Ordinanza n. 378 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 378

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Prof. Giuliano VASSALLI

 

-          Prof. Francesco GUIZZI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 426 lettera c) del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento penale a carico di Colli Antonio, iscritta al n. 536 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 17 giugno 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

 

RITENUTO che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia, nel richiamare la sentenza di questa Corte n. 233 del 1984, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 426 lett. c) del codice di procedura penale, nella parte in cui, nel caso di sentenza di non luogo a procedere per infermità psichica, preclude al giudice per le indagini preliminari di tener conto delle circostanze attenuanti e di effettuare il giudizio di comparazione di cui all'art. 69 del codice penale, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o della determinazione della sua durata minima ai sensi dell'art. 222 del codice penale.

 

CONSIDERATO che pregiudiziale all'esame della questione sollevata dal giudice a quo è la verifica della legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che il giudice, all'esito della udienza preliminare, pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando < risulta evidente... che si tratta di persona non imputabile>;

 

che il nesso di pregiudizialità che lega la norma oggetto di impugnativa e l'art. 425 del codice di rito può agevolmente desumersi dalla circostanza che, mentre l'art. 426 dello stesso codice disciplina i requisiti della sentenza di non luogo a procedere ed enuncia, fra questi, l'imputazione, così da aver indotto il remittente a intravedere la < estensibilità> dei princìpi affermati da questa Corte nella sentenza n. 233 del 1984, con la quale venne dichiarata l'illegittimità costituzionale del corrispondente art. 384 n. 2 del codice abrogato, è l'art. 425 del nuovo codice che disciplina le formule e la regola di giudizio con le quali viene adottata la sentenza di non luogo a procedere;

 

sicchè, solo dopo aver verificato la legittimità costituzionale della norma, che consente al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, è possibile affrontare la questione che ha dato vita al presente giudizio e, per l'effetto, esaminare la fondatezza del petitum che il giudice a quo mostra di perseguire;

 

che, al riguardo, non appare manifestamente infondato il dubbio che l'art.425 del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente il difetto di imputabilità, applicando le misure di sicurezza nei casi e nei modi previsti dalla legge, contrasti con gli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione;

 

che in proposito deve infatti rilevarsi come il giudice, alla stregua della regola di giudizio delineata dalla norma qui sospettata, sia chiamato ad apprezzare il merito della imputazione con esclusivo riferimento ad un parametro di < non evidenza> che il fatto non sussista, l'imputato non lo abbia commesso o che il fatto non costituisca reato o non sia previsto dalla legge come reato, con la conseguenza di imporre la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità ed applicare, se del caso, le misure di sicurezza, all'esito di un accertamento di responsabilità che tiene conto solo della non manifesta infondatezza dell'addebito;

 

che dal quadro normativo appena delineato scaturisce, quindi, il sospetto di una irragionevole compressione del diritto di difesa che non può certo ritenersi bilanciato da contrapposte esigenze di economia processuale, in quanto la persona non imputabile viene ad essere perciò solo privata del dibattimento e della conseguente possibilità di esercitare appieno il diritto alla prova sul merito della regiudicanda;

 

che tutto ciò potrebbe determinare, altresì, una ingiustificata disparità di trattamento tra quanti versano nella identica situazione di non imputabilità, dal momento che per costoro la possibilità di fruire dell'epilogo dibattimentale e delle conseguenti garanzie viene fatta dipendere esclusivamente dal tipo di modulo processuale adottato, giacchè la preclusione a quell'epilogo non si realizza in tutte le altre ipotesi in cui manca, come nel giudizio direttissimo e nel procedimento davanti al pretore, la fase dell'udienza preliminare;

 

che nella specie appare infine prospettabile anche il dubbio di eccesso di delega, posto che nel numero 52), sesto periodo, dell'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, tra le cause che legittimano la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, non v'è menzione di quella relativa al difetto di imputabilità.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

 

dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt.3, 24 e 76 della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 425, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che l'imputato è persona non imputabile;

 

ordina la sospensione del giudizio introdotto con l'ordinanza iscritta al n.536 del registro ordinanze 1991; manda alla Cancelleria per gli adempimenti di legge.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/07/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Giuliano VASSALLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 27/07/92.