto, sulla sua temporaneità
e sulla certezza dell’orizzonte temporale entro il quale si sarebbe svolta la
gara.
Osserva il giudice a
quo che, sebbene la legge n. 208 del 2015 abbia innalzato l’importo dovuto
mensilmente dai concessionari in proroga a 5.000 euro, l’aumento non appariva
indicativo di arbitrarietà o irragionevolezza. D’altra parte, il termine finale
della proroga tecnica, pur essendo stato differito, rimaneva comunque contenuto
entro un periodo molto ristretto.
In seguito, la
disposizione censurata ha esteso la proroga tecnica alle concessioni in
scadenza fino al 2018, fissando al 30 settembre 2018 il termine entro il quale
andava indetta la gara per l’attribuzione delle nuove concessioni. La stessa
disposizione ha ulteriormente elevato l’importo dovuto dal concessionario in
scadenza che intenda partecipare alla gara, portandolo a euro 7.500 per ogni
mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, e a euro 3.500 per ogni
frazione di mese inferiore ai quindici giorni.
2.1.– Il TAR ritiene
che la disposizione censurata, avente i caratteri della legge-provvedimento,
incida irragionevolmente su un gruppo determinato di operatori economici, in
violazione, anzitutto, dell’art. 3 Cost.
Le modifiche introdotte
dalla disposizione censurata avrebbero, infatti, alterato la ratio intrinseca
della disciplina della proroga tecnica. L’incremento dell’importo mensile
dovuto dagli operatori in proroga tecnica sarebbe stato disposto in assenza di
alcuna indagine circa l’effettiva sostenibilità di tale onere e senza alcuna
correlazione con la cifra da porre a base d’asta per le nuove gare.
Inoltre, l’aumento si
accompagna all’ulteriore estensione della proroga, già in corso dal 2013, di
fatto senza una precisa delimitazione temporale. Infatti, anche il nuovo
termine del 30 settembre 2018, stabilito dalla stessa disposizione censurata
sarebbe inattendibile, poiché il ripetuto differimento delle precedenti
scadenze farebbe dubitare del suo effettivo rispetto.
Ad avviso del giudice a
quo, l’indefinita protrazione della proroga tecnica priverebbe gli operatori
della possibilità di valutarne la convenienza economica. Questi soggetti
sarebbero incisi in modo arbitrario e irragionevole dall’aumento dell’importo
dovuto mensilmente, senza potere influire sulla durata della proroga e senza
alcuna certezza in ordine alla sua cessazione.
2.2.– È denunciata,
altresì, la violazione dell’art. 41 Cost., per la compromissione della libertà
di iniziativa economica privata, a causa dell’impossibilità per gli operatori
di compiere consapevoli scelte economiche. Essi rimarrebbero soggetti a un
regime gravoso, cui tuttavia non potrebbero sottrarsi, non essendo prevedibile,
allo stato, quando si svolgerà la nuova gara.
2.3.– Il giudice a quo
ravvisa, infine, la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in
relazione sia ai principi di uguaglianza davanti alla legge e di non
discriminazione, di cui agli artt. 20 e 21 CDFUE, sia al riconoscimento della libertà
di impresa, di cui all’art. 16 della stessa CDFUE.
3.– In entrambi i
giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano
dichiarate inammissibili, o comunque non fondate.
3.1.– In particolare,
nel giudizio iscritto al n. 99 del 2019, è preliminarmente eccepita
l’inammissibilità delle questioni per il carattere oscuro e contraddittorio
della motivazione a sostegno della rilevanza, poiché l’accoglimento delle
censure di cui al primo motivo di ricorso avrebbe portato all’integrale
soddisfazione della pretesa fatta valere nel giudizio, senza necessità di fare
applicazione della disposizione censurata.
3.2.– Nel merito, le
questioni di legittimità costituzionale sarebbero comunque manifestamente
infondate.
3.2.1.– L’Avvocatura
generale dello Stato osserva che, in effetti, già l’art. 1, comma 934, lettera
a), numeri da l) a 4), della legge n. 208 del 2015 aveva elevato l’importo del
corrispettivo per l’attribuzione delle nuove concessioni, nonché il canone
mensile dovuto dai concessionari in proroga. Il solo fatto che non sia più
assicurata la commisurazione dell’importo dovuto al tre per cento dell’utile
lordo ricavato dalla raccolta media del gioco del bingo non dimostrerebbe
l’arbitrarietà o l’irragionevolezza delle nuove previsioni, né l’eventuale
incisione di tale onere in misura maggiore sull’utile lordo dei concessionari
comporterebbe, per ciò solo, la sua insostenibilità (è richiamata la sentenza del
TAR Lazio, sezione seconda, 26 marzo 2019, n. 4020).
3.2.2.– Riguardo alla
violazione del principio di ragionevolezza, il Presidente del Consiglio dei
ministri fa rilevare come la sostenibilità dell’onere economico da parte delle
ricorrenti non costituisca un presupposto di legittimità della modifica
normativa, non essendo rinvenibile il principio secondo cui i guadagni dei
concessionari debbano rimanere invariati a seguito di interventi legislativi
sull’ammontare degli oneri concessori (è richiamata la sentenza di questa
Corte n. 56 del 2015).
L’Avvocatura generale
dello Stato evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea ha riconosciuto che gli obiettivi attinenti, da un lato,
alla riduzione delle occasioni di gioco e, dall’altro, alla lotta contro la
criminalità mediante l’assoggettamento a controllo degli operatori attivi in
tale settore giustificano restrizioni alle libertà fondamentali nel settore dei
giochi d’azzardo (sono richiamate le sentenze della
quarta sezione, 16 febbraio 2012, nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10, Costa
e Cifone, e della
grande sezione, 6 marzo 2007, nelle cause riunite C-338/04, C-359/04 e
C-360/04, Placanica e altri).
In ogni caso, la
sostenibilità dell’onere da parte delle società ricorrenti emergerebbe
dall’analisi dell’andamento della raccolta annuale nel periodo interessato
dalla proroga tecnica. In questi anni, infatti, non sarebbero riscontrabili
significative riduzioni di guadagno da parte dei concessionari.
3.2.3.– Il Presidente
del Consiglio dei ministri sostiene, inoltre, che gli importi dovuti dai
concessionari in proroga non siano necessariamente correlati alla base d’asta
delle nuove gare. Infatti, la somma di 350.000 euro, cui le parti ricorrenti
fanno riferimento per contestare la proporzionalità delle somme mensili,
costituisce la base d’asta e non il prezzo di aggiudicazione, il quale potrà
essere maggiore. L’onere economico per continuare a esercitare la concessione
sarebbe, quindi, svincolato dall’importo della gara.
3.2.4.– L’Avvocatura
generale dello Stato contesta, inoltre, l’assunto secondo il quale dalla
ripetuta proroga delle precedenti scadenze deriverebbe l’assenza di
temporaneità. Né il differimento del termine di svolgimento della gara sarebbe
indicativo dell’irragionevolezza della misura. Ciò costituirebbe una mera
circostanza di fatto, tale da non riflettersi sulla legittimità costituzionale
delle disposizioni censurate.
Inoltre, si rammenta
che l’ADM aveva già provveduto a dare attuazione all’art. 1, comma 636, della
legge n. 147 del 2013, ma la procedura di gara per l’affidamento delle nuove
concessioni è stata annullata in sede giurisdizionale. In seguito, è stata
avviata una nuova istruttoria, alla luce sia della legge n. 205 del 2017, sia
del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).
Con il parere interlocutorio n. 1068 del 2019, il Consiglio di Stato, sezione
prima, 27 marzo 2019, n. 1068, ha chiesto all’ADM di procedere alla
rielaborazione dei testi. Da ciò emergerebbe che l’ADM ha l’interesse a
svolgere le nuove gare entro una data prossima e collocata in un orizzonte
temporale predeterminato.
3.2.5.– Quanto alla
violazione dell’art. 41 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
che – in attesa degli adempimenti richiesti dal Consiglio di Stato – la libertà
di iniziativa economica dei titolari di concessioni in proroga non sia
compromessa, poiché la scelta di avvalersi della proroga, a fronte della
corresponsione di un contributo, è comunque rimessa all’imprenditore. Inoltre,
trattandosi di concessioni ormai scadute, non potrebbero essere utilmente
invocati i principi comunitari relativi all’ammortamento degli investimenti e
alla remunerazione dei capitali. Il pagamento del canone mensile sarebbe
strettamente correlato alla possibilità di continuare a svolgere l’attività di
concessione in assenza di una nuova gara, il cui esito, peraltro, non necessariamente
sarebbe favorevole per tutti.
3.2.6.– Per queste
stesse ragioni, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, non sarebbe
ravvisabile neanche la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in
relazione agli artt. 16, 20 e 21 della CDFUE.
4.– Nel giudizio
iscritto al r. o. n. 99 del 2019, si sono costituite le società B.E. srl e Coral srl,
quali gestori di sale bingo e parti ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo in
primo luogo alla Corte di operare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia
dell’Unione europea, per verificare se una normativa come quella oggetto di
censura, in quanto istitutiva di un regime di proroga tecnica di durata
pluriennale e a titolo oneroso delle precedenti concessioni, sia compatibile
con le norme europee sulla libertà di concorrenza, sulla libertà di
stabilimento e di prestazione di servizi, di cui agli artt. 26, 49, 56, e 63
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato
dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla
legge 2 agosto 2008, n. 130, nonché con quelle in materia di evidenza pubblica.
In via subordinata, le
parti costituite chiedono che questa Corte, previa rimessione della questione
innanzi a sé stessa, dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma
636, lettera c), della legge n. 147 del 2013, in riferimento agli artt. 3, 41,
11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20
e 21 della CDFUE, nella parte in cui prevede, per tutta la durata della proroga,
l’obbligo del concessionario in scadenza di versare una somma e il divieto di
trasferire i locali.
In via ulteriormente
subordinata, le società costituite chiedono l’accoglimento delle questioni di
legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente.
4.1.– Ad avviso delle
parti, l’illegittimità costituzionale non riguarderebbe soltanto la
disposizione censurata, che ha aumentato gli importi dovuti dai concessionari,
ma anche la disposizione dell’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013, che
ha previsto l’onerosità della proroga, in quanto si tratterebbe di una
normativa irragionevole, sproporzionata e, comunque, non coerente rispetto al
fine dichiarato.
Prima ancora che per la
misura del canone, la disciplina in esame sarebbe illegittima per
l’indeterminatezza della durata del regime transitorio. Anche laddove fosse
stabilito un canone basso, ciò sarebbe comunque irragionevole e lesivo della
libertà di iniziativa economica, se non applicato per un tempo limitato ed
entro termini certi.
4.1.1.– Il canone di
proroga tecnica sarebbe irragionevole anche sotto il profilo della sua natura
fiscale. Esso possiederebbe, infatti, i caratteri di un vero e proprio tributo,
irragionevole e costituzionalmente illegittimo.
4.1.2.– Ad avviso delle
società costituite, la disposizione censurata sarebbe illegittima anche per la
grave e irragionevole distorsione della concorrenza che essa determinerebbe,
assoggettando a oneri uguali soggetti estremamente diversi, sia per dimensione
economica, sia per territorio di svolgimento dell’attività, sia per fatturato.
Sarebbero così favoriti i grandi operatori, con l’effetto di accelerare il
processo in atto che coinvolge le piccole attività, poste di fronte all’alternativa
di farsi acquisire dai primi o uscire dal mercato. Inoltre, per tutta la durata
del periodo transitorio, le imprese in proroga tecnica sarebbero poste in una
situazione di svantaggio rispetto a quelle la cui originaria concessione, a
titolo gratuito, non è ancora scaduta.
4.1.3.– Le parti
costituite deducono la necessità di disporre, in via preliminare, il rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, evidenziando come la prosecuzione del
regime transitorio di proroga possa ostacolare l’accesso nel mercato interno di
operatori comunitari, così alterando la concorrenza tra operatori stabiliti in
Paesi membri dell’Unione europea.
4.2.– Nello stesso
giudizio, iscritto al r. o. n. 99 del 2019, si sono altresì costituite le
società Play Game srl e Play Line srl,
anch’esse quali parti ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento
delle questioni sollevate dal TAR Lazio.
4.2.1.– Le società
costituite lamentano il carattere irragionevole e sproporzionato
dell’incremento previsto dalla disposizione censurata, poiché – a fronte della
riduzione dei volumi di raccolta del gioco – il concessionario sarebbe tenuto
ad un esborso superiore non soltanto a quanto ritenuto congruo poco tempo
prima, ma anche all’importo da versare durante il regime ordinario di gestione
delle concessioni.
In mancanza di una
correlazione con il fatturato, la disposizione censurata finirebbe per vessare
gli operatori con minore capacità reddituale. Viceversa, l’ammontare di questi
corrispettivi avrebbe dovuto essere commisurato al fatturato e alla redditività
di ciascuno dei concessionari.
La difesa delle parti
private costituite evidenzia, inoltre, che la durata della proroga dovrebbe
essere strettamente limitata al periodo necessario all’espletamento delle
operazioni di gara. Diversamente, si avrebbe una violazione dei principi di
libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza.
Al riguardo, sono richiamati la delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione
del 9 marzo 2011, n. 34, nonché il comunicato del Presidente della stessa
Autorità del 4 novembre 2015.
Viceversa, nel caso in
esame, la proroga servirebbe a ovviare all’inadempienza dell’ADM, che ha omesso
di bandire la gara per la riattribuzione delle concessioni. La proroga tecnica
ha ormai raggiunto un’estensione temporale equivalente a quella delle
concessioni originarie.
La difesa delle parti
costituite fa, inoltre, rilevare che l’art. 14, comma 2, lettera r), della
legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un
sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) ha imposto
l’obbligo di commisurare l’importo della somma pretesa per il periodo di
proroga a quello originariamente dovuto per il conseguimento della concessione.
Le disposizioni
censurate determinerebbero, ancora, una discriminazione nei confronti dei
concessionari in proroga, sia rispetto ai soggetti che risulteranno vittoriosi
nella prossima gara, sia rispetto ai soggetti operanti in forza di concessione
gratuita non ancora scaduta.
La disciplina della
proroga tecnica sarebbe altresì in contrasto con l’art. 3 Cost. e con i
corrispondenti artt. 20 e 21 della CDFUE, anche in relazione al principio del
legittimo affidamento. È richiamata, al riguardo, la sentenza di questa
Corte n. 166 del 2012, nonché le
sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, 14 marzo
2013, in causa C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle eG contro Landrat des Landkreises
Oder-Spreee, e sesta
sezione, 17 dicembre 1998, in causa C-186/96, Demand
contro Trier.
L’irragionevolezza e la
vessatorietà delle disposizioni censurate sarebbero ancora più evidenti laddove
si consideri che l’adesione al regime di proroga costituisce condizione per la
partecipazione alla gara. Infatti, ove non aderiscano alla proroga, gli
interessati dovrebbero rinunciare al proprio avviamento commerciale e
dismettere le sale precedentemente condotte in locazione. Verrebbe così
compressa la libertà di iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41
Cost. e dall’art. 16 CDFUE.
D’altra parte, al
maggior esborso previsto dalla disposizione censurata dovrebbe essere
attribuita natura tributaria. In violazione dei principi di cui all’art. 53
Cost., questo tributo non sarebbe informato a criteri di progressività, poiché
esso riguarda indistintamente tutti i concessionari, a prescindere dalla loro
capacità contributiva e dall’effettivo numero di cartelle vendute e senza
considerare che alcuni concessionari sono ubicati in zone più colpite dalla
crisi economica, che ne ha minato le possibilità di guadagno. Essi non
potrebbero neppure ovviare a tale situazione scegliendo una diversa ubicazione
delle sale, stante il divieto di trasferimento, previsto dall’art. l, comma
636, della legge n. 147 del 2013.
4.3.– Nel giudizio
iscritto al r. o. n. 100, si sono costituiti M. S. e Bingo srl
unipersonale, quali parti ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento
delle questioni di legittimità costituzionale.
4.3.1.– Ad avviso delle
parti costituite, le previsioni della legge n. 147 del 2013, che per la prima
volta hanno introdotto l’onerosità della concessione e l’introduzione di un
canone mensile, sarebbero distoniche rispetto al contesto del mercato di
riferimento, che registrava una forte contrazione della spesa per questa
tipologia di giochi ed un ancor più drastico abbattimento della quota di
mercato occupata dal bingo. Inoltre, tale misura non sarebbe stata preceduta da
alcuna istruttoria idonea a giustificare l’incremento del canone mensile
imposto ai concessionari, né in termini di sostenibilità in sé, né rispetto
all’andamento del mercato del bingo.
D’altra parte, la
reiterazione della proroga tecnica l’avrebbe di fatto trasformata in un regime
stabile, posto che dal 2014 la gara ancora non è stata svolta. Ciò sarebbe
lesivo del legittimo affidamento dei concessionari, che avrebbero sopportato il
pagamento del contributo mensile confidando nella temporaneità dell’onere e
nell’imminenza della gara. Questa situazione, anche alla luce del divieto di
trasferimento delle sale bingo, costituirebbe un ostacolo alla libertà di
prestazione dei servizi, garantita dal TFUE.
4.3.2.– Le parti
costituite ritengono che la ragionevole scelta del legislatore del 2013 sia
stata in seguito stravolta. Non solo le gare, che avrebbero dovuto essere
bandite con cadenza biennale, non sono state espletate ma, a decorrere dal 2015
e ancor più nel 2017, si è persa ogni correlazione fra il valore delle nuove
concessioni e il corrispettivo mensile dovuto dai concessionari in proroga.
4.3.3.–
L’indeterminatezza del sistema approntato dalla disposizione censurata
comporterebbe anche la violazione dell’art. 41 Cost. e della libertà di iniziativa
economica. Agli operatori sarebbe impedito il compimento di consapevoli scelte
economiche, rimanendo essi soggetti a un regime eccessivamente gravoso, cui
tuttavia non possono sottrarsi, non essendo dato stabilire quando potranno
rientrare nel mercato, a seguito della partecipazione alla nuova gara.
4.4.– Nel medesimo
giudizio iscritto al r. o. n. 100 del 2019 si è costituita l’ASCOB –
Associazione concessionari bingo, quale associazione di categoria, intervenuta
ad adiuvandum nel giudizio a quo. Essa chiede
l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR
Lazio.
Gli argomenti
illustrati da ASCOB nel proprio atto di costituzione riflettono, anche nel
tenore letterale, quelli delle altre parti costituite M. S. e Bingo srl.
4.5.– In prossimità
dell’udienza pubblica del 26 febbraio 2020 e di quella del 23 febbraio 2021,
sia le parti private costituite, sia il Presidente del Consiglio dei ministri
hanno depositato memorie, con le quali hanno ulteriormente argomentato le rispettive
istanze, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni ivi formulate.
5.– A seguito
dell’udienza pubblica del 26 febbraio 2020, al fine di pervenire a una puntuale
ricostruzione degli elementi di fatto sui quali è intervenuta la disposizione
censurata, questa Corte ha ritenuto necessario acquisire informazioni
dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, dal Ministero dell’economia e
dall’Ufficio parlamentare di bilancio (di seguito: UPB) e, con ordinanza
istruttoria del 26 marzo 2020, ha richiesto a essi, ciascuno per quanto di
competenza, una relazione informativa sul concreto assetto del mercato della
raccolta del bingo, con riferimento ai profili economico-finanziari relativi
alla genesi e all’applicazione della disposizione censurata.
La relazione predisposta
dall’ADM, sviluppata anche in relazione agli aspetti demandati al Ministero
dell’economia, è stata depositata il 23 luglio 2020, mentre quella dell’UPB è
pervenuta il 26 ottobre 2020.
6.– Con atti
rispettivamente depositati in ciascuno dei giudizi il 20 gennaio 2021, è
intervenuta ad adiuvandum la FEDERBINGO – Federazione
italiana dei concessionari dei giochi bingo – chiedendo, previa decisione di
questa Corte sull’ammissibilità del proprio intervento in giudizio, di prendere
visione e trarre copia degli atti processuali, ai sensi dell’art. 4-bis delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Con ordinanza n. 24 del
2021, gli interventi della FEDERBINGO – Federazione italiana dei
concessionari dei giochi bingo sono stati dichiarati inammissibili.
1.– Con due ordinanze
di analogo tenore, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda,
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41, nonché 11 e 117, primo comma,
della Costituzione – questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20 e 21
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 –
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).
Nel modificare l’art.
1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2014)», la disposizione censurata, alla lettera a), differisce al 30
settembre 2018 il termine entro il quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli
(d’ora in avanti: ADM) procede alla gara per la riattribuzione delle
concessioni del gioco del bingo e, al contempo, alla lettera b), eleva gli
importi dovuti dai concessionari, operanti in regime di proroga tecnica, a euro
7.500 per ogni mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, e a euro
3.500 per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni.
1.1.– Ad avviso del TAR
Lazio, questa disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., per il
carattere irragionevole e sproporzionato dell’aumento di quanto dovuto dai
concessionari in regime di proroga tecnica, disposto in mancanza di alcuna
indagine in ordine all’effettiva sostenibilità di tale onere e senza una
correlazione con la cifra da porre a base d’asta per le nuove gare.
La disposizione
censurata si porrebbe in contrasto, altresì, con l’art. 41 Cost., poiché
l’ulteriore protrarsi della proroga tecnica, in corso dal 2013, di fatto senza
una precisa delimitazione temporale, priverebbe gli operatori della possibilità
di valutare la convenienza economica della scelta, data l’incertezza circa
l’avvio della nuova gara.
Infine, sarebbero
violati gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione sia ai principi di
uguaglianza davanti alla legge e di non discriminazione, di cui agli artt. 20 e
21 CDFUE, sia al riconoscimento della libertà di impresa, di cui all’art. 16
della stessa CDFUE.
2.– Le ordinanze di
rimessione sollevano questioni identiche, sicché i relativi giudizi vanno
riuniti per essere definiti con un’unica decisione.
3.– In via preliminare,
deve essere rigettata l’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello
Stato nell’ambito del giudizio iscritto al r. o. n. 99 del 2019.
La difesa statale
ritiene contraddittoria la motivazione offerta dal giudice a quo a sostegno
della rilevanza, poiché l’accoglimento delle censure di cui al primo motivo di
ricorso avrebbe portato all’integrale soddisfazione della pretesa fatta valere
dai ricorrenti, senza necessità di fare applicazione delle norme censurate.
Tuttavia, a sostegno di
questa eccezione, l’atto di intervento dell’Avvocatura dello Stato riporta
affermazioni che non sono affatto contenute nell’ordinanza di rimessione
iscritta al r. o. n. 99 del 2019. Quest’ultima non fa menzione di motivi di
ricorso diversi dall’illegittimità costituzionale della disposizione di legge
di cui l’atto impugnato costituisce applicazione. L’eccezione di
inammissibilità sollevata dalla difesa statale risulta, pertanto, non fondata.
4.– Parimenti non
fondate sono le eccezioni sollevate dalla difesa delle parti costituite B. E. srl e Coral srl
in ordine alla regolarità dell’intervento dell’Avvocatura generale dello Stato.
4.1.– È vero che
nell’atto di intervento depositato dalla difesa statale è indicato erroneamente
il numero dell’ordinanza di rimessione; e che il comunicato della
determinazione all’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri – pur
indicando correttamente la disposizione oggetto di censura, la data
dell’ordinanza di rimessione e l’ufficio giudiziario che l’ha emessa – reca
l’erronea indicazione del nome delle parti.
Tuttavia, dalla
considerazione complessiva degli atti depositati dalla difesa statale e del
contenuto di ciascuno di essi, si comprende agevolmente che si tratta di meri
errori materiali che non impediscono di individuare correttamente l’ordinanza
di rimessione cui è riferito l’atto di intervento e di riconoscere, pertanto,
la sua regolarità.
5.– Sono inammissibili
gli ulteriori motivi di censura illustrati dalla difesa delle parti costituite.
5.1.– La difesa delle
società B. E. srl e Coral srl assume che le prestazioni previste dalla disposizione
censurata abbiano natura tributaria e ravvisa in essa la violazione del
principio di progressività del sistema tributario, di cui all’art. 53 Cost.,
nonché il contrasto con le norme europee sulla libertà di concorrenza, sulla
libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, di cui agli artt. 26, 49,
56, e 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come
modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.
In riferimento a queste
ulteriori censure, le parti private costituite chiedono anche che, ai sensi
dell’art. 267 TFUE, sia rimessa alla Corte di giustizia dell’Unione europea la
questione pregiudiziale interpretativa della disciplina della proroga tecnica.
5.2.– I profili di
compatibilità con il diritto europeo evidenziati da B. E. srl
e Coral srl attengono
specificamente alla disciplina introdotta dalla legge n. 147 del 2013.
Tuttavia, il giudice a quo non ha affatto censurato il principio dell’onerosità
delle concessioni, né è in discussione la legittimità della scelta legislativa
di prorogare l’efficacia di titoli concessori ormai scaduti. Le censure del
rimettente si rivolgono, infatti, alla sola disposizione dell’art. l, comma
1047, della legge n. 205 del 2017 che, nel modificare la disciplina del 2013,
ha elevato l’importo del canone mensile e differito il termine per lo
svolgimento della gara.
5.3.– E’ nota, al
riguardo, la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’oggetto del
giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle
disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, con
esclusione della possibilità di ampliare il thema decidendum proposto dal rimettente, fino a ricomprendervi
questioni formulate dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare
proprie (ex plurimis, sentenze n. 186 del
2020, n. 7
del 2019, n.
248, n. 194,
n. 120, n. 27, n. 4 del 2018, n. 251, n. 250, n. 35 e n. 29 del 2017;
n. 276, n. 214 e n. 96 del 2016,
n. 231, n. 209 e n. 83 del 2015).
Da queste
considerazioni discende l’estraneità rispetto al presente giudizio di
legittimità costituzionale delle ulteriori censure sollevate dalle parti
private e della questione interpretativa che le società B. E. srl e Coral srl
vorrebbero che fosse sottoposta alla Corte di giustizia.
5.4.– La stessa
delimitazione delle questioni di legittimità costituzionale all’incremento dei
canoni previsto dalla disposizione censurata vale ad escludere che ricorrano i
presupposti perché questa Corte sollevi d’ufficio dinanzi a sé la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013,
come richiesto dalla difesa delle stesse società B. E. srl
e Coral srl.
Le questioni di
legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio non attengono, come già
rilevato, alla generale previsione dell’onerosità delle concessioni, siano esse
da attribuire, ovvero già attribuite. Le censure del rimettente si appuntano,
infatti, sul carattere sproporzionato, arbitrario e irragionevole del solo
incremento disposto dall’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017.
Tra le due questioni di
legittimità costituzionale non è quindi ravvisabile quel nesso di necessaria strumentalità
o di pregiudizialità logica, idoneo a giustificare l’esercizio, da parte di
questa Corte, dell’eccezionale potere di autorimessione
dinanzi a sé della questione di legittimità costituzionale di una norma rimasta
estranea al fuoco delle censure del rimettente (sentenze n. 255 del
2014, n. 179
del 1976, n.
122 del 1976, n.
195 del 1972, nonché ordinanze n. 114 del 2014,
n. 42 del 2001;
n. 197 e n. 183 del 1996;
n. 297 e n. 225 del 1995;
n. 294 del 1993;
n. 378 del 1992,
n. 230 del 1975
e n. 100 del
1970).
6.– D’altra parte, non
può essere accolta la richiesta, avanzata dalla difesa statale, di restituzione
atti al giudice a quo, in considerazione dell’entrata in vigore della legge 30
dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023).
6.1.– In effetti,
ancora prima di tale intervento legislativo, la disciplina introdotta dall’art.
1, comma 636, della legge n. 147 del 2013 è stata ripetutamente modificata.
Ciò è avvenuto,
dapprima, per effetto dell’art. 1, comma 1096, della legge 30 dicembre 2018, n.
145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio
pluriennale per il triennio 2019-2021), che ha ricompreso nella proroga tecnica
anche le concessioni in scadenza nel 2019.
In seguito, la
disciplina in esame è stata nuovamente modificata dall’art. 24 del
decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale
e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19
dicembre 2019, n. 157, che ha differito al 31 settembre 2020 il termine entro
il quale l’ADM indice la gara per l’attribuzione delle concessioni e ha,
inoltre, esteso il regime di proroga tecnica anche alle concessioni in scadenza
nel 2020.
Successivamente, il
settore dei giochi e delle sale bingo è stato interessato da ripetuti
interventi normativi connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
A seguito della
sospensione dell’attività delle sale bingo disposta dal d.P.C.M.
8 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio
2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione
dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), il decreto-legge 17 marzo 2020, n.
18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno
economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza
epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24
aprile 2020, n. 27, all’art. 69, ha previsto che «non è dovuto il canone […] a
decorrere dal mese di marzo [2020] e per tutto il periodo di sospensione
dell’attività». Il medesimo decreto-legge ha, inoltre, prorogato di sei mesi i
termini per l’indizione della gara per le concessioni del gioco del bingo.
In seguito, l’art. 18,
comma 8-bis, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia
di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri
speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e
lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali) convertito, con
modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40, ha prorogato al 22 settembre
2020 il versamento dei canoni di concessione in scadenza al 30 agosto 2020.
La ripresa
dell’attività delle sale bingo è stata poi consentita, a partire dal 15 giugno
2020, dal d.P.C.m. 11 giugno 2020. A seguito degli
ulteriori provvedimenti legati all’emergenza epidemiologica da COVID-19, a
partire dal 26 ottobre 2020 l’attività delle sale bingo è stata nuovamente
sospesa su tutto il territorio nazionale e, allo stato, non è ancora ripresa.
Da ultimo, la legge n.
178 del 2020 ha previsto alcune agevolazioni nelle modalità di pagamento,
stabilendo in particolare, all’art. l, comma 1131, che il pagamento dei canoni
relativi al primo semestre 2021 può essere effettuato in misura ridotta (2.800
euro per ogni mese o frazione di mese superiore a quindici giorni, e 1.400 euro
per ogni frazione di mese pari o inferiore a quindici giorni). In base ai
successivi commi 1132 e 1133, i titolari di concessione che scelgano di
effettuare il pagamento in misura ridotta, sono tenuti a versare la restante
parte – «fino alla copertura dell’intero ammontare del canone previsto dalla
vigente normativa» – con rate mensili di pari importo, oltre agli interessi
legali, dal 10 luglio 2021 ed entro il 10 dicembre 2022. Inoltre, in base al
comma 1130, il termine per procedere alla gara per l’attribuzione delle nuove
concessioni è stato nuovamente differito al 31 marzo 2023.
Gli interventi
legislativi che si sono susseguiti nel 2020, successivi alla sospensione
dell’attività dei concessionari, sono quindi volti ad agevolare il pagamento
degli oneri concessori, senza eliminare l’obbligazione, né modificarne
l’importo.
6.2.– Questa Corte ha
costantemente affermato che «non ogni nuova disposizione che modifichi, integri
o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di
costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza
dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua
rilevanza e della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità
costituzionale espressi dal giudice rimettente» (sentenze n. 79 del
2019 e n.
125 del 2018).
Nel caso in esame,
nessuna delle sopravvenienze normative che si sono succedute dopo
l’instaurazione del giudizio costituzionale giustifica la restituzione degli atti
al giudice a quo per una nuova valutazione sulla rilevanza, così come richiesto
dall’Avvocatura generale dello Stato. Esse, infatti, non modificano la
disposizione censurata sotto i profili per i quali ne è denunciata
l’illegittimità costituzionale, non rendono inattuali le valutazioni compiute
dal rimettente e, anzi, presuppongono che essa sia in vigore, limitandosi a
prevedere – oltre ad ulteriori rinvii del termine per lo svolgimento della gara
– agevolazioni nell’adempimento dell’obbligo, attraverso la rateazione dei
pagamenti. Le censure formulate dal rimettente non sono dunque scalfite dalle
modifiche normative sopravvenute, che lasciano intatto il significato della
disposizione censurata rispetto agli evidenziati profili di illegittimità
costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 237 del
2020, n. 79
del 2019, n.
194, 125
e 33 del 2018).
7.– Nel merito, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047 della legge n.
205 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., non è fondata.
7.1.– In considerazione
del contenuto particolare, nonché del limitato ambito soggettivo, la disciplina
censurata va ascritta alla categoria delle leggi-provvedimento.
Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, disposizioni legislative di tale natura non
sono di per sé incompatibili con l’assetto costituzionale. Peraltro, in
considerazione del pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di
questo tipo, esse devono soggiacere a uno scrutinio stretto di
costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non
irragionevolezza della scelta legislativa (ex plurimis,
sentenze n. 116
del 2020, n.
181 del 2019, n.
182 del 2017, n.
275, n. 154
e n. 85 del 2013,
n. 20 del 2012,
n. 270 del 2010,
n. 288 del 2008;
n. 429 del 2002,
n. 2 del 1997).
La loro legittimità costituzionale deve essere «"valutata in relazione al loro
specifico contenuto” [...] e devono risultare i criteri che ispirano le scelte
con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione» (sentenze n. 182 del
2017 e n.
270 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 275
e n. 85 del 2013),
attraverso l’individuazione degli interessi oggetto di tutela e della ratio
della norma desumibili dalla stessa, anche in via interpretativa, in base agli
ordinari strumenti ermeneutici (sentenze n. 168 del
2020, n. 182
del 2017 e n.
270 del 2010).
7.2.– La valutazione in
ordine alla congruità e proporzionalità delle misure legislative censurate deve
essere, quindi, effettuata in funzione delle finalità perseguite in questo
particolare settore dell’ordinamento. L’introduzione nel 2013 della originaria
disciplina della proroga tecnica si prefiggeva l’obiettivo «di contemperare il
principio di fonte comunitaria secondo il quale le concessioni pubbliche vanno
attribuite ovvero riattribuite, dopo la loro scadenza, secondo procedure di
selezione concorrenziale con l’esigenza di perseguire, in materia di concessioni
di gioco per la raccolta del bingo, il tendenziale allineamento temporale di
tali concessioni» (art. 1, comma 636, della legge n. 147 del 2013).
Nel caso in esame, il
pagamento del canone mensile per i concessionari in proroga tecnica risulta
correlato alla possibilità di continuare a svolgere l’attività oggetto di
concessione, nonostante la scadenza del relativo termine di efficacia e
l’assenza di una nuova gara. In questo modo, è stato attribuito un vantaggio al
«concessionario in scadenza che intenda altresì partecipare al bando di gara
per la riattribuzione della concessione» (art. 1, comma 636, della legge n. 147
del 2013), riconoscendogli la possibilità di partecipare alla nuova procedura
selettiva senza soluzione di continuità rispetto alla precedente attività. Il
canone mensile, quindi, oltre ad anticipare l’applicazione del principio di
onerosità ad una fase antecedente allo svolgimento della gara per la loro
attribuzione, risulta correlato al vantaggio attribuito ai titolari di quelle
scadute, ai quali è consentita, in via eccezionale e transitoria, la
prosecuzione dell’attività.
7.3.– Quanto poi
all’incremento degli oneri a carico dei concessionari in proroga tecnica, esso
si inserisce in un quadro complessivo di progressiva valorizzazione dei rapporti
concessori e dei vantaggi competitivi che ne derivano per i privati, in
funzione di una maggiore efficienza nell’utilizzo delle pubbliche risorse. La
giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto la legittimità di
interventi legislativi che adeguano i canoni di godimento dei beni pubblici, in
quanto volti, in conformità agli artt. 3 e 97 Cost., a perseguire obiettivi di
equità e razionalizzazione dell’uso di tali beni (ex plurimis,
sentenze n. 29
del 2017, n.
302 del 2010 e n. 88 del 1997).
Anche in questo caso,
il principio di onerosità delle nuove concessioni e – ciò che più rileva nel
caso in esame – la tendenza all’incremento, anche significativo, dei canoni
rispondono a queste finalità di sistema e costituiscono – nel quadro di un
mercato intensamente regolato, come quello dei giochi e delle scommesse in
denaro – un elemento fisiologicamente riconducibile al rischio normativo di
impresa (in questo senso, sentenza n. 16 del
2017).
7.4.– D’altra parte,
dalla relazione depositata dall’Ufficio parlamentare di bilancio a seguito
dell’ordinanza istruttoria di questa Corte del 26 marzo 2020 emerge che – anche
dopo l’incremento disposto dalla norma oggetto di censura – l’incidenza degli
oneri concessori sulla redditività delle concessioni è rimasta, nel complesso,
marginale. Pur tenendo presente l’eterogeneità che caratterizza la raccolta
delle giocate per singola concessione, per il novanta per cento delle
concessioni – che presentano una raccolta di giocate compresa tra 2 e 15
milioni di euro – l’incidenza degli oneri concessori varia in misura compresa
tra lo 0,75 e il 2,7 per cento rispetto alla raccolta.
Dalla relazione
acquisita risulta, inoltre, la generalizzata adesione dei precedenti
concessionari al regime di proroga e, al contempo, la sostanziale stabilità del
numero degli stessi operatori a distanza di oltre sette anni dall’introduzione
della relativa disciplina e di più di tre anni dall’incremento disposto dalla
norma censurata. La considerazione complessiva di tali elementi avvalora, sia
la valutazione di convenienza economica effettuata dai concessionari che hanno
aderito al regime di proroga tecnica, sia la sostenibilità dei relativi oneri
economici.
7.5.– È pur vero che
con la disposizione censurata è stato abbandonato il precedente criterio di
determinazione dei canoni, sino ad allora correlato alla base d’asta per le
nuove concessioni. Infatti, nell’impostazione della legge n. 147 del 2013, il
canone dovuto dai concessionari in proroga era inizialmente commisurato
all’importo della base d’asta per le future gare per l’assegnazione delle nuove
concessioni, suddiviso per il numero di mensilità comprese nel termine di
durata delle stesse. In questo modo, il versamento dovuto mensilmente
rappresentava una sostanziale anticipazione alla fase di proroga del regime
oneroso previsto per le nuove concessioni.
Tuttavia, l’abbandono
di questo criterio – in sé considerato – non è indice di arbitrarietà o
irragionevolezza dell’incremento introdotto dalla disposizione censurata.
Intanto non c’è alcuna
ragione che obblighi a correlare gli importi dovuti dai concessionari in
proroga all’importo indicato come base d’asta delle nuove gare. Quest’ultimo,
infatti, non necessariamente corrisponde all’onere economico che, all’esito della
gara, i nuovi concessionari dovranno sostenere. La misura di questo onere è
viceversa comparabile al prezzo di aggiudicazione, che è verosimilmente
superiore alla soglia per partecipare alla gara. Inoltre, tale prezzo
rappresenta un costo che gli aggiudicatari delle nuove concessioni devono
liquidare in anticipo e per intero, assumendo così il rischio economico
inerente alla complessiva durata del rapporto.
La ratio delle
disposizioni censurate, volte ad allineare la situazione dei precedenti
concessionari a quella di coloro che saranno i nuovi titolari di concessioni,
porta a ritenere non irragionevole che il legislatore provveda ad adeguamenti
nel tempo che rispondono ad una migliore valorizzazione delle risorse pubbliche
e risultano d’altra parte sostenibili per gli interessati.
Sulla base di questi
argomenti, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047,
della legge n. 205 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost, deve,
quindi, ritenersi non fondata.
8.– Non è fondata neppure
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, coma 1047, della legge
n. 205 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 41 Cost.
Il giudice a quo
ricollega la lesione della libertà di iniziativa economica dei titolari di
concessioni in proroga ai ripetuti differimenti del termine per le gare e alla
conseguente mancanza di un orizzonte temporale certo, entro il quale effettuare
consapevoli scelte imprenditoriali.
8.1.– Come si è
evidenziato al punto 6.1, gli interventi normativi che si sono susseguiti anche
dopo la pubblicazione delle ordinanze di rimessione hanno determinato una
progressiva dilatazione dei tempi per l’indizione della gara per l’attribuzione
delle nuove concessioni. In questo modo, il protrarsi dell’efficacia della
disciplina di natura transitoria introdotta dalla legge n. 147 del 2013 ha
certo impedito sinora la realizzazione degli obiettivi di efficienza,
concorrenzialità e trasparenza che avevano ispirato l’adozione di una nuova
disciplina delle concessioni per l’esercizio delle sale bingo.
8.2.– Ciò premesso, va
rilevato che, in ogni caso, la valutazione sulla convenienza dell’adesione al
regime di proroga tecnica e sulla futura partecipazione alla gara spetta pur
sempre all’imprenditore. A questi è rimessa, infatti, la scelta di avvalersi
della proroga, a fronte del pagamento del canone mensile, sulla base di un
proprio calcolo economico. È pur vero che in questa valutazione rientra anche
il fattore temporale, legato alla data di effettivo svolgimento della futura
gara, originariamente prevista per il 2014 e ora differita al 31 marzo 2023
(art. 1, comma 1130, della legge n. 178 del 2020).
Tuttavia, nel caso in
esame, occorre tenere presente che si tratta di rapporti concessori ormai
esauriti, la cui efficacia viene eccezionalmente e temporaneamente "conservata”
dall’amministrazione. Rispetto a questi rapporti non è invocabile una tutela
dell’affidamento, connessa alla durata dell’ammortamento degli investimenti e
alla remunerazione dei capitali, poiché ciò è propriamente riferibile a
rapporti concessori non ancora esauriti. In considerazione della temporaneità
della proroga tecnica e della limitatezza di nuovi investimenti da affrontare e
di nuovi ammortamenti da programmare, i riflessi del differimento della gara
sul calcolo di convenienza economica degli operatori non appaiono determinanti.
Inoltre, e più in
generale, va richiamata l’incidenza di un rischio normativo, che è tipico di
settori di mercato, come quello in esame, intensamente regolati per la
presenza, in qualità di concedente, della pubblica amministrazione. Come già
riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, la pervasiva componente
pubblicistica che caratterizza il settore dei giochi pubblici può giustificare
l’imposizione di sacrifici o limitazioni, in funzione del perseguimento degli
interessi pubblici sottesi alla regolazione di queste attività imprenditoriali.
Proprio nel settore
dell’esercizio e della raccolta dei giochi pubblici, questa Corte ha
riconosciuto «l’originaria instabilità del nuovo rapporto concessorio (o della
prosecuzione del rapporto concessorio scaduto [...] derivante [...] dall’essere
stati individuati, gli stessi concessionari, con una modalità di affidamento
(l’assegnazione diretta per legge, sulla base di una loro semplice opzione, ancorché
a fronte del pagamento di una somma di denaro), costituente una vistosa
eccezione alla regola generale della concorrenzialità. Quest’ultima circostanza
in particolare – anche al di là di ogni considerazione sulle ragioni
eccezionali che possono avere determinato la scelta del legislatore –
contribuisce ad accentuare il carattere pubblicistico del rapporto di
concessione in questione e, con esso, la sua ancora maggiore attitudine a
essere oggetto di interventi regolativi pubblici funzionali alla cura degli
interessi per i quali le attività di raccolta e gestione dei giochi pubblici
sono legittimamente riservate al monopolio statale» (sentenza n. 56 del
2015; nello stesso senso, sentenza n. 16 del
2017).
In applicazione di
questi principi, anche in questo caso, il differimento del termine per lo svolgimento
della gara e l’estensione della durata dei rapporti concessori in essere non
influiscono sulla valutazione della legittimità costituzionale della
disposizione censurata.
9.– Anche in
riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge n. 205 del 2017 non è
fondata.
9.1.– A questo
riguardo, il giudice rimettente evoca quali parametri interposti le
disposizioni degli artt. 16, 20 e 21 della CDFUE. Mentre l’art. 16 riconosce la
libertà d’impresa, gli artt. 20 e 21 sanciscono i principi di uguaglianza
davanti alla legge e di non discriminazione. Nel caso in esame, i principi e
diritti fondamentali enunciati dalla CDFUE si intrecciano con principi e
diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.
9.2.– In entrambe le
ordinanze di rimessione, il giudice a quo ha sollevato le questioni di
legittimità costituzionale, sia in riferimento ai parametri interni, sia in
riferimento a quelli della CDFUE, attraverso il richiamo agli artt. 11 e 117,
primo comma, Cost., così dimostrando di aderire ai principi enunciati da questa
Corte in ordine alla propria competenza a vagliare eventuali profili di
contrarietà delle disposizioni di legge nazionali alla Carta dei diritti
dell’Unione (sentenze
n. 11 del 2020, n. 63 e n. 20 del 2019
e n. 269 del
2017). In questo caso, le ragioni addotte a sostegno della lamentata
lesione delle disposizioni della CDFUE interferiscono e si sovrappongono con i
valori costituzionali dell’uguaglianza, della ragionevolezza e della libertà
dell’iniziativa economica privata.
Infatti, la tutela del
principio di uguaglianza e della libertà di impresa avviene nella nostra
Costituzione e nella CDFUE sulla base di formulazioni normative e di criteri
interpretativi che possono ritenersi coincidenti.
Pertanto, nel caso in
esame, accertata l’insussistenza della lesione del canone di ragionevolezza,
non sussiste neppure la violazione degli analoghi principi, desumibili dagli
artt. 20 e 21 della CDFUE, di eguaglianza davanti alla legge e di non
discriminazione. Allo stesso modo – esclusa la violazione della libertà di
iniziativa economica privata – non ricorre neppure la violazione dell’art. 16
della CDFUE, che contiene il riconoscimento della libertà d’impresa.
10.– Il giudizio qui
reso non cancella i gravi profili disfunzionali della prassi legislativa del
costante e reiterato rinvio delle gare, mediante interventi che – anziché
favorire il passaggio verso la nuova regolazione di questo settore di mercato –
si limitano a estendere, di volta in volta, l’ambito temporale della disciplina
transitoria della proroga tecnica delle precedenti concessioni. Ciò è fonte di
incertezza nelle attività e nelle prospettive degli operatori e rende
auspicabile, anche a tutela della concorrenza, l’approdo a un quadro normativo
in tutti i suoi aspetti definito e stabile.
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1047, della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevate,
in riferimento agli artt. 3 e 41, nonché 11 e 117, primo comma, della
Costituzione, questi ultimi due in relazione agli artt. 16, 20 e 21 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, dal Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con le ordinanze
indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio
2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO,
Presidente
Giuliano AMATO,
Redattore
Roberto MILANA,
Direttore della Cancelleria
Depositata in
Cancelleria il 29 marzo 2021.